«Signor Presidente, colleghi, ho partecipato alla discussione su questa auspicata riforma senza una posizione precostituita e con un interesse per i contenuti e per il metodo. Ho compreso l’impegno dei relatori e dei senatori. Ma sono rimasta delusa nel vedere che valutazioni e idee ineccepibili, in quanto a logica e pertinenza politica e civile, non abbiano trovato ascolto. Le risorse umane, professionali ed intellettuali per fare meglio c’erano tutte, qui dentro e nel Paese. Ma non ho visto il coraggio di volare alto, spiegando ai cittadini e al Governo ciò che serve per riqualificare le componenti e le funzioni delle Camere nel quadro di un ordinamento nuovo e ben coordinato.
La verità la conoscete meglio di me. Non è questa la riforma costituzionale che serve al Paese. E il mio voto sul testo di oggi è dettato da questo disagio e da tre considerazioni.
La prima riguarda il contesto generale in cui si sono svolti i lavori: di scarso ascolto e di linguaggio inadatto a un momento tanto importante. Si è parlato di “allucinazioni” e “professoroni”, con un sentimento “di sufficienza verso accademici ed esperti politicamente impegnati”. Il linguaggio deriva dal pensiero e gli illustri studiosi di storia politica presenti in quest’Aula mi insegnano che l’anti-intellettualismo è un indicatore di crisi culturale e civile per un sistema liberaldemocratico.
La seconda considerazione è sul metodo utilizzato, troppo condizionato da strategie di Governo e da discipline di partito con cui si sono dettati contenuti, paletti e tempi, decisi fuori da quest’Aula. È un metodo sbagliato perché non si può condurre un esperimento che presuppone libera condivisione democratica senza la disponibilità a esaminare davvero e analiticamente i risultati che questo esperimento è destinato a produrre. Se si sbaglia il metodo nel fare un esperimento, i risultati saranno inutilizzabili. Se va bene.
La terza considerazione riguarda il progetto. Gli interventi da più parti e i miei colloqui con i colleghi di tutto l’emiciclo mi fanno concludere che si tratta di un progetto tecnicamente pasticciato e frettoloso, attualmente decontestualizzato rispetto ad altre riforme. È un progetto che non è in grado ora di indicare l’esito, l’assetto, l’equilibrio, la visione del nuovo assetto costituzionale che stiamo costruendo.
Non mi convincono le motivazioni a sostegno di un Senato non elettivo, le scelte sulle funzioni assegnate a questa Camera, la mancata riduzione del numero dei parlamentari dell’altra Camera, l’incertezza circa le garanzie di bilanciamento dei poteri e circa l’effettività del pluralismo della futura rappresentanza parlamentare.
Non mi convince come è stata affrontata la questione dell’elezione dei Presidente della Repubblica e la mancata ricerca di un metodo per acquisire al nuovo Senato “personalità abituate a disegnare le frontiere del mondo”, che sarebbero utilissime in queste contingenze economiche.
Per questo, e concludo, il mio voto sarà di astensione (che so equivalere ad un voto contrario in quest’Aula), che vuole essere, nel suo piccolo, un segnale per i cittadini e per i colleghi dell’altro ramo del Parlamento, affinché i loro lavori possano essere più sereni ed in tutta indipendenza positivi e attenti».
Elena Cattaneo, direttrice del Laboratorio di Biologia delle Cellule Staminali e Farmacologia delle Malattie Neurodegenerative del Dipartimento di Bioscienze e co-fondatrice di UniStem, il Centro di Ricerche sulle Cellule Staminali dell’Universita’ di Milano, è stata nominata senatrice a vita da Giorgio Napolitano insieme ad Abbado, Piano e Rubbia. Classe 1963, è la terza donna a ricoprire questo ruolo, dopo Camilla Ravera e Rita Levi Montalcini.