gaza – ANPI Associazione Nazionale Partigiani d'Italia – Sezione del Miranese "Martiri di Mirano" http://anpimirano.it Mon, 21 Jul 2014 06:21:55 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 13529763 Una lettera scritta da 142 cittadini israeliani http://anpimirano.it/2014/una-lettera-scritta-da-142-cittadini-israeliani/ Mon, 21 Jul 2014 06:21:55 +0000 http://anpimirano.it/?p=5946 Leggi tutto "Una lettera scritta da 142 cittadini israeliani"]]> 10501903_10153006492194992_4886099936091896921_n-300x300La carneficina che sta facendo a pezzi la gente di Gaza non fa parte di una guerra convenzionale. Uno degli eserciti più potenti del mondo s’è scagliato con tutta la sua ferocia contro persone lasciate sole dai governi “amici”, pronti semmai a chiudere loro, come sempre, ogni valico o via di fuga. Quel che accade in questi giorni a Gaza fa parte però di una guerra più grande, quella di tutti gli Stati e di tutti gli eserciti contro tutti i popoli. Sì, perfino contro quello che vive in Israele. Ce lo ricorda una splendida quanto emozionante lettera scritta da 142 cittadini israeliani capaci di vedere e capire l’orrore che provocano l’occupazione e la volontà di chi esercita il potere politico e militare nel loro paese. “Viviamo qui da troppo tempo perché si possa dire che non sapevamo, che non abbiamo capito prima o che non siamo stati in grado di prevederlo”. Quei cittadini scrivono alla famiglia di Mohammed Abu Khadr, il giovane palestinese arso vivo da un gruppo di coloni, ma scrivono anche al mondo intero. Sono parole che sfidano il pensiero dominante di una società che hanno visto diventare povera e perdersi nella cultura della violenza. Quelle parole coraggiose tengono aperta, anche quando tutto sembra perduto, la sola speranza di un cambiamento in profondità che potrebbe aver ragione dell’orrore

