Commenti per ANPI Associazione Nazionale Partigiani d'Italia – Sezione del Miranese "Martiri di Mirano" http://anpimirano.it Thu, 31 Mar 2022 10:52:06 +0000 hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.2 Commenti su L’evoluzione del simbolo nazista dalle SS al Battaglione Azov ucraino di Bruno http://anpimirano.it/2014/i-simboli-nazisti-ufficializzati-in-ucraina-a-livello-statale/foto5/comment-page-1/#comment-22290 Thu, 31 Mar 2022 10:52:06 +0000 http://anpimirano.it/wp-content/uploads/2014/07/foto5.jpg#comment-22290 Rogo di Odessa: l’ipocrisia degli europei
Chi avesse ancora dubbi sulla natura fascista delle bande che hanno preso il potere in Ucraina sull’onda della “rivolta” di piazza Maidan guardi queste immagini. Si riferiscono al rogo appiccato dalle bande in questione al palazzo dei sindacati di Odessa, in cui sono perite almeno quaranta persone bruciate vive.

Con immagini come queste in mente si può capire un po’ meglio ciò che sta accadendo nel Paese. Altro che revanscismo di Putin e velleità di ricostituire l’Unione Sovietica. La reazione al golpe fascista di Maidan, perché di questo alla fine si è trattato, anche se alcune delle motivazioni di quei dimostranti potevano essere legittime e condivisibili, è del tutto comprensibile. Fanno bene i residenti dell’Est a difendersi da massacri di questo genere con ogni mezzo disponibile. La lotta antifascista del resto, e quello che il fascismo significa come negazione di ogni umanità e diritto, è profondamente scolpita nella memoria storica di quel popolo, eccezion fatta per la piccola minoranza rumorosa e ben armata ed equipaggiata dall’Occidente che ha approfittato della crisi di un regime corrotto come quello di Yanukovitch per tornare a inalberare i vessilli di Bandera.

Questa memoria storica, invece, è completamente assente dall’Europa che si accinge a celebrare il primo centenario dello scoppio della Prima guerra mondiale. E’ del resto caratteristica particolarmente negativa dei “nuovisti”, fra i quali ai nostri renziani spetta un posto di (dis)onore, è la cancellazione costante della storia. Fessi e “furbetti” al tempo stesso, si crogiolano nella presunta straordinarietà e originalità delle circostanze attuali, ignorando di essere, come il criceto nella ruota, costretti a ripetere vicende e passaggi storici del passato. Basta leggere i commenti di qualcuno al mio recente blog sul primo maggio. Convinti che la lotta di classe sia un fenomeno del passato, oramai sepolto grazie all’avvento redentore del boy scout di Gelli e del profeta della precarietà Poletti.

A poco più di una settimana dalla celebrazione del 25 aprile è giocoforza avvedersi che il concetto stesso di fascismo è del tutto assente da ogni chiave interpretativa dei fatti ucraini. Una stampa ipocrita e complice, non solo in Italia, parla dell’orribile rogo di Odessa come se si fosse trattato di un episodio di autocombustione dovuto al caldo intenso o a qualche sbadato che aveva tirato la cicca accesa in un barile di benzina. Altre testimonianze parlano di contadini schiacciati dai carri armati da Kiev, ma i nostri media li ignorano. La rivolta va bene solo quando è made in Occidente.

Come scrive Pino Cabras: “In materia di guerra la stampa italiana, specie sul web, ci ha già abituati al peggio negli ultimi anni. Con il dramma dell’Ucraina si è già subito portata ai suoi peggiori livelli, già raggiunti nel disinformare i lettori sulla guerra in Libia e poi in Siria. Le pagine web italiote ci farebbero davvero ridere, se non parlassimo di una tragedia: i 38 filo-russi bruciati in una sede sindacale dai nazionalisti ucraini di estrema destra sono diventati delle generiche “38 vittime in un incendio”.

Si tratta del resto di allevare adeguatamente, mantenendoli in un’ignominiosa ignoranza, i cittadini europei, sperando che non si rendano consapevoli di appartenere a un ordinamento giuridico e politico che semina miseria all’interno e guerra all’esterno. Proposito, auguriamoci, vano. Come sicuramente vana è l’illusione che crimini come quello di Odessa non scatenino reazioni sempre più determinate dall’altra parte, verso una guerra che va contrastata in tutti i modi, dissociandosi chiaramente e apertamente dalla Nato e dall’Unione europea stile Merkel che aizzano in tutti i modi al conflitto, salvo levare ipocriti lai di finta preoccupazione quando cominciano a germogliare i frutti mortiferi della propria azione destabilizzante.

Quest’Europa, che subirà una prevedibile, giusta e salutare batosta alle prossime elezioni europee, va distrutta e ricostruita dalle fondamenta, in modo tale da divenire finalmente uno strumento utile per il benessere dei cittadini europei e la pace nel mondo. La Nato, strumento di guerra e di aggressione, va definitivamente spedita nella pattumiera della storia.

E’ questa la duplice sfida per le forze dell’alternativa. Ed è una sfida ardua ma necessaria. Una nuova guerra europea potrebbe essere alle porte. Con Natopolitano presidente della Repubblica e il boy-scout di Gelli presidente del Consiglio c’è davvero poco da stare allegri. Sempre valido il vecchio detto che chi perde la memoria è destinato a ripercorrere gli errori del passato. anpi mirano

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Commenti su Tina Merlin di Gianni Sartori http://anpimirano.it/2012/tina-merlin/comment-page-1/#comment-19353 Thu, 06 Oct 2016 05:49:32 +0000 http://anpimirano.it/?p=2348#comment-19353 IN MEMORIA DI DUE ANTIFASCISTI
(Gianni Sartori, 2016)

Quindici anni fa, quasi nello stesso giorno (rispettivamente 9 e 11 febbraio 2001), se ne andavano due tra i maggiori esponenti dell’antifascismo militante nel Vicentino.
Il Tar, Ferruccio Manea, a 86 anni; Ferrer Visentini a 90 anni.
Quella della morte quasi sincronica non è stata l’unica coincidenza. Le loro vite in qualche modo si erano già incrociate.
Nato a Trieste, Ferrer Visentini (il nome gli era stato in memoria del pedagogista libertario fucilato a Barcellona nel 1909) mi aveva raccontato con partecipazione, direi anche con orgoglio, di aver conosciuto il fratello maggiore del Tar, Ismene Manea, destinato a perire tragicamente nel 1944 per mano dei nazisti. Avevano combattuto fianco a fianco come volontari internazionali in difesa della Repubblica contro i franchisti (fronte di Caspe e battaglia dell’Ebro).
Sia Ferruccio che Ferrer parteciparono attivamente alla Resistenza, ma in seguito i loro destini personali erano stati diversi: il Tar quasi emarginato per il suo “estremismo” (tacciato a volte di “anarchismo”), Visentini rispettato militante del PCI e consigliere comunale dal 1956 al 1970.
Il saluto al Tar lo avevano dato gli antifascisti dell’Alto Vicentino al Circolo Operaio di Magrè di Schio mentre Ferrer Visentini era stato ricordato nella storica Loggia del Capitanio, in piazza dei Signori. Le note dell’Internazionale e di Bella ciao avevano accompagnato l’ultimo viaggio di entrambi.

FERRUCCIO MANEA, nome di battaglia “TAR”

