tina merlin – ANPI Associazione Nazionale Partigiani d'Italia – Sezione del Miranese "Martiri di Mirano" http://anpimirano.it Mon, 31 Mar 2014 14:59:18 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.2 Venerdì 4 aprile 2014: “Tina Merlin, donna resistente” http://anpimirano.it/2014/venerdi-4-aprile-2014-tina-merlin-donna-resistente/ Mon, 31 Mar 2014 14:59:18 +0000 http://anpimirano.it/?p=5605 Leggi tutto "Venerdì 4 aprile 2014: “Tina Merlin, donna resistente”"]]> maria segaVenerdì 4 aprile alle ore 20.45 a Mirano in Sala Conferenze di Villa Errera, Maria Teresa Sega interverrà sul tema “Tina Merlin, donna resistente”.

Il 22  dicembre 1991 moriva a Belluno Tina Merlin. Era nata a Trichiana (BL) il 19 agosto del 1926. Era sorella del partigiano Toni Merlin, organizzatore e comandante del battaglione “Manara”,  successivamente assorbito dalla brigata partigiana “7° Alpini”. Partecipò alla resistenza come staffetta partigiana nella stessa brigata e, dopo la guerra diventò giornalista collaborando con l’ “Unità”, diventandone la corrispondente da Belluno. Nel 1951 pubblicò “Menica“, una raccolta di storie sulla guerra  partigiana. In quel periodo iniziò a interessarsi alla diga del Vaiont e, per i suoi articolo di denuncia pubblicati sull’”Unità” che descrivevano la situazione pericolosa che si era andata manifestando con la costruzione della diga,  venne processata e assolta dal tribunale di Milano per “diffusione di notizie false e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico”. La sentenza porta la data del 30 novembre 1960 e anticipa di quasi tre anni la strage annunciata del Vaiont. Il suo libro più famoso è “Sulla pelle viva – come si costruisce una catastrofe”, un libro che nessuno voleva pubblicare e vide la luce solo nel 1983 per le edizioni “La Pietra” di Milano. Tanti giornalisti, molto più famosi di lei, scrissero articoli ignobili in cui la la strage (“la tragedia”) rimaneva relegata in un’ottica di fatale e naturale disgrazia rimanendo ammirati per la solidità della diga. Così descrisse l’evento Dino Buzzati  in articolo apparso sul Corriere della Sera, venerdì 11 ottobre 1963: “Un sasso è caduto in un bicchiere, l’acqua è uscita sulla tovaglia. Tutto qua. Solo che il sasso era grande come una montagna, il bicchiere alto centinaia di metri, e giù sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi. E non è che si sia rotto il bicchiere; non si può dar della bestia a chi lo ha costruito perché il bicchiere era fatto bene, a regola d’arte, testimonianza della tenacia e del coraggio umani. La diga del Vajont era ed è un capolavoro. Anche dal punto di vista estetico.”  E così Giorgio Bocca in un articolo pubblicato su “Il Giorno” dell’11 ottobre 1963: “Ecco la valle della sciagura: fango, silenzio, solitudine e capire subito che tutto ciò è definitivo; più niente da fare o da dire. Cinque paesi, migliaia di persone, ieri c’erano, oggi sono terra e nessuno ha colpa; nessuno poteva prevedere. In tempi atomici si potrebbe dire che questa è una sciagura pulita, gli uomini non ci hanno messo le mani: tutto è stato fatto dalla natura che non è buona e non è cattiva, ma indifferente. E ci vogliono queste sciagure per capirlo!… Non uno di noi moscerini vivo, se davvero la natura si decidesse a muovere guerra…”. Il giornalista Indro Montanelli scrisse inoltre un articolo sul periodico “La Domenica del Corriere” (novembre 1963) nel quale accusava i comunisti di speculare su una così grave tragedia: “nella vita delle nazioni – sosteneva Montanelli – ci sono sempre state tragedie di ogni genere, carestie, pestilenze, terremoti, che vanno affrontate con coraggio e senza creare odi interni”.
Ma Tina non era della stessa pasta, era una che non mollava e continuò a pubblicare e a fare inchieste, sempre dalla parte degli ultimi, degli indifesi, di chi non era tutelato da nessun potere. In uno degli ultimi suoi articoli sul giornale “Patria” scrisse ancora del Vaiont inquadrando il problema in un ottica storica lucida ed estremamente attuale anche ai nostri giorni. Grazie Tina.