Le nostre mani grondano sangue. Le nostre mani hanno dato fuoco a Mohammed. Le nostre mani hanno soffiato sulle fiamme. Viviamo qui da troppo tempo perché si possa dire “non lo sapevamo, non lo abbiamo capito prima, non eravamo in grado di prevederlo”. Siamo stati testimoni dell’enorme macchina di incitamento al razzismo e alla vendetta messa in moto dal governo, dai politici, dal sistema educativo e dai mezzi di informazione.
Abbiamo visto la società israeliana diventare povera e in stato di abbandono, fino a quando la chiamata alla violenza è diventata uno sfogo per molti, adulti e giovani senza distinzioni, in tutte le sue forme.
Abbiamo visto come l’essere “ebreo” sia stato totalmente svuotato di significato, e radicalmente ridotto a nazionalismo, militarismo, una lotta per la terra, odio per i non-ebrei, vergognoso sfruttamento dell’Olocausto e dell’“Insegnamento del Re (Davide, ndt)”.
Più di ogni altra cosa, siamo stati testimoni di come lo Stato di Israele, attraverso i suoi vari governi, ha approvato leggi razziste, messo in atto politiche discriminatorie, si è adoperato per custodire con forza il regime di occupazione, preferendo la violenza e le vittime da ambo le parti ad un accordo di pace.
Le nostre mani sono impregnate di questo sangue, e vogliamo esprimere le nostre condoglianze e il nostro dolore alla famiglia Abu Khadr, che sta vivendo una perdita inimmaginabile, e a tutta la popolazione palestinese.
Ci opponiamo alle politiche di occupazione del nostro governo, e siamo contro la violenza, il razzismo e l’istigazione che esiste nella società israeliana.
Rifiutiamo di lasciare che il nostro ebraismo venga identificato con questo odio, un ebraismo che include le parole del rabbino di Tripoli e di Aleppo, il saggio Hezekiah Shabtai che ha detto: “Ama il tuo prossimo come te stesso” (Levitico, XVIII).
Questo amore reciproco non si riferisce soltanto a quello di un ebreo verso un altro, ma anche verso i nostri vicini che non sono ebrei. E’ un amore che ci insegna a vivere con loro e insieme a loro perseguire il benessere e la sicurezza. Non è soltanto il buonsenso che ce lo richiede, ma è la Torah stessa, che ci ha ordina di condurre la vita in modo armonioso, nonostante e contro le azioni dello Stato e le parole dei nostri rappresentanti di governo.
Le nostre mani grondano di sangue.
Per questo ci impegniamo a continuare la nostra battaglia all’interno della società israeliana – ebrei e palestinesi – per cambiare la società dal suo interno, per lottare contro la sua militarizzazione e per diffondere una consapevolezza che oggi risiede soltanto in una esigua minoranza.
Lotteremo contro la scelta di muovere ancora guerre, contro l’indifferenza nei confronti dei diritti e delle vite dei palestinesi, e il continuo favorire gli ebrei in tutto questo ciclo di violenza.
Dobbiamo combattere per offrire un legame umano – un legame che sia anche politico, culturale, storico, israelo-palestinese ed arabo- ebraico; un legame che può essere raggiunto attraverso la storia di molti di noi che hanno origini ebraiche ed arabe, e per questo, fanno parte del mondo arabo.
La nostra scelta è quella della lotta per l’uguaglianza civile e il cambiamento economico, in nome dei gruppi emarginati e oppressi nella nostra società: arabi, etiopi, mizrahim (di discendenza araba), donne, religiosi, lavoratori migranti, rifugiati, richiedenti asilo e molti altri.
Di fronte a questa situazione il lato più forte è quello che ha la capacità di usare la nonviolenza per abbattere il regime razzista e il vortice di violenza. Di fronte alla compiacenza di molti israeliani, cerchiamo e scegliamo la nonviolenza, mentre gli altri preferiscono permettere al regime di ingiustizia di rimanere saldo al proprio posto, e aspettano soluzioni che in qualche modo fermino la spirale infinita di violenza – che mostra la sua faccia ora in questa nuova guerra contro Gaza – soltanto per avere nuove morti e appelli alla vendetta da ambo le parti e allontanando un possibile accordo sempre più lontano.
Le nostre mani grondano di sangue, e il nostro desiderio è quello di creare una lotta congiunta con qualsiasi palestinese che voglia unirsi a noi contro l’Occupazione, contro la violenza del nostro regime, contro il disprezzo dei diritti umani.
Questa sarà una lotta per mettere fine all’Occupazione, o con l’istituzione di uno Stato palestinese indipendente o attraverso la creazione di uno Stato unico in cui tutti saremo cittadini di pari diritti e dignità.
Le nostre mani sono piene di questo sangue. Affermandolo così forte nella nostra società saremo sempre accusati dalla propaganda nazionalista di essere unilaterali, e di condannare soltanto i crimini israeliani e non quelli commessi dai palestinesi.
A queste persone noi rispondiamo così: colui che sostiene o giustifica l’uccisione dei palestinesi, supporta e incoraggia di conseguenza anche l’uccisione degli israeliani ebrei. E viceversa. La giostra della violenza è grande e si muove velocemente, ma noi ci opponiamo ad essa, e crediamo che l’unica soluzione sia la nonviolenza.
Andare contro i metodi di Netanyahu non significa necessariamente sostenere Hamas: la realtà non è dicotomica. Altre opzioni esistono nell’asso tra questi due. Allora sottolineiamo ancora di più che siamo cittadini israeliani e il centro della nostra vita è Israele. Per questo la nostra più grande critica è rivolta alla società israeliana, che cerchiamo di cambiare.
