Che peso hanno nella storia gesti come quello di Felice Montanari, giovane partigiano a soli sedici anni?
Oggi si vorrebbero commemorare anche quelli che dell’Italia fecero scempio tanti anni orsono e dimenticarsi dei giovani come Felice Montanari, che senza nulla pretendere per se stessi, hanno tracciato la strada della libertà per questo Paese. E non c’è nulla di più ingannevole, perchè per quanto si voglia confondere e millantare la storia, la vicenda di Felice Montanari è quanto di più autentico e veritiero nel rimarcare la differenza tra chi combatté da partigiano nella Resistenza e chi fu fascista fino in fondo.
Se è vero che là dove è morto un partigiano è nata la Costituzione, allora sono davvero tanti i luoghi che riconducono ad Essa e quale sia stato il prezzo per avere una carta come quella del nuovo Stato risorto dal Fascismo.
Felice Montanari era nativo di Canneto sull’Oglio in provincia di Mantova, faceva il garzone in una bottega di barbiere. Diventò partigiano molto presto, a sedici anni, come tanti giovani del tempo. Un gesto d’istinto, di ribellione, una scelta chiara. All’alba del 5 gennaio 1945, isolato dal resto della squadra, “Nero” trovò rifugio nel casello ferroviario numero 23 della linea tra Boretto e Poviglio, aveva con sé un sottufficiale tedesco preso prigioniero.
Tedeschi e fascisti lo individuarono e circondarono il casello. Resistette per ore, sparando da più finestre per far credere di non essere solo. Poi, tentando un ultimo assalto, i nazifascisti presero dei civili e li usarono come scudi umani, Nero a questo punto, a corto di munizioni e per non sparare su quegli innocenti, prima liberò il suo prigioniero e poi si sparò. Sul muro del casello scrisse: “Perduto. Portate un fiore rosso”.
Alessandro Fontanesi – “Il Fatto Quotidiano” 5 gennaio 2012