concetto marchesi – ANPI Associazione Nazionale Partigiani d'Italia – Sezione del Miranese "Martiri di Mirano" http://anpimirano.it Thu, 04 Dec 2014 05:25:00 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 13529763 Una lettera di Vittoria Giunti http://anpimirano.it/2014/una-lettera-di-vittoria-giunti/ Thu, 04 Dec 2014 05:25:00 +0000 http://anpimirano.it/?p=6251 Leggi tutto "Una lettera di Vittoria Giunti"]]> copertina libro vittoria-giunti pagina 3

Era il 1943 nel mese di settembre. L’8 settembre io ero a Milano, nell’attività di lavoro politico.
All’annuncio del proclama di Badoglio: “La guerra continua” fu chiara la necessità di organizzare la difesa contro l’inevitabile occupazione tedesca. Accompagnai il comando militare del C.N.L dal generale Ruggero per formare la Guardia nazionale. Ma rifiuterà ogni aiuto. Il giorno dopo lo vedemmo consegnarsi al comando tedesco.
Ricordo una Milano deserta, tra le macerie dei bombardamenti, la piazza del Duomo: con i soldati usciti dalle caserme, sbandati, un camioncino carico di armi e in piedi, sul piedistallo del monumento, il compagno Li Causi che teneva un comizio. Finchè, al termine delle sue parole, dei compagni fermarono un camion di passaggio e vi fecero salire i giovani lì presenti e ripartirono: era cominciata la Resistenza. Le prime organizzazioni partigiane furono quelle del “Pizzo d’Erna” sopra la montagna di Como. I tedeschi stavano ormai occupando tutta la città e avevano ucciso già un operaio nella repressione di uno dei tentativi spontanei di difesa armata vicino alle fabbriche.
Fu dopo quei giorni che ebbi l’incarico di andare a Padova per prendere contatto con il professore Concetto Marchesi, grande latinista antifascista, comunista, che era stato nominato rettore, dopo il 25 luglio, all’università di Padova dal generale Badoglio. E dopo l’otto settembre aveva lanciato agli studenti un appello molto coraggioso. Ne ricordo le prime parole. “Giovani, una generazione di uomini ha distrutto la vostra giovinezza e la patria. Ci ha lasciato fra un cumulo di rovine. Da queste rovine dovete, con l’impeto della fede e il coraggio dell’azione ricomporre la vostra giovinezza e la vostra Patria”. L’appello aveva avuto una grande eco, l’avevamo distribuito anche a Milano in centinaia di copie, ma i fascisti l’avevano accusato e dato il pericolo che correva chiesi di organizzare il suo passaggio sicuro alla clandestinità a Milano.
Riuscii a prendere un treno in una mattina fredda e piovosa. Pensavo, nonostante gli inevitabili ritardi, di arrivare in pieno giorno, invece il treno corse per un ora e poi si fermò in piena montagna. Si sentivano gli aerei volare bassi e da una stazione usciva la sirena dell’allarme aereo. Si aprirono gli sportelli e ci sparpagliammo per i campi. Il tempo passava, poi finalmente la locomotiva fischiò, i viaggiatori risalirono e il treno ripartì, per fermarsi di nuovo. Oramai si era fatta sera. Arrivammo a Padova di notte, le