Comunicato dell’Anpi Provinciale di venezia

L’ANPI provinciale di Venezia ritiene che i fatti accaduti a Montebelluna e all’Università di Verona siano da condannare senza alcuna attenuante, e non solo come segno di ignoranza sociale, storica e democratica, ma soprattutto per i modi con i quali si è voluto vietare un democratico confronto.

L’ANPI vuole ricordare che il Giorno del Ricordo (fortemente voluto da un’ampia parte del parlamento Italiano) è un giorno rievocativo e celebrativo, con lo scopo di guardare ai fatti istriani e dalmati con un senso di rispetto, di partecipazione al dolore, di conoscenza dei fenomeni barbarici e terribili che hanno scosso, dopo quei fatti, le coscienze di molti italiani. Recita, infatti, la legge: La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale “Giorno del ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale. Nella giornata […] sono previste iniziative volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell’Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica ed altresì a preservare le tradizioni delle comunità istriano-dalmate residenti nel territorio nazionale e all’estero.

Erano chiare le parole dell’allora Presidente Ciampi: «L’Italia non può e non vuole dimenticare: non perché ci anima il risentimento, ma perché vogliamo che le tragedie del passato non si ripetano in futuro»; concetti ribaditi poi da Napolitano che riaffermava la necessità di «consolidare i lineamenti di civiltà, di pace, di libertà, di tolleranza, di solidarietà della nuova Europa.»

Anche l’ANPI in tutto il territorio nazionale partecipa anche attivamente a queste celebrazioni, portando testimonianze, documenti e riflessioni. Tanti sono gli storici che si confrontano in quel giorno, come tante sono le ricerche che vengono portate a conoscenza dei partecipanti. Tutto questo con la finalità di rispondere ai contenuti espressi dalla legge 30 marzo 2004 n. 92 che ha istituito il Giorno del Ricordo.

Ma questa giornata dedicata alla conoscenza, all’approfondimento e alla riflessione sulle radici storiche che hanno portato a quelle tragiche conseguenze, per alcune frange nostalgiche e fasciste, è diventata il giorno del riscatto, delle rivendicazioni di un eroismo nazional-fascista, dell’antidemocrazia, di una falsa pretesa di giustizia politica e sociale, della denuncia di atteggiamenti razzisti nei confronti delle minoranze italiane subiti dopo la fine del conflitto mondiale. E spesso opponendo quel giorno di riflessione al Giorno della Memoria; e tutto ciò nella logica della netta contrapposizione tra buono e cattivo, tra vero e falso.

In quest’ottica, gruppi di Naziskin, di iscritti e simpatizzanti della Giovane Italia hanno voluto, a Villa Wassermann a Giavera e nelle aule dell’università di Verona, interrompere le lezioni della ricercatrice storica Alessandra Kersevan con atti intimidatori e violenti. Entrando e occupando spazi pubblici.

Ancora una volta le frange fasciste hanno sostituito il dialogo con la violenza, le idee alle minacce, la conoscenza all’aggressività manifestando una ferocia che ci riporta ad altri periodi, quelli del rogo dei libri, della distruzione delle case del popolo, del disprezzo della cultura.

Ma riteniamo che sia ancor più grave che figure istituzionali come i sindaci o i rettori chiudano gli occhi davanti a fatti così gravi, o ancor peggio prendendo attiva posizione nel vietare tali incontri, e che non rispondano al loro mandato democratico di imparzialità verso le persone e di rispetto di una legge dello Stato. Spesso erigendosi a giudici vietando che gli uomini, le donne, i giovani, gli studenti possano conoscere i fatti e le vicende che hanno indotto una larghissima maggioranza parlamentare, a promuovere un percorso di conoscenza di un periodo storico molto complesso, lasciando invece che violenza, brutalità e minacce e imposizioni veementi possano ancora una volta, dopo settant’anni dall’inizio della Resistenza, essere i soli strumenti per imporre una propria verità.

Il Presidente Provinciale Diego A. Collovini

Il Segretario Provinciale  Tullio Cacco

 

A Verona aggressione fascista all’università

Il 12 febbraio doveva tenersi all’Università di Verona un incontro con la storica Alessandra Kersevan, organizzato dai collettivi studenteschi “Studiare Con Lentezza” e “Pagina/13”, sul tema “Foibe: tra mito e realtà”. Questo il resoconto di quello che è successo dal sito http://beforetheyfall.blogspot.it:

 Squadrismo fascista. Non ci sono altri concetti per definire quello che è successo oggi, 12 febbraio 2013, all’università di Verona in presenza di un incontro sulla questione delle “foibe” con la storica Alessandra Kersevan.  Il resoconto sarà un po’ lungo, ma capite che è necessario chiarire tutto.
Partiamo dall’inizio, ma se non avete voglia della suspance andate alla fine.

