Alfiero Grandi e Vincenzo Vita (Il Manifesto del 14 febbraio 2015)
]]>Carlo Smuraglia, Presidente dell’Anpi
]]>C’è una verità sotterranea che unisce certi comportamenti: l’insofferenza al dialogo e alle critiche, la reazione smodata a un appello firmato da persone completamente prive di potere, come siamo noi che abbiamo sottoscritto il documento di Libertà e Giustizia. Ed è la mancanza assoluta di cultura costituzionale, che porta a un’idea deformata di democrazia: cioè che si può arrivare anche a escludere i cittadini dalle decisioni. Quello che si avverte – ed è ben evidenziato dall’articolo di Marco Travaglio sul Fatto di mercoledì – è che il concetto di democrazia costituzionale è del tutto estraneo anche a persone di buona cultura.
Ce lo spieghi meglio.
Democrazia “costituzionale” significa soprattutto controllo sul potere; per evitare che si concentri, ha come fondamentale principio la divisione dei poteri e il reciproco controllo. L’abbiamo ripetuto centinaia di volte: il costituzionalismo esprime l’esigenza di dare regole e limiti al potere e dunque, limiti alla maggioranza per realizzare “una serie di garanzie reciproche tra le varie forze sociali e politiche in modo da evitare che la sovranità popolare si risolva automaticamente nella sovranità di una semplice maggioranza parlamentare” (come diceva un grande costituzionalista, Vezio Crisafulli).
La nostra è una democrazia pluralista.
Il punto è esattamente questo, la Costituzione vuole il pluralismo in tutte le sue forme: pluralismo religioso, sindacale, politico, territoriale. Ma siccome il pluralismo costituisce un freno, non lo si ama. E ora si vogliono eliminare i limiti giuridici e politici derivanti dalla pluralità di opinioni difformi. Si vuole cancellare il Senato: io non amo il Senato, né il bicameralismo perfetto, vorrei chiarire, ma a questa riforma che vuole eliminarlo o reciderne il legame con gli elettori si accompagna l’idea di eleggere la Camera dei deputati con un sistema che esclude il pluralismo e potenzia al massimo un partito (che raggiunge una soglia non elevata) mediante un premio che lo pone in posizione egemone. Il limite politico, in democrazia, è dato dalle minoranze, ma con l’Italicum restano fuori dal Parlamento.
Oltre al contenuto, a lei non è piaciuto nemmeno il modo in cui le riforme sono nate, con il patto del Nazareno.
Il modo in cui le riforme sono nate non è democratico. Non possono essere i capi di due partiti a decidere. Al Parlamento si fanno proposte, non si può pretendere che siano immodificabili. È una cosa folle: a questo punto sarebbe meglio eliminiamo non solo il Senato, ma anche la Camera! Spendiamo meno e le leggi le fanno in due.
Tra il Porcellum e l’inerzia legislativa degli ultimi anni, ci siamo assuefatti a un Parlamento diminuito?
Appunto, si vuole – si è voluto – emarginare il Parlamento che è l’organo della rappresentanza popolare. O meglio: quello che ci resta perché questo Parlamento, per le note vicende del Porcellum, non ci rappresenta. Depotenziata la rappresentatività delle due Camere, ora si vuole sancire anche lo svuotamento delle loro funzioni imponendo decisioni prese altrove.
Ormai si legifera solo con decreti leggi o leggi delega.
Il paradosso è che nel periodo berlusconiano le leggi che servivano all’ex Cavaliere venivano approvate alla velocità della luce. Sono riusciti perfino a fare una riforma costituzionale che nel 2006 il referendum ha bocciato. Poi c’è stato un abnorme ricorso alla legislazione d’urgenza e ora si vuole un Parlamento che si limiti ad approvare. Si ricorda Berlusconi quando parlava di un “Parlamento di figuranti”? Che, aggiungo io, è stato sfigurato da quella legge elettorale poi dichiarata illegittima. Ma ora la si vuole perpetuare: l’Italicum ha gli stessi difetti del Porcellum. Dunque un Parlamento “per approvare”. Ma attenzione, per approvare non solo ciò che propone il governo, ma ciò che i capi partito hanno deciso nelle segrete stanze e che impongono all’Assemblea che dovrebbe rappresentare il popolo. Cioè il popolo “sovrano”, in base all’articolo 1 della Costituzione: forse vogliamo cancellare anche quello?
