Commenti a: Razza partigiana http://anpimirano.it/2012/razza-partigiana/ Sat, 21 Mar 2015 10:12:26 +0000 hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.2 Di: Razza partigiana | La Resistenza tradita http://anpimirano.it/2012/razza-partigiana/comment-page-1/#comment-18150 Sat, 21 Mar 2015 10:12:26 +0000 http://anpimirano.it/?p=350#comment-18150 […] fuggirono, portandosi via le armi. Uomini d’Africa nella guerra di Liberazione italiana, come Giorgio Marincola, nato in Somalia nel 1923, da padre italiano e madre somala, ammazzato a guerra finita […]

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Di: Roberto http://anpimirano.it/2012/razza-partigiana/comment-page-1/#comment-112 Fri, 04 May 2012 17:55:46 +0000 http://anpimirano.it/?p=350#comment-112 “Timira” è il libro dedicato alla figura di Isabella Marincola in uscita il 15 maggio. Questo è un post dell’autore comparso sul sito http://www.wumingfoundation.com/giap/?cat=1322

Cara Isabella,
sono passati molti mesi dall’ultima volta che ci siamo visti. Li conto sulle dita e sono già diciotto, un anno e mezzo pieno di rivolta e di quello che si usa chiamare la Storia, per poi convincersi che sia un pezzo di carta, o di marmo, e non di vita.
Gli astronomi hanno scoperto una stella dieci milioni di volte piú luminosa del sole. Al tempo dei re babilonesi, le avrebbero dato il nome di un dio terribile e smisurato. Al tempo delle agenzie di rating, l’hanno battezzata con una sigla: R136a1. Sono morti J. D. Salinger, Mario Monicelli e Osama bin Laden. Sono nati, secondo le statistiche, centonovantotto milioni e mezzo di esseri umani. È nata pure una nuova nazione, la Repubblica del Sud Sudan, ma l’oroscopo dice che si ammalerà presto, ubriaca di petrolio. Come il Golfo del Messico, che ha dovuto sorbire in diretta tivú cinquecento milioni di litri di greggio, serviti dalla piattaforma Deepwater Horizon. O come il Delta del Niger, dove la sbornia nera uccide ogni giorno, senza lambire gli schermi del mondo. Un terremoto di magnitudo 9 ha cancellato in Giappone intere città. L’onda di tsunami e le macerie dei sopravvissuti ci hanno riempito gli occhi per settimane, risvegliando la falsa memoria di catastrofi già dimenticate. La scossa ha danneggiato i reattori di una centrale nucleare e nessuno sa dire quanto dureranno gli effetti delle radiazioni in fuga. Tra diecimila anni, tonnellate di scorie radiotossiche saranno forse l’unica traccia rimasta della nostra civiltà. Chissà se i terrestri del futuro ci chiameranno pazzi o terroristi. Fino all’anno scorso – ti ricordi? – il terrorista da cartolina era un giovane musulmano, barbuto, con la pelle bruna e il turbante in testa. Oggi è un trentenne norvegese, biondo, cristiano, con un coccodrillo cucito sul cuore. Settantasette persone sono cadute sotto i colpi della sua battaglia contro l’islam e gli stranieri: se di pazzia si tratta, rischia di rivelarsi molto contagiosa. I crociati fibrillano, sbroccano, rimpiangono Bin Laden e lo scontro di civiltà. Sentono l’Armageddon mancare sotto i piedi e ne inseguono disperati una versione casalinga. Dal Golfo Persico al Nordafrica, uomini e donne, giovani e meno giovani occupano le strade per rovesciare i troni di vecchi tiranni. I terroristi da cartolina si trasformano all’improvviso in eroi ribelli. Gli arrabbiati di mezzo mondo guardano agli egiziani di piazza Taḥrīr. Una ragazza tunisina ha scritto che il suo popolo ha fatto la storia, ma lei non c’era, stava a Bologna per studiare, cosí ha perso l’occasione e vuole rifarsi in Italia. Sui muri della città, una richiesta urgente fa eco alle sue parole: «Immigrati, salvateci dagli italiani». Di tutto questo mi piacerebbe parlarti, sedere a quel tavolo sempre ingombro di carte, bollette, giornali, matite, tazze e bicchieri. Accendere il registratore e srotolare il