1. L’università del potere
I collettivi studenteschi Pagina 13 (che è riconosciuto dall’università e quindi riceve fondi di rimborso per organizzare eventi) e Studiare con Lentezza organizzano un incontro con Alessandra Kersevan dal titolo “Foibe : tra mito e realtà”. Un incontro che viene organizzato in università con la procedura di un iter amministrativo per la concessione di un aula che, dopo aver avuto la firma di due professori che approvano l’iniziativa, viene concessa. La notizia dell’incontro subito non desta scandalo. D’altronde, non ci sono ragioni per che lo causi visto che un incontro sulle foibe è stato presentato all’Istituto veronese di storia della resistenza e dell’età contemporanea con Costantino Di Sante, a cui hanno presenziato anche esuli e in cui non ci sono stati particolari disordini. Tuttavia il giorno 11 compaio sull’evento facebook dell’evento le prime polemiche, un commento le apre. Critiche che criticano il fatto che ci siano una storica “revisionista” o, peggio ancora, “negazionista”. Critiche riprese da un comunicato ufficiale di CasaPound Verona . Nei commenti si trovano risposte provocatorie ma anche risposte puntuali che fanno notare che si tratta di  ricerca storica  e quindi di una discussione che è aperta a dibattiti e dubbi e, se si è contrari alle tesi e interpretazioni, aperta a riceve revisioni, sulla base di fonti.
A questo punto, ricevute critiche e quant’altro il magnifico rettore Alessandro Mazzucco invia una mail al professore direttore del dipartimento tesis, che era responsabile per la concessione dell’aula, per invitarlo ad annullare il tutto:

Caro professore Romagnani,
ricevo una serie crescente di messaggi sempre più allarmati per la scelta di dar vita ad un seminario sulle Foibe, delle quali il Presidente della Repubblica ha celebrato proprio in questi giorni il doloroso ricordo. Per quanto le intenzioni possano essere animate da una volontà di perseguire una verità storica, che non sarà facile riconoscere, l’impressione estremamente forte è che non si giustifichi la coincidenza di questa conferenza con il tempo della commemorazione, che tocca da vicino tanti nostri concittadini e le loro memorie.
Di conseguenza, insisto per una azione di doveroso rispetto per queste non poche persone, alcune delle quali operano anche all’interno di questo Ateneo. C’ è un tempo per la pietà e un tempo per la scienza. Non mancheranno le occasioni per affrontare questo comunque doloroso pezzo di storia recente con una molteplicità di testimonianze.
Adesso sarebbe veramente inaccettabile.
Rinnovo pertanto la richiesta di soprassedere a questa iniziativa, dalla quale debbo dissociarmi in piena convinzione, che non potrebbe trovare giustificazione e farebbe ricadere sull’intero Ateneo un’ ombra non cercata e non meritata.
Alessandro Mazzucco.

La risposta del professore è ovviamente negativa, invitando il rettore, se proprio volesse, ad annullarlo lui personalmente. Detto fatto:

Caro Romagnani, cari studenti,
come avevo anticipato nel pomeriggio, la programmazione dell’evento in oggetto ha suscitato, non solo in Verona,  una serie crescente di reazioni  e di tensioni che sollevano forti preoccupazioni sulla sicurezza che potrebbe essere  garantita.
Pertanto, sono costretto a ordinare la sospensione dell’incontro.

C’è un problema però. Oltre ad aver avvisato alle 18.35 della sera precedente ad un incontro organizzato da un mese, in cui una storica di professione aveva preso un impegno eliminandone chissà quanti altri, quella mail ( e quindi non un atto d’ufficio) viene inviata, oltre che al prof. Romagnani, alla mail privata di un cittadino (nemmeno studente).
Ma tralasciando questo aspetto, vogliamo chiarire cosa dice?