Questi assassini si nascondono tra di noi, fanno parte di noi. Ci sono, ovviamente, spazi in cui si possono criticare anche le altre società. Ma crediamo, ciononostante, che il dovere di ogni persona sia di esaminare prima da vicino e in modo critico la propria società, e solo dopo si possa permettere di approcciarsi alle altre (…).
Le nostre mani grondano di questo sangue, e sappiamo che la maggior parte dei palestinesi innocenti uccisi negli ultimi 66 anni da noi israeliani ebrei non hanno mai ricevuto giustizia.
I loro assassini non sono stati arrestati, neanche processati, a differenza dei ragazzi sospettati per l’omicidio di Mohammed. La maggior parte di questi innocenti è morta per mano di uomini in uniforme mandati dal governo, dai militari, dalla polizia o dallo Shin Bet.
Questi omicidi, avvenuti per mezzo di aerei, artiglieria o di persona vengono definiti come “errori umani” o “problemi tecnici”. E quando ci si riferisce ad essi a volte si include soltanto una fiacca scusa. La maggior parte dei casi viene raramente posta sotto inchiesta e quasi tutti finiscono senza rinvii a giudizio, dissolvendosi nell’aria. Tanti, troppi sono ignorati dai media, dalle agenzie giudiziarie, dall’esercito.
La ragione per cui i sospettati della morte di Mohammed sono stati arrestati è semplice: non portavano un’uniforme.
Ad eccezione dei soldati condannati per il massacro di Kafr Qasam nel 1956 e rimasti in prigione per non più di un anno, raramente ci sono stati altri processi nelle Corti israeliane contro uomini dello Stato, anche per la maggior parte degli odiosi massacri a cui questa terra ha assistito.
Le nostre mani sono impregnate di quel sangue. Quando Benjamin Netanyahu esprime le sue condoglianze e condanna l’omicidio di Mohammed, lo fa con lo stesso respiro di sempre, comunicando una rivendicazione pericolosa e razzista sulla superiorità morale di Israele nei confronti dei suoi vicini.
“Non c’è posto per simili assassini nella nostra società. In questo noi ci distinguiamo dai nostri vicini. Nelle loro società questi assassini sono visti come eroi e hanno delle piazze dedicate ai loro nomi. Ma questa non è l’unica differenza. Noi perseguiamo coloro che incitano all’odio, mentre l’Autorità Palestinese, i loro media ufficiali e sistema educativo fanno appello alla distruzione di Israele”.
Netanyahu ha dimenticato che diverse persone sospettate di essere criminali di guerra hanno servito in vari governi israeliani, alcuni sotto la sua stessa leadership, e che il numero di persone innocenti assassinate negli ultimi 66 anni di conflitto dipinge un quadro molto diverso.
Quando guardiamo il numero di ebrei israeliani e di palestinesi uccisi, vediamo che il numero dei palestinesi è molto più elevato.
Netanyahu dimentica anche, o cerca di farci dimenticare, l’incitamento diffuso propagato dal suo governo nelle ultime settimane, e le sue parole di vendetta dopo la scoperta dei corpi dei tre ragazzi ebrei rapiti – Gilad Shaar, Naftali Fraenkel ed Eyal Yifrah – quando tutti noi eravamo in stato di profondo shock: “Satana non ha ancora inventato una vendetta per il sangue di un bambino, né per il sangue di questi ragazzi giovani e puri” (…).
Le nostre mani hanno sparso questo sangue, e invece di dichiarare giorni di digiuno, lutto e pentimento, il governo ha ora deciso di lanciare un’operazione militare a Gaza, che ha chiamato “Operazione Bordo Protettivo”.
Chiediamo al governo di fermare questa operazione subito e di lottare per una tregua e per un accordo di pace, a cui il governo israeliano si è sempre opposto negli ultimi anni.
Gaza è la storia di tutti noi; è anche l’oblio della nostra storia. E’ il posto più segnato dal dolore in Palestina e in Israele (…). Gaza è la nostra disperazione.
Le nostre origini comuni sembrano essere state spazzate via sempre più lontano: dopo 40 anni di possibilità di un compromesso storico doloroso tra i due movimenti nazionali, quello palestinese e quello sionista, questa opzione è gradualmente evaporata. Il conflitto viene reinterpretato in termini mitologici e teologici, in termini di vendetta, e tutto ciò che ora possiamo promettere ai nostri figli sono molte altre guerre per le generazioni a venire, nuove uccisioni tra entrambi i popoli, e la costruzione di un regime di apartheid che richiederà ancora più decenni per essere smantellato.
Le nostre mani hanno sparso questo sangue (…), cerchiamo di lavorare contro questa tendenza. Lo facciamo attraverso le varie comunità della nostra società: ebrei e palestinesi, arabi e israeliani, Mizrahi e Ashkenazi, tradizionalisti, religiosi, laici e ortodossi.
Abbiamo scelto di opporci ai muri, alle separazioni, alle espropriazioni e deportazioni, al razzismo e alla colonizzazione, per offrire un futuro comune come alternativa all’attuale stato depressivo, oppressivo e violento della nostra società.
Vogliamo costruire un avvenire che non si arrenda al ciclo di violenza e di vendetta, ma che al suo posto offra la giustizia, la riparazione, la pace e l’uguaglianza; un futuro che attinge agli elementi comuni della nostra cultura, umanità e tradizioni religiose in modo che le nostre mani non serviranno più a spargere sangue, ma a ricongiungerci l’uno con l’altro in pace, con l’aiuto di dio, Insha’Allah.