Del comandante della “Brigata Ismene” (citato ripetutamente dal compaesano Luigi Meneghello, sia in “Libera nos a Malo” che in “ I Piccoli Maestri”*) conservo una serie di ricordi personali, un collage di incontri e conversazioni, a volte casuali, altre più approfonditi. E tante immagini fugaci di iniziative a cui entrambi abbiamo partecipato. Sia le manifestazioni organizzate a Schio da Lotta Continua (in particolare quelle contro il golpe cileno) che le riunioni nella sede del Gruppo anarchico operaio (GAO) di Marano Vicentino tra il 1973 e il 1974.
Nel 1974 toccò al Tar tenere l’orazione funebre per il “Borela”, un vecchio antifascista che egli considerava suo maestro. Personalmente avevo potuto incontrare questo anarchico scledense soltanto pochi mesi prima, all’ospizio di Schio dove regolarmente i giovani anarchici dell’Alto Vicentino si recavano a visitarlo. Ricordo che anche l’ultima volta, ormai costretto a letto, si preoccupava di devolvere una parte cospicua della sua esigua pensione a qualche prigioniero politico (in particolare a Giovanni Marini) e a sostegno di Umanità nova, giornale anarchico fondato da Errico Malatesta nel 1920.
Arrivai appena in tempo per raccogliere qualche testimonianza, poi ampliata dallo stesso Tar, sui precedenti libertari in zona: la visita di Pietro Gori (l’autore di”Addio Lugano Bella”) per l’inaugurazione della prima Camera del lavoro nel vicentino di ispirazione anarcosindacalista; le barricate sulla strada che collega Vicenza con Schio per sbarrare il passo ai fascisti messi poi in fuga a pistolettate da un gruppo di Arditi del Popolo (tra cui il Borela); la partenza forzata per l’Australia di una decina di famiglie di noti militanti anarchici dopo che per loro era ormai diventato impossibile trovare lavoro negli stabilimenti della zona.
Il corteo che accompagnò, a piedi, il Borela dalla camera ardente dell’ospizio verso il cimitero era composto, oltre che dai familiari, da una cinquantina di compagni: partigiani delle Brigate Garemi, esponenti dell’ANPI, anarchici da tutta la provincia, qualche militante di Lotta Continua e di lotta comunista. Numerose le bandiere nere (con l’A cerchiata rossa) e quelle rosse e nere (tipo CNT e USI). Sventolava anche una in odor d’eresia: rossa con l’A cerchiata nera. Ferma nella memoria l’espressione intensa del Tar, col volto tirato, direi livido. Conclusa l’orazione funebre per il Borela, nel silenzio totale pronunciava quasi un ordine: “Saluto, compagni!”. E decine di pugni chiusi si alzarono, ecumenicamente, senza distinzioni ideologiche, mentre la bara del vecchio Ardito del popolo scendeva nella terra.
Un altro ricordo, risalente al marzo 1985: il Tar al corteo di Padova indetto per protestare contro l’uccisione a Trieste di un esponente dell’Autonomia padovana (“Pedro” a cui venne poi intitolato uno dei più noti Centri sociali del nord-est). In seguito lo incontrai a Bassano (dove avevo portato una mostra contro l’apartheid, mi pare nel 1987) in occasione dell’incontro-dibattito con un responsabile in esilio del Pan African Congress (PAC, organizzazione dei Neri del Sudafrica, seconda solo a quella di Mandela, l’African National Congress, ANC). Da qualche parte dovrei conservare ancora i negativi delle foto che immortalavano il vecchio combattente antifascista insieme a due esponenti della lotta (anche armata) contro il razzismo istituzionalizzato di Pretoria, non a caso denominato “Quarto Reich”. Una continuità e un passaggio del testimone non soltanto ideali. Lo rividi ancora, sempre nel 1987, ai funerali del partigiano Alberto Sartori “Carlo”. Una scena che non avrebbe sfigurato nella Piazza Rossa, tra decine di bandiere rosse mentre cadeva la neve imbiancando sia la bara che il colbacco del Tar.
In seguito mi ero ripromesso di tornare a intervistarlo, di telefonargli, ma come spesso accade, rinviai la cosa di mese in mese, di anno in anno e non lo rividi più.
Invece nei primi anni settanta capitavo spesso a casa sua (e solitamente senza preavviso, forse anche in modo inopportuno, ma mai che mi abbia mandato a quel paese). Prima a Malo, poi nella casa colonica in aperta campagna dove si era trasferito. Passavo in bici, talvolta in moto, magari dopo un’arrampicata in Pasubio o un’escursione in Val d’Astico, Rio Freddo, Posina. Sempre ospitale, davanti a un bicchiere di rosso, se interpellato il Tar riandava volentieri alle sue avventure partigiane tra gli stessi monti. Del Pasubio mi resta la intensa descrizione di un cruento scontro a fuoco tra il Palon e il Dente austriaco. Ma soprattutto il fatto che Ferruccio, a guerra finita, fosse ritornato decine di volte tra quelle pietraie sfregiate dalle trincee per ritrovare e recuperare i corpi dei compagni caduti.
Altre volte ci avvinceva descrivendo in dettaglio i mille espedienti messi in atto per sopravvivere durante le gelide notti, soprattutto quelle passate in gran parte all’addiaccio durante il primo inverno. Con una tecnica che ricordava il film “Corvo Rosso non avrai il mio scalpo” (Jeremy Johnson) mettevano grosse pietre a riscaldare sul fuoco e poi le seppellivano ricoprendole con uno strato di terra. Si stendevano quindi a dormire e, se il lavoro era stato ben eseguito, potevano sperare di dormire fino al mattino successivo mentre le pietre rilasciavano lentamente il calore accumulato. Accadeva talora che lo strato di terra fosse troppo sottile e in questo caso rischiavano bruciature, ustioni o un principio di combustione degli abiti. Se invece lo strato era troppo spesso, il calore finiva rapidamente e ci si risvegliava indolenziti e tremanti per il freddo nel cuore della notte.
Questo avveniva per esempio in Val d’Assa, destinata a diventare tristemente celebre per l’eccidio di Pedescala e di Forni operato dai nazifascisti nel ’45. Sempre in Val d’Assa (sinistra orografica della Val d’Astico) si svolse un episodio che il Tar ricordava con rabbia. Si trovava in ricognizione con altri due partigiani e si era allontanato da solo per controllare un sentiero quando il silenzio del bosco venne infranto da grida e lamenti. Provenivano dalla radura dove aveva lasciato i compagni. Arrivato sul posto trovò uno dei due agonizzante; rantolando pronunciò le sue ultime parole: “Tar, tradimento!” e indicò la direzione verso cui l’altro (evidentemente una spia, un infiltrato) si era dileguato. Ferruccio si pose all’inseguimento e, ormai allo sbocco della valle, scorse il fuggitivo in lontananza. Forse fu il dolore per il compagno vilmente assassinato, forse il desiderio di vendicarlo (sembra che “Tar”, nome conferitogli da Alberto Sartori, significasse proprio “Vendetta”), fatto sta che nonostante la distanza riuscì a colpire, ma solo con il secondo colpo, l’infame. Dopo questo fatto, temendo di essere stati ormai individuati, il gruppo decise di trasferirsi verso Posina (destra orografica della Val d’Astico). Si accinsero quindi ad attraversare nottetempo la vallata che separa le pendici dell’Altopiano di Asiago da quello di Tonezza, dal Pria forà, dal Summano…Nonostante ogni accorgimento, i loro movimenti non sfuggirono ai numerosi cani presenti nelle contrade tra Cogollo e Arsiero e nella notte si levarono ripetutamente ululati e latrati che avrebbero potuto mettere sull’avviso i fascisti. Riuscirono comunque ad arrivare (“a passo di marcia”) indenni prima dell’alba a Castana e da qui a Posina. Anche se la storiografia non vi ha dedicato molte pagine, si può legittimamente sostenere che in queste valli, per qualche mese, si organizzò una vera e propria Repubblica partigiana, stroncata soltanto dal grande rastrellamento del 1944.
Proprio sopra Posina e Laghi (separate da un rilievo di modeste dimensioni) si erge il Monte Maggio, da cui è ben riconoscibile Malga Zonta dove un folto gruppo di partigiani (tra cui Bruno Viola, il “marinaio”) venne fucilato dai tedeschi dopo che avevano strenuamente combattuto fino all’esaurimento delle munizioni. A Laghi invece è stato recentemente restaurata la lapide, posta vicino ad un capitello, per il partigiano Vitella morto “in difesa del popolo” durante lo stesso rastrellamento; curiosamente la scritta è sia in italiano che in latino. Tutte queste vittime del nazifascismo erano state compagni di lotta del Tar che, anche a distanza di tanti anni, li ricordava con sincera commozione. Ricordava anche, con gratitudine, il cane che gli era stato vicino in tutte le vicissitudini della Resistenza e a cui, diceva, doveva anche la vita per tutte le volte che lo aveva avvisato anticipatamente di un possibile pericolo.
La vita non era mai stata tenera con il Tar, un operaio autodidatta che aveva cominciato a lavorare duramente in tenera età. Fu perseguitato dal fascismo e perse il fratello maggiore, Ismene, in circostanze drammatiche. Ismene Manea, muratore comunista emigrato in Francia, aveva combattuto in Spagna con le Brigate Internazionali fin dal 1936, prima nella formazione “Picelli” e poi nella “Garibaldi”. Venne fatto prigioniero dai franchisti nella battaglia dell’Ebro (settembre 1938) e da questi consegnato alla polizia italiana. Inviato al confino a Ventotene, dopo la caduta del fascismo dall’autunno 1943 partecipò attivamente all’organizzazione del movimento partigiano nel Veneto. Il 6 luglio 1944 venne catturato da un gruppo di ucraini al servizio dei tedeschi.
Torturato in maniera orribile, sarà fucilato il 12 luglio insieme a Giovanni Penazzato. Esistono le immagini, riprese coraggiosamente da un improvvisato operatore nascosto nel palazzo di fronte, del trasferimento dalla Caserma Cella di Schio al luogo dell’esecuzione. Appena saputo della cattura di Ismene, il Tar cercò invano di organizzare una formazione abbastanza numerosa da poter assalire la caserma dove il fratello era rinchiuso. Purtroppo era appena arrivato l’ordine di sganciarsi edi trasferirsi altrove in piccoli gruppi; quindi la maggior parte dei partigiani scledensi si trovava nell’impossibilità di essere allertata. La formazione fu in grado di ricostituirsi soltanto dopo alcuni giorni, troppo tardi per liberare i prigionieri. Successivamente la Brigata del Tar venne denominata “Brigata Ismene”. A questo dolore si aggiunse, proprio nei giorni della Liberazione, la morte prematura del figlio. Un solo rimpianto: non aver preso il mitra per procurarsi, armi alla mano, le indispensabili medicine dove si trovavano in abbondanza, nell’infermeria dell’esercito statunitense a cui si era rivolto invano.**
Nonostante tutte queste amarezze, negli anni successivi il Tar fu sempre lucidamente a fianco dei movimenti di lotta e contestazione, stimato e amato da varie e successive generazioni di giovani antagonisti.
Lo ricordano ancora tutti coloro che in momenti e con metodi diversi hanno lottato contro lo “stato di cose presente” (e magari anche futuro): dalla Resistenza al ’68, dalla “breve estate dell’Autonomia” ai Centri sociali…E lo ricordano con le immagini fortunosamente riprese durante la “battaglia di Schio”, mentre corre attraverso una faggeta, piegato in avanti, colbacco ben calcato, pistola nella destra e arma automatica a tracolla…all’assalto del cielo.
Gianni Sartori