C’È UN TEMPO PER LA PIETÀ E UNO PER LA SCIENZA.
Ci rendiamo conto? Questo è esattamente quello che Silvio Lanaro, riprendendo Marc Ferro, definisce tabù (Silvio Lanaro, raccontare la storia, marsillio, 2004) e cioè ciò di cui non si vuol parlare:

nella rinuncia – spontanea, quasi inavvertita – a discorrere di ciò che in un particolare momento non appare in sintonia con la coscienza collettiva, con l’autoimmagine di un sistema politico-sociale, di una confessione religiosa, di una tradizione istituzionalizzata, o anche semplicemente con un interesse ideologico predominante, o con il desiderio di oblio e di soppressione di una memoria dolorosa

Quando sarà mai il tempo per la scienza? Settanta anni non sono bastati? E come mai discorsi simili non si fanno per altri eventi? Come mai nell’incontro all’istituto veronese di storia della resistenza e dell’età contemporanea, a cui hanno partecipato esuli, non si è voluto fare casino? Si ha paura di trattare SCIENTIFICAMENTE di Storia, perchè lo studio della Storia ha anche “funzone militante, ma non al servizio dello Stato, del partito e della Chiesa cattolica, bensì al servizio di una società che si sviluppa indipendentemente dai poteri che la opprimono” (Marc Ferro)
Oltretutto Mazzucco aggiunge che “farebbe ricadere sull’intero Ateneo un’ ombra non cercata e non meritata.” Vedremo tra poco che ombra è invece ricaduta sull’università.
Ma, andando oltre, dopo aver chiesto l’annullamento per motivi antiscientifici e quindi contrari al senso stesso dell’università che è luogo di ricerca, manda una mail (e ripeto, quindi non un atto d’ufficio anche se alcuni professori pretendevano fosse tale) giustificando la sospensione per “motivi di sicurezza”. Ci rendiamo conto a che livelli di ipocrisia siamo?

2. Il giornalismo del potere
Se ciò non bastasse si aggiunge il giornalismo. L’Arena e il Corriere di Verona pubblicano articoli che definirli faziosi è poco. Kersevan “revisionista”, abusando del concetto e facendo una inversione di valori delle più pericolose.  Sinceramente non credo che sia utile soffermarcisi troppo. Vi lascio i link agli articoli e divertitevi voi.

3. Lo squadrismo fascista e l’avallo istituzionale
Oggi, alla fine, è stato deciso di fare nonostante tutto l’incontro. Nessuno degli organizzatori ha ricevuto un documento, un atto d’ufficio, sull’annullamento della concessione dell’aula. Tuttavia, c’era aria di preoccupazione perché in università stavano girando diversi volti noti dell’estrema destra già dalla mattina. Girava anche voce che si stessero preparando nascondendo cose nei calzini, chissà, abbiamo pensato, bisognerà aspettarsi di tutto.
Nel primo pomeriggio, dopo aver sentito i professori che avevano concesso l’aula (e che appoggiavnao la nostra iniziativa perchè si tratta di ricerca storica e non di slogan politici, di uso delle fonti e non di propaganda) viene deciso di fare l’incontro.. La professoressa Kersevan arriva, con la figlia, circa alle 15.45 giusto il tempo che un signore, che pare essere il Responsabile Amministrativo dell’università, arrivasse, insistendo per mezzora, portando le veci del rettore, affermando che la conferenza non veniva concessa e che quindi non si doveva fare. Non si capisce tra l’altro come il rettore possa annullare la conferenza. Il suo potere era di non concedere aule e, infatti lo ha fatto. Sono state prontamente chiuse tutte le aule possibili.
Tuttavia, dopo mezzora di discussione con la professoressa Kersevan che aspettava, oltretutto giustamente offesa da quello scritto dai giornali nonchè dalle dichiarazioni del rettore, si è entrati in un aula, la T.4, appena è stata liberata da chi stava facendo esami.  La prima reazione del responsabile amministrativo è stata quella di far staccare la corrente dell’aula. La Kersevan aveva preparato un incontro con immagini ma, elettricità o meno, aveva iniziato a parlare. Nel frattempo alcuni avevano allungato una prolunga fino a prese esterne. La risposta è stata immediata: la corrente è stata tolta a tutto il piano, anche all’ufficio per il servizio disabili.
Tra l’altro nel frattempo e anche precedentemente, CasaPound aveva allestito una mostra con foto nel chiostro dell’università e distribuiva volantini in cui parlava di 200.000 morti e 350.000 esuli, naturalmente il responsabile amministrativo preferiva discutere con noi, piuttosto che con loro.
L’incontro è andato avanti per circa 45 minuti. Ad un certo punto però, il finimondo. Dall’interno dell’aula si è sentito un ammasso di persone correre sbraitando e urlando frasi come “Merde”, “Tito boia”(naturalmente muniti di caschi, non si sa mai che in università piova! e, naturalmente, credendo che si stesse facendo apologia di Tito. Evidentemente per loro è difficile non ragionare per compartimenti stagni). I primi esterni al corridoio, che stavano controllando l’area per evitare disordini, sono immediatamente corsi dentro e hanno chiuso le porte, bloccandole con le sedie. Nel frattempo, la cinquantina e più di persone che ascoltava, usciva dalle porte che davano sul prato interno. Ovviamente i “fascisti del terzomillennio” hanno fatto il giro e sono arrivati nel prato. Al che tutti sono entrati e, una volta aperte le porte che erano state blindate e quindi usciti nel corridoio, ci siamo trovati una bella “sorpresa” di qualche furbacchione (chissè chi eh!!)che aveva gettato qualcosa tipo spray al peperoncino o  qualcosa di simile. E infatti gola che brucia, occhi che lacrimano e qualcuno con conati di vomito.  Mentre le squadracce nere erano fuori nel parco interno con uno striscione “VERITÀ”. Lascio a voi ogni commento.
Si è poi lentamente usciti con la gente molto scossa (figuratevi poi la Kersevan!!) oltre che int tensione pe ril pericolo di trovarsi altre sorprese. All’esterno c’erano 5-6 macchine della polizia e due camionette di carabinieri e polizia oltre che i militari. Ovviamente prima non sono intervenuti perchè per entrare in università serve la chiamata del rettore che, casualità oggi non c’era.