Fonte italiana e nota di Osservatorio Iraq, Medioriente e Nordafrica http://osservatorioiraq.it/

*Traduzione dall’ebraico all’inglese di Idit Arad e Matan Kaminer. La lettera, pubblicata originariamente sul sito Haokets, è stata pubblicata in inglese sul magazine israeliano +972mag , che ringraziamo per la gentile concessione. Al link originale la lista dei cittadini israeliani che hanno firmato la la lettera. La traduzione in italiano è a cura di Stefano Nanni e Anna Toro.

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Vittorio Arrigoni “Vik” http://anpimirano.it/2013/vittorio-arrigoni-vik/ Sun, 14 Apr 2013 13:18:28 +0000 http://anpimirano.it/?p=3421 Leggi tutto "Vittorio Arrigoni “Vik”"]]>

Avendo fatto della mia vita una missione, laica e  civile, dimettermi dalla missione significherebbe dare le dimissioni dalla vita. Un suicidio. Ci sono esistenze più spendibili di altre, e la mia è una di queste. Tutto sta nel spenderle per qualcosa d’impagabile, come la lotta per la giustizia, la libertà.

 Nella notte tra il 14 e il 15 aprile 2011, veniva assassinato a Gaza Vittorio Arrigoni. In Palestina arrivò la prima volta nel 2002. Proprio quell’anno avvenne la sua iniziazione come scudo umano davanti a una scuola piena di bambini assediata dai carri armati israeliani. Da quel momento Vittorio affrontò molti rischi per aiutare la gente del posto e raccontare ciò che vedeva: i bombardamenti, la morte di ragazzini inermi, il dolore negli ospedali, le abitazioni distrutte. Fu anche malmenato e poi espulso dalle autorità israeliane, rimandato in Italia in camicia e ciabatte. “Tieni forza e coraggio. Opera per la pace, anche se ti e ci vien voglia di rispondere occhio per occhio alle offese. Ma, come diceva il Mahatma Gandhi, a furia di dire occhio per occhio, resteremo tutti ciechi”, gli scrisse sua madre Egidia il 20 aprile del 2004.
Ne aveva viste tante Arrigoni, gli era capitato di raccogliere pezzi dei suoi amici e teste di bambini. Del suo ultimo ritorno a casa, nel 2009, la mamma ricorda le urla notturne, l’inquietudine, gli incubi di chi aveva assistito ad atti disumani. “Noi eravamo preoccupati, ma non gli avremmo mai impedito di andare. Era la sua vita. Nonostante avesse visto tanta violenza e tante atrocità, la sua sfrenata passione per i diritti umani lo riportava sempre lì. Si sentiva amato dalla gente, accettato da tutti. Mi disse una volta che se non fosse tornato a Gaza, sarebbe andato altrove a cercare qualcuno da aiutare”.
Arrigoni ripartì per l’ultimo viaggio nel 2010. Passando dall’Egitto riuscì a rientrare a Gaza. Riprese ad aiutare “i fratelli palestinesi”, come lui li chiamava, e a raccontare ciò che vedeva attraverso il suo blog, Guerrilla Radio, e la collaborazione con PeaceReporter. Fino alla notte tra il 14 e il 15 aprile del 2011, quando venne ucciso da una cellula  jihadista salafita, a quanto pare fuori controllo, con motivazioni che ancora oggi appaiono poco chiare. “La cosa che mi turba di più è non sapere la vera motivazione della sua morte – ha continuato Egidia – È il pezzo che manca. Non penso che lo conosceremo mai. Mi consola ricevere ancora oggi lettere di stima e di affetto nei confronti di Vittorio. Voglio che lui venga ricordato per quello che ha dato alla gente”. Questo è l’articolo di Alberto Puliafito pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” il giorno dopo la morte di Vik:

Non era soltanto un volontario, Vittorio Arrigoni. Era un attivista. Era un pacifista. Era un profondo conoscitore della questione palestinese. Era uno scrittore e un giornalista. Ma soprattutto, era una voce libera, un testimone di una realtà complessa, quella di Gaza, che viveva dall’interno.
Certamente, nessun giornale italiano aveva pronto un “coccodrillo” celebrativo di Vittorio Arrigoni. Non perché non fosse risaputo che vivesse in una situazione rischiosa, ma perché le voci come la sua sono voci scomode. Perché Arrigoni, che ha scritto il bel Restiamo Umani e che raccontava di Gaza su Guerrilla Radio, il suo blog, era un personaggio difficile da trattare, dall’Italia. Non si accontentava di farsi raccontare da casa la realtà: la viveva. Non si accontentava di fornire una rappresentazione binaria della realtà. Non cedeva a slogan e al facile dualismo buoni contro cattivi, ma costruiva, giorno per giorno, un racconto, un affresco di una situazione mai davvero compresa, mai davvero rappresentata.
Leggete, per esempio, come raccontava un attacco da parte delle forze di sicurezza di Hamas a una manifestazione pacifista di palestinesi, e capirete cosa vuol dire avere la capacità di racconto e di analisi, senza cedere all’istinto della banalizzazione.
Vittorio Arrigoni non si preoccupava del fatto che poi, magari, la gente a casa non capisce (uno dei più grandi problemi della comunicazione sistemica); non risparmiava critiche anche a intoccabili: destinò dure parole a Roberto Saviano (nel video qui sotto) quando lo scrittore esaltò la democrazia di Israele. Era una voce scomoda, di quelle che fa tremare i benpensanti, a destra e a sinistra; una di quelle voci che fa saltare le logiche tradizionali di una comunicazione che tende a semplificare la realtà per proporre slogan e messaggi facilmente comprensibili (una comunicazione tradizionale decisamente deleteria, che abbassa il livello del confronto e che, a scapito della presunta immediatezza, non fa che impedire la comprensione dei fatti). Vittorio Arrigoni non faceva l’eroe, raccontava senza personalismi: era un canale per un flusso di comunicazione che si poteva diffondere soltanto in maniera virale, dal basso, eccezion fatta per i suoi reportage per Il Manifesto.
La sua morte mi ha ricordato – fatte salve le specificità e le differenze – quella di Enzo Baldoni (che ricordavo proprio su questo blog).
Per questi motivi, e solo per questi, ho ritenuto di doverne scrivere, senza patetiche commiserazioni. Per fornire al lettore, che non avesse mai incrociato gli scritti di Arrigoni, la possibilità di conoscerlo attraverso le sue parole, che devono essere condivise il più possibile.
E per favore, non cediamo alla facile retorica del se l’è andata a cercare, come già sta accadendo. Sarebbe semplicemente offensivo. Non solo per lui, ma anche per noi.
Perché Vittorio Arrigoni era, più di ogni altra cosa, Umano.