* nota: “…c’è una società da smontare, pensavo, e forse questa è la volta buona…La società non è stata smontata, però: dopo la guerra l’uomo col berretto di pelo tornò in prigione, e io dico che è una bella vergogna.”
(Luigi Meneghello, I Piccoli Maestri)

**nota:
“…ah la liberazione: fu un giorno tremendo.
Non potendo comprare la penicellina mio figlio l’ho visto morire mentre chi aveva il denaro quelli hanno sopravvissuto, mentre mio figlio è venuto a morire, il mio primo figlio, che aveva già sofferto scappando qua e là. Mai potrò perdonare questa infame società…io, ero pieno di miseria tanto, è vero che quando è morto mio figlio alla liberazione non avevo neanche diocan quelle 20 mila lire da prendere la penicellina che veniva venduta al mercato nero, così chi che gavea denaro, i figli dei ricchi oppure anche i vecchi che oramai avevano fatto una esistenza, avevano la possibilità di prendere la peniccellina e hanno protratto, la loro vita ancora per altri mesi o qualche anno, mio figlio invece che era nel fiore della vita perché non avevo una manciata di vile denaro da comprare questa penicellina, mi è morto proprio alla liberazione, subito dopo la liberazione quando tutti inneggiavano alla libertà ed erano tutti felici,
alla vittoria insomma, io purtroppo ho conosciuto una delle più grandi amarezze, per non avere questo denaro per comprare la penicellina. Così voglio dire che non perdonerò mai a questa società diocan ”
(dai ricordi del Tar registrati da A. Galeotto)

“Purtroppo solo la somministrazione di penicillina, venduta allora al mercato nero avrebbe potuto strapparlo alla morte…ma noi non disponevamo di tanto denaro. E pensare che appena una decina di giorni prima mio marito, che aveva nomea di “ladro di galline”, alla testa di un reparto della Brigata da lui comandata aveva ritrovato a Longa di Schiavon ciò che molti cercavano in quelle ore: il tesoro della sinagoga di Firenze trafugato dai nazisti in ritirata. Si trattava di una quarantina di casse ricolme di opere d’arte di inestimabile valore, che mio marito avrebbe potuto dichiarare “preda bellica” ma che preferì invece restituire immediatamente alla comunità ebraica”.
(Alessia Giustina, moglie del Tar)

FERRER VISENTINI, in Spagna per la Libertà
(Gianni Sartori)

Ferrer Visentini era nato a Trieste nel 1910. Il padre Ulderico, un calzolaio prima socialista e poi tra i fondatori del Partito comunista a Trieste, venne assassinato dai fascisti nel 1922. Gli aveva dato questo nome in memoria di Francisco Ferrer i Guardia, famoso pedagogista anarchico catalano fucilato l’anno prima, il 13 ottobre 1909 a Barcellona. Nativo di Trieste si considerava ormai pienamente vicentino avendo vissuto nella nostra città per molti anni in qualità di membro dirigente del P.C.I. prima e del P.D.S. poi.
In anni ormai lontani lo avevo intravisto nell’antica sede comunista vicentina (anche insieme a Sartori Antonio, altro operaio comunista volontario in Spagna) e poi meglio conosciuto alla presentazione di una sua preziosa pubblicazione sui volontari vicentini nella Guerra civile spagnola (“In Spagna per la libertà” Ed. ANPI Prov. di Vicenza). Fu in quella occasione che parlammo di Ismene Manea la cui foto segnaletica è riprodotta a pagina 48.
Tra i partecipanti, il poeta Fernando Bandini, autore della prefazione, Eugenio Magri, giovanissimo gappista durante la Resistenza, Gino Morellato che dopo aver combattuto nelle Brigate internazionali partecipò alla Resistenza francese raggiungendo il grado di capitano dei F.T.P. (Francs-tireurs et partisans, il movimento di resistenza interna francese creato ancora nel 1941 dal Parti communiste francais, PCF)
Lo rincontrai un paio di volte verso la metà degli anni novanta riportandone questa intervista. Troppo breve per riassumere in modo esauriente una vita tanto avventurosa, ma forse in grado di delineare la personalità di un “rivoluzionario di professione” del secolo scorso.

D. Innanzitutto qualche cenno biografico…
F.V. Provengo da una famiglia di socialisti, mio padre, un calzolaio con la terza elementare, fu uno dei fondatori del Partito Comunista d’Italia a Trieste. Mi chiamò Ferrer per un motivo ben preciso, un mio fratello fu chiamato Darwin, un altro Giordano Bruno…Nel 1926 mi iscrissi alla gioventù comunista cominciando molto presto a svolgere attività clandestina. Diffondevo materiale propagandistico in città e nei cantieri navali. Nell’ottobre del 1930 venni chiamato dalla direzione nazionale giovanile a dirigere l’attività clandestina in Lombardia. Per questo sfuggi all’arresto al momento della caduta dell’organizzazione giovanile a Trieste e, sempre nel ’30, venni inserito tra i latitanti ricercati dalla polizia politica. A Milano, con documenti falsi, resistetti pochi mesi. Venni arrestato il 21 gennaio 1931 in seguito a una retata a Sesto San Giovanni.

D. Cosa è poi successo? Il carcere, il confino…?
Il carcere di sicuro. Sono stato processato dal Tribunale speciale e condannato a nove anni di reclusione per ricostituzione del partito Comunista. Fui inviato prima a Lucca, dove rimasi dal ’31 all’estate del ’33 e poi a Civitavecchia, dove vennero concentrati i politici. Venni amnistiato nell’ottobre del ’34 per la nascita del figlio del Re.
Ritornai a Trieste mesi in libertà vigilata e nel maggio ’35 scappai riprendendo l’attività clandestina. Ma mi andò male, venni ripreso e inviato al confino per due anni, dal ’35 al ’37, a Ponza. Il 24 maggio 1937 espatriai clandestinamente con un passaporto falso fornitomi dal partito e arrivai a Parigi il 27 maggio. Un ricordo direi sconvolgente risale all’ultima domenica di maggio quando partecipai alla grande manifestazione in memoria dei trentamila comunardi trucidati nel maggio 1871. Un milione di persone percorse i boulevards inneggiando alla memoria della Comune e in difesa della Repubblica spagnola. A Parigi collaborai con Ruggero Grieco (segretario del partito comunista) alla redazione di “Lo Stato Operaio”.
Io avrei voluto andare subito in Spagna dove era già in corso lo scontro armato tra i repubblicani e i franchisti, ma il partito non era d’accordo. Raggiunsi ugualmente la Spagna nel dicembre 1937 con Giuseppe Boretti che avevo conosciuto a Ponza e che era riuscito a fuggire dalla compagnia militare di disciplina di stanza a Ponza, riparando a Parigi. Questo compagno morì durante la battaglia dell’Ebro. Dopo un periodo di addestramento militare che mi fu molto utile poiché non avevo fatto il soldato in Italia, a Quintenar de la Republica, venni assegnato al IV Battaglione della Brigata Garibaldi. Qui svolsi mansioni di responsabilità del partito.