QUESTA È LA DEMOCRAZIA CHE I FASCISTI DEL TERZO MILLENNIO SONO SOLITI USARE. QUESTA È LA VIOLENZA CHE LE ISTITUZIONI ACCETTANO E CONTRIBUISCONO A CREARE NELLA FERMENTAZIONE DI UN CLIMA DI ODIO E RIPUDIO DELLA RICERCA STORICA. SARÀ CONTENTO ORA MAZZUCCO DELL’OMBRA CHE È RICADUTA SULL’UNIVERSITÀ?

Il commento di Alessandra Kersevan sulla vicenda

Il comunicato del collettivo “Studiare Con Lentezza”

Il sito www.diecifebbraio.info con altri documenti sull’aggressione

La testimonianza di un partecipante all’incontro

Lettera dell’Associazione ex Deportati nei Campi nazisti

Milano: fascisti cacciati dal Liceo Manzoni

S’erano aggirati tutta la settimana scorsa all’uscita di alcuni licei milanesi, ogni volta col solito fare intimidatorio e raccogliendo solo astio e lontananza.
Ma “chi cerca trova”, dice il detto, e alla fine i fascisti della Fiamma Tricolore sono riusciti a farsi cacciare per bene con la coda tra le gambe!
Quasi duecento studenti, all’uscita dal Liceo Classico Manzoni, hanno intonato cori antifascisti e si sono schierati a difesa della propria scuola e dei propri compagni, impedendo ai fascisti della Fiamma di volantinare e costringendoli ad andarsene di gran carriera.
I camerati della Fiamma, un drappello di nemmeno dieci persone di cui la metà almeno in palese età da “fuori quota”, vista la mala parata non hanno potuto far altro che rimettersi in tasca le mani che sino a poco prima avevano salutato romanamente e mostrato “la lama” con fare intimidatorio e andarsene con la coda tra le gambe.
Ovviamente le precedenti prodezze di coraggio e ardimento politico (saluti romani, minacce, coltelli ostentati visibilmente) avvenivano sotto gli occhi di un paio di agenti di polizia in borghese che nulla vedevano e nulla facevano al riguardo.
I volantini-ossimoro (“Il fascismo è amore”) in questo momento sono spazzatura nei cestini vicino al Liceo Manzoni, com’è giusto che sia; chi li distribuiva crediamo sia giusto che si appresti a seguirli per la stessa strada.
Milano è più bella (e le sue scuole pure!) senza tutto questo pattume in giro! (dal sito http://milanoinmovimento.com)

 