Da Il Fatto Quotidiano del 13/04/2014.
]]>Professoressa, partiamo dallo stravolgimento dell’articolo 138. Che ne pensa e cosa ne pensano gli altri saggi?
La commissione non se ne è mai occupata, perché non rientra nel suo ambito di intervento. Non parlo per gli altri, e dico la mia opinione da cittadina: non c’è nessun motivo di modificarlo. Se non uno: prolungare la vita di questo governo, legandola alla riforma costituzionale. Finché questo processo è in corso, il treno va.
Molti costituzionalisti sono contrari alla deroga: definiscono questa norma come “la valvola di sicurezza” della Carta.
Sono assolutamente d’accordo: il 138 è la clausola di salvaguardia, perché regola tempi e modi delle modifiche alla Costituzione. Ridurre l’intervallo tra le due deliberazioni delle Camere sulle leggi costituzionali (da tre mesi a 45 giorni, ndr) è sicuramente un passo che comporta dei rischi. Non c’è nessuna emergenza che lo giustifichi.
Veniamo alla commissione dei saggi. Sul vostro lavoro circolano pochissime informazioni. Sembra quasi che lavoriate in modo carbonaro.
Proprio per rimediare, nei giorni scorsi ho proposto e ottenuto che i resoconti delle nostre riunioni venissero pubblicate su Internet (sul sito rifor mecostituzionali.gov.it ). Ci deve essere trasparenza su quello di cui discutiamo.
Alcuni, tra cui i Cinque Stelle, avevano proposto la diretta streaming dei lavori.
Sono contraria. Con la diretta tv tutti rimarrebbero troppo influenzati. Nessuno parlerebbe in modo sincero, perché penserebbe ai possibili effetti sul pubblico.
Di cosa state discutendo?
Gli argomenti sono quattro: bicameralismo, Titolo V (Regioni, Province, Comuni, ndr), forma di governo e legge elettorale.
È vero che lavorate a una riforma presidenzialista?
Stiamo discutendo con ampia diversità di opinioni. Vi sono posizioni semipresidenzialiste e altre che vogliono il rafforzamento e la razionalizzazione del Parlamento.
Lei è contraria al semipresidenzialismo?
Sì, perché ritengo rappresenti una forma di sfiducia verso la politica, come luogo di mediazione e rappresentanza delle diverse opinioni. Inoltre, nel semipresidenzialismo il potere esecutivo ha un peso eccessivo. Preciso anche un’altra cosa. Molti spingono per una riforma di questo tipo, sostenendo che dobbiamo armonizzarci con il resto d’Europa. Ma il semipresidenzialismo negli altri Paesi è l’eccezione, non la regola.
Ci sono punti su cui voi saggi concordate?
Molti di noi sono concordi sul-l’esigenza di passare da un bicameralismo perfetto, come quello attuale, a un sistema con un Senato delle autonomie. Due Camere con le stesse competenze esistono solo in Italia. Inoltre siamo d’accordo sulla necessità di ridurre il numero di parlamentari. Anche se su questo punto non bisogna esagerare.
Il ddl costituzionale prevede un comitato dei 42 che preparerà la riforma. Poi dovrà essere approvata dal Parlamento, ma con poche possibilità di intervento: per esempio, ci saranno grandi limiti agli emendamenti. Non teme una riforma blindata?
Sì, e per questo spero che venga dato ampio spazio al dibattito. La Costituzione è troppo importante per essere oggetto di tentativi di forzatura. (di Luca De Carolis da “Il Fatto” del 31 luglio 2013)
]]>Pubblichiamo l’appello contro il ddl di riforma costituzionale firmato da Alessandro Pace, Alberto Lucarelli, Paolo Maddalena, Gianni Ferrara, Cesare Salvi, Massimo Villone, Silvio Gambino, Antonio Ingroia, Antonello Falomi, Domenico Gallo, Raffaele D’ Agata, Raniero La Valle, Beppe Giulietti e Mario Serio:
Ignorando il risultato del referendum popolare del 2006 che bocciò a grande maggioranza la proposta di mettere tutto il potere nelle mani di un “premier assoluto”, è ripartito un nuovo e ancor più pericoloso tentativo di stravolgere in senso presidenzialista la nostra forma di governo, posponendo a questa la indilazionabile modifica dell’attuale legge elettorale. In fretta e furia e nel pressoché unanime silenzio dei grandi mezzi d’informazione la Camera ha iniziato a esaminare il disegno di legge governativo, già approvato dal Senato, di revisione della Costituzione in plateale violazione della disciplina prevista dall’articolo 138, che costituisce la “valvola di sicurezza” pensata dai nostri Padri costituenti per impedire stravolgimenti della Costituzione.
