NO! a via G. ALMIRANTE
L’A.N.P.I del miranese, si rivolge ai cittadini di Mirano che credono nei valori della Costituzione Repubblicana, nata dalla Lotta di Liberazione, perché sottoscrivano il presente appello per dimostrare pubblicamente tutta la loro indignazione per la provocatoria decisione presa dall’attuale giunta, di dedicare una strada a Giorgio Almirante, firmatario delle leggi razziali nel 1938, fucilatore di partigiani e protagonista, negli anni del dopoguerra, di squallidi tentativi di ricostituzione del disciolto partito fascista.
Solo una ferma e unitaria mobilitazione di tutte le forze antifasciste, laiche e cattoliche, in nome di quanti lottarono e morirono per la libertà di tutti, potrà impedire che una così vergognosa decisione arrivi ad offendere Mirano città Martire della Resistenza e la memoria dei suoi figli.
Proprio in nome di questa memoria, che ci tramanda storie e valori come eredità per le giovani generazioni, chiediamo che la Giunta ritorni sulla sua decisione e scelga di intitolare le nuove strade ai miranesi che in quel 17 gennaio del 1945 furono fucilati presso le mura del cimitero di Mirano: Michele Cosmai, Aldo Vescovo,Luigi Bassi, Ivone Boschin, Dario Camilot, Primo Garbin, Gianmatteo Zamatteo.
La storia recente di Mirano fornisce altri esempi di uomini e donne che seppero esprimere nei confronti del nostro territorio amore e dedizione al bene comune: amministratori e personalità del mondo culturale e del volontariato, che meritano la riconoscenza simbolica che l’intitolazione di una via può rappresentare. I miranesi che ora godono della loro eredità , nella città che essi hanno contribuito a disegnare, farebbero bene a ricordarne i nomi nelle strade per conservarvi il ricordo e l’esempio.
Facciamo sentire alta la protesta: FIRMIAMO!
(cliccare per scaricarlo, stamparlo, firmarlo e farlo firmare)
piuttosto una via ai fratelli Cervi!
scusate ho postato male anche una via ai fratelli Cervi, più quella ai miranesi chiaramente, facciamo rivivere la memoria del nostro recente passato e di questi eroi
Replica Enzo 7 marzo 2011 15:16 pm
Perché una via per Almirante: diciamo qualcosa di lui.
Giorgio Almirante: figlio d’arte, figlio del regista di Eleonora Duse.
Nato a Salsomaggiore nel 1914, a Torino conseguì la licenza liceale e alla Sapienza di Roma il dottorato in Lettere Classiche. Fu giornalista e redattore capo del quotidiano romano “Il Tevere”. Partecipò alla seconda guerra mondiale sul fronte nord africano come tenente di fanteria e fu decorato con la croce di guerra al valor militare. Dopo l’8 settembre 1943 aderì alla Repubblica Sociale Italiana e fu segretario personale di Fernando Mezzasoma. Dall’aprile del 1945 al settembre del 1946 fu latitante per sfuggire alle persecuzioni dei CLN e per vivere fece anche il venditore ambulante. Con alcuni reduci fondò nel 1946 il Movimento Sociale Italiano e ne fu il primo segretario nazionale. Fu eletto deputato nel 1948 e da allora ha sempre lasciato al Partito metà dello stipendio come lasciò tutto ciò che ereditava anche personalmente. Quel giovane che rifiutò la droga badogliana, che rifiutò la droga partigiana, quel ragazzo coraggiosamente volontario a Salò dove poteva solo perdere e morire per onore e fedeltà a un’dea, a una grande idea (non consegnare mai la Patria Italiana al capitalismo plutocratico d’oltreoceano e alla barbarie comunista, a quel materialismo bruto o capitalismo oligarchico di Stato ancor più feroce) seguì una concezione spirituale della vita e la socializzazione delle imprese in economia (cogestione e partecipazione degli operai agli utili).