Nuova aggressione fascista

Dopo l’episodio della mancata stretta di mano del giornalista candidato alle elezioni Sandro Ruotolo a un candidato di Casapound, ci aspettavamo una risposta da questa formazione, che infatti è avvenuta nell’unica maniera possibile per degli individui che hanno nel fascismo il loro modello. Questo fatto e l’aggressione avvenuta ad un convegno dell’Anpi a Montebelluna non sono solo episodi passeggeri ma sono l’ennesima dimostrazione del carattere antidemocratico di queste formazioni fasciste. Fascismo e antifascismo non sono due categorie ormai desuete (come ha detto un candidato premier). I fascisti purtroppo ci sono ancora, come dimostrato dal resoconto quasi quotidiano delle loro aggressioni e intimidazioni. Questa è la descrizione dell’aggressione a Ruotolo da “Il Fatto quotidiano”:

“Goliardica contestazione all’antidemocratico Sandro Ruotolo“. Casa Pound ha definito così, in una nota, gli insulti e le sedie volati stamattina durante un comizio del candidato di Rivoluzione Civile alla Regione Lazio. E’ successo a Civita Castellana, dove il candidato governatore ha dovuto interrompere un incontro in corso con i cittadini per l’irruzione dei giovani dal volto semi coperto venuti in contatto con i presenti, che hanno poi chiamato i carabinieri. “Mi hanno minacciato e insultato“, ha raccontato Ruotolo, “sono volate le sedie, hanno acceso un fumogeno all’ingresso dell’edificio e poi sono fuggiti”.
La “goliardica contestazione” sarebbe stata messa in atto dopo che il candidato governatotre di RC aveva deciso di non stringere la mano all’esponente di CPI, Simone Di Stefano. Questi i fatti secondo quanto riferito: nella sala Pablo Neruda di Civita Castellana sta parlando un esponente della formazione politica di Antonio Ingroia, poi tocca a Ruotolo, che ha già visitato l’ospedale cittadino e un’azienda di ceramiche del posto. Ma un gruppo di giovani di Casa Pound interrompe la manifestazione, hanno i volti semicoperti, ma alcuni vengono riconosciuti dai rappresentanti locali di Rc.
C’e’ stato un contatto, sono volate sedie e sono stati chiamati i carabinieri. Agli atti ora c’è la documentazione fotografica e in mano agli investigatori anche la testimonianza di chi ha riconosciuto gli aggressori. E’ stato ascoltato lo stesso Ruotolo, che ha verbalizzato la sua deposizione. “Non c’è dialogo con chi offende e con chi, addirittura, come è successo in un’intercettazione, minaccia di violentare una ragazza solo perché è ebrea”, ha detto Ruotolo, ribadendo l’orgoglio di essere “antifascista”.

Un commento di Fabio Marcelli: http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/02/12/ruotolo-ha-fatto-bene-lantifascismo-e-dovere-preciso/495922/

Foibe: nazisti e Pdl contro l’Anpi e la storica Alessandra Kersevan

Un raduno del fronte veneto skinheads

Momenti di tensione, sabato, si sono registrati al convegno sulle foibe organizzato dall’Anpi e intitolato “Fascismo, confine orientale e foibe”. Non contenti delle minacce dei giorni precedenti, che avevano già portato gli organizzatori a uno spostamento della sede dell’iniziativa, un gruppo di nazisti del “Veneto Fronte Skinheads”prima si sono presentati all’ingresso dell’ex biblioteca dove l’Anpi teneva una conferenza stampa con la storica Alessandra Kersevan, e poi di nuovo a Villa Wassermann, a Giavera, durante l’incontro pubblico. Gli estremisti di destra hanno fatto irruzione all’interno della sala, minacciato i presenti e realizzato un volantinaggio prima che alcuni carabinieri li obbligassero ad abbandonare il convegno. Nel frattempo la sala – piena, dicono i giornali locali – aveva intonato ‘Bella Ciao’ e slogan antifascisti.
Poco dopo all’iniziativa, in cerca anche loro di visibilità, si sono presentati alcuni esponenti della Giovane Italia, movimento giovanile di estrema destra interno al Pdl. Guidati dal loro presidente provinciale Claudio Borgia hanno tentato anche loro di entrare all’interno di Villa Wassermann per volantinare e megafonare, ma i carabinieri ancora presenti li hanno invitati a desistere.
Già nei giorni scorsi le minacce e le proteste dell’estrema destra nei confronti dell’iniziativa sulle foibe controcorrente rispetto alla vulgata comune, avevano convinto il sindaco di Montebelluna Marzio Favero a revocare la concessione dell’auditorium della biblioteca di Montebelluna tanto da costringere l’Anpi a chiedere e trovare ospitalità a Giavera, dove il sindaco Fausto Gottardo aveva concesso la sala di villa Wassermann. «La nostra intenzione era di fare un sit in dalle 15 davanti alla biblioteca per indirizzare quanti arrivavano al municipio» spiega un po’ sconsolato il presidente dell’Anpi di Montebelluna, Sergio Brunello, «ma non siamo riusciti a trovare nessuno in municipio per avere l’autorizzazione alla manifestazione, la Digos ci ha fatto poi presenti i problemi di ordine pubblico che potevano sorgere per la presenza di Forza Nuova con un suo gazebo, a quel punto abbiamo trovato la disponibilità di villa Wassermann per il convegno e quindi lo spostiamo lì e al posto del sit-in faremo una conferenza stampa nella nostra sede». (dal sito www.pane-rose.it)