 Qui potete leggere un’intervista a Vik.

http://www.anpivittorioarrigoni.it/

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Patto militare Italia-Israele. Un accordo scellerato e illegale http://anpimirano.it/2012/patto-militare-italia-israele-un-accordo-scellerato-e-illegale/ Sat, 01 Dec 2012 19:18:03 +0000 http://anpimirano.it/?p=2207 Leggi tutto "Patto militare Italia-Israele. Un accordo scellerato e illegale"]]> Il Medio oriente è in fiamme. La Siria è in ginocchio, migliaia di profughi fuggono in Libano, in Turchia, in Giordania. Tel Aviv mobilita le forze terrestri, aeree, navali. Minaccia d’intervenire in Golan e di lanciare i suoi missili e i suoi caccia contro decine di “obiettivi strategici” in Iran. Intanto cannoneggia la striscia di Gaza e schiera carri armati e blindati alla frontiera con il Libano. Scenari di guerra che non sembrano intimorire più di tanto le forze politiche e il governo italiano. Quest’ultimo, anzi, trova pure il tempo d’inviare a Gerusalemme una delegazione d’eccezione, il premier con sei ministri, per il terzo summit intergovernativo in meno di due anni. Per rafforzare la partnership politica e militare e moltiplicare affari e scambi commerciali. Il comunicato ufficiale emesso lo scorso 25 ottobre è come sempre laconico. “In occasione del vertice Italia-Israele, al quale ha partecipato il Presidente del Consiglio, Mario Monti, il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola ha incontrato il suo omologo dello Stato di Israele, Ehud Barak. A conferma dei solidi rapporti di amicizia e di collaborazione esistenti tra i due Paesi, sono stati approfonditi i temi inerenti alla cooperazione industriale nel settore della Difesa”.
Il faccia a faccia tra i ministri della guerra è stato preceduto da una serie d’incontri tra i massimi rappresentanti delle rispettive forze armate. Il 7 e l’8 febbraio 2012, il sottocapo di Stato maggiore israeliano, generale Nimrod Sheffer, ha incontrato a Roma i responsabili dell’Aeronautica italiana per “approfondire i processi di trasformazione in atto nelle due aeronautiche, le esperienze maturate nei rispettivi teatri di operazione e le future attività addestrative”. Il successivo 14 giugno è stato il comandante delle forze aeree israeliane, generale Ido Nehushtan, a giungere in Italia in missione ufficiale.
Meeting e visite di cortesia si sono sommate a tre importanti esercitazioni aeronavali bilaterali. Le prime due si sono svolte a fine 2011 in Sardegna (nome in codice Vega) e nel deserto del Negev (Desert Dusk). Durante i war games sono stati simulati combattimenti aerei tra cacciabombardieri F-15 ed F-16 israeliani ed “Eurofighter” e “Tornado” italiani; inoltre sono stati eseguiti veri e propri lanci di missili aria-terra e di bombe a caduta libera. Dal 3 all’8 novembre 2012, nelle acque prospicienti la città di Haifa, si è tenuta invece la prima edizione dell’esercitazione Rising Star a cui hanno partecipato i palombari artificieri del Gruppo operativo subacquei del COMSUBIN (Comando Subacquei ed Incursori) di La Spezia e i Divers (specialisti sommozzatori) della Marina israeliana.
L’accordo che disciplina la partnership militare tra Italia e Israele risale a sette anni fa ed è stato ratificato dal Parlamento italiano il 17 maggio 2005. Nella parte “pubblica” del testo (esisterebbe infatti un memorandum segreto mai sottoposto alla discussione e al voto dei parlamentari) si legge in particolare che la “cooperazione” fra i due paesi riguarderà in particolare “l’industria della difesa, l’importazione, l’esportazione e il transito di materiali militari, le operazioni umanitarie, l’organizzazione delle forze armate e la gestione del personale la formazione e l’addestramento, i servizi medici militari”. Sempre per l’accordo, le attività si svilupperanno grazie “alle riunioni dei ministri della Difesa, dei Comandanti in Capo e di altri ufficiali autorizzati, lo scambio di esperienze fra gli esperti delle due parti, l’organizzazione e l’attuazione delle attività di addestramento e delle esercitazioni, le visite di navi e aeromobili militari e ad impianti, lo scambio di informazioni, pubblicazioni e hardware, la ricerca, lo sviluppo e la produzione di sistemi d’armamento”. “Italia e Israele si adopereranno al massimo per contribuire, ove richiesto, a negoziare licenze, royalties ed informazioni tecniche, scambiate con le rispettive industrie”, recita l’articolo 3 dell’accordo di mutua collaborazione. E ancora: “Le Parti faciliteranno inoltre la concessione delle licenze di esportazione necessarie per la presentazione delle offerte o proposte richieste per dare esecuzione al presente Memorandum”.
Senza troppi giri di parole, l’import e l’export di sistemi d’arma devono essere l’essenza delle consolidate relazioni tra Roma e Tel Aviv, in palese violazione della legge italiana che disciplina il commercio di tecnologie belliche e che vieta le vendite a paesi belligeranti o i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali dei diritti umani. Israele riassume in sé tutte le caratteristiche per dover essere posta al bando dal complesso militare industriale italiano: le sue forze armate sono sistematicamente impegnate su più fronti di guerra e dal 1967 occupano ancora buona parte della West Bank. Inoltre il regime d’apartheid instaurato contro la popolazione palestinese e gli stessi cittadini israeliani di origine araba è stigmatizzato dalle principali organizzazioni non governative internazionali. Non ultimo, Tel Aviv non ha mai firmato il Protocollo di Non Proliferazione Nucleare e da tempo immemorabile, anche grazie la collaborazione tecnico-scientifica di Stati Uniti ed Unione europea, a Dimona, nel deserto del Negev, si costruiscono armi nucleari (secondo gli istituti di ricerca indipendenti Israele sarebbe già in possesso di più di 200 testate).