D. Quel periodo segnò il ripiegamento dei repubblicani…
F.V. I franchisti, grazie al consistente aiuto di fascisti e nazisti, erano all’offensiva su tutti i fronti. Ruppero il fronte a Caspe e avanzarono fino al mare, tagliando in due parti il territorio della Repubblica. Il nostro comando dispose il trasporto immediato verso la Catalogna di tutti gli organici dei centri di addestramento delle formazioni internazionali che si trovavano nella provincia di Albacete. Ci ricongiungemmo con le rispettive unità militari ed assieme ad altre unità spagnole prendemmo posizione lungo l’Ebro. La situazione era molto grave: l’esercito repubblicano era diviso in due tronconi. Inoltre eravamo nettamente inferiori nell’aviazione, nell’artiglieria pesante e leggera e nei carri armati; potevamo competere solo nell’armamento leggero. Fu una battaglia durissima. Noi della Brigata Garibaldi entrammo in azione il 3 settembre, prendendo posizione sulla Sierra Caballs* dove rimanemmo fino al 24 settembre. Furono 24 giorni di duri e continui combattimenti con gravissime perdite che raggiunsero l’ottanta per cento degli effettivi. Complessivamente la battaglia dell’Ebro durò tre mesi e mezzo, dal 25 luglio al 16 novembre con perdite complessive, calcolando entrambi gli schieramenti, di oltre 250mila tra morti, dispersi e feriti.
D. E dopo la Spagna, l’Italia?
F.V. Non subito ovviamente. Nel dicembre del ’38 con Italo Nicoletto rientrai in Francia. A Parigi continuai a lavorare nell’organizzazione dei volontari antifascisti di Spagna e collaborai al quotidiano “Voce degli Italiani”. Ma lo scoppio della guerra e l’invasione del territorio francese da parte dei tedeschi mi costrinsero a rientrare nella clandestinità. Svolsi il mio lavoro politico tra i migranti con il PCF**. Nel giugno del 1941 venni arrestato dalla Gestapo e inviato al campo di sterminio “KZ” delle SS a Compiegna dove rimasi fino all’agosto del ’44. Con l’avanzata alleata. Durante il trasferimento degli internati in Germania, riuscimmo a evadere con l’aiuto dei partigiani francesi. Dei quattromila che eravamo solo trecento erano riusciti a sopravvivere. Rientrai poi in Italia giusto in tempo per partecipare alla fase finale della lotta di liberazione a Torino. In seguito la vita e gli incarichi mi portarono stabilmente a Vicenza
Gianni Sartori

* nota: Sierra Caballs e Pandols, una catena collinare, costituirono quel “fronte di Gandesa” ricordato in una versione della famosa canzone repubblicana:

Si me quieres escribir
ya sabes mi paradero:
en el frente de Gandesa,
primera línea de fuego

** nota: da ricerche successive penso di poter affermare che Visentini ebbe modo di collaborare con il MOI (Main-d’oeuvre immigrée, organizzazione sindacale dei lavoratori immigrati della CGTU – Confédération gènéral du travail unitaire) che aveva attivamente sostenuto la Repubblica spagnola (anche con la partecipazione di suoi membri alle Brigate Intenazionali) e forse anche con il primo FTP-MOI (Francs-tireurs et partisans-Main-d’oeuvre immigrée) sorto nel 1941.
Del FTP-MOI è nota la vicenda dell’Affiche rouge, un manifesto stampato dai nazisti nel 1943 con le foto di 23 membri del FTP-MOI poi fucilati. Il gruppo era quello guidato dal poeta armeno Missak Manouchian. I nazisti cercavano, peraltro invano, di alimentare l’ostilità dei francesi nei confronti della Resistenza mostrando come a questa partecipassero molti stranieri immigrati (italiani, spagnoli, armeni…) e molti ebrei.

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Commenti su pikadon costituzione distruzione arminucleari entro il 2020 di Gianni Sartori http://anpimirano.it/2016/8199/comment-page-1/#comment-19343 Wed, 21 Sep 2016 22:21:48 +0000 http://anpimirano.it/?p=8199#comment-19343 Appello per una mobilitazione nazionale a Roma il 24 settembrea sostegno del popolo curdo e della rivoluzione democratica in Rojava,per la liberazione di Ocalan
Da oltre un anno nelle zone curde della Turchia è in corso una sporca guerra contro la popolazione civile. Dopo il successo elettorale del Partito Democratico dei Popoli (HDP), che ha bloccato il progetto presidenzialista di Erdogan, il governo turco messo intere città sotto a pesanti coprifuoco e in stato di emergenza, con migliaia tra morti, feriti, arrestati e deportati.
Dopo il fallito “tentativo di golpe” del 15 luglio Erdogan ha dato il via al terrore con il repulisti di accademici, insegnanti, giornalisti, magistrati, militari, medici, amministratori, impiegati statali, invisi al regime: migliaia di licenziamenti e arresti; chiusura di giornali, stazioni radio-televisive, centri di cultura e sedi di partito.
Resta forte preoccupazione per le condizioni di sicurezza e di salute del leader del popolo curdo Abdullah Öcalan, di cui dopo un anno di silenzio imposto dallo Stato turco, si sono finalmente avute notizie, ma che resta segregato in isolamento totale. Abdullah Öcalan, legittimo rappresentante del popolo curdo, è indispensabile alla risoluzione della questione curda nell’ambito della democratizzazione della Turchia e del Medio Oriente, così come tracciato nel disegno del Confederalismo Democratico.
Il 24 agosto 2016 l’esercito turco ha invaso la città di Jarablus con il pretesto di combattere il terrorismo e lo Stato Islamico (IS) però di truppe appartenenti a gruppi islamisti. Gli attacchi dell’esercito turco non sono diretti contro ISIS ma contro le Forze Democratiche Siriane (SDF) e l’insorgenza liberatrice curda nei territori del Rojava. L’invasione turca del nord della Siria aumenta il caos esistente nella regione inferocendo la guerra civile, creando nuovi rifugiati e nuovi disastri umanitari.
Gli Stati Uniti e l’Europa non solo hanno chiuso un occhio su questi attacchi, ma stanno fornendo il sostegno allo Stato turco che con la complicità dell’UE continua a usare i profughi come arma di ricatto. TUTTO QUESTO DEVE FINIRE! RIFIUTANDO IL VERGOGNOSO ACCORDO UE-TURCHIA, CHE LEDE I DIRITTI UMANI DEI PROFUGHI E FINANZIA LA GUERRA SPORCA CONTRO IL POPOLO CURDO.
Il popolo curdo insieme agli altri gruppi etnici, religiosi e culturali ha costituito una Confederazione Democratica nel nord della Siria, il Rojava, dove coesistono pacificamente e nel rispetto reciproco popoli e fedi religiose diversi tra loro. Questo modello rappresenta una prospettiva ed un valido esempio per una Siria democratica; per questo è necessario sostenere questa esperienza di rivoluzione sociale di cui sono state protagoniste in primo luogo le donne.
Ora questa esperienza democratica decisiva per le sorti di un altro Medio Oriente rischia di essere cancellata dall’invasione turca. E’ urgente la mobilitazione internazionale a fianco del Rojava , della lotta di liberazione del popolo curdo e della rivoluzione democratica SCENDENDO PIAZZA IL 24 SETTEMBRE A ROMA
* Per fermare l’invasione turca del Rojava; contro la sporca guerra della Turchia al popolo curdo e sulla pelle dei profughi e rifugiati
* Contro la repressione della società civile, del movimento curdo e di tutte le forze democratiche in Turchia
* Contro la barbarie dell’Isis per l’universalismo dei valori umani;
* Per il Confederalismo Democratico
* Per bloccare il supporto delle potenze internazionali e locali, in particolare USA e UE alla Turchia e mettere fine al vergognoso accordo sui profughi
* Per la fine dell’isolamento e per la liberazione del leader del popolo curdo Abdullah Öcalan
IN PIAZZA PER IL KURDISTAN
ROMA – PORTA PIA ORE 15.00
SABATO 24 SETTEMBRE
Ufficio di Informazione del Kurdistan in Italia, Rete Kurdistan Italia
Adesioni : ARCI Nazionale; Fiom CGIL ; Confederazione COBAS ; USB L’Unione Sindacale di Base; CUB Confederazione Unitaria di Base Regione Lazio; USI Unione Sindacale Italiana, CIB UNICOBAS; Un ponte per… ; Casa Internazionale delle donne di Roma; UDI Nazionale l’Unione delle Donne Italiane; SCI Servizio Civile Internazionale;Associazione Nazionale Giuristi Democratici; AED-Avvocati Democratici Europei; ANPI Provinciale Roma e del Lazio, Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua; Attac Italia; CoordinamentoNO TRIV; Abitare nella Crisi / Movimento di lotta per la casa;
Leoluca Orlando, Sindaco di Palermo; Michele Conia, Sindaco di Cinquefrondi; Amministrazione Comunale di Livorno; Comune di Pegognaga;
SI- Sinistra Italiana; PRC Partito della Rifondazione Comunista; FAS La Federazione Anarchica Siciliana; Gruppo Anarchico “Carlo Cafiero” – FAI Roma ;Rete dei Comunisti; Piattaforma Comunista – per il Partito Comunista del Proletariato d’Italia.
Donne Diritti e Giustizia; Casa delle donne Lucha y Siesta;Trama di Terre/Centro Interculturale delle donne; Legal Team Italia, Associazione SenzaConfine; Associazione Progetto Diritti Onlus; Associazione Verso il Kurdistan; Associazione Modena Incontra Jenin; Associazione Pisorno; Associazione ADIF;Associazione I-Blu;Art21; Associazione Culturale La Lotta Continua; Medicina Democratica Onlus; Associazione Sì, Toscana a Sinistra, Action Diritti in Movimento-Roma; Il Consiglio per la Comunità Armena di Roma; Rete Romana di Solidarietà con il Popolo Palestinese; Rete ACT! Agire Costruire Trasformare; Alternativa Libertaria/fdca; Libert’Aria; Coordinamento regionale siciliano dei Comitati NoMuos; Costituzione beni comuni-Milano; Collettivo EXIT di Barletta; Circolo Pink Verona; GIGA Il Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati; La Rete Primo Marzo; Carovana per il Rojava-Torino; CS Gabrio Torino; Cpa Firenze sud; Casa Madiba Network di Rimini; BuongiornoLivorno; Lsa 100celle; Lavoro Società Sinistra sindacale confederale CGIL; Nexus Emilia Romagna; Osservatorio Repressione; Officine Civiche di Ciampino; perUnaltracittà-Firenze; Piattaforma Pirata ; Scuola Mondo San Giuliano Terme APS; Sinistra Anticapitalista Brescia; Sinistra Anticapitalista;Malamente dalle Marche; MCE, Movimento di cooperazione educativa; Spazio Antagonosta NEWROZ -Pisa; Il Collettivo Comunista (marxista-leninista) di Nuoro; CUA Collettivo Auitonomo Universitario-Pisa; CASP Collettivo Autonomo Studenti Medi-Pisa; Rete Studenti -Salerno; Officina 99 + Laboratorio SKA – Napoli; CSOA e Spazi Sociali Roma: Collettivo Nodo Solidale -Roma, Csoa La Strada – Roma; Casetta Rossa, Spazio Pubblico per l’Autogoverno – Roma ; Ex Snia -Forte Prenestino-Corto Circuito- L38 -LOA Acrobax -Strike -Astra- Casale Alba 2 – Casale Falchetti; Rete Antifascista Ternana; CSOA Cartella-Reggio Calabria;
Dario Fo, attore, Premio Nobel per la letteratura (1997); Moni Ovada, attore; Arturo Scotto, capogruppo SI-SEL Camera dei deputati;Erasmo Palazzotto, vice presidente Commissione Esteri Camera dei deputati;Peppe de Cristofaro, vice presidente commissione Esteri Camera dei deputati;Franco Bordo, deputato SI-SEL;Giovanni Paglia, deputato SI-SEL; Giovanna Martelli, deputata SI-SEL;Antonio Placido, DeputatoSI-SEL; Nicola Fratoianni, deputato SI-SEL, coordinatore naz. SEL; Eleonora Forenza, europarlamentare Altra Europa con Tsipras GUE-NGL ; Luisa Morgantini, AssoPaace Palestina; Vittorio Agnoletto, MD, ex membro del Parlamento Europeo; Paolo Ferrero Segretario PRC-SE;Simone Oggionni, Segreteria Nazionale Sel; Vincenzo Fumetta, segretario provinciale di PRC ; Andrea Polacchi, Presidente Arci Torino; Gian Luigi Bettoli, presidente di Legacoopsociali Friuli Venezia Giulia; Alfonso Navarra, Loc; Amedeo Ciaccheri, consigliere Municipio Roma VIII; Raul Mordenti, Docente 2° Università Roma; Maurizio Donato, Docente Università Teramo Angela Bellei, Associazione Azad; Andrea Caselli, CGIL Emilia Romagna; Gianluca Peciola,Sel; Gianni Sartori,giornalista; Gippò Mukendi Ngandu, l’esecutivo di Sinistra Anticapitalista; Livio Pepino, giurista, Torino; Massimiliano Smeriglio,Sel; Massimo Torelli, L’Altra Europa con Tsipras; Marco Furfaro, Sel; Prof. Roberto Suozzi, Medico e Famacologo Clinico; Pilar Castel, autrice; Italo Di Sabato; Angelo Baracca, Stefano Mantovani, Nicoletta Bernardi;