Il caso Montebelluna dal sito www.diecifebbraio.info:

http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2013/02/GIORNO-DEL-RICORDO-A-MONTEBELLUNA..pdf

Coerenza antifascista

Manifesto elettorale stile casapound

Tante strette di mano fra i candidati alla presidenza del Lazio prima della tribuna politica organizzata dal Tgr. Tante tranne una. Sandro Ruotolo, candidato alle elezioni, ha rifiutato di stringere quella portagli da Simone Di Stefano, esponente di Casapound. “Sono orgogliosamente antifascista – ha spiegato l’ex giornalista di Servizio Pubblico – E inoltre è stato proprio un esponente di quel movimento a scatenare su Facebook alcune battute omofobe nei confronti di Nichi Vendola. Per questo niente mano”. Ruotolo si riferisce al caso di Romano Amatiello, esponente del gruppo fascista, che aveva definito “Checcus Istericus” il leader di Sel. “Non sapevo chi fosse Di Stefano finché non è venuto a presentarsi . C’erano le telecamere, si è avvicinato e voleva farsi fare una foto con me. Ma la politica non è mica una gita scolastica dove si fanno le foto di gruppo”. “Io non sono di quelli che in tv si comportano in un modo e fuori sono tutti amici. Per me l’antifascismo è un valore, ed è naturale non stringere la mano a chi si professa tale. Serve avere rispetto per gli elettori”.

La giornata del ricordo

Soldati del Regio Esercito Italiano fucilano 5 contadini di Dane (Slovenia)

Franc Znidarsic, Janez Kranjc, Franc Skerbec, Feliks Znidarsic e Edvard Skerbec: sono questi i nomi dei 5 abitanti di Dane in Slovenia fucilati dai soldati italiani il 31 luglio del 1942. Questa è una foto che trovate spesso nelle celebrazioni della giornata del ricordo e viene sempre usata in maniera sbagliata sia da fascisti e post-fascisti ma anche da istituzioni pubbliche, da comuni, province, video, siti internet e, da buon ultimo, anche da Bruno Vespa nella puntata dello scorso anno di “Porta a porta”: gli italiani nella foto sono quelli in divisa e il far passare per martiri delle foibe 5 sloveni fucilati la dice lunga sulle mistificazioni e falsità che continuano ad essere dette e scritte dai più svariati personaggi che non hanno evidentemente mai fatto una ricerca storica precisa e basata sui documenti (sono tanti ed esistono) degli archivi di stato.
Un altro caso emblematico, riportato alla nostra  conoscenza dallo storico Davide Conti, è quello di un criminale di guerra italiano, Vincenzo Serrentino, premiato nel 2007 dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nell’ambito della cerimonia annuale di conferimento della medaglia come “martire delle foibe” e che causò un incidente diplomatico con la Croazia. Nella motivazione ufficiale viene presentato semplicemente come “ultimo prefetto di Zara italiana”. In realtà Serrentino arrivò a Zara nel ’19 come ufficiale del Regio esercito e fu all’inizio degli anni ’20 tra i principali dirigenti del Fascio di combattimento di Zara. In seguito divenne tenente colonnello delle Camicie nere e dopo l’occupazione della Jugoslavia da parte delle truppe dell’Asse fece parte del Tribunale speciale per la Dalmazia, l’organo di “giustizia” che serviva a dare una copertura giuridica alle rappresaglie contro il movimento partigiano. Per questo la Jugoslavia inserì il Serrentino, assieme agli altri suoi colleghi del Tribunale speciale, nella lista di criminali di guerra italiani presentata alle Nazioni Unite. Lui fu però uno dei rari criminali di guerra che gli jugoslavi riuscirono a catturare e portare davanti a un tribunale. Venne infatti giudicato a Sebenico e condannato a morte, sentenza che venne eseguita il 15 maggio del 1947. Cosa ricordiamo nella giornata del ricordo?