“I giorni dopo il Vajont la gente era convinta che la tragedia dovesse essere un punto di partenza per una riflessione collettiva dalla quale partire per cambiare, per mettere in discussione rapporti e metodi. C’erano duemila morti ammazzati, dei quali tutti i poteri portavano una responsabilità diretta o indiretta. La Costituzione era stata messa sotto i piedi e si era rivelata incapace di garantire perfino la vita dei cittadini. Da più parti si proclamava, e si prometteva, che occorreva cambiare rotta. Invece, da allora, le compromissioni del potere politico con quello economico sono state infinite e scandalose. Si sono affinate nella degenerazione di ogni diritto, talchè la democrazia non ha più senso e reale consistenza in questo nostro paese governato da gruppi di potere palesi e occulti, dove uomini della politica e uomini dell’economia vanno sottobraccio a quelli della mafia, del terrorismo, della P2, per sostenersi a vicenda…..”

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Tina Merlin http://anpimirano.it/2012/tina-merlin/ http://anpimirano.it/2012/tina-merlin/#comments Fri, 21 Dec 2012 14:25:22 +0000 http://anpimirano.it/?p=2348 Leggi tutto "Tina Merlin"]]>
Tina e il marito Aldo Sirena (“Nerone”) ad un raduno partigiano in Cansiglio

“Non so come, fra altri trent’anni, si racconterà la storia dell’olocausto del Vajont, ma so che se qualcuno lo farà, sarà anche grazie a Tina Merlin. Le storie non esistono se non c’è qualcuno che le racconta”. (Marco Paolini)

Il 22  dicembre 1991 moriva a Belluno Tina Merlin. Era nata a Trichiana (BL) il 19 agosto del 1926. Era sorella del partigiano Toni Merlin, organizzatore e comandante del battaglione “Manara”,  successivamente assorbito dalla brigata partigiana “7° Alpini”. Partecipò alla resistenza come staffetta partigiana nella stessa brigata e, dopo la guerra diventò giornalista collaborando con l’ “Unità”, diventandone la corrispondente da Belluno. Nel 1951 pubblicò “Menica“, una raccolta di storie sulla guerra  partigiana. In quel periodo iniziò a interessarsi alla diga del Vaiont e, per i suoi articolo di denuncia pubblicati sull'”Unità” che descrivevano la situazione pericolosa che si era andata manifestando con la costruzione della diga,  venne processata e assolta dal tribunale di Milano per “diffusione di notizie false e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico”. La sentenza porta la data del 30 novembre 1960 e anticipa di quasi tre anni la strage annunciata del Vaiont.

“..Inizia l’ultimo giorno. Il 9 ottobre 1963 è una stupenda giornata di sole. Di questa stagione la montagna è splendida, rifulge di caldi colori autunnali. La gente di Casso va e viene ancora dal Toc, portando via dalle case e dagli stavoli più cose possibili.   Ma altra gente non vuole abbandonare le case e i beni malgrado l’avviso fatto affiggere dal Comune, pressato dalle richieste provenienti dal cantiere…
Viene la sera, e la gente, adesso, è tutta nei bar a vedere la televisione. Sono ancora pochissimi i televisori privati, e in eurovisione c’è la partita di calcio Real Madrid-Rangers di Glasgow. Due squadre molto forti, una partita da non perdere.   E infatti molta gente è scesa dalle frazioni a Longarone, e anche da altri paesi della valle, per godersi lo spettacolo nei bar. La gente si diverte, discute, scommette sulla squadra vincente. Sono le 22,39. Un lampo accecante, un pauroso boato. Il Toc frana nel lago sollevando una paurosa ondata d’acqua.   Questa si alza terribile centinaia di metri sopra la diga, tracima, piomba di schianto sull’abitato di Longarone, spazzandolo via dalla faccia della terra.
A monte della diga un’altra ondata impazzisce violenta da un lato all’altro della valle, risucchiando dentro il lago i villaggi di San Martino e Spesse. La storia del “grande Vajont”, durata vent’anni, si conclude in tre minuti di apocalisse, con l’olocausto di duemila vittime…”