Appello per una mobilitazione nazionale a Roma il 24 settembre a sostegno del popolo curdo e della rivoluzione democratica in Rojava, per la liberazione di Ocalan

https://www.facebook.com/events/1420836301277649/


UIKI Onlus
Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia

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Commenti su Tina Merlin di Gianni Sartori http://anpimirano.it/2012/tina-merlin/comment-page-1/#comment-19260 Mon, 23 May 2016 20:18:39 +0000 http://anpimirano.it/?p=2348#comment-19260 LA TURCHIA VERSO IL FASCISMO? PER ORA ERDOGAN E L’OLIGARCHIA TURCA STANNO ANCORA MUOVENDO I PRIMI PASSI, MA LA DIREZIONE E’ QUELLA…
(Gianni Sartori, 22 maggio 2016)

Mentre l’oligarchia turca, colonialista e fascista, prosegue nella sua politica di distruzione e saccheggio in Kurdistan, lo Stato turco e il Presidente Erdogan si stanno indirizzando verso un modello sempre più autoritario .
La nuova guerra contro i curdi era cominciata nel luglio del 2015, dopo la sospensione del processo di pace e con l’isolamento completo imposto al dirigente curdo Abdullah Ocalan.

Poi erano cominciate le azioni suicide contro i civili, quelle che UIKI aveva stigmatizzato come “un’operazione congiunta AKP-ISIS”. Cinque persone erano rimaste uccise a Diyarbakir, 33 a Suruc e un centinaio ad Ankara. Negli stessi attacchi oltre 900 persone erano rimaste ferite.

In una seconda fase dell’operazione, erano entrati in azione esercito e polizia turchi.
Da mesi in molte città del Kurdistan è stato dichiarato il coprifuoco.
Cizre, Silopi e Sur sono stata quasi completamente distrutte e solo a Cizre 120 civili sono stati bruciati vivi in una cantina. Un massacro documentato anche da ONU, HRW e Amnesty International.
Nusaybin, Yuksekova e Sirnak stanno ora vivendo tragedie analoghe e ormai tutte le città curde sono quotidianamente sotto attacco. Oltre 800 civili, in maggioranza donne e bambini, sono stati uccisi dall’esercito turco.
Chiunque abbia osato esprimere critiche alla guerra voluta da Erdogan è stato pesantemente minacciato, compresi i 1028 accademici che avevano firmato l’appello: “non vi seguiremo in questo crimine” (molti di loro sono già stati licenziati). Messi a tacere anche i media con la minaccia di azioni legali. Centinaia di giornalisti restano in prigione e chiunque abbia il coraggio di opporsi al delirio di onnipotenza di Erdogan viene etichettato come “terrorista”.
Presumibilmente lo scopo di Erdogan con la sua annunciata “riforma
dello stato in senso presidenziale” (bonapartismo?) è quello di svuotare il sistema parlamentare. Un importante passo in direzione di questo obiettivo è stato compiuto revocando l’immunità parlamentare dei deputati dell’HDP (Partito Democratico dei Popoli, all’opposizione) accusati di fiancheggiamento al PKK per aver sostenuto il processo di pace.
Complici dell’AKP (il partito di governo, privato recentemente del presidente
e primo ministro Davutoğlu), il MHP (i “lupi grigi”, fascisti) e il CHP (Partito Repubblicano del Popolo, kemalista e soidisant “socialdemocratico”). Confermando ancora una volta che l’unica cosa che accomuna quei partiti che rappresentano il nazionalismo di Stato (AKP, MHP e CHP) è l’ostilità nei confronti del popolo curdo,

L’UE, gli USA e la NATO si sono limitati a qualche blanda dichiarazione (del tipo: “la democrazia è in pericolo”; o anche: “la qualità della democrazia sta scadendo”) minimizzando la gravità di quanto sta accadendo e rendendosi di fatto corresponsabili di questo atto dittatoriale compiuto da un loro alleato strategico. Mentre il presidente del Parlamento Europeo, Martin Schulz, osava parlare di “colpo alla democrazia turca e alla libertà politica”, la cancelliera Angela Merkel (che si era spesa per firmare l’accordo con la Turchia per bloccare i profughi) ha dichiarato che in futuro “solleverà il problema”. Un comportamento sicuramente gradito da Erdogan che così non deve preoccuparsi di interferenze esterne.
Ma dal punto di vista dei curdi: “La democrazia in Turchia è finita!”.

Se davvero (per ipotesi, puramente accademica) volessero salvaguardare la democrazia e la stabilità nella regione, le potenze occidentali (invece di collaborare con uno Stato che, mentre sostiene l’ISIS, fa la guerra al popolo curdo) dovrebbero applicare sanzioni economiche, militari e politiche nei confronti di Ankara.
Quanto all’obiezione che in fondo Erdogan è stato eletto, basti ricordare che lo era stato anche Hitler.
E’ cosa nota che quando un regime vuole togliersi di torno le opposizioni in Parlamento, non deve far altro che privarle dell’immunità (per poi magari incarcerare qualche deputato). E queste sembrano essere le intenzioni di Erdogan. Nel frattempo prosegue l’opera di eliminazione fisica dei semplici militanti nelle strade, nelle prigioni e sulle montagne.
Gianni Sartori

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Commenti su DUE EQUAZIONI di Gianni Sartori http://anpimirano.it/2016/due-equazioni/comment-page-1/#comment-19259 Mon, 23 May 2016 20:09:03 +0000 http://anpimirano.it/?p=7848#comment-19259 LA TURCHIA VERSO IL FASCISMO? PER ORA ERDOGAN E L’OLIGARCHIA TURCA STANNO ANCORA MUOVENDO I PRIMI PASSI, MA LA DIREZIONE E’ QUELLA…
(Gianni Sartori, 22 maggio 2016)

Mentre l’oligarchia turca, colonialista e fascista, prosegue nella sua politica di distruzione e saccheggio in Kurdistan, lo Stato turco e il Presidente Erdogan si stanno indirizzando verso un modello sempre più autoritario .
La nuova guerra contro i curdi era cominciata nel luglio del 2015, dopo la sospensione del processo di pace e con l’isolamento completo imposto al dirigente curdo Abdullah Ocalan.