poche persone scese dal treno si dispersero e io rimasi sola fuori dalla stazione: c’era l’oscuramento ed era già il coprifuoco. Ed io ero lì con uno zaino pieno di documenti e di stampa politica, con tutti i miei appuntamenti saltati. E allora feci quello che avevo fatto altre volte. Quando da li a poco passò una ronda tedesca mi avvicinai a loro, prima che loro fermassero me, spiegai in qualche modo la mia situazione e furono loro a condurmi in una specie di pensione piena di altra gente dove passai la notte su di una poltrona.
Ero preoccupata perché, senza volerlo, avevo mancato il mio compito. Il collegamento che avrei dovuto avere era con una persona che avrebbe dovuto trovarsi in un negozio ed io avevo perso questo appuntamento e l’indomani era domenica e l’attività sarebbe stata chiusa. Avevo davanti a me un’intera giornata da consumare. M’invase una grande tristezza e un terribile senso di vuoto. Nella clandestinità i collegamenti sono la rete di sicurezza, le tappe obbligate di un cammino che si è scelto ma ha bisogno di solidarietà per essere seguito con coraggio. Senti che la tua forza è centuplicata dalla presenza degli alti: degli altri non devi conoscere il nome, devi dimenticare il volto che hanno, ma sai che ci sono, sono tanti, sono vicino a te, solidali, amici, fratelli, compagni. Ecco, quella mattina mi sembrava di aver perso tutto questo, di essere sola in un grande vuoto.
Non conoscevo Padova e uscii per le sue strade. Ricordo che mi fermai al bar Pedrocchi di letteraria memoria coi suoi tavolini di marmo e le sedie settecentesche. Poi ripresi a camminare finchè arrivai a un piccolo edificio coperto tutto da sacchi di sabbia, la difesa ben poco sicura che si faceva alle opere d’arte. Su di un sacco una tabella indicava “Cappella degli Scrovegni”. Sapevo di cosa si trattava e poiché era miracolosamente aperta, entrai. Fuori l’aria era piena di nebbia e il cielo grigio era rotto solo dal rombo degli aerei ma quando entrai mi accolse la luce dei cieli azzurri di lapislazzuli, dal fondo dei colori abbaglianti una folla di personaggi straordinari mi venne incontro e non fui più sola. Li volli conoscere uno per uno poi mi fermai a guardare “L’Ultima cena”. Il Cristo tiene gli occhi fissi sui discepoli e oltre: vede, condanna e perdona nello stesso tempo. E’ un uomo che è diventato Dio perché ha la sua conoscenza della sua sorte ma nemmeno come Dio la può evitare. In quel momento mi sembrò di capire il tempo che vivevo, la guerra che dovevo combattere e capovolgere, ma anche la guerra come tragedia che dovevo vivere. C’erano in vendita delle fotografie: comprai quelle del volto del Cristo e della Madonna. Le misi nel mio sacco da montagna, sopra il doppio fondo, ingenuo e ben poco sicuro, nascondiglio delle mie carte insieme ai pochi indumenti, ad un’edizione in piccolo della Divina Commedia e alla poesia di Montale “ Forse un mattino, andando in un aria di vetro, vedrò compirsi un miracolo….”.