Nonostante la riesplosione della crisi mediorientale, proprio il 2012 ha rappresentato l’anno chiave nei trasferimenti di sistemi d’arma tra i due paesi. Il 19 luglio, in particolare, il Ministero della difesa italiano e l’omologo israeliano hanno ratificato la fornitura alle forze armate israeliane di 30 velivoli da addestramento avanzato M-346 “Master” prodotti da Alenia Aermacchi. La commessa ha un valore di poco inferiore al miliardo di dollari ma prevede vantaggiose contropartite per le industrie israeliane. Elbit Systems, azienda specializzata nella produzione di tecnologie avanzate, svilupperà il nuovo software che verrà caricato sugli addestratori. Il Virtual Mission Training System (Vmts) “ingannerà i sensori degli M-346 simulando le funzioni di un moderno radar di scoperta attiva capace di gestire numerose funzioni tattiche, nonché scelte d’armamento complesse”, riporta la World Aeronautical Press Agency. “Utilizzando il software una volta in volo, il pilota in addestramento potrà esercitarsi in scenari avanzati, quali la guerra elettronica, la caccia alle installazioni radar e l’uso di sistemi d’arma all’avanguardia”. Alle future guerre le forze aeree israeliane si addestreranno cioè con il made in Italy.
In cambio dei caccia, Tel Aviv ha anche imposto che l’aeronautica militare italiana si doti di due velivoli di pronto allarme “Gulfstream 550” con relativi centri di comando, controllo e sistemi elettronici, prodotti da Israel Aerospace Industries (IAI) ed Elta Systems (costo complessivo, 800 milioni di dollari circa). Selex Elsag, una controllata di Finmeccanica, s’incaricherà per conto delle aziende israeliane a fornire ai velivoli i “sottosistemi” di comunicazione e link tattici secondo gli standard Nato. Le forze armate italiane dovranno pure acquistare un sistema satellitare elettro-ottico ad alta risoluzione di seconda generazione “Ofeq”, anch’esso di produzione IAI ed Elbit Systems (245 milioni di dollari). Prime contractor degli israeliani sarà Telespazio, azienda controllata in parte da Finmeccanica, che assicurerà entro il 2015 la costruzione del segmento terrestre, il lancio e la messa in orbita del nuovo sistema satellitare.
Quest’anno, l’Aeronautica italiana ha pure deciso d’installare sugli elicotteri EH101 e sugli aerei da trasporto C27J “Spartan” e C130 “Hercules” un nuovo sistema di contromisure a raggi infrarossi, denominato Dircm – Directional infrared countermeasures, co-prodotto da Elettronica Spa di Roma ed Elbit Systems. Venticinque milioni e mezzo di euro la spesa, con consegne che saranno fatte entro la fine del 2013. Gli elicotteri d’attacco AW-129 “Mangusta” di AugustaWestland, in dotazione all’esercito italiano, dal prossimo anno saranno armati invece con i missili aria-terra a corto raggio “Spike” prodotti da un’altra importante azienda militare israeliana, Rafael. I missili, con una gittata tra gli 8 e i 25 km, potranno esseri equipaggiati con tre differenti tipologie di testata bellica a seconda dell’uso: anticarro, antifanteria e per la distruzione di bunker. Roma e Tel Aviv puntano infine a sviluppare congiuntamente nuovi velivoli a pilotaggio remoto UAV (i famigerati droni) e a cooperare nella produzione e nella “gestione logistica” del nuovo cacciabombardiere a capacità nucleare F-35, uno dei programmi più costosi della storia mondiale dell’aviazione da guerra.
Mentre i programmi di riarmo italo-israeliani sono condivisi e sostenuti da tutte le forze politiche presenti in Parlamentare, si sta rafforzando tra alcune forze sociali e no war la convinzione che la solidarietà al popolo palestinese non può essere disgiunta dalla mobilitazione per ottenere l’embargo militare nei confronti di Israele. Singoli cittadini, associazioni e comitati di base hanno dato vita alla Campagna BDS per “il boicottaggio, il disinvestimento e sanzioni nei confronti di Israele” fino a che esso “non porrà termine all’occupazione e alla colonizzazione di tutte le terre arabe e smantellerà il Muro; riconoscerà i diritti fondamentali dei cittadini Arabo-Palestinesi di Israele alla piena uguaglianza; rispetterà i diritti dei profughi palestinesi al ritorno nelle loro case e nelle loro proprietà come stabilito nella risoluzione 194 dell’ONU”.
Lo scorso 13 ottobre, di fronte allo stabilimento Alenia Aermacchi di Venegono-Varese, si è tenuta la manifestazione nazionale Nessun M346 a Israele per chiedere la revoca della vendita dei caccia addestratori alle forze armate israeliane, a cui hanno partecipato, tra gli altri, Pax Christi, la Commissione Giustizia e Pace dei Missionari Comboniani, Attac, Arci – Servizio Civile, Assopace e una serie di soggetti che sostengono il popolo palestinese. “Quella di Varese è stata una manifestazione anche contro lo scellerato accordo del 2005 di cooperazione militare, economica e scientifica tra il nostro Paese ed Israele”, ha spiegato Elio Pagani per il Comitato promotore. “Un accordo che non è stato scalfito neppure dall’Operazione piombo fuso del dicembre 2008 – gennaio 2009, che ha visto Israele colpire con il suo potere aereo la popolazione palestinese civile inerme (1.400 uccisi, di cui circa 400 bambini). Un’azione militare brutale, senza giustificazioni, nella quale sono state usate anche armi sconosciute o già vietate dalle Convenzioni internazionali (fosforo bianco, bombe D.I.M.E., uranio impoverito) e nella quale Israele ha commesso crimini di guerra e contro l’umanità”. (di Antonio Mazzeo pubblicato in Adista, n. 43 dell’1 dicembre 2012)