Poi erano cominciate le azioni suicide contro i civili, quelle che UIKI aveva stigmatizzato come “un’operazione congiunta AKP-ISIS”. Cinque persone erano rimaste uccise a Diyarbakir, 33 a Suruc e un centinaio ad Ankara. Negli stessi attacchi oltre 900 persone erano rimaste ferite.

In una seconda fase dell’operazione, erano entrati in azione esercito e polizia turchi.
Da mesi in molte città del Kurdistan è stato dichiarato il coprifuoco.
Cizre, Silopi e Sur sono stata quasi completamente distrutte e solo a Cizre 120 civili sono stati bruciati vivi in una cantina. Un massacro documentato anche da ONU, HRW e Amnesty International.
Nusaybin, Yuksekova e Sirnak stanno ora vivendo tragedie analoghe e ormai tutte le città curde sono quotidianamente sotto attacco. Oltre 800 civili, in maggioranza donne e bambini, sono stati uccisi dall’esercito turco.
Chiunque abbia osato esprimere critiche alla guerra voluta da Erdogan è stato pesantemente minacciato, compresi i 1028 accademici che avevano firmato l’appello: “non vi seguiremo in questo crimine” (molti di loro sono già stati licenziati). Messi a tacere anche i media con la minaccia di azioni legali. Centinaia di giornalisti restano in prigione e chiunque abbia il coraggio di opporsi al delirio di onnipotenza di Erdogan viene etichettato come “terrorista”.
Presumibilmente lo scopo di Erdogan con la sua annunciata “riforma
dello stato in senso presidenziale” (bonapartismo?) è quello di svuotare il sistema parlamentare. Un importante passo in direzione di questo obiettivo è stato compiuto revocando l’immunità parlamentare dei deputati dell’HDP (Partito Democratico dei Popoli, all’opposizione) accusati di fiancheggiamento al PKK per aver sostenuto il processo di pace.
Complici dell’AKP (il partito di governo, privato recentemente del presidente
e primo ministro Davutoğlu), il MHP (i “lupi grigi”, fascisti) e il CHP (Partito Repubblicano del Popolo, kemalista e soidisant “socialdemocratico”). Confermando ancora una volta che l’unica cosa che accomuna quei partiti che rappresentano il nazionalismo di Stato (AKP, MHP e CHP) è l’ostilità nei confronti del popolo curdo,

L’UE, gli USA e la NATO si sono limitati a qualche blanda dichiarazione (del tipo: “la democrazia è in pericolo”; o anche: “la qualità della democrazia sta scadendo”) minimizzando la gravità di quanto sta accadendo e rendendosi di fatto corresponsabili di questo atto dittatoriale compiuto da un loro alleato strategico. Mentre il presidente del Parlamento Europeo, Martin Schulz, osava parlare di “colpo alla democrazia turca e alla libertà politica”, la cancelliera Angela Merkel (che si era spesa per firmare l’accordo con la Turchia per bloccare i profughi) ha dichiarato che in futuro “solleverà il problema”. Un comportamento sicuramente gradito da Erdogan che così non deve preoccuparsi di interferenze esterne.
Ma dal punto di vista dei curdi: “La democrazia in Turchia è finita!”.

Se davvero (per ipotesi, puramente accademica) volessero salvaguardare la democrazia e la stabilità nella regione, le potenze occidentali (invece di collaborare con uno Stato che, mentre sostiene l’ISIS, fa la guerra al popolo curdo) dovrebbero applicare sanzioni economiche, militari e politiche nei confronti di Ankara.
Quanto all’obiezione che in fondo Erdogan è stato eletto, basti ricordare che lo era stato anche Hitler.
E’ cosa nota che quando un regime vuole togliersi di torno le opposizioni in Parlamento, non deve far altro che privarle dell’immunità (per poi magari incarcerare qualche deputato). E queste sembrano essere le intenzioni di Erdogan. Nel frattempo prosegue l’opera di eliminazione fisica dei semplici militanti nelle strade, nelle prigioni e sulle montagne.
Gianni Sartori

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Commenti su Tina Merlin di Gianni Sartori http://anpimirano.it/2012/tina-merlin/comment-page-1/#comment-19238 Fri, 22 Apr 2016 20:08:34 +0000 http://anpimirano.it/?p=2348#comment-19238 Per le resistenze di ieri e di oggi, celebriamo il 25 aprile!

Quest’anno celebreremo insieme ai compagni e alle compagne italiane il 25 aprile, festa della Liberazione dal nazi-fascismo e della resistenza.

Proprio come i partigiani e le partigiane di allora, oggi i curdi si difendono dagli attacchi fascisti di Daesh in Siria e Iraq, dalla distruzione delle loro città in Turchia, dove con la scusa della lotta al terrorismo lo stato turco negli ultimi mesi ha massacrato in modo atroce centinaia di civili e raso al suolo intere città. Ma i curdi si difendono anche dalla repressione del dissenso, meno visibile ma altrettanto, dura in Iran, dove si procede a colpi di condanne a morte contro curdi e oppositori.

In questi mesi state create unità di difesa popolari nelle città curde e non più solo nelle montagne. Queste unità hanno molto in comune con i gruppi di azione partigiana che operavano in molte città italiane verso la fine della seconda guerra mondiale. Il popolo le sostiene queste unità e si sente protetto da loro, anche se purtroppo sta pagando un caro prezzo per via della pesante repressione del governo turco.

Il nemico di ieri in Italia e in Europa si chiamava fascismo e nazismo; ma anche quella parte di popolazione che ha sostenuto questi governi totalitari e ne ha condiviso obiettivi e atrocità. Anche oggi da noi, in Medio Oriente, e specialmente in Turchia, l’esercito non è l’unico nemico del popolo curdo: si è di fronte a una società – quella turca – sottoposta a continue spinte verso l’intolleranza contro le minoranze, per affermare che in Turchia c’è “un solo stato, un solo popolo (quello turco), una sola lingua, una solo bandiera”.

Il progetto dei criminali del Daesh è simile: nessuna tolleranza verso chi non è come loro, disprezzo della diversità e pratica del genocidio. Quindi è ancora fascismo e nazismo.

Oggi come ieri è necessaria l’autodifesa. Serve una grande mobilitazione antifascista e a sostegno degli altri popoli nei confronti dei popoli oppressi. Occorre una partecipazione popolare che vada oltre gli interessi cinici degli stati e che sappia agire concretamente ogni giorno per liberare spazi e sottrarli al fascismo, in Italia come in Kurdistan. Siamo tutti parte della stessa lotta e siamo dalla parte giusta. Siamo quindi con tutti i popolo resistenti che amano la libertà e lottano contro fascismo di ogni suo genere.

Viva la resistenza!

Viva il 25 aprile!

Viva l’antifascismo e viva il Kurdistan!

Ufficio di Informazione del Kurdistan in Italia -UIKI onlus

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Commenti su conoscere per colpire il terrorismo di Cesare Corda http://anpimirano.it/2016/conoscere-per-colpire-il-terrorismo-2/comment-page-1/#comment-19236 Wed, 20 Apr 2016 10:36:49 +0000 http://anpimirano.it/?p=7823#comment-19236 Grazie per l’attenzione dedicata al mio articolo e per avermi ripubblicato, fa molto piacere.

Comunque non sono il Cesare Corda che avete indicato e non faccio parte del Consiglio Regionale della Sardegna. Sono originario di Milano e vivo a Mosca. Si tratta di un’omonimia.

Un saluto.
Cesare

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Commenti su conoscere per colpire il terrorismo di Gianni Sartori http://anpimirano.it/2016/conoscere-per-colpire-il-terrorismo/comment-page-1/#comment-19223 Thu, 31 Mar 2016 14:57:04 +0000 http://anpimirano.it/?p=7798#comment-19223 GIU’ LE MANI DA ARARAT!
(Gianni Sartori)

Minacce di sgombero calano come avvoltoi sul centro ARARAT di Roma.

Perseguitato in Turchia, il popolo curdo rischia di subire altre angherie anche nella nostra penisola.

Attualmente, oltre a subire vessazioni e repressione da parte del Governo turco, il popolo Curdo viene aggredito e minacciato dall’ISIS in territorio Siriano. Contro questi fascisti la popolazione si è opposta con coraggio e valore liberando la città di Kobane e salvando dal massacro altre comunità etniche e religiose presenti nella regione.
Ma ora, si parva licet, anche il nostro paese sembra intenzionato a dare il suo contribuito nel limitare i diritti del popolo curdo, in particolare di quei curdi, scampati ai massacri, che forse pensavano di aver trovato rifugio in Italia.