Di quale miracolo? Forse non lo pensavamo nemmeno perché quello che vivevamo era solo il tempo dell’attesa. Un tempo sospeso dove agivamo per costruirci “un mondo migliore”. Le immagini del Cristo e della Madonna non erano per me immagini religiose, non ero e non sono credente, ma mi accompagnavano nei miei viaggi.

Concetto Marchesi riparò a Milano dove fece parte del Comitato di Liberazione Nazionale insieme a Giorgio Amendola come rappresentante del Pci, per trasferirsi poi in Svizzera dove creò un efficace collegamento fra le forze partigiane e gli alleati.

Io continuai a viaggiare e combattere. Da lì a poco il miracolo sarebbe avvenuto, costruito non da Dio ma dagli uomini e donne di questo strano ma splendido paese.

Vittoria Giunti

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All’Università di Padova rivive il discorso di Concetto Marchesi http://anpimirano.it/2013/alluniversita-di-padova-rivive-il-discorso-di-concetto-marchesi/ Wed, 04 Dec 2013 16:30:11 +0000 http://anpimirano.it/?p=5267 Leggi tutto "All’Università di Padova rivive il discorso di Concetto Marchesi"]]>
Concetto Marchesi pronuncia il suo discorso

Quando Concetto Marchesi morì, nel 1957, e il parlamento italiano si fermò per commemorarlo, tutti gli intervenuti, da Togliatti a Bettiol, centrarono il loro intervento su due episodi: straordinari, pur all’interno di una vita straordinaria. Domani questi due episodi rivivranno concretamente, a set­tanta anni di distanza, negli stessi luoghi in cui si svolsero. Tutto comincia il 9 novembre del 1943 e finisce il 5 dicembre dello stesso anno. Padova è appena entrata a far parte della Repubblica di Salò. Concetto Marchesi, grande latinista, è il nuovo rettore dell’Università, nominato da Badoglio e lasciato in carica dal nuovo governo mussoliniano. È l’inaugurazione dell’anno accademico, Marchesi tiene un discorso che, pur non esplicitamente, suona all’orecchio di chi ascolta come un alto richiamo a valori di libertà, di giustizia che sono contrapposti a quelli dello stato nazifascista.
Marchesi parla dopo aver fatto cacciare dall’aula studenti in divisa della milizia fascista e parla davanti al nuovo ministro dell’Educazione Nazionale nominato da Mussolini, Carlo Alberto Biggini. Un caso unico, una sfida intollerabile per fascisti come Alessandro Pavolini, che ne vuole a tutti i costi la testa, non solo metaforicamente. Ma mentre il fascismo prende le sue decisioni Marchesi rimane al suo posto, quasi per un mese, anche contro l’opinione del Partito Comunista di cui era membro, perché vuole difendere gli studenti e i professori dell’Università. Il 1 dicembre però le cose precipitano, Marchesi è costretto alla clandestinità, ma fa ancora in tempo a lanciare un appello agli studenti, che viene distribuito di mano in mano il 5 dicembre: “Una generazione di uomini ha distrutto la vostra giovinezza e la vostra Patria…, non lasciate che l’oppressore disponga ancora della vostra vita, fate risorgere i vostri battaglioni, liberate l’Italia dalla servitù e dalla ignominia”. È la prima esplicita chiamata alle armi per la Resi­stenza italiana. Per i settantanni di questi avvenimenti, l’Università di Padova ha pensato a qualcosa di nuovo e di diverso. Non la commemorazione, non il ricordo, ma la riproposta teatralizzata di quegli eventi. Alle 10.30 di giovedì 5 dicembre, nell’Aula Magna del Bo rivivranno il discorso inaugurale del 9 novembre e l’appello agli studenti, riproposti non da attori ma da professori dell’Università patavina. A chiudere un intervento di Carlo Fumian – docente di Storia Contemporanea – e del Rettore attuale, Giuseppe Zaccaria. «Non volevamo», racconta Carlo Fumian, «proporre agli studenti i soliti interventi sulla figura di Marchesi. Abbiamo pensato che fosse giusto porre l’accento su quello che stava avvenendo in quei giorni. Sulle decisioni irrevocabili che gli studenti erano costretti a prendere . Oggi può sembrarci facile, ma in quei giorni del ’43 chi sceglieva non sapeva cosa sarebbe successo, non poteva prevedere come sarebbe finita. L’appello di Marchesi è ancora oggi un testo emozionante, di una grande forza, che è giusto far ascoltare ai giovani».
Non per nulla Togliatti sottolineava – nel ricordo – la voce di Marchesi “che dava alle parole una potenza nuova e incideva negli animi”, una voce “precisa, dura, spietata perfino”. Una voce che apre una guerra. «È un caso unico», dice Fumian, «in nessun altro posto l’Università si è posta alla guida della lotta contro il nazismo e il fascismo. Lo raccontiamo attraverso le testimonianze di Bruno Trentin e Maria Carazzolo, che erano nell’Aula Magna il 9 novembre e poi aderirono all’appello. Trentin aveva diciassette anni e teneva un diario. Dopo aver ascoltato Marchesi scrive due sole ultime righe: tempo scaduto. Adesso all’opra».
Bruno Trentin, poi grande sindacalista, non fu l’unico a raccogliere l’appello. Furono molti ad ascoltare Marchesi che li invitava a prendere le armi per aggiungere “al labaro della vostra Università la gloria di una nuova e più grande decorazione in questa battaglia suprema per la giustizia e per la pace  del mondo”. (di Nicolò Menniti-Ippolito da “La Nuova Venezia” del 4-12-13)

I particolari della giornata del 5 dicembre all’Università di Padova: http://unipd-centrodirittiumani.it

Il discorso di Concetto Marchesi (e una sua biografia):

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