Ci appelliamo a voi che avete il potere di decidere, perché il processo di revisione costituzionale in atto sia riportato nei binari della legalità costituzionale. Chiediamo che l’iter di discussione del disegno di legge costituzionale presentato dal governo Letta segua tempi e modi rispettosi del dettato costituzionale (…). Chiudere, a ridosso delle ferie estive, la prima lettura del disegno di legge, contrastando con le finalità dell’articolo 138 della Costituzione, impedisce un vero e serio coinvolgimento dell’opinione pubblica nel dibattito. In secondo luogo vi chiediamo di restituire al Parlamento e ai parlamentari il ruolo loro spettante nel processo di revisione della nostra Carta.
L’aver abbandonato la procedura normale di esame esplicitamente prevista dall’articolo 72 della Costituzione per l’esame delle leggi costituzionali, l’aver attribuito al governo un potere emendativo privilegiato, la proibizione di porre le questioni pregiudiziali, sospensive o di non passaggio agli articoli, l’ impossibilità per i singoli parlamentari di sub-emendare le proposte del governo o del comitato, la proibizione per i parlamentari in dissenso con i propri gruppi di presentare propri emendamenti, le deroghe previste ai regolamenti di Camera e Senato, costituiscono altrettante scelte che umiliano e comprimono l’autonomia e la libertà dei parlamentari e quindi il ruolo e la funzione del Parlamento.
Le conseguenze di tali scelte si riveleranno in tutta la loro gravità allorché, una volta approvato questo disegno di legge, l’istituendo comitato per le riforme costituzionali porrà mano alla riforma delle strutture portanti della nostra organizzazione costituzionale (dal Parlamento al presidente della Repubblica, dal governo alle Regioni) sulla base delle norme che oggi la Camera sta approvando in flagrante violazione dell’art. 138. (…) Vi chiediamo ancora che le singole leggi costituzionali, omogenee nel loro contenuto, indichino con precisione le parti della Costituzione sottoposte a revisione. (…) Non si tratta, in definitiva, di un intervento di “manutenzione” ma di una riscrittura radicale della nostra Carta non consentita dalla Costituzione, che apre ampi spazi all’arbitrio delle contingenti maggioranze parlamentari.
Chiediamo, infine, che nell’esprimere il vostro voto in seconda lettura del provvedimento di modifica dell’articolo 138, consideriate che la maggioranza parlamentare dei due terzi dei componenti le Camere per evitare il referendum confermativo, in ragione di una legge elettorale che distorce gravemente e incostituzionalmente la rappresentanza popolare, non coincide con la realtà politica del corpo elettorale del nostro Paese. Rispettare questa realtà, vuol dire esprimere in Parlamento un voto che consenta l’indizione di un referendum confermativo sulla revisione dell’articolo 138. È in gioco il futuro della nostra democrazia. Assumetevi la responsabilità di garantirlo.
Per firmare: https://www.change.org/it/petizioni/costituzione-non-vogliamo-la-riforma-della-p2-firma-l-appello
]]>Dicono che è solo una deroga all’articolo 138.
Ma quale deroga! Si ha una deroga solo quando una norma speciale si sostituisce a una norma generale. Ma qual è nella specie la norma speciale e qual è la norma generale? La norma speciale, e cioè il disegno di legge 813, se divenisse legge, modificherebbe il nostro ordinamento. Per contro la norma generale, e cioè l’art. 138, si rivolge solo al Parlamento in ipotesi tutt’altro che frequenti.
Gli emendamenti approvati dal Senato sono peggiorativi o migliorativi ?