Come ricordavano alcuni cittadini. “da molti anni l’associazione ARARAT ONLUS svolge attività culturali e ricreative di grande rilevanza sociale; attività volte alla conoscenza della storia, della cultura e delle arti del territorio della Mesopotamia, zona compresa tra i fiumi Tigri ed Eufrate, culla della civiltà Indoeuropea, ma anche delle radici del popolo Curdo”.
E la denominazione stessa della Piazza dove risiede l’associazione (Largo Dino Frisullo) ricorda l’impegno di un cittadino romano che spese la sua vita senza risparmiarsi per la difesa dei diritti umani e civili del Popolo Curdo.

Un pro-memoria: il Centro ‘Ararat’ prende il suo nome dalla nave omonima che approdò sulle coste italiane il 3 gennaio 1998, in Calabria. A bordo circa un migliaio di curdi: famiglie intere,donne, bambini…tutti in fuga per scampare alla repressione turca. Per un certo tempo vissero a Badolato (poi riconosciuto come villaggio curdo) e successivamente sono giunti a Roma.
“Il centro Ararat -mi spiegano amici curdi – era nato nel maggio 1999 al Campo Boario, in un edificio inserito nel complesso in disuso dell’ex Mattatoio di Testaccio”. Quello che era soltanto uno stabile abbandonato divenne in breve tempo un dignitoso “spazio di accoglienza e di ospitalità, ma anche un luogo dove sperimentare forme di condivisione tra attività artistica e culturale, solidarietà civile e trasformazione del territorio”. L’edificio riportato a nuova vita venne ribattezzato con il nome di Ararat, il monte leggendario su cui si arenò l’Arca di Noè scampata al Diluvio Universale (portando in salvo tutte le specie animali e vegetali del pianeta). Ma Ararat era anche il nome dato alla prima nave carica di profughi curdi giunta in Italia. Da secoli il monte Ararat è un simbolo, una “Montagna sacra” per Curdi e Armeni, due popoli entrambi vittime dello stato turco.
In molti, nel corso degli anni, avevano contribuito alla realizzazione di questo spazio: in primo luogo i profughi curdi che vi hanno trovato accoglienza, ma anche varie associazioni come: Azad, Villaggio Globale, Senzaconfine, le Donne in nero, gli architetti di Stalker, l’associazione “Un ponte per…” (oltre a un gran numero di artisti e volontari).

Attualmente il centro è fornito di: sala da tè, cucina, barbiere, la sala di lettura (in cui è possibile leggere pubblicazioni sulla questione kurda e vedere il canale satellitare in lingua kurda Roj TV).

Tutte le attività (tra cui anche corsi di lingua curda e corsi di ballo curdo) sono autogestite e autofinanziate dagli ospiti del centro con la collaborazione di volontari e volontarie esterni. Parallelamente alla funzione di accoglienza, Ararat “è uno spazio in cui coltivare coraggiosamente la propria cultura e identità (pur mutevole e in continuo divenire), attività che diventa fondamentale per non sentirsi completamente persi dopo aver varcato il confine del proprio paese con la prospettiva di non tornarci mai più, o di non potervi rientrare per un periodo molto lungo”. Infatti la comunicazione delle ragioni dell’esilio alla società ospitante, ma anche delle bellezze e del valore storico della cultura di provenienza possono fornire un significativo percorso di inserimento e legittimazione per delle persone che hanno perso molto, e che molto sono state costrette a lasciare dietro di sé.
Non scordiamo che la Mesopotamia, culla della civiltà e luogo di scambio e di transito fra l’occidente e l’oriente, ha visto nel corso del suo sviluppo storico un moltiplicarsi di culture. In particolare è stata il luogo d’origine e sviluppo fra gli altri del popolo curdo. Analogamente qui, nel cuore della capitale d’Italia, Ararat rappresenta un ponte fra Oriente e Occidente, non soltanto un punto di riferimento per la diaspora curda nel nostro paese.
Oggi Ararat rappresenta una parte importante della città di Roma e anche il Comune e le istituzioni cittadine finora sembravano riconoscerne – seppur informalmente – il ruolo di accoglienza.

La funzione sociale svolta, ormai da anni, dall’associazione Ararat si concretizza nel costituire un punto di riferimento essenziale per i cittadini Curdi che in Italia vogliono chiedere asilo politico: a loro Ararat onlus fornisce servizi di orientamento e informazione per l’accesso all’audizione presso la Commissione Territoriale (Commissione che, per la Convenzione di Ginevra, riconosce la protezione internazionale per i rifugiati politici e di guerra). Tale attività è di aiuto e di supporto agli organismi istituzionali ed attua le linee di intervento per i rifugiati e richiedenti asilo, previste dalle direttive europee, senza oneri per lo Stato e per gli enti delegati e preposti all’accoglienza dei richiedenti asilo, quali i Comuni e Roma Capitale.

Gianni Sartori

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Commenti su Tina Merlin di Gianni Sartori http://anpimirano.it/2012/tina-merlin/comment-page-1/#comment-19218 Sat, 19 Mar 2016 07:27:15 +0000 http://anpimirano.it/?p=2348#comment-19218 “Toute la vie des sociétès dans lesquelles régnent les conditions modernes de production s’annonce comme une immense accumulation de spectacles.
Tout ce qui ètait directement vécu s’est èloignè dans une reprèsentation.
(Guy Debord)*

LA SOCIETA’ DELLO SPETTACOLO MERCIFICA E BANALIZZA TUTTO (O ALMENO CI PROVA), MA CON LE DONNE CURDE NON SEMBRA TANTO FACILE…

(Gianni Sartori)

Chi avesse incautamente seguito la trasmissione “Alle falde del Kilimangiaro” (e qui verrebbe spontaneo un bel “paraponziponzipò…”, alla Vianello) del 6 marzo 2016 avrebbe potuto assistere ad una incredibile messa in scena, un’opera di mistificazione, un concentrato di banalità e luoghi comuni degni del peggior monoblocco mentale (definizione popolare del “pensiero unico”) mai concepito dalla Società dello Spettacolo.
Debordianamente, quella in cui “il vero è un momento del falso”.

La conduttrice Camilla Raznovich presentava il libro dell’economista Loretta Napoleoni sulle donne nell’Isis. Maldestramente però associava questo argomento a foto e immagini dell’attività’ di difesa, di territori e popolazioni, da parte delle donne curde combattenti in Rojava proprio contro le milizie del Daesh.
Confondendo temi e contenuti (e anche, in un certo senso, vittime e carnefici) e disinformando in merito al reale svolgimento delle azioni perseguite da più di due anni dalle combattenti curde dell’ Ypj (unita’ di difesa delle donne) in Rojava.

Sia il montaggio fotografico che il contenuto dell’intervista evidenziano una totale impreparazione (escludiamo pure la malafede) nel trattare l’argomento. Confondere il terrorismo con la difesa delle popolazioni da parte delle donne curde Ypj (arrivando a dire: “la donna combattente rappresenta l’altra faccia della stessa medaglia del terrorismo” mentre contemporaneamente andavano in sovrimpressione le fotografie delle donne combattenti curde) costituisce un esempio di disinformazione assoluta e una mancanza di rispetto, oltre che per le donne curde, per gli utenti del servizio pubblico.
Parlare di “sciattezza intellettuale ed errata informazione” è stato, da parte di UIKI Onlus (Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia), solamente un educato e moderato eufemismo. Si sarebbe potuto dire molto, ma molto, di peggio.
Come se non bastasse, si rasentava l’infamia evocando il “ratto delle sabine” (presentate come donne sedotte e non vittime di stupro) per parlare delle donne rapite, violentate, in molti casi ammazzate, dai fascisti di Daesh.
Un velo pietoso poi sulla congenita abitudine eurocentrica di trattare i popoli del resto del mondo come “arretrati” e parlare di emancipazione femminile e lotta per l’uguaglianza come prerogativa dell’Occidente, cancellando di colpo la democrazia paritaria e l’uguaglianza di genere in atto da oltre un decennio tra i curdi (sia in Rojava che nel sud-est della Turchia)

Daria Bignardi (direzione di RAI3) si è già scusata pubblicamente, a nome del programma, con i rappresentanti curdi e avrebbe richiesto una “relazione approfondita” sull’autogol televisivo, ma l’episodio rimane comunque un fatto gravissimo e va stigmatizzato.
Gianni Sartori

* “Tutta la vita delle società nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di spettacoli. Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione”
(Guy Debord)

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Commenti su TERZA GUERRA MONDIALE ?…. CON QUALI ARMI ? di Gianni Sartori http://anpimirano.it/2016/terza-guerra-mondiale-con-quali-armi/comment-page-1/#comment-19203 Sun, 06 Mar 2016 15:35:42 +0000 http://anpimirano.it/?p=7749#comment-19203 KURDISTAN: LA LOTTA CONTINUA
(Gianni Sartori – 6 marzo 2016)

SCIOPERO DELLA FAME DEI PRIGIONIERI CURDI

I prigionieri curdi del PKK e le prigioniere curde del PAJK (Partito della Liberazione delle Donne del Kurdistan) hanno iniziato uno sciopero della fame nelle prigioni turche dove sono rinchiusi. Lo sciopero si preannuncia a tempo indeterminato e in alternanza, a turno.