pomeriggio, con la scusa di un romanzo da scrivere insieme. E invece sto qui, nello stanzone caldo di una biblioteca, in mezzo agli studenti che preparano gli esami per la sessione autunnale. Il romanzo è finito, l’ho stampato per intero e adesso non è altro che un plico di fogli in attesa di correzioni, sgorbi di penna, note sul margine e commenti. Ho letto la prima pagina, l’ho girata, e mi sono messo a scriverti nello spazio bianco sul retro. Erano anni che non usavo la penna per tante parole: i pensieri diventano indelebili troppo in fretta. Fuori c’è un tizio che butta giú un muretto a martellate e il rumore dei colpi spacca le frasi che vorrei mettere in fila. Dovrei tornare a casa, lí c’è silenzio, ma in compenso la posta, Twitter, i siti e l’orto sul balcone mi aprono in testa buchi molto peggiori di un martello.
Otto anni fa, quando tuo figlio si è presentato alla mia porta con una cartelletta rossa, Twitter non c’era ancora e nemmeno il balcone. Stavo in un altro appartamento e il massimo che riuscivo a coltivare era una pianta di fagiolo sul davanzale del bagno. Eppure, nonostante le distrazioni ridotte al cinquanta per cento, ho accolto Antar con la testa fra le nuvole, non l’ho fatto nemmeno entrare, ho preso la cartelletta e gli ho detto che senz’altro avrei letto i fogli che ci stavano dentro. Altri lavori incombevano, altre pagine, e già m’ero accorto che Antar, quando raccontava di te e di suo zio, aveva la tendenza a tirarla per le lunghe. Ci eravamo conosciuti in una clinica per malattie mentali. Frequentavamo lo stesso matto: io come amico, lui come educatore. Facevamo i turni per non lasciarlo da solo ed è stato lí, nel parco intorno alla villa, sotto un cedro del Libano colossale, che ho sentito parlare di te per la prima volta. Era la primavera del 2003 e io ci ho messo cinque anni prima di venirti a trovare, col mio registratore in mano, per dedicare alla tua storia un mercoledí pomeriggio.
A mia parziale discolpa, vorrei dire che la cartelletta rossa non l’ho riposta subito in un armadio. L’ho aperta poche ore dopo, di fianco a un piatto di pasta, e ormai da tre anni me la porto sempre appresso, nella borsa da lavoro. Rispetto ad allora è molto ingrassata di carte, ma i tre documenti originali sono sempre lí e ogni tanto li ripesco, per non dimenticare da dov’è cominciata la nostra amicizia.
Primo: una fotocopia con due brevi articoli, impaginati uno sopra l’altro. Titoli: «Un italiano nero» e «La “negretta” del cinema italiano». Tratti da: «Il Sofà. Periodico di immigrazione in Emilia Romagna».
Secondo: la relazione del dottor Bonvicini Eugenio sull’attività svolta da Giorgio Marincola (Mercurio) durante l’occupazione germanica del suolo nazionale.
Terzo: un volantino distribuito in piazza Maggiore il 25 aprile 2002. «Nell’anniversario della liberazione dal nazifascismo, mentre siamo qui per protestare contro il Lager etnico di via Mattei, vogliamo ricordare Giorgio Marincola attraverso la testimonianza di sua sorella (una signora ultrasettantenne che abita a Bologna)…»
Su un totale di sedici fogli A4, soltanto mezzo riguarda le tue avventure. Tutto il resto gira intorno a tuo fratello Giorgio, come in un depistaggio studiato ad arte. Ecco perché ci ho messo tanto per capire cosa volesse da me questa cartelletta rossa, ed ecco perché tu ci hai messo altri due anni per capire cosa volesse da te questo sedicente cantastorie dal nome cinese, col suo registratore a cassette sempre a corto di pile, che insisteva a suonare al tuo campanello ogni mercoledí
pomeriggio.
Siamo tutti profughi, senza fissa dimora nell’intrico del mondo.
Respinti alla frontiera da un esercito di parole, cerchiamo una storia dove avere rifugio.
http://www.einaudi.it/libri/libro/wu-ming-2-antar-mohamed/timira/978880620592

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