Così Tina descrisse la strage nel suo libro più famoso “Sulla pelle viva – come si costruisce una catastrofe“, un libro che nessuno voleva pubblicare e vide la luce solo nel 1983 per le edizioni “La Pietra” di Milano. Tanti giornalisti, molto più famosi di lei, scrissero articoli ignobili in cui la la strage (“la tragedia”) rimaneva relegata in un’ottica di fatale e naturale disgrazia rimanendo ammirati per la solidità della diga. Così descrisse l’evento Dino Buzzati  in articolo apparso sul Corriere della Sera, venerdì 11 ottobre 1963: “Un sasso è caduto in un bicchiere, l’acqua è uscita sulla tovaglia. Tutto qua. Solo che il sasso era grande come una montagna, il bicchiere alto centinaia di metri, e giù sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi. E non è che si sia rotto il bicchiere; non si può dar della bestia a chi lo ha costruito perché il bicchiere era fatto bene, a regola d’arte, testimonianza della tenacia e del coraggio umani. La diga del Vajont era ed è un capolavoro. Anche dal punto di vista estetico.”  E così Giorgio Bocca in un articolo pubblicato su “Il Giorno” dell’11 ottobre 1963: “Ecco la valle della sciagura: fango, silenzio, solitudine e capire subito che tutto ciò è definitivo; più niente da fare o da dire. Cinque paesi, migliaia di persone, ieri c’erano, oggi sono terra e nessuno ha colpa; nessuno poteva prevedere. In tempi atomici si potrebbe dire che questa è una sciagura pulita, gli uomini non ci hanno messo le mani: tutto è stato fatto dalla natura che non è buona e non è cattiva, ma indifferente. E ci vogliono queste sciagure per capirlo!… Non uno di noi moscerini vivo, se davvero la natura si decidesse a muovere guerra…”. Il giornalista Indro Montanelli scrisse inoltre un articolo sul periodico “La Domenica del Corriere” (novembre 1963) nel quale accusava i comunisti di speculare su una così grave tragedia: “nella vita delle nazioni – sosteneva Montanelli – ci sono sempre state tragedie di ogni genere, carestie, pestilenze, terremoti, che vanno affrontate con coraggio e senza creare odi interni”.

Ma Tina non era della stessa pasta, era una che non mollava e continuò a pubblicare e a fare inchieste, sempre dalla parte degli ultimi, degli indifesi, di chi non era tutelato da nessun potere. In uno degli ultimi suoi articoli sul giornale “Patria” scrisse ancora del Vaiont inquadrando il problema in un ottica storica lucida ed estremamente attuale anche ai nostri giorni. Grazie Tina.

“I giorni dopo il Vajont la gente era convinta che la tragedia dovesse essere un punto di partenza per una riflessione collettiva dalla quale partire per cambiare, per mettere in discussione rapporti e metodi. C’erano duemila morti ammazzati, dei quali tutti i poteri portavano una responsabilità diretta o indiretta. La Costituzione era stata messa sotto i piedi e si era rivelata incapace di garantire perfino la vita dei cittadini. Da più parti si proclamava, e si prometteva, che occorreva cambiare rotta. Invece, da allora, le compromissioni del potere politico con quello economico sono state infinite e scandalose. Si sono affinate nella degenerazione di ogni diritto, talchè la democrazia non ha più senso e reale consistenza in questo nostro paese governato da gruppi di potere palesi e occulti, dove uomini della politica e uomini dell’economia vanno sottobraccio a quelli della mafia, del terrorismo, della P2, per sostenersi a vicenda…..”

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