Il finimondo per un articoletto, il pelo nell’uovo per demolire Giorgio Almirante
L’unico modo per denigrare Almirante è quello di chiamarlo “razzista” per un articoletto apparso sul “Tevere”. Ovviamente non dicono che Almirante fu un giovane di fede e coraggio, volontario a Salò dove si poteva solo morire per una guerra già perduta in difesa strenua della tradizione patria. Come non dicono che proprio Almirante a Salò salvò intere famiglie ebraiche nascondendole dove poteva. Un articolo come il quale ne furono scritti a gettito quotidiano anche da “fascisti” di comodo che dopo la guerra come per un incanto si ritrovarono rinnennegati e rinnegatori del loro passato in camicia nera. Un articoletto quindi, “parole” ma nessuna realtà. Vediamo ora quel che scrissero i voltagabbana, gli opportunisti, i verginelli. Fanfani Amintore (politico DC, partecipò, quale esaminatore, ai Littoriali e fu autore di testi di economia fascista, scriveva che era necessaria una politica razziale che sancisse la “separazione dei semiti dal gruppo demografico nazionale” poiché “per la potenza e il futuro della nazione gli italiani devono essere razzialmente puri”, partecipa ai Littoriali del 1935 e nel 1932 al Convegno studi Corporativi a Ferrara, nel 1941 scrive un libro ” Il significato del Corporativismo” edito a Como in cui esalta “ i legami che vincolano virtù civica, valore militare, sanità di razza, sentimento religioso, amor di patria”). Bocca Giorgio (giornalista addetto al CINEGUF di Cuneo, fra gli scritti che sostennero la propaganda razzista in Italia, la Mostra elenca quelli di Giorgio Bocca il quale scrive, nel 1942, sul giornale della Federazione Fascista ”sarà chiara a tutti, anche se ormai i non convinti sono pochi, la necessità ineluttabile di questa guerra, come ribellione dell’Europa ariana al tentativo ebraico di portarla in stato di schiavitù”, in “La Provincia Granda” del 4 Agosto 1942 Bocca scrive “questo odio degli ebrei contro il Fascismo è la causa prima della guerra attuale, la vittoria degli avversari solo in apparenza, infatti, sarebbe una vittoria degli ebrei, a quale ariano, fascista o non fascista, può sorridere l’idea di dovere, in un tempo non lontano, essere lo schiavo degli ebrei?” Giorgio Bocca a 18 anni ottiene la tessera del PNF (Partito Nazionale Fascista), sottoscrive il Manifesto in difesa della razza italiana, fortemente voluto da Benito Mussolini per compiacere l’alleato tedesco, ancora nell’agosto del 1942, giovane giornalista fascista, scrive un notabile articolo in cui imputa il disastro della Guerra alla congiura ebraica, il 5 gennaio 1943 denuncia alla polizia fascista l’industriale Paolo Berardi che, in un treno, ha l’infelice idea di dire ad alcuni reduci dal fronte russo e dalla Francia “che la guerra è ormai perduta”. Dopo l’8 settembre 1943 passa alla Resistenza). Lizzani Carlo (regista e sceneggitore, si devono al suo “genio” i più noti film di contenuto propagandistico, ma durante la guerra aveva collaborato con “Roma Fascista”, scrivendo tra l’altro del suo “modo di vita tutto informato a concetti unitari e a intransigenza fascista”, in particolare recensì il kolossal nazista di propaganda razzista intitolato “L’ebreo Suss” in questi termini: “possiamo definire “L’ebreo Suss” come un film ottimamente riuscito”).
Garrone Galante (nel 1940 Alessandro Galante Garrone, giovane giudice del Tribunale di Torino, elaborava un commento a una sentenza nella quale indicava i requisiti per essere ascritto alla razza ebraica). Scalfari Eugenio (su “Roma Fascista”, nel 1942, quattro anni dopo le leggi razziali, inveì contro tutti quelli che non condividevano “il nostro nazionalismo” e la “guerra rivoluzionaria”, dichiarò elogio al Duce e al Fascismo dicendo “gli imperi moderni quali noi li concepiamo sono basati sul cardine della razza). Moro Aldo (politico democristiano, partecipa ai Littoriali del 1935, iscrivendosi al corso “Per una rigenerazione fisiologica del nostro popolo” e a Palermo nel 1938 al Convegno Nazionale del PNF scrive su “Civiltà Fascista”, dichiara elogi al Duce e dice “la razza è l’elemento biologico il quale, creando particolari affinità, condiziona l’individuazione del settore particolare dell’esperienza sociale come primo elemento discriminativo della particolarità dello Stato”).
Una via per Almirante: diciamo qualcosa di lui.
Giorgio Almirante: figlio d’arte, figlio del regista di Eleonora Duse.
Nato a Salsomaggiore nel 1914, a Torino conseguì la licenza liceale e alla Sapienza di Roma il dottorato in Lettere Classiche. Fu giornalista e redattore capo del quotidiano romano “Il Tevere”. Partecipò alla seconda guerra mondiale sul fronte nord africano come tenente di fanteria e fu decorato con la croce di guerra al valor militare. Dopo l’8 settembre 1943 aderì alla Repubblica Sociale Italiana e fu segretario personale di Fernando Mezzasoma. Ingiustamente accusato di razzismo per un articolo scritto sul “Tevere”, salvò dai nazisti intere famiglie di ebrei nascondendole dove poteva e proprio a Salò: al contrario di gente come Bocca ed Eugenio Scalfari che scrissero di razzismo per viscido ossequio al Fascismo. Dall’aprile del 1945 al settembre del 1946 fu latitante per sfuggire alle persecuzioni dei CLN e per vivere fece anche il venditore ambulante. Con alcuni reduci fondò nel 1946 il Movimento Sociale Italiano e ne fu il primo segretario nazionale. Fu eletto deputato nel 1948 e da allora lasciò al Partito il suo guadagno come lasciò quel che ereditava anche personalmente. Quel giovane che rifiutò la droga badogliana, che rifiutò la droga partigiana, quel ragazzo coraggiosamente volontario a Salò dove, con il nemico di fronte e il traditore alle spalle, poteva solo morire per onore e fedeltà a un’dea, a una grande idea (non consegnare mai la Patria Italiana al capitalismo plutocratico d’oltreoceano e alla barbarie comunista, a quel materialismo bruto o capitalismo oligarchico di Stato ancor più feroce) seguì una concezione spirituale della vita e la socializzazione delle imprese in economia (cogestione e partecipazione degli operai agli utili).
Il bando di fucilazione (Grosseto anno 1944)
Questo bando riguarda un paesino sperduto nella provincia di Grosseto: è un bando di amnistia o di “perdono” che dir si voglia: in sostanza dice che saranno fucilati quei partigiani che non si presenterannno entro una data prestabilita.
Il bando riporta la firma “stampata” di Giorgio Almirante per conto del suo Ministro a Salò Fernando Mezzasoma. Almirante, come sua coraggiosa abitudine, non si nasconde e adisce le vie legali.
Ebbene:
1) sono stati fucilati quei partigiani nominati?
2) per il ruolo che ricopre a Salò (collaboratore di Mezzasoma) non può firmare neanche un manifesto di propaganda: immaginate se può firmare un bando di fucilazione riservato rigorosamente a Mussolini, al maresciallo Graziani e al Ministro della Giustizia Pisenti
3) la firma è stampata (ripeto: stampata e non autografa)
4) Almirante, benché possa non farlo, adice le vie legali
5) ottiene tre sentenze favorevoli dal Tribunale di Reggio Emilia e poi è assolto dal Tribunale di Roma per inautenticità di firma e documento
6) la notizia esce a una distanza di quasi 30 anni: il 21 giugno 1971 e, vedi caso, dopo otto giorni da un clamoroso successo elettorale del MSI e con epiteti come “fucilatore”, “assassino”, “massacratore”.
7) l’Unità scrive letteralmente: non ci siamo mai sognato di affermare che Giorgio Almirante fosse un fucilatore
8) siamo agli inizi degli anni settanta, proprio quando i partiti dell’arco costituzionale tentano in ogni modo (non ci riescono) di sciogliere il MSI (ripeto: i “partiti”, non il popolo elettore cui compete sciogliere democraticamente)
9) proprio nel tempo in cui morivano assassinati e bruciati vivi giovani del MSI
10) e perché nulla si diceva dei partigiani stessi che fucilarano senza pietà e con processi sommari anche ragazzini d 15 e 16 anni volontari a Salò perché rei di proteggere l’Italia dalle ingerenze straniere per fedeltà all’idea fascista?
Una via dedicata a Giorgio Almirante
Mai: una via dedicata a Giorgio Almirante. Invece sì una via a Stalin, a Tito, ai gulag, alle foibe e al comunismo che siede sopra una montagna di ossa umane (95 milioni di vittime torturate e massacrate). Il finimondo per un articoletto di un giovane Almirante: articoletto, parole e non “fatti”. Guarda caso: proprio a Salò, Almirante salva un’intera famiglia di ebrei nascondendola ai nazisti: “fatti” e non parole (leggete). Ho detto: a Salò dove giovani volontari di 15 e 16 anni combatterono (per onore, fedeltà e coerenza) una guerra già persa e perciostesso con la morte sul collo per difendere l’Italia dal capitalismo plutocratico americano e dal capitalismo di Stato sovietico ancora più feroce. Leggete piuttosto quel che scrivevano sulla razza Eugenio Scalfaro, Giorgio Bocca, Aldo Moro e altri fino all’8 settembre (ovviamente): perché, appena scoccata quell’ora, tutti scapparono rinnegando come autentici codardi e viscidi opportunisti. Davvero non si capisce cosa voglia dire l’espresione “apologia di Fascismo” che circolava negli anni settanta quando l’invidiato Almirante in tutte le piazze d’Italia comiziava e, con la sua inimitabile classe oratoria, enunciava i principi del Movimento Sociale Italiano e denunciava i crimini del comunismo internazionale (95 milioni di vittime torturate e massacrate) e quelli compiuti in Patria ai militanti missini assassinati o bruciati vivi come i fratelli Mattei. Si dovrebbe quindi parlare anche di “apologia del Comunismo”? E si dovrebbe parlare anche di “apologia del sistema più corrotto e mafioso del dopoguerra o Democrazia Cristiana”? In breve: dovrebbero essere arrestati tutti (nessuno escluso). Un altro cretino luogo comune è quello di chiamare “fascista” ogni persona che “prevarica”, “impone”, “agisce con severità”, un docente che boccia chi non studia, un carabiniere che arresta un delinquente. Insomma: luoghi comuni, cretinate e ignoranza. Ecco il punto: ignoranza storica.
Il Fascismo da San Sepolcro a Salò (in una definizione storicamente e scientificamente fondata) è un modello politico italiano che basa la sua dottrina social nazionale su 5 punti cardini:
1) difesa della tradizione e della identità patria contro ogni internazionalismo;
2) anticapitalismo plutocratico di stampo americano o liberista;
3) anticapitalismo oligarchico di Stato o sovietico;
4) socializzazione delle imprese o partecipazione degli operai alla cogestione e all’equa distribuzione degli utili con abolizione del lavoro dipendente o salariato: gli operai sono al tempo stesso padroni responsabilizzati dell’azienda;
5) concezione spirituale della vita contro ogni riduzione materialistica della vita e dell’uomo: a ciò per ovvia consegenza si aggiungono quei valori (onore, fedeltà, coraggio) enunciati negli anni della Repubblica Sociale Italiana cui aderirono anche giovani di 15 o 16 anni in una guerra già persa e perciostesso con la morte in agguato per difendere la Patria dalle ingerenze straniere.
La dottrina fascista è riassunta nell’idealismo gentiliano e nei 18 punti del Manifesto di Verona o nel pensiero di Nicola Bombacci (uno dei fondatori del PCI e fucilato a Dongo insieme al Duce gridando: viva il socialismo). Sì: Giovanni Gentile, un grande filosofo del Novecento, Ministro della Pubblica Istruzione, innocuo e docile professore universitario, fondatore della Treccani, vigliaccamente assassinato da canaglie rosse in quel di Firenze.
E questo non è nostalgismo: è nostalgia di grandi ideali in una società sempre più serva del potere mercantile della grande finanza dove tutto (umanità compresa) è mercificato. Cioè: dove tutto, in nome del profitto, è proteso nell’abisso della malattia fisica e morale.
In Italia ci sono tante vie dedicate a Togliatti Palmiro che era sempre a Mosca a prendere ordini e denaro per il PCI: connivente con i barbari rossi, assassini, massacratori di 95 milioni di vite umane. Il comunismo siede sopra una montagna di ossa umane.
Si discute per una via a Giorgio Almirante: alcune riflessioni. Si dice che sia il nemico della democrazia. Tutto dipende dai punti di vista: ad esempio si dice che Aldo Moro ha lottato per la democrazia, ma intanto risulta fascista fino all’8 settembre e scrivendo qualcosa sulla razza (come altri fascisti che nel Ventennio erano egualmente scrivani razzisti: Eugenio Scalfari e Giorgio Bocca). E fascisti furono Pietro Ingrao, Giovanni Spadolini, Nilde Iotti, Amintore Fanfani, Giulio Andreotti eccetera. Si dice che Togliatti e Berlinguer lottarono per la democrazia: intanto erano del PCI (partito che prendeva ordini e denaro da Mosca e non credo che il comunismo sia un modello di democrazia con 95 milioni di vittime torturate e massacrate). Almirante da volontario ha combattuto sul fronte africano e poi, per “fedeltà” a un idea (giusta o sbagliata che fosse), aderì (volontario) alla Repubblica Sociale per combattere una guerra già persa e quindi rischiando la morte e poi (latitante) perché i partigiani lo braccavano per fucilarlo. E perché aderì alla Repubblica di Salò? Perché, come tanti ragazzini anche di 15 e 16 anni, non volle consegnare la Patria al capitalismo plutocratico americano e al capitalismo di Stato (sovietico) ancora più feroce. Fu accusato per un bando di amnistia (durante la guerra non in tempo di pace) per alcuni partigiani: dovevano presentarsi, “altrimenti” (ripeto: “altrimenti”) sarebbero passati per le armi. La notizia del bando esce quasi 30 anni dopo (nel 1971 dopo un clamoroso successo elettorale del MSI). Almirante non si nasconde, adisce le vie legali, il bando non lo poteva firmare, la firma risulta stampata e non autografa, tre sentenze del tribunale di Reggio Emilia gli sono favorevoli e il Tribunale di Roma lo assolve per firma e documento falso. L’Unità, dopo l’assoluzione, smentisce quello che aveva precedentemente detto. Poi: non risulta che i partigiani fossero verginelli quanto a torture, fucilaziioni con processi sommari. E se tutto dipente dai punti di vista: dov’è la verità? Chi ha combattuto per la causa giusta? Chi è stato un uomo di fede, onore e coraggio?
Non sapevo che a Mirano ci fossero tanti storici e tanti fascisti: Giorgio Almirante fu segretario di redazione della rivista “La difesa della razza” per tutti i cinque anni (dal 1938 al 1943) in cui essa uscì. “La difesa della razza” fu la pubblicazione che “legittimò” il razzismo italiano motivandolo con ragioni pseudoscientifiche e storico-culturali. Nel sito di Wikipedia (che cita brani dal testo di Valentina Pisanty “La difesa della razza”, edito da Bompiani) leggiamo che vi furono tre linee razziste all’interno della rivista: il “nazional-razzismo” di matrice cattolica; il “razzismo esoterico”, che introduceva considerazioni di ordine storico, culturale e spirituale ed infine il gruppo capeggiato da Guido Landra e Giorgio Almirante, che sosteneva il razzismo biologico “della carne e del sangue”, e definiva la razza in termini puramente fisici e fisiologici.
Citiamo ancora: per difendere l’italica stirpe dalle presunte “razze inferiori” e dagli individui “degenerati”, come venivano talora chiamati gli individui affetti da gravi malformazioni o da “malattie sociali” (pazzia, criminalità, prostituzione, vagabondaggio, ecc.), la rivista proponeva rimedi di tipo eugenetico; ma scartate misure drastiche come quella della sterilizzazione, erano state avanzate proposte come la prescrizione della castità all’interno del matrimonio o, meglio ancora, la rinuncia del matrimonio stesso da parte dei portatori delle tare ereditarie.
Dopo l’8 settembre 1943 Almirante aderì alla Repubblica Sociale e si arruolò nella neo costituita Guardia Nazionale Repubblicana con il grado di capomanipolo. Ricoprì anche il ruolo di Capo di Gabinetto del Ministro della Cultura Popolare e firmò il noto manifesto nel quale si ordinava la fucilazione alla schiena degli “sbandati ed appartenenti a bande” cioè dei partigiani e di coloro che non avessero accettato di entrare nelle formazioni collaborazioniste o direttamente naziste.
Giorgio Almirante, il grande statista al quale Gianfranco Fini rende omaggio e Gianni Alemanno vuol dedicare una strada romana, per la legge italiana è dunque un terrorista complice dell’assassinio di tre carabinieri.
E fu proprio Giorgio Almirante, il fascista in doppio petto, quello rispettabile, quello con il senso dello Stato, a proteggere l’autore della strage di Peteano fino a mandargli 34.650 dollari statunitensi in Spagna proprio per operarsi alle corde vocali. Ciò è processualmente provato. Almirante consegnò personalmente i soldi all’avvocato goriziano Eno Pascoli che li fece avere a Cicuttini a Madrid, via Svizzera. Almirante e Pascoli, incriminati per favoreggiamento dell’autore della strage di Peteano furono rinviati a giudizio insieme.
Ma mentre Pascoli sarà condannato, la condanna di Almirante seguirà un corso diverso. Il capo dell’MSI godeva infatti dell’immunità parlamentare dietro la quale si trincerò perfino per evitare di essere interrogato. La tirò avanti per anni di battaglie nelle quali non fu mai in dubbio la sua colpevolezza, finché non intervenne un’amnistia praticamente ad personam, della quale beneficiava solo in quanto ultrasettantenne. Giorgio Almirante, l’uomo d’ordine, dovette chiedere per sé l’amnistia perché il dibattimento lo avrebbe condannato e ne beneficiò (mentre il suo complice fu condannato) per il reato di favoreggiamento aggravato degli autori (militanti e dirigenti del suo partito) di un attentato terroristico nel quale vennero uccisi tre carabinieri. Non si parla di violenza politica o di strada, di giovani di destra e sinistra che si fronteggiavano e a volte si ammazzavano; stiamo parlando del peggiore stragismo. Dedichiamogli una strada, lo merita: Via Giorgio Almirante, terrorista.