Dossier Dane sull’uso della foto (dal sito www.diecifebbraio.info):  https://docs.google.com/file/d/0B2Fig3cDXuVMZ2FoNXVYdjNJemc/edit?usp=sharing

Dossier premiazioni:  https://docs.google.com/file/d/0B2Fig3cDXuVMM3VOdTBrVS1KekU/edit?usp=sharing

Alessandra Kersevan sulla verità storica delle foibe:

Fogli della memoria

Vi presentiamo il “foglio della memoria” di Damiano Salaroli della classe 3^ A In dell’Istituto Tecnico “P. Levi” di Mirano, che ha vinto il premio ANPI 2013 “Dalla consapevolezza emotiva alla consapevolezza critica”, consegnato allo studente dal Segretario della sezione di Mirano, Bruno Tonolo.

“Dicono che il sole splenda per tutti
Ma nel mondo di alcuni non splende affatto
Dicono che l’amore sia un flusso
Che troverà la sua strada
Alcuni pensano che la vita sia un sogno
Così fanno le cose peggiori.”
(Bob Marley)

Mentre ero nei due Campi, ho riflettuto molto sul presente e sul futuro; mi sono chiesto: cos’ha imparato l’uomo da questo orribile fatto? Mi permetto di dire Niente, niente a confronto di ciò che è successo. La storia ci insegna, o meglio, ci dovrebbe insegnare molte cose ma purtroppo l’essere umano è ottuso, è spento, privo di una propria cultura e tutto ciò mi fa paura. Questa guerra mi ha fatto capire che l’uomo pensa solo a se stesso, che pensa a riempirsi la propria pancia piuttosto che la mente, pensa a riempirsi il proprio portafogli piuttosto che la propria anima. Ricordare serve, ma il ricordo da solo non basta, deve essere accompagnato da ideali nuovi, totalmente contrari a quelli di una volta perché sono convinto che nella parola “dittatura” si sia aggiunto un nuovo significato, ora viviamo in una dittatura intellettuale nascosta, che piano piano si insidia dentro di noi. Le informazioni di parte, molto spesso false, la falsa libertà di stampa, l’ipocrisia di chi ci governa, ma soprattutto ci stanno e ci stiamo togliendo la libertà, quella libertà che è stata conquistata con il sangue dai nostri Partigiani e scritta nella Nostra Costituzione. Stiamo perdendo i veri valori, più le generazioni vanno avanti e più tutto diventa superficiale. E’ facile ricordare che gli ebrei non erano liberi di avere una propria identità, di vivere in una propria casa, di avere un proprio lavoro ma soprattutto non avevano la libertà di dire: “Sì, io ci sono!”. Noi non pensiamo che dobbiamo tenerci strette le nostre libertà, libertà che purtroppo si stanno perdendo. Ci basta chiedere un tetto, avere un bel telefono, guardare la partita di calcio alla domenica e andare due giorni al mare ma il resto ci può essere anche negato. Ognuno di noi dal Genocidio dovrebbe avere un occhio molto più critico, dovrebbe sapere arrabbiarsi e dire: “Sì, io ci sono!” perché la nostra fortuna più grande è questa, è poter pensare con la propria testa ed esprimere la propria opinione.

“Mi fa bene comunque illudermi
che la risposta sia un rifiuto vero
che lo sfogo della tolleranza prenda consistenza
e ridiventi un coro.”
(Giorgio Gaber)

Nuto Revelli

Nuto Revelli nasce a Cuneo nel 1919. Ufficiale degli alpini, visse la tragedia della campagna di Russia e della ritirata, documentandola nel diario “Mai tardi”. Salito in montagna dopo l’8 settembre, diresse una delle più attive formazioni partigiane del Cuneense: questa esperienza è riflessa nel volume “La guerra dei poveri”. Ha raccolto nel volume “La strada del Davai” le testimonianze orali di quaranta reduci della Cuneense e, nell’ “Ultimo fronte” le lettere di soldati caduti o dispersi nella seconda guerra mondiale. Nel 1977 scrisse “Il mondo dei vinti”, una raccolta di testimonianze orali la cui idea risale ai mesi della guerra partigiana: far parlare “quelli che non sapevano”, i “vinti”, i contadini e i montanari delle zone depresse del Cuneense, gli emarginati, i dimenticati di sempre. Storie di guerra, di lavoro, di emigrazione, storie vere del mondo contadino fotografato nella sua dura realtà quotidiana: pagine che costituiscono un atto di accusa per un genocidio silenzioso attuato nell’indifferenza di tanti e che costituiscono la preziosa documentazione di una civiltà e di una cultura ormai passata.

