“L’eredità del Risorgimento e l’organizzazione della memoria nell’Italia post-unitaria”
Mirano, sala conferenze di Villa Errera.
Venerdì 28 ottobre 2011 ore 20.45
relatore dott. Lino Gatto
“L’eredità del Risorgimento e l’organizzazione della memoria nell’Italia post-unitaria”
Mirano, sala conferenze di Villa Errera.
Venerdì 28 ottobre 2011 ore 20.45
relatore dott. Lino Gatto
Diffondiamo un messaggio dell’Anpi di Mira.
Cari tutti, vi comunichiamo che il 2 ottobre ci sarà l’uscita per ricordare l’eccidio di Marzabotto. L’Anpi di Mira assieme alle varie Anpi della riviera organizza un pullman le cui date e luoghi di partenza sono comunicati nell’allegato. Per chi volesse farne parte è pregato di mettersi in contatto al più presto .( si accettano prenotazioni fino ad esaurimento posti)
Ciao a tutti, Margherita.
ENTE MORALE D.L.N. 224 DEL 5 APRILE 1945
Sez. di mira via Toti n.7 Tel. 041 421064- 3351220376- 340084751-
Cari compagni/e amici ,come ogni anno vi comunico l’uscita del 2 ottobre 2011 alla 67 commemorazione dell’eccidio Marzabotto.
La strage di Marzabotto del 29 settembre 1944 fu la tragica tappa finale di una «marcia della morte» che era iniziata in Versilia. L’esercito alleato indugiava davanti alla Linea Gotica e il maresciallo Albert Kesserling, per proteggersi dall’«incubo» dei partigiani, aveva ordinato di fare «terra bruciata» alle sue spalle.
Kesserling fu il mandante di una strage che nessun’altra superò per dimensioni e per ferocia e che