Deniz Kaya, parlando a nome del PKK e del PAJK, ha dichiarato che questa protesta dei prigionieri va interpretata come un “avvertimento” al presidente turco Recep Tayyp Erdogan e al governo AKP. Con questo sciopero i prigionieri intendono rivendicare “il riconoscimento dell’autonomia per il popolo curdo e le liberazione di Abdullah Ocalan”.
I prigionieri hanno così voluto portare all’attenzione dell’opinione pubblica l’attuale politica di annientamento condotta, con una barbarie senza precedenti, dal governo turco contro la popolazione curda.
Deniz Kaya si è rivolto a quanti si considerano “intellettuali, scrittori o giornalisti, ma restano in silenzio sul brutale massacro” chiedendo loro di “rispettare i valori umani” mettendo poi in guardia sul fatto che “la guerra condotta da Erdogan contro i curdi sta portando la Turchia sull’orlo di un baratro”.
E proseguiva: “Noi dobbiamo dire chiaramente che non abbiamo mai ceduto davanti a questi politici corrotti durante 43 anni e che non abbiamo mai abbandonato la lotta. Bruciando la gente ancora viva dentro gli scantinati e appendendo i corpi nudi delle vittime, il governo AKP dimostra apertamente di non rispettare né le leggi di guerra, né l’umanità”.
Appare evidente come Erdogan e i suoi complici abbiano ormai superato il limite della decenza e “un giorno saranno giudicati dal popolo curdo” avverte il comunicato. Nel comunicato si informa che lo sciopero iniziato oggi (6 marzo 2016) proseguirà condotto da gruppi di prigioniere e prigionieri che si alterneranno ogni dieci giorni. Rivolge poi un appello tutte le “orecchie sensibili” affinché denuncino pubblicamente le atrocità commesse dal governo turco e diano sostegno al popolo curdo.

ALTRE PROVE DELLA COMPLICITA’ TURCA CON L’ISIS

“Isis assassino, AKP collaborazionista” gridavano i manifestanti turchi scesi in strada per protestare contro il loro stesso governo, ritenuto complice dello stato islamico, dopo gli attentati del 20 luglio 2015 in cui avevano perso la vita 32 militanti di sinistra. Ora altre prove si sono aggiunte, a conferma di questa collaborazione in chiave anti curda e anti Assad.
In un recente articolo di Martin Chulov (sul “Guardian”) veniva spiegato come tra gli effetti collaterali di un recente raid contro il complesso residenziale di Abu Sayyaf (responsabile finanziario dello stato islamico, ucciso nel raid), vi fossero ulteriori prove che funzionari turchi di alto livello trattano direttamente con dirigenti di Isis (o Isil, o Daesh…). Sayyaf era il responsabile della direzione delle operazioni del gas e del petrolio in Siria per conto di Daesh che guadagna circa 10 milioni di dollari al mese dalla vendita di idrocarburi al mercato nero.
Il sequestro di vari documenti e chiavette (“unità flash”) sembrano confermare in maniera inequivocabile (“in modo chiaro e inequivocabile” si legge nell’ articolo) i collegamenti tra Turchia e Isis. Le prove così ottenute potrebbero secondo l’articolo del Guardian (riportando le dichiarazioni di un “alto funzionario occidentale” che ha potuto accedere ai documenti sequestrati): “avere profonde implicazioni politiche nel rapporto tra noi e Ankara”.
Niente di nuovo. Le buone relazioni tra Ankara e l’Isis (in particolare il vasto contrabbando di armi e di combattenti verso la Siria, sia per provocare la caduta di Bashar Assad che, soprattutto, per combattere i curdi) erano stati denunciati perfino da Joe Biden. Va ricordato quanto dichiarava nel novembre 2015 un ex membro di Isis a Newsweek: “I comandanti di Isis ci avevano detto che non temevano nulla perchè c’era piena cooperazione con i turchi” aggiungendo che “isis vedeva l’esercito turco come un suo alleato specialmente quando si è trattato di attaccare i curdi in Siria”.

E più recentemente, in febbraio, un diplomatico occidentale aveva detto al The Wall Street Journal che: “ la Turchia adesso è intrappolata, ha creato un mostro e non sa come affrontarlo”.

ANCHE TURKMENI E ARABI NEL MIRINO DI DAESH E ANKARA

Mi aveva sinceramente colpito la notizia (risalente ancora al 2014) che i militanti curdi del PKK erano intervenuti per portare in salvo gli abitanti di un villaggio di turkmeni attaccato dall’Isis. Ma come, mi dicevo, non sono stati forse i “turcomanni” (popolazione linguisticamente turcofona) a collaborare in passato con la Turchia contro i curdi (v. l’attacco al campo profughi di Atrush nel 1997)?
Come mai ora vengono attaccati dall’Isis, notoriamente “in batteria” con Ankara? Forse dipendeva dal fatto che quel villaggio aveva, agli occhi dei fascisti di Isis, un grave difetto: gli abitanti sarebbero stati in maggioranza sciiti e quindi “eretici”. Bontà loro, i curdi (che evidentemente non portano rancore) si sono prodigati per proteggerli, così come hanno fatto con cristiani, alawiti e yazidi. Questi ultimi, una popolazione curda, vengono considerati ancora peggio che eretici (“pagani” addirittura) da Isis che si conferma come l’odierna versione islamica della “Santa” Inquisizione.
Un altro villaggio a maggioranza turmena (Tel Abyad) è stato attaccato in questi giorni da Isis, con il sostegno turco. In un comunicato, Xali Redur denuncia che “i gangster di Daesh hanno massacrato 2 turkmeni, 3 curdi e 3 arabi, mentre durante la nostra liberazione di Tel Abyad nessun civile era stato ferito”. E aggiunge il portavoce di YPG: “con il sostegno dello stato turco, Daesh si accinge a massacrare anche turkmeni e arabi della regione”.

CHE FINE HANNO FATTO LE DONNE EZIDE SEQUESTRATE DA DAESH?

Un dramma senza fine quello delle donne curde ezide sequestrate a centinaia nell’agosto del 2014, considerate “bottino di guerra” e violentate dai terroristi di Daesh. Secondo il sindaco di Sinjar (nord Iraq) sarebbero state deportate in altri paesi come l’Afghanistan, il Pakistan, la Libia e la Cecenia. Una notizia confermata dalle dichiarazioni di numerose donne ezide liberate, dopo il pagamento di un riscatto, grazie all’opera di mediatori.
“In questo momento -ha spiegato il sindaco di Sinjar(liberata dalla coalizione curda il 13 novembre 2015) – non sappiamo quanti giovani donne sono state portate al di fuori dell’Iraq e della Siria, ma riteniamo che Daesh ha potuto farle uscire clandestinamente per via terra”.
In precedenza altre donne erano state portate nelle città di Mosul e di Tel Afar, ma al momento si troverebbero in località siriane ritenute “più sicure” per Daesh.
Ha poi aggiunto che “molte donne sequestrate possono ancora utilizzare i loro telefoni portatili, parlano con i loro familiari e chiedono di essere riscattate”. In base ai dati forniti da uffici governativi, delle oltre seimila e duecento persone ezide sequestrate, quasi quattromila sono ancora nelle mani dei rapitori e tra loro circa duemila sono donne e bambine.
Hussein Koro che si occupa delle persone sequestrate per conto del governo regionale del Kurdistan iracheno (KRG) spiega che “abbiamo pagato il riscatto di molte vittime di rapimento” ma non sempre il pagamento garantisce la liberazione delle donne rapite. In altri casi sono state le famiglie a pagare anche se, purtroppo, in molti casi le persone che si erano offerte come intermediari sono risultate dei truffatori.
Xudeda Misto, un anziano membro della comunità yazida di Shingal (a cui Daesh nel 2014 ha rapito la moglie, tre figlie e un figlio) ha raccontato che gli erano stati chiesti 15mila dollari per riavere la figlia maggiore (detenuta in Siria) “ma io ne possedevo soltanto 5mila”.
Secondo le associazioni per i diritti umani, migliaia di donne e ragazze ezide sono state costrette a sposarsi o sono state vendute come schiave sessuali dai terroristi di Daesh. Nel novembre dell’anno scorso, l’ONU ha definito l’attacco alla popolazione ezida come “un possibile genocidio”.
Da parte sua il Parlamento europeo ha riconosciuto Daesh “colpevole di genocidio per aver rapito migliaia di donne curde ezide e ucciso migliaia di uomini, donne e bambini a Shengal”.

Gianni Sartori

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