“Una società che abbandona al proprio destino le sacche di depressione e miseria, che soffoca le minoranze, è una società malata”

Nessuno ha voluto accompagnare i contadini nella Storia come protagonisti. Il “mondo dei vinti” è stato lasciato in disparte, utile serbatoio di soldati inconsapevoli, di manodopera strappata al suo ambiente naturale, di docili elettori. Nuto Revelli ha raccolto queste testimonianze per trasformare in una lezione per il presente (di consapevolezza critica, di autocoscienza) l’esperienza di “quelli che non sapevano”.
Nuto è morto a Cuneo il 5 febbraio 2004.

Un calcolo approssimativo dice che nell’estate 1944 operano nel Cuneese seimila partigiani. Ogni giorno i «Notiziari dell’attività ribellistica», compilati dal prefetto fascista e inviati al Ministero dell’Interno, al Quartier Generale, al Capo della Polizia, registrano decine di «colpi di mano», di azioni e sabotaggi compiuti dai «fuorilegge», dai «banditi», dai «ribelli». Ormai i fascisti si sentono assediati, chiusi in una morsa tremenda, e rispondono come sempre con le rappresaglie, con le torture, i massacri, gli incendi. I fascisti guardano ogni notizia, ogni fatto, con la lente di ingrandimento. Senza una massiccia presenza dei tedeschi si sentono perduti, impotenti.
I rastrellamenti dell’estate-autunno incidono di nuovo sul morale delle popolazioni. L’inverno 1944-45 si presenta durissimo. Nel cuore del’inverno le brigate partigiane che operano nelle valli, nelle immediate retrovie del fronte alpino, devono smistare verso le Langhe una parte delle loro forze.
Poi la primavera 1945, poi i giorni del 25 aprile, con le popolazioni protagoniste nella battaglia della Liberazione. II prezzo pagato dalla nostra gente, il prezzo visibile, è scritto sulle lapidi, sui cippi disseminati a centinaia nelle valli, in pianura, nelle Langhe. Sono duemila i nostri Caduti in combattimento, gli impiccati, i morti sotto le torture, i morti nei campi di sterminio e nei campi di prigionia tedeschi. Molti di questi Caduti sono contadini, anche se le lapidi e i cippi non lo dicono.” (dall’introduzione a “Il mondo dei vinti”)

I testimoni si dilungano nell’inventariare e descrivere i nascondigli dei «renitenti». Ma una cosa non la dicono, forse perché la ignorano, forse perché fingono di ignorarla. Non dicono che la sicurezza delle «tane» che ospitavano i «renitenti» era tutta e soltanto nella forza, nella presenza attiva dei partigiani. Senza la presenza attiva dei partigiani, i tedeschi e i fascisti avrebbero stroncato il fenomeno della renitenza nel giro di dieci giorni.
Tutti gli eccidi, tutte le rappresaglie, sono scolpiti nella mente dei testimoni. Salvi, Frezza, Ronza, Ferrari, Brachet, Pavan, Pocar, Languasco, Gagliardi, Rossi, sono ancora simbolo del terrore. Non per niente i testimoni, quando descrivono le imprese dei Salvi o dei Languasco, tremano, si emozionano. Raccontano, ed è come se rivivessero un brutto sogno, come se disegnassero un ex voto. Hanno paura a parlare dei fascisti e del fascismo, come se ne temessero il ritorno! Soltanto i congiunti dei partigiani, soltanto i congiunti dei fucilati e degli impiccati, quando raccontano vanno oltre l’episodio, e mi parlano senza mezze parole del fascismo di ieri e di oggi. Lorenzo Falco, ex partigiano, sopravvissuto ai campi di sterminio, non esita, mi dice: « Il fascismo di oggi è solo il risveglio della morte». (dall’introduzione a “Il mondo dei vinti”)

http://www.nutorevelli.org/biografia.aspx

La canzone “Pietà l’è morta” con parole di Nuto Revelli: