Da un discorso di fine anno del Presidente Pertini

Sandro-Pertini

“Dietro ogni articolo della Carta costituzionale stanno centinaia di giovani morti nella Resistenza, quindi la Repubblica è una conquista nostra e dobbiamo difenderla, costi quel che costi.
Ma dobbiamo difenderla anche dalla corruzione. La corruzione è una nemica della Repubblica.
I corrotti devono essere colpiti senza nessuna attenuante, senza nessuna pietà. E dare loro solidarietà, per ragioni di amicizia o di partito, significa diventare complici di questi corrotti. Bisogna essere degni del popolo italiano. Non è degno di questo popolo colui che compie atti di disonestà e deve essere colpito senza alcuna considerazione. Guai se qualcuno, per amicizia o solidarietà di partito, dovesse sostenere questi corrotti e difenderli. In questo caso l’amicizia di partito diventa complicità e omertà. Deve essere dato il bando a questi disonesti e a questi corrotti che offendono il popolo italiano.” (Sandro Pertini, dal messaggio di fine anno 1979)

Buon anno a tutti gli iscritti e le iscritte all’Anpi “Martiri di Mirano”

Quel Natale del ’44 (60 anni dopo, bellissima lettera di un Partigiano alla sua figlia)

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Lettera scritta dal partigiano Vladimiro Diodati, Paolo, alla figlia Milena:

In questa notte di Natale voglio scriverti questa lettera, figlia mia, perché avverto il peso del tempo, e sento che i miei giorni volgono ormai al tramonto.
Sono trascorsi sessant’anni dalla fine della guerra e tante cose ho serbato nel cuore. Ma in questa notte sento il desiderio di offrirti questa semplice testimonianza. Te la dono con il mio affetto, con tutto il mio bene, affinché sappia che tuo padre ha vissuto la sua vita con la coerenza degli ideali.
In quel periodo accadde tutto così in fretta, figlia mia. Allora c’era poco tempo per pensare… le scelte si facevano sulla nostra pelle. A volte bastava un attimo: stare di qua o di là della barricata poteva essere anche una questione di emozioni: la libertà oppure l’onore? Il desiderio di un’Italia migliore o l’orgoglio di non venir meno a una parola data? Questo, sia chiaro, per chi le scelte le operò in buona fede. Gli altri, non so… Non c’era tempo, allora, per approfondire…
Sicuramente ci saranno stati errori anche dalla nostra parte. Forse degli eccessi… Ma noi sognavamo la libertà, non dimenticarlo, figlia mia… Altri stavano dalla parte della dittatura, del terrore, della morte.

Io scelsi di stare dalla parte della vita…

C’è un episodio, però, che oggi voglio consegnare ai posteri. Una storia che, sino ad ora, è appartenuta alla sfera del mio privato, delle mie emozioni, di quei profondi sentimenti che hanno albergato nel mio cuore. Non l’ho mai raccontata prima; ma, a sessant’anni dalla fine della guerra, voglio fissarla sulla carta per te, affinché possa ricordarti del tuo papà…

Accadde nell’autunno-inverno del 1944.

Dal settembre 1943 avevo scelto la via dei monti, quella della libertà.
Nella valle in cui operavo iniziava il primo freddo di quel secondo autunno di lotta. Era la fine di ottobre e, dopo lungo girovagare, una sera, verso le 10, arrivammo nel paesino di…, che già allora era chiamata la “piccola Svizzera della Liguria”.
Eravamo una decina in tutto: tre o quattro del Comando, con sei o sette partigiani sfiniti dalla stanchezza e dalla paura.
Il grosso della nostra Brigata era rimasto nell’altra vallata, quella a ridosso del Piacentino. Ci avrebbero raggiunti la mattina seguente, in prossimità del Passo.
Bussammo a una Colonia che ci avevano segnalato: una bellissima costruzione moderna che si affaccia in alto, a sinistra del paese, tutta luccicante per le vetrate che ne fasciano l’intera perimetria.
Mi avevano informato ch’era abitata da alcune suore con molti bambini.
Nel buio pesto ci aprì una sorella. Madre Ignazia, questo il suo nome, sussultò sbigottita di fronte alla luce fioca di una lampada che lasciava trasparire i nostri volti. Uomini stanchi, con fazzoletti rossi al collo, con le barbe e i capelli lunghi, i caricatori sul petto, le bombe alla cintura e le armi a tracolla non avrebbero offerto tranquillità ad alcuno, in quel periodo…
Ci presentammo a nome del CLN: “Abbiamo bisogno di far riposare i nostri uomini. Siamo stanchi, sfiniti…”. Dapprima Madre Ignazia cercò di dissuaderci: “Siamo completi, ci dispiace, non un solo letto è libero. Non possiamo proprio ospitarvi”.
Poi, impietosita, ci fece accomodare.
La suora aveva una cinquantina d’anni suonati, un bel volto largo, aperto, simpatico, incorniciato da un velo bianco inamidato che glielo ricopriva sino alle gote. Ed una voce chiara, musicale.
Mi presentò alle altre suore, una ventina, in buona parte giovani che, spaventate, erano scese una ad una dalle loro camere. Appartenevano all’Ordine di Santa Marta ed erano sfollate dal loro convento con duecento bambini in tenera età, abbandonati dalle autorità fasciste al loro destino.
Il quadro che mi si presentò, man mano che osservavo, era pietoso e desolante. La Colonia era gelida, le suore avevano freddo e sicuramente i bambini, già a dormire nei loro lettini, saranno stati più intirizziti che mai.
“Non abbiamo di che riscaldare l’edificio”, mi disse la Madre. Poi proseguì narrandomi di come erano state costrette a girare le frazioni della Valle per elemosinare un po’ di pane per aggiungerlo alle poche scorte alimentari che avevano per sfamare i bambini e loro stesse.
Alla fine trovammo riparo, per quella sera, negli scantinati, con qualche materasso recuperato alla bell’e meglio in soffitta.
L’indomani mattina, mi recai nell’ampio refettorio e constatai che le razioni di cibo erano alquanto misere.
“Quando le autorità ci condussero qui – mi raccontò Madre Ignazia – ci avevano promesso che non avremmo dovuto preoccuparci di nulla. Avrebbero pensato loro a non farci mancare niente. Questa è una colonia estiva per i figli dei lavoratori di una grande azienda e vi doveva essere tutta l’attrezzatura per il suo buon funzionamento. Invece non abbiamo trovato neppure le pentole e le posate. Ora eccoci qui, con duecento figlioli di povera gente, alcuni senza genitori, a cui pensare, da sfamare e da vestire”.
Me ne andai con il cuore stretto, pensando a come poter intervenire in quella pietosa situazione.
Intanto la nostra Brigata, attraversata la catena che divide il paese dal Piacentino, si ricongiunse a noi.
I nostri uomini avevano catturato due camion tedeschi lungo la Via Emilia, liberando gli autisti, trattenendo i mezzi e le scorte, soprattutto scatolame di salsa di pomodoro, oltre a quattro-cinque quintali di marmellata.
La visione di quei bambini affamati non ammetteva esitazioni. La decisione fu istantanea e non trovò alcuna resistenza. Tutti i rifornimenti furono trasportati con un carro alla colonia, mentre le suore, meravigliate, ringraziarono la “Provvidenza”.
Fra me e Madre Ignazia si instaurò così un rapporto di simpatia e fiducia.
Il giorno seguente convocai i paesani, con i muli e le slitte. Avevo notato, in un certo punto della strada che dal paese scende verso la vallata, un deposito di alcune tonnellate di legna da ardere, pronta per essere trasportata e venduta nelle città della costa. Indicai il da farsi e, per tutta la giornata, fu un via vai di slitte trainate da muli, stracariche di quella legna, che si trasferirono alla colonia.
Le suore accesero le stufe e tutto, all’interno, si riscaldò. Come per incanto, i bimbi sentirono il tepore e giocarono felici. Per loro era iniziata una nuova vita.
Nei giorni successivi, anche i montanari, seguendo il nostro esempio, fecero a gara per rendersi utili.
Si mobilitarono ancora, con i loro muli, in una cinquantina, superando fatiche e difficoltà, valicando il passo e raggiungendo, accompagnati da una nostra staffetta, la colonia, stanchi ma felici, con 50 quintali di farina di grano.
Madre Ignazia mi confidò le prime impressioni ricevute allorquando ci accolse la prima volta. Con quei fazzoletti rossi al collo e quelle barbe lunghe cosa poteva pensare di noi? Eravamo quelli della guerra di Spagna, quelli che bruciavano le Chiese e violentavano le religiose. Questo, almeno, scriveva la stampa fascista. Questo avevano raccontato di noi.
Ora si trovava davanti degli uomini, soprattutto giovani, che si erano accorti di loro. In mezzo alla guerra che infuriava, col nemico alle calcagna e fra un rastrellamento e un’azione di guerriglia, per settimane ci preoccupammo di far rivivere quella Comunità abbandonata negli stenti.
Un giorno, via radio, ricevemmo l’ordine di predisporre l’arrivo di alcuni lanci di aerei, comunicandoci le coordinate del luogo prescelto.
La vigilia della data stabilita ascoltammo da radio Londra il messaggio in codice: “Paolo e Francesca”, che preannunciava l’arrivo. Il prato riservato al lancio era in una conca non lontana dalla colonia.
All’ora fissata arrivarono gli aerei. Fecero alcune evoluzioni attorno alla zona; quindi, riconosciuto il segnale convenuto disegnato sul prato, iniziarono a passare e ripassare a bassa quota seminando nel cielo tanti piccoli puntini, variopinti ombrelloni che scesero dondolando dolcemente.
A quel punto, dalla terrazza della colonia, si levò un allegro cinguettio di voci: erano i bimbi e le suore radunatisi per salutare la pioggia dal cielo, quasi fosse una festa.
Raccolto il materiale, feci caricare i paracadute di seta, una sessantina, e li inviai alla colonia. Le suore, con tutto quel ben di Dio, cominciarono pazientemente a scucire le tele, recuperando persino il filo con cui erano composte le corde.
Una sera, una staffetta del Comando di Zona giunse in paese con un messaggio di poche righe, col quale mi si informava che era iniziato un rastrellamento di grandi proporzioni nella valle del Piacentino e che un centinaio di partigiani feriti, dell’ospedale di zona, doveva essere evacuato. Sarebbero arrivati con ogni mezzo: a dorso di mulo, con le slitte, a piedi, durante la notte. La nostra Brigata avrebbe provveduto a riceverli.
Che fare? Sembrava impossibile trovare una soluzione così su due piedi. Alla fine pensai di fare un tentativo.
Mi diressi alla colonia, in quella gelida serata. Bussai alla porta e, alla Madre che mi venne ad aprire, porsi il biglietto ricevuto poco prima: “Legga”, le dissi, attendendo in silenzio come se avessi posto una domanda.
“Faremo così. – rispose subito la Madre – Ci sono duecento letti; metteremo due bimbi per ogni letto: uno alla testa e uno ai piedi. In tal modo avremo cento letti per i partigiani feriti che arriveranno stanotte”.
L’avrei abbracciata.
Fu così la colonia diventò anche un ospedale partigiano.
Per tutta la notte ci furono arrivi di feriti, alcuni mutilati, intirizziti dal freddo, stremati dal lungo, estenuante viaggio.
Man mano che giungevano, venivano accolti dalle suore, dissetati e sistemati nei letti messi a disposizione. Le Sorelle divennero tutte infermiere che provvidero ad ogni cosa, dalla cucina alle cure mediche.
Arrivarono le feste di Natale e Madre Ignazia mi pose, con tatto e cautela, il problema della Comunione per i partigiani ammalati.
“Non si preoccupi, Madre – le dissi. – Interroghi ogni partigiano ed esaudisca ogni singolo desiderio. Vedrà che troverà giovani desiderosi di essere comunicati”.
Quindi venne il mio turno.
“Sorella – risposi – potrei benissimo comunicarmi. Per me non significherebbe niente e Lei sarebbe felice. Ma non posso carpire così la sua buona fede”.
Madre Ignazia non si scompose, ma cominciò a pregare: “Ave Maria, gratia plena…”.
Fu allora che, commosso e quasi trascinato da una forza misteriosa, cominciai a ripetere la preghiera che mia madre mi insegnò quand’ero fanciullo: “Ave Maria, gratia plena, Dòminus tècum…”.
La vigilia di Natale una staffetta ci informò dal Comando che il giorno dopo avremmo dovuto lasciare il paese, perché tedeschi e fascisti stavano organizzando un rastrellamento di vaste proporzioni.
Durante la messa di mezzanotte, molti partigiani parteciparono alla funzione religiosa e si comunicarono.
La mattina di Natale salutammo le suore con grande commozione e Madre Ignazia ci benedisse.
Ma prima della nostra partenza, trovammo nel refettorio duecento figlioli tutti vestiti con fiammanti grembiulini: rossi, bianchi e celesti. Erano le stoffe dei paracaduti.
Le sorprese, però, non erano finite. Madre Ignazia ci consegnò uno scatolone con dentro decine e decine di fazzoletti rossi, di quella stoffa setificata da addobbi religiosi. Sulle due punte dei triangoli, ricamate in seta, due stelle a cinque punte con il tricolore d’Italia.
Piansi di gioia… Poi ci separammo.
Ecco, figlia mia, perché ho voluto raccontarti questo episodio.
Quel fazzoletto, che ho sempre conservato da allora e che tu ben conosci, fu confezionato dalle Suore di Santa Marta che avevano lavorato in segreto per chissà quanto tempo!
Quando entrai a Genova liberata, io e tutti gli uomini della mia Brigata portammo al collo un fiammante fazzoletto rosso: quello con la stella a cinque punte e il tricolore ricamati.
Ancora oggi, in questa notte di Natale, mentre lo osservo appeso al muro della mia stanza, mi commuovo al ricordo.
Vedi, figlia mia, in tutti questi anni non sono riuscito a ritrovare la Fede, ma ogni volta che guardo il fazzoletto, il mio pensiero corre a quel Natale del ‘44. E, ogni volta, quasi trascinato da una forza misteriosa, torno a ripetere la preghiera che mi insegnò mia madre: “Ave Maria, gratia plena. Dòminus tècum. Benedicta tu in mulièribus et benedictus fructus ventris tui, Jesus…”.
Ritrovo così la mia giovinezza e i miei sogni, mentre rivivo le speranze di quei giorni.

Nota dal sito da cui è stata riportata questa lettera: “Questa bellissima lettera fu pubblicata nella mailing di Deportazione mai più. Ringrazio la Signora Primarosa che mi autorizzò la pubblicazione sul sito anpipianoro che gestivo e che ripropongo oggi nel mio blog.” (da http://storiedimenticate.wordpress.com/2014/12/25/quel-natale-del-44-60-anni-dopo-bellissima-lettera-di-un-partigiano-alla-sua-figlia/)

Auguri a tutti i simpatizzanti, iscritti e lettori del sito anpimirano.it

La trama del film

La trama del film di cui alle ore 21.00 comunicheremo il link:

Quando nel 1989 Imamura Shohei girò questo film di anni ne erano passati parecchi da quel 6 agosto 1945, ore 8,15, a Hiroshima.
Molto era già stato scritto, detto, commemorato e un filone letterario, il genbaku bungaku, la “letteratura sulla bomba atomica”, aveva prodotto fiction, documentari, memoriali.
Imamura diede voce e immagini al romanzo di Masuji Ibuse, uomo di Hiroshima, un ibakusha, (così furono chiamati i sopravvissuti all’esplosione) autore con lunga pratica di scrittura alle spalle, che a quella tragedia dedicò le sue opere più importanti.

Rappresentare l’indicibile é stata impresa che si é più volte riproposta nel secolo scorso, per eventi diversi, anche lontani nello spazio, ma tutti segnati dal denominatore comune della indicibilità.
L’umanità, attonita, smarrisce innanzitutto la voce di fronte all’abisso, non il suono, quello resta, ed é l’urlo cupo, l’ululato animale che ci riporta alle caverne.
La parola era nata per altro, la sua nobile impronta sonora diede forma al pensiero, fu anche polemos, la voce della guerra che la polis generò dal suo ventre, perché può esserci una grandezza anche nello scontro e sono scritte leggi da rispettare.
Ma poi ci fu un andare oltre ogni possibile rappresentabilità, la parola dichiarò la sua sconfitta e divenne “qualche storta sillaba, e secca, come un ramo”.
Smise di comunicare, essere comunione di comites, strumento di comunità.
Disse, indicò, divenne secco e sterile mezzo di trasmissione di bisogni primari.
Finché “un silenzio nudo, e una quiete altissima,” riempirono “lo spazio immenso”.

Restarono la musica e la possibilità di dipingere, su tele, cinematografiche e non.
Munch e Imamura, Mahler e Takemitsu.
Un orologio tondo, a parete.
Segna indifferente l’ora di quel giorno.
La città si muove all’alba, c’è canicola, é tempo di guerra, chi sfolla da parenti in campagna, chi va in città per lavoro, autobus e treni si riempiono.

Lo scoppio é una ventata che viene dalla destra dello schermo, una microfrazione di secondo, e quell’orologio accartocciato con le sue tristi lancette riemergerà solo più tardi dalle acque della baia.
Uno dei profughi in fuga sulla piccola barca lo tira su, poi lo lancia di nuovo nell’acqua nera, inservibile come il tempo che verrà dopo.
Una luce irreale accentua il senso di vuoto, di sottrazione. Gravi tessiture sonore stabiliscono un clima di stanchezza attonita per una delle più straordinarie pitture della morte che gli acuti disperati dei violini accompagnano in un succedersi frantumato di scene.

E’ la prima sequenza del film.
Solo un’altra, più avanti, in un flash back della memoria, tornerà a quei momenti ritratti dal vivo.
Ai lividi lampeggiamenti di tragedia segue il torpore grigio dei giorni, mesi e anni successivi, quelli dell’impossibile ricostruzione dei corpi, del tessuto sociale, di una città in cui abbia un senso vivere.

Bisogna chiedersi, a questo punto, cosa abbia spinto un autore che di strada ne ha già fatta tanta dal suo lontano debutto nel 1958, a tornare su quel tema, a girare in bianco e nero, a rimettere il dito in quella piaga.
Potremmo dire la rabbia.
Perché Imamura non cessa mai di creare con i suoi film una lingua di collisione, di esplorare le viscere del corpo sociale con il bisturi dell’entomologo che pratica sezioni chirurgiche, osserva e formula fusioni inedite fra documentario e astrazione fantastica.
Ciò che guida la sua ricerca, a quasi mezzo secolo da quella che fu la bomba per antonomasia, é la rabbia di essere uomo, parte di una specie capace di produrre l’inimmaginabile e farlo diventare una pagina della sua storia.

Fra i ritratti di donna che popolano i suoi film, figure simbolo di una società che dietro la facciata di riserbo, autocontrollo, gentile urbanità di modi, cova inquietudini profonde e gravi contraddizioni, quello di Yasuko, nipote orfana che i due zii hanno adottato alla morte della madre, é uno dei più belli e struggenti per l’aderenza totale ad una realtà storicamente verificabile, insuperata nella sua tragicità ancora operante a settanta anni dagli eventi.
La storia della giovane ragazza dallo sguardo triste che sul camioncino traballante apre il film mentre va dagli zii con le sue povere cose, sarà quella di tutti i disperati che non finirono carbonizzati, a pezzi, liquefatti nell’immediato dell’esplosione.
Ma furono contaminati.
La “pioggia nera” che improvvisa sgocciola densa su Yasuko, sulla sua pelle bianca, purissima, il suo sguardo incredulo, spaventato, incapace di rendersi conto di essere al centro della fine del mondo: la tragedia di Hiroshima e Nagasaki non ha bisogno di essere rappresentata con altre scene.

A quei sopravvissuti la vita assegnò un destino beffardo di morti viventi.
Emarginazione sociale, mancanza di lavoro, impossibiità di matrimonio, pazzia e ossessioni.
Diventare hibakusha volle dire essere come appestati, sentirsi colpevoli pur essendo vittime.
Di questo si occupa Imamura, Kuroi ame non é un reportage sul primo bombardamento atomico della storia:il terzetto famigliare é il modello base, intorno ruotano personaggi a vario titolo rappresentativi di una storia rimossa in nome di una normalizzazione necessaria ma anche spietata.
Genbaku-burabura-byo (sindrome dello scansafatiche che va a zonzo dopo la bomba atomica) fu una locuzione nata allora, un modo di definire le persone incapaci di lavorare a causa della stanchezza cronica indotta dalle radiazioni.
Essere figli di hibakusha é tuttora un problema che, se possibile, si tende a nascondere.

Alla radio i nostri protagonisti ascoltano la vocina lontana di Hirohito, il Sole tramontato, che dichiara la resa del Giappone.
Lo zio recita il sutra dei morti sulla riva mentre bruciano le pire.
E’ la scena finale del film.

Fra la prima e l’ultima scena Imamura Shohei ha composto il trentacinquesimo canto dell’Inferno, la musica di Takemitsu Toru ha intonato il suo canto funebre. (http://www.filmtv.it)

 

Il libro da cui è tratto il film: https://drive.google.com/file/d/0B2Fig3cDXuVMVGxhdVJabzUtZGM/view?usp=sharing

Ordine del giorno per il riconoscimento del diritto alla Pace

anpi

Ordine del giorno per il riconoscimento del diritto alla Pace

L’Anpi di Mirano, in merito al punto 9 dell’ordine del giorno del Consiglio Comunale di Mirano del 23 dicembre 2014 inerente al riconoscimento del diritto internazionale alla Pace,

  • affinché questo ordine del giorno non resti astrattamente nell’ambito di una comunicazione istituzionale fredda e distante dai problemi tragici posti da tutte le guerre comprese quelle in corso attualmente;

  • affinché si possa rendere ogni cittadino consapevole del pericolo che tutta l’umanità sta correndo nell’era nucleare con la riproposizione e l’accentuazione della guerra fredda;

  • affinché questa comunicazione del Consiglio Comunale possa nascere e vivere nell’ambito dell’interazione sociale dei partecipanti e dei cittadini;

  • affinché la parola così arricchita di SIGNIFICATI EXTRAVERBALI, anche se in modo tragico, delle esperienze storiche dell’umanità, possa realizzare un “bilancio valutativo” che tenda a modificare le coscienze e indichi un piano per un futuro di pace

propone agli iscritti e simpatizzanti ANPI

ai cittadini di Mirano

lunedì 22 dicembre 2014 la visione di un film quasi inedito nel nostro paese sulla tragedia di Hiroshima, per vederlo sarà sufficiente entrare nel sito www.anpimirano.it, collegarsi al link del film che verrà fornito alle ore 21.00 unico obbligo etico-morale, alla fine o durante la visione del film, sarà inserire un commento sul sito stesso.

PARTECIPATE A QUESTO NUOVO

CONSAPERE CINEMATOGRAFICO

IN MODO CHE VENGA INSERITO SULL’ORDINE

DEL GIORNO QUESTA DICITURA

…“richiamando che il comune di Mirano è membro ufficiale di Mayors for Peace dal 1° gennaio 2014, organizzazione non governativa fondata dai sindaci delle città di Hiroshima e Nagasaki con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’abolizione totale delle armi nucleari entro il 2020 e di promuovere la realizzazione di una pace mondiale duratura attraverso la Solidarietà tra le città del mondo. (“Visione 2020”)”

Il Forum Antifascista a Spalato

anpiQuesto è l’ordine del giorno approvato dal Forum Antifascista  all’unanimità a Spalato il 15 novembre dalle delegazioni, greca, albanese, croata, slovena, serba montenegrina e dalle rappresentanze dell’Anpi di Gorizia, Venezia, Macerata, Ancona.

 

Il Forum Permanente delle Associazioni Antifasciste e Partigiane e degli Istituti di storia delle città adriatiche e ioniche, riunito a Spalato il 15 novembre 2014, esprime la sua riconoscenza all’Associazione Croata per l’accoglienza in questa splendida città, che ha celebrato un mese fa il 70mo anniversario della Liberazione dal nazifascismo.

Il Forum non dimentica gli effetti devastanti dell’invasione nazifascista della Jugoslavia, della Grecia e dell’Albania; il Forum non dimentica che Germania ed Italia, scatenando la seconda guerra mondiale, si sono assunti la responsabilità di causare all’umanità quasi 60 milioni di morti.

La II Guerra mondiale fu una tragedia immane, i cui numeri sono terrificanti:

  • 6 milioni di ebrei sterminati nei campi di concentramento

  • 7 milioni di internati

  • migliaia di vittime di orrende stragi, ai quali vanno aggiunte le distruzioni materiali, Paesi e città ridotti alla più completa rovina, cumuli di macerie, popolazioni ridotte alla fame.

Il Forum è profondamente grato ai Liberatori, ai Partigiani, alle Forze alleate che – assieme – contribuirono ad estirpare il fascismo, ed è in particolare profondamente riconoscente al valore della Resistenza slava, che nessuno – ed in nessun modo – può oscurare; non dimenticando il valore della Resistenza Greca, Albanese ed Italiana.

Il Forum respinge fermamente quanti, ancora oggi, gettano fango sulla Resistenza, tentando di riscrivere la storia, inventandosi un «lato buono» del fascismo o cercando responsabilità anche tra i Liberatori.

Il Forum esprime la sua ferma preoccupazione per il «fascismo di ritorno», che si manifesta in Europa con forze che cercano di nascondersi dietro il populismo, macchiandosi di colpe inaccettabili: razzismo e persino antisemitismo. La crisi economica sembra alimentare questi fenomeni; il nemico è quello di sempre: l’ebreo, il nero, il cosiddetto «diverso», l’immigrato.

Forze populiste e di destra fanno proprio l’uso politico della paura, divenendo paladini della legittima richiesta di sicurezza che proviene da tutti i ceti sociali.

È un estremismo che ha crescente popolarità, si organizza – anche a livello internazionale – e fa suo il mito della forza, rifacendosi a Hitler e Mussolini.

Il Forum ricorda che il nazifascisti furono particolarmente violenti con i bambini, i vecchi, le donne, gli omosessuali, i rom; ma ricorda anche quanto furono pavidi e vigliacchi davanti alle vittorie dei Resistenti armati e delle Forze alleate.

Per questo il Forum intende sottolineare il «valore della differenza», l’indiscutibile opposizione tra democrazia e dittatura, che fa della memoria storica la nostra forza.

È da questa consapevolezza che nasce l’Europa, che affonda le sue radici negli ideali antifascisti ed è un’idea della Resistenza. E grande è il ruolo che oggi può e deve svolgere l’Europa, per una politica di pace e di cooperazione, verso una reale stabilità economica, per il rispetto dell’articolo 1 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti».

Nel mondo perdurano guerre, conflitti regionali, terrorismo e fanatismi vari. Il ruolo dell’Europa dovrebbe essere più forte, quello di un’organizzazione che, per la prima volta nella storia del nostro continente, ha garantito 70 anni di pace tra i Paesi che ne fanno parte; potrebbe essere un esempio di coesione sociale e culturale, non solo di mercato.

Il Forum ritiene che l’Europa debba ricominciare ad impegnarsi per una politica di Pace, per il riconoscimento ed il mantenimento dei diritti umani e delle conquiste sociali e del lavoro, non solo all’interno dei propri confini e nei Paesi vicini, ma in ogni parte del Pianeta.

Pianeta che soffre delle contraddizioni della globalizzazione, incapace di gestire e di guidare una mondializzazione che approfondisce i divari invece di colmarli.

L’Europa ha dunque un compito importante, un ruolo nell’applicazione della «Memoria attiva», che blocchi ogni tentativo di negazionismo, per garantire il rispetto della Storia.

Il rispetto che si esprime anche nel non cambiare i nomi delle strade dedicate ai martiri, o nel rifiutare l’intitolazione di strade a criminali di guerra, come succede a Jesolo, dove si onora il Prefetto di Zara nell’epoca fascista. Il rispetto che non può accettare richieste come quella degli esuli istriano– dalmati e italiani, tendente a revocare l’onorificenza conferita al Maresciallo Tito dall’allora Presidente della Repubblica Italiana; il rispetto che non può tollerare sedicenti spettacoli teatrali che diffamano la Resistenza slava.

Il Forum, riunito a Spalato, rilancia l’appello all’unità della cultura e della storia antifascista, nella profonda convinzione che l’Antifascismo, sentinella della Democrazia, potrà nuovamente vincere su ogni tentativo di far riemergere il nazifascismo con la sua forza, le sue radici, l’attenzione alla memoria viva ed attiva.

In ricordo dei caduti della Brigata Martiri di Mirano

Il 30 novembre è stato pubblicato un articolo (“L’inaugurazione a Mirano del monumento ai caduti“) in cui si faceva riferimento ad un opuscolo distribuito durante la manifestazione, contenente le biografie dei partigiani della Brigata “Martiri di Mirano”. Con l’immancabile aiuto di Martino Lazzari siamo venuti in possesso dell’opuscolo in questione: quelle sopra sono le riproduzioni del libretto originale.

Osservatorio sulle riforme costituzionale

costituzione_italianaIl 10 dicembre, a Roma, nella sede nazionale dell’ANPI si è costituito un “Osservatorio” sulle riforme costituzionali, sulla legge elettorale e sul problema della rappresentanza dei cittadini, con la presenza di numerosi rappresentanti di Associazioni e di diversi soggetti, partecipanti a titolo personale.
La proposta di istituire l’”Osservatorio” presso l’ANPI, era venuta da numerose Associazioni che avevano visto nell’ANPI la sede più idonea a realizzare un punto di incontro, di confronto e di riflessione su temi così rilevanti. La proposta è stata accolta dall’ANPI che ha manifestato la sua disponibilità, a condizione del più rigoroso pluralismo ed ha promosso il primo incontro tra promotori ed aderenti. In quella sede è stata chiarita, prima di tutto, la ragione della scelta della sede presso l’ANPI, nel senso che tutti hanno concordato sul valore anche simbolico di incontrarsi in un luogo in cui i valori e i princìpi costituzionali sono al primo posto, non solo per la tradizione storica dell’Associazione, ma anche perché essi fanno parte degli stessi indirizzi statutari dell’ANPI, che naturalmente non pretende di avere l’esclusiva in materia, ma la considera tra le più rilevanti delle proprie finalità ed è perciò idonea a costituire un punto di incontro per tutti coloro che assumono come bussola i valori della Costituzione. In secondo luogo, si è cercato di precisare i contenuti, le finalità e le modalità di azione dell’”Osservatorio”, concordando che gli aspetti “organizzativi” saranno meglio definiti in prosieguo, anche in via sperimentale, partendo per altro dal presupposto dalla necessità di disporre, per quanti credono nei valori della Costituzione, di una sede di ricerca, di confronto, di riflessione e, all’occorrenza, di iniziative, che attualmente manca, con la conseguenza che ciascuno assume le posizione che ritiene giusta e opportuna, ma senza un valido e continuo confronto e coordinamento. Pubblicheremo, in seguito, il Comunicato finale della riunione e indicheremo le principali adesioni, singole e di Associazioni. Fin d’ora, desidero rimarcare il carattere pluralista dell’iniziativa, il rifiuto di qualsiasi collocazione politica dell’Osservatorio e la piena concordanza sull’esigenza di tutelare, non solo i valori di fondo della Costituzione, ma gli stessi princìpi basilari della partecipazione, della rappresentanza e, in definitiva, della democrazia. Un’iniziativa importante, dunque, e necessaria. In una fase molto delicata della nostra stessa politica e istituzionale, il richiamo ai valori della Costituzione e della democrazia può costituire un riferimento importante per tutti coloro che ritengono che il fondamento della convivenza civile del nostro Paese non può essere costituita da altro se non dai princìpi su cui si basa la Costituzione, nata dalla Resistenza e dell’antifascismo.
Naturalmente, l’”Osservatorio” è aperto all’adesione di quanti si riconoscono nei suoi obiettivi e nei valori di fondo cui si ispira.

Carlo Smuraglia, Presidente dell’Anpi

Con la riforma della Costituzione sarà più facile dichiarare guerra

costituzione_italianaLa notizia si diffonde timidamente, anche grazie alla recente presentazione di emendamenti alla Camera dei Deputati: ma con gli altri importanti temi sul tavolo politico, il rilancio fatica ad uscire dalla sordina. Eppure stiamo parlando di una modifica costituzionale che va addirittura a toccare la deliberazione dello stato di guerra. È una delle conseguenze dirette della Riforma Costituzionale Boschi con il riordino delle attribuzioni parlamentari voluto da Renzi. Ciò in automatico tocca tutte quelle funzioni ora attribuite in modo paritetico alle due Camere, tra cui appunto la possibilità di dichiarare guerra prevista dall’Articolo 78 della Costituzione repubblicana. Una scelta che davvero spiazza, considerato che comunque il Senato — cosiddetto delle autonomie — non è stato cancellato e che anche da esso passerà, ad esempio, la procedura di elezione del Presidente della Repubblica. Per la quale continuerà a valere la regola di una maggioranza qualificata, mentre invece si potrà decidere di iniziare una guerra con uno Stato estero solo con il voto della Camera dei Deputati e addirittura a maggioranza semplice.
Pare proprio che qualsiasi tentativo di modifica, che sia per inserire nuovamente anche il Senato nella decisione o quantomeno per innalzare il quorum necessario alla dichiarazione, verrà respinto dal Governo Renzi alla Camera, dove la discussione giace attualmente in Commissione Affari Costituzionali, come già successo al Senato. Il risultato, per certi versi paradossale, sarebbe quello di avere un accesso più facile ad una decisione grave come questa, addirittura rendendola meno difficile da prendere della già nominata elezione del Capo dello Stato. Inoltre l’effetto combinato con la riforma della legge elettorale, anch’essa sul tavolo parlamentare, ci potrebbe proiettare in una situazione per cui una minoranza non solo dell’elettorato ma anche del totale dei voti espressi, grazie al premio di maggioranza, potrebbe permettersi una dichiarazione di guerra in assoluta autonomia rispetto al resto del Paese.
Chiaramente non stiamo dicendo che la riforma istituzionale attualmente in discussione abbia come obiettivo principale quello di permettere ad un prossimo governo di poter andare a far la guerra facilmente in giro per il mondo… Ed oltretutto è ormai passato il tempo in cui i conflitti bellici venivano dichiarati formalmente dagli ambasciatori, con una sorta di antico galateo tra Stati. Ormai viviamo in un mondo dalla conflittualità liquida e diffusa, in cui la parola d’ordine per le frizioni politico-economiche è «bassa intensità» con il minore coinvolgimento possibile degli apparati pubblici e statali. Eppure dal punto di vista squisitamente politico si tratta di un passaggio problematico e non banale. Perché ancora una volta, come accade per molte altre questioni fondamentali nella vita del Paese e dei suoi Cittadini, si impoverisce il confronto politico riducendo la questione ad una decisione presa in ambiti ristretti e con una estremizzazione dell’idea di «vertice». Si continua insomma verso quella vocazione leaderistica che ha drogato la politica italiana negli ultimi anni per cui tutto appare sacrificato all’altare della cosiddetta «governabilità» o meglio ancora del decisionismo. Anche su un tema, come quello della guerra e della pace, in cui invece la riflessione calma e approfondita dovrebbe essere naturale ed imprescindibile.
Una modifica di prospettiva che sta avvenendo ad un secolo esatto di distanza dal primo conflitto mondiale: la sanguinosa Grande Guerra di cui tutti oggi ricordano orrori e distruzioni. Ma forse questo ricordo è celebrato solo perché siamo (solo in Italia) tranquillamente lontani nel tempo da morti, sangue, fame e conseguenze negative. Vogliamo davvero un modello di società in cui le decisioni più gravi ed importanti vengano prese in poco tempo e sulla base di un mandato conferito da una minoranza del Paese? Speriamo proprio di no. Ed anche per questo sarà opportuno che il mondo della Pace e della nonviolenza si faccia sentire con forza su questo ennesimo tentativo pasticciato di indebolire i capisaldi della nostra Carta Costituzionale.

Francesco Vignarca, Il Manifesto del 12 dicembre 2014

Giornata della Memoria: 11 dicembre 2014

Giovanni Garbin, Severino Spolaor, Bruno Garbin, Cesare Spolaor, Giulio Vescovo, Cesare Chinellato
Giovanni Garbin, Severino Spolaor, Bruno Garbin, Cesare Spolaor, Giulio Vescovo, Cesare Chinellato

Quando ammazzarono i giovani in piazza è stata una cosa terribile: mia sorella era morta nel 1944 a dicembre e dopo una settimana eravamo andati a messa e abbiamo visto questo spettacolo. Da casa nostra non avevamo sentito né fucilate, né niente, invece la mamma della Francesca, che aveva il negozio di alimentari in piazza, aveva sentito uno che si lamentava: era quello che abbiamo visto sotto il pilastro.
Avete capito se furono fucilati o morirono per le sevizie?
Quelli non avevano sangue, l’unico su una pozza di sangue era quello in mezzo alla piazza, Chinellato. Gli altri furono seviziati e avevano le mani in tasca. Spolaore era bianco, un altro era Garbin ma non era nostro parente; li abbiamo visti là in fila, uno era da Sansoni, due erano sulla muretta vicino a Pavan, ma quelli non li abbiamo visti. Quando siamo usciti dalla chiesa abbiamo saputo che era stato un ufficiale tedesco a farli portare via: andò da una famiglia che conosceva e disse: “Li ho fatti portare via. Cos’hanno fatto quei disgraziati?”. Si vede che era uno che aveva un po’ di umanità – perché era lunedì, era giorno di mercato – li presero e li caricarono su un carretto con sopra una coperta.

Così Anita Garbin, intervistata da Luciana Granzotto, ricorda il giorno dell’11 dicembre 1944 quando sei giovani partigiani del gruppo di Luneo vennero catturati in conseguenza della delazione di una spia e, dopo un sommario interrogatorio, furono seviziati e trucidati dalla barbarie fascista. Si chiamavano Cesare Chinellato, Bruno e Giovanni Garbin, Cesare e Severino Spolaor, Giulio Vescovo.

In occasione della commemorazione della Giornata della Memoria, gli studenti del Liceo Majorana Corner, la mattina dell’11 dicembre 2014, si troveranno in Piazza Martiri a Mirano dislocandosi nei diversi punti che hanno visto deposti i corpi dei Martiri uccisi dai nazifascisti e, assieme a volontari Anpi, Auser e a testimoni dell’eccidio, accoglieranno gli studenti delle classi terze della scuola media “G. Mazzini” di Mirano; ogni classe si fermerà nei vari posti ascoltando i racconti dei testimoni e gli interventi degli studenti del liceo.
Alle ore 10,00 al centro di Piazza Martiri, saluto da parte delle autorità comunali con la presenza degli studenti del liceo e di quelli delle scuole medie di Mirano e Scaltenigo.
Successivamente gli studenti della scuola media “G. Mazzini” torneranno nella loro sede mentre gli studenti della scuola media “Leonardo da Vinci” di Scaltenigo inizieranno a loro volta il percorso.

Alla sera, alle ore 20,45 in sala conferenze di Villa Errera, ci sarà la priezione del film di Stefano Ballini “Il treno che bucò il fronte”: un videodocumentario sulla memoria prende spunto dalle vicende che resero protagonista David Ballini detto “Carlino”, padre di Stefano e classe 1922, che l’8 settembre del 1943, al ritorno da una licenza, riuscì a sottrarsi al rastrellamento nazifascista con la disubbidienza contravvenendo cioè all’ordine dei tedeschi di scendere da un treno diretto a sud e rimanendovi a bordo a loro insaputa. Nel documentario giocano un ruolo determinante le testimonianze di alcuni sopravvissuti e dei familiari delle vittime di queste stragi. Ci sono le voci e i ricordi di Adriana Cresti e Mirella Lotti (superstiti di Pratale), Siria Pardini, Adele Pardini, Luciano Lazzeri, Graziano Lazzeri, Enrico Pieri, Mario Ulivi (superstiti di Sant’Anna di Stazzema), Fernando Piretti, Ferruccio Laffi, Anna Rosa Nannetti, Gian Luca Luccarini, Bruno Zebri,(superstiti e testimoni di Marzabotto).

La Giornata della memoria è stata istituita dal Consiglio Comunale nel 2003 e celebrata l’11 dicembre di ogni anno perché la più violenta rappresaglia che ha coinvolto il paese si era svolta in piazza Martiri l’11 dicembre 1944. Questa giornata è dedicata comunque a tutte le vittime del nazifascismo che caddero a Mirano nell’inverno 1944/45, a partire da Oreste Licori che fu fucilato l’1 novembre 1944, fino alla fucilazione il 17 gennaio 1945 di Luigi Bassi, Ivone Boschin, Dario Camilot, Michele Cosmai, Primo Garbin, Aldo Vescovo, Gianmatteo Zamatteo e alla morte in combattimento il 27 aprile 1945 di Luigi Tomaello e Mario Marcato e alla deportazione in Germania, da cui non fecero più ritorno, nel febbraio 1944 di Nella Grassini Errera e Paolo Errera.

Le foto della Giornata della Memoria 2013: http://imgur.com/a/xfvIc

il treno che bucò il fronte