Il 10 marzo 1945, furono dieci i partigiani impiccati al Bosco delle Castagne: Mario Pasi “Montagna”, Giuseppe Santomaso “Franco”, Francesco Bortot “Carnera”, Marcello Boni “Nino”, Pietro Speranza “Portos”, Giuseppe Como “Penna”, Ruggero Fiabane “Rampa”, Giovanni Cibien “Mino”, Giovanni Candeago “Fiore” e Ioseph, un soldato francese. In memoria di quei fatti, domenica alle 10, si svolgerà la cerimonia commemorativa presso la stele al Bosco delle Castagne.
Questo il ricordo del fatto nelle parole di Giovanna Zangrandi nel libro “I giorni veri. Diario della Resistenza”:
Belluno, marzo 1945
Nella cucina del recapito 67 c’era traffico stamane, anche una certa euforia, c’erano diversi comandanti che parlavano di faccende, Carlo, Gianni e degli altri. C’era Burrasca che raccontava con enfasi il colpo fatto da Radiosa Aurora: l’altra notte andarono nel Bosco delle Castagne a mettere delle mine legate a cartelli con su «abbasso Hitler» e abbasso altre cose del genere là dove i tedeschi fanno i tiri. Eccoli infatti al mattino, arrivarono ben marciando e videro, tentarono di cavare gli indegni cartelli: kaputt un po’ di loro.
Ma adesso qualcuno è salito di corsa al 67, ha fiato in gola; dice che sta arrivando una colonna tedesca e che sta parandosi avanti dieci ostaggi dei nostri prelevati nelle carceri. Uno lo trascinano inerte su di una scala, forse è Montagna. Dieci dei nostri li portano al Bosco delle Castagne e non c’è bisogno di dirsi di più.
Montagna è un medico di Ravenna, arrivò qui con i primi organizzatori, lo presero e l’hanno torturato e torturato perché non parlava. Dopo il colpo grosso alle carceri nella scorsa primavera, dopo l’altra evasione rocambolesca di Attilio Tissi, un terzo colpo a Baldenich era impossibile. Hanno torturato Montagna fin che le piaghe delle botte gli hanno fatto marcio e cancrena; dentro un pezzo di pane è riuscito a mandar fuori un biglietto: «Compagni; mandatemi del veleno, non posso più…»; l’ho visto quel biglietto, scritto storto a matita, se vivrò ricorderò fino all’ultimo barlume quella riga e mezza a matita.
E adesso lui e gli altri nove per rappresaglia. I nostri comandanti e alcuni ragazzi corrono come matti, ma è impossibile far niente: se danno battaglia, se sparano, i tedeschi si mettono davanti i nostri e li sparano.
Questo greto sassoso di fiume bruciato e si corre tra i sassi, si corre come bestie impazzite, si vorrebbe far qualcosa e si corre.
La colonna verdognola avanti, tra gli alberi ancora spogli: si sono sentiti dei comandi rapidi, lontano tra gli alberi.
Si sono visti i nostri alzarsi, tirati su, a due a tre per albero, sulla collina; non sappiamo quale sia Montagna e i nomi esatti degli altri, dieci sono, dai tronchi sbuca un piede, una testa torta, uno con una maglietta a righe; in quell’albero che ne porta tre forse c’è anche il ragazzo dell’Ada, non conta chi sia, sono dieci e adesso sono ormai fermi come i tronchi che li portano.
Uno ha detto: «Far fesserie non serve. Ormai…». Un altro: «Andarsene noi vivi, pochi e quasi disarmati, restar vivi per ucciderli bene, quelli».
Il biglietto menzionato dalla Zangrandi è quello riprodotto in apertura: è di Mario Pasi, antifascista, medico e dirigente partigiano, delle formazioni operanti nel bellunese. Catturato dalle SS alla fine del 1944, fu torturato e seviziato per quattro mesi e ridotto in fin di vita dal famigerato tenente Georg Karl, comandante della Gestapo di Belluno, ma rifiutò sempre di fornire informazioni. Fu fatto trasportare dai suoi stessi compagni perché non camminava nemmeno più, con le gambe fracassate dalla bastonate, una già divorata dalla cancrena. Questa è una poesia di Mario Tobino, anche lui partigiano combattente, dedicata a “Montagna”:
Il Pasi era un giovanotto
veniva dalla Romagna,
insieme eravamo giovani,
si camminava muovendo le spalle,
le donne avean per noi debolezza.
Lui lo impiccarono i tedeschi
dopo sevizie che non ho piacere si sappiano,
io ho un cappotto di anni,
ma, o Pasi, sei stato
il piu bell’italiano di mezzo secolo.