Assolutamente peggiorativi, sotto tre punti di vista. Il primo è l’articolo 2, comma 1, in cui è sparita l’espressione “modifiche afferenti alla forma di governo e del bicameralismo”. È bensì vero che almeno i primi due sono concetti vastissimi e forse anche un po’ scivolosi. Tuttavia, bene o male, ci facevano intuire in quale direzione si sarebbero dovute muovere le Camere nel rivedere la Costituzione. Lasciando la sola indicazione dei titoli I, II, III e V il perimetro delle possibili revisioni costituzionali si allarga invece notevolmente: si estende infatti a ben 69 articoli! In secondo luogo, al successivo comma 2, la possibilità di revisione viene addirittura estesa a tutte le disposizioni della Costituzione o di leggi costituzionali strettamente connesse alla revisione dei quattro titoli sopra indicati, il che vuol dire che potrebbe essere coinvolto anche il titolo IV, e cioè la magistratura, per non parlare della Parte prima. Ad esempio mi è giunta voce che tra i cosiddetti saggi gira la voce di riformare anche la disciplina del referendum abrogativo.
Qual è la terza cosa?
L’articolo 2 comma 3 dice che i Presidenti del Senato e della Camera assegnano o riassegnano al Comitato i progetti di legge costituzionale relativi alle materie di cui ai quattro titoli che siano stati “presentati alle Camere a decorrere dall’inizio della XVII legislatura e fino alla data di conclusione dei suoi lavori”. Il che implica un possibile ulteriore allargamento qualora questi progetti di legge – che forse qualcuno dei parlamentari che ha proposto questo emendamento conosce assai bene – coinvolgano la Parte prima e, perché no?, il titolo IV della Parte seconda. Spero che almeno resti fuori il titolo VI, relativo alle Garanzie costituzionali.
E così salterebbero le garanzie.
Appunto. I costituenti misero nel titolo VI della Parte seconda, insieme alla Corte costituzionale, il procedimento di revisione costituzionale proprio perché essa costituisce una garanzia per la Costituzione in quanto dovrebbe adeguarla alle mutate domande provenienti dalla società o dalla politica, mentre così la revisione si risolve in un rischio per la Costituzione.
Vogliono accorciare i tempi del procedimento di revisione, temendo che la legislatura non duri abbastanza.
Sbagliatissimo. Per definizione, i tempi della revisione non possono essere gli stessi del procedimento ordinario. In Assemblea costituente si sottolineò, ad esempio, l’importanza dell’intervallo di tre mesi tra la prima e la seconda deliberazione che ora viene dimezzato a 45 giorni.
La scusa è che la materia è complessa, forse la verità è che non si vuole dar fastidio alle larghe intese.
Se davvero si volesse modificare la Costituzione come questa consente, e cioè con singole leggi costituzionali dal contenuto omogeneo e specifico, non ci vorrebbe molto tempo ad approvarle, sempre che vi fosse la volontà politica. Ma se si prevede un procedimento speciale, come questo, con una legge costituzionale madre e quattro leggi costituzionali figlie quanti sono i titoli oggetto di revisione, il tempo si fa ovviamente lungo e quindi il procedimento viene, come dice la relazione, “crono-programmato”, il che contraddice alla natura delle leggi di revisione. Ma c’è un altro inconveniente. L’articolo 4 comma 2 del ddl dispone, giustamente, che “Ciascun progetto di legge è omogeneo e autonomo dal punto di vista del contenuto e coerente dal punto di vista sistematico”. Una volta però che siano state tolte le indicazioni di massima “forma di Stato”, “forma di governo” e “bicameralismo” dove va a finire l’omogeneità delle quattro leggi costituzionali figlie, potendo queste potenzialmente modificare 69 articoli?
E le larghe intese?
Ma le larghe intese sono materie di indirizzo politico, non di revisione costituzionale. Non a caso il proponente del ddl è il governo, il cui intervento ha senso per le larghe intese, ma nessun senso per la riforma della Costituzione. Mettere sullo stesso piano revisione della Costituzione e legge elettorale andrà pure nel senso della pacificazione e delle larghe intese, ma è distorsivo sotto il profilo della revisione costituzionale: la sua importanza politica diviene infatti merce di scambio a detrimento della Costituzione. (di Silvia Truzzi da “Il Fatto”)
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