http://www.disarmo.org/rete/a/11230.html

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Gaza brucia: ecco l’incendiario http://anpimirano.it/2012/gaza-brucia-ecco-lincendiario/ http://anpimirano.it/2012/gaza-brucia-ecco-lincendiario/#comments Wed, 21 Nov 2012 21:09:56 +0000 http://anpimirano.it/?p=2126 Leggi tutto "Gaza brucia: ecco l’incendiario"]]> Jamal, un commerciante di Gaza, era fuori domenica mattina quando una potente testata israeliana a guida di precisione ha centrato la sua casa, sterminando la famiglia: nove persone tra cui quattro bambini di 2-6 anni. Tre generazioni spazzate via in un attimo.
Oltre 5mila palestinesi sono stati uccisi in dieci anni dagli israeliani a Gaza, di cui 1.200 solo nel 2009, più altri 2mila in Cisgiordania. Dei 70mila rapiti, oltre 6mila, tra cui più di 400 bambini, sono ancora imprigionati. Un prezzo altissimo, considerando che la popolazione dei Territori palestinesi occupati è di 5,5 milioni. Ma non si muore solo per gli attacchi militari nel ghetto di Gaza e in quello di Cisgiordania, circondato dal Muro di 750 km. Si muore ogni giorno di povertà, per mancanza di cibo, acqua potabile, medicine.
L’alternativa è scomparire o resistere. I palestinesi resistono, rivendicando il diritto a uno stato libero e sovrano che, secondo la decisione delle Nazioni unite, avrebbe dovuto nascere 64 anni fa accanto a quello israeliano. In termini militari, però, l’armamento palestinese equivale a quello di chi, inquadrato da un tiratore scelto nel mirino telescopico di un fucile di precisione, cerca di difendersi lanciandogli il razzo di un fuoco artificiale.
Sulla scia di Washington, la Ue condanna invece «il lancio di razzi da Hamas e da altre fazioni, che hanno iniziato questa crisi». E il ministro Terzi, spacciando i razzi per missili, sottolinea che sono «i lanci di missili all’origine della crisi» e che «la limitazione della forza da parte di Israele deve poggiare sulla sicurezza assoluta che i lanci di missili non si ripetano».
Sceneggiata che sarebbe grottesca se non fosse tragica. La nuova crisi, volutamente innescata da Tel Aviv con l’assassinio a Gaza del comandante militare di Hamas, rientra nella strategia dell’asse Nato-Israele. Mentre i governanti statunitensi ed europei recitano sulla scena internazionale il ruolo dei moderati che cercano una soluzione pacifica al conflitto, la Nato sostiene sempre più le forze militari israeliane.
Non a caso l’attacco a Gaza è iniziato il 14 novembre, il giorno dopo che si è conclusa in Israele la grande esercitazione congiunta Austere Challenge 2012, con la partecipazione di 3.500 specialisti statunitensi della guerra.
Contemporaneamente nei cieli della Sardegna si sono intensificate, secondo varie testimonianze, le esercitazioni cui partecipano cacciabombardieri israeliani che usano la base di Decimomannu anche come scalo tecnico. In Sardegna, spiega un pilota, disponiamo di un’area più grande dell’intero Israele. E tra poco l’aeronautica israeliana disporrà di 30 velivoli M-346 da addestramento avanzato, forniti da Alenia Aermacchi. Così le incursioni su Gaza saranno ancora più micidiali.
Tutto ciò rientra nel potenziamento della macchina bellica Nato/Israele nell’area mediterranea. Dagli Stati uniti stanno arrivando altre unità navali e aeree per le forze speciali, che opereranno da basi sia sulla sponda nord (soprattutto Sigonella) che su quella sud (in Libia e altri paesi). Mentre il Pentagono annuncia che occorrono 75mila uomini da inviare in Siria, formalmente per impadronirsi delle armi chimiche prima che cadano in mano a Hezbollah.
L’incendio di Gaza si allarga, spinto dallo stesso Vento dell’Ovest.

(Manlio Dinucci, Manifesto, 21 novembre 2012)

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“Il viaggio di Vittorio” http://anpimirano.it/2012/il-viaggio-di-vittorio/ Wed, 21 Nov 2012 21:00:27 +0000 http://anpimirano.it/?p=2111 Leggi tutto "“Il viaggio di Vittorio”"]]> La signora Egidia Beretta è la mamma di Vittorio Arrigoni, l’attivista italiano ucciso a Gaza la notte tra il 14 e il 15 aprile 2011. Una donna forte e determinata, da sempre impegnata nel sociale. Ancora oggi si reca nelle scuole a parlare dell’esperienza di suo figlio. Ma, come lei stessa ammette, sotto la corazza che si è costruita nasconde un dolore lacerante. “Certi giorni, quando sono sola, mi rifugio nella stanza segreta del mio cuore e lascio che il dolore mi strazi, e piango e lo chiamo, chiamo forte il mio bambino che non c’è più”, scrive Egidia nel libro “Il viaggio di Vittorio” (Dalai editore) uscito in questi giorni. In questo volume ha scelto di raccogliere lettere e scritti, passioni e angosce di suo figlio, dall’infanzia fino a oggi. Sì, perché Vittorio non è morto. Per Egidia vive ancora nel loro intenso scambio epistolare, nei reportage, nella rete, nei libri, nella sua testimonianza, anche nei temi delle elementari in cui già manifestava sensibilità e attenzione per i diritti umani.
Perù, Europa dell’Est, Africa, l’attivista italiano ha portato il suo contributo ovunque ve ne fosse bisogno. Quando andò in Congo nel 2006, come osservatore dell’Onu, alla madre disse: “Vorrei far vedere agli africani che c’è anche un Occidente amico e non solo quello neocolonialista e sfruttatore”.
In Palestina, invece, arrivò la prima volta nel 2002. Proprio quell’anno avvenne la sua iniziazione come scudo umano davanti a una scuola piena di bambini assediata dai carri armati israeliani. Da quel momento Vittorio affrontò molti rischi per aiutare la gente del posto e raccontare ciò che vedeva: i bombardamenti, la morte di ragazzini inermi, il dolore negli ospedali, le abitazioni distrutte. Fu anche malmenato e poi espulso dalle autorità israeliane, rimandato in Italia in camicia e ciabatte. “Tieni forza e coraggio. Opera per la pace, anche se ti e ci vien voglia di rispondere occhio per occhio alle offese. Ma, come diceva il Mahatma Gandhi, a furia di dire occhio per occhio, resteremo tutti ciechi”, gli scrisse Egidia il 20 aprile del 2004.
Ne aveva viste tante Arrigoni, gli era capitato di raccogliere pezzi dei suoi amici e teste di bambini. Del suo ultimo ritorno a casa, nel 2009, la mamma ricorda le urla notturne, l’inquietudine, gli incubi di chi aveva assistito ad atti disumani. “Noi eravamo preoccupati, ma non gli avremmo mai impedito di andare. Era la sua vita. Nonostante avesse visto tanta violenza e tante atrocità, la sua sfrenata passione per i diritti umani lo riportava sempre lì. Si sentiva amato dalla gente, accettato da tutti. Mi disse una volta che se non fosse tornato a Gaza, sarebbe andato altrove a cercare qualcuno da aiutare”.
Arrigoni ripartì per l’ultimo viaggio nel 2010. Passando dall’Egitto riuscì a rientrare a Gaza. Riprese ad aiutare “i fratelli palestinesi”, come lui li chiamava, e a raccontare ciò che vedeva attraverso il suo blog, Guerrilla Radio, e la collaborazione con PeaceReporter. Fino alla notte tra il 14 e il 15 aprile del 2011, quando venne ucciso da una cellula  jihadista salafita, a quanto pare fuori controllo, con motivazioni che ancora oggi appaiono poco chiare. “La cosa che mi turba di più è non sapere la vera motivazione della sua morte – ha continuato Egidia – È il pezzo che manca. Non penso che lo conosceremo mai. Mi consola ricevere ancora oggi lettere di stima e di affetto nei confronti di Vittorio. Voglio che lui venga ricordato per quello che ha dato alla gente”.
Dal 2004 la signora Egidia, che a dicembre dell’anno scorso ha perso anche suo marito Ettore, è sindaco del Comune di Bulciago, in provincia di Lecco, un paesino di circa 3000 anime che la vede sempre in prima linea nel sociale e nel miglioramento della qualità della vita sul territorio. “A Bulciago abbiamo avuto il problema, soprattutto in passato, di tantissime industrie chimiche che operavano nella zona. Ci siamo battuti molto per la salvaguardia dell’ambiente e delle nostre terre. Ora per fortuna sono diminuite queste industrie. Continuo però a lavorare per migliorare le condizioni dell’ “ambiente umano”, anche con l’apertura e la cura di giardini pubblici e luoghi di incontro. Mi sto occupando anche di casi particolari. Proprio stamattina ho avuto una riunione con l’assistente sociale per discutere le situazioni di alcuni bambini del paese che vivono in condizioni di disagio”. Oltre a tenere vivo il ricordo del figlio, nel suo piccolo Egidia segue la scia di Vittorio che difendeva i “suoi” bambini a Gaza. L’altruismo è proprio un “vizio” di famiglia, passato prima di madre in figlio e poi di figlio in madre. (di Salvatore Coccoluto da “Il Fatto” del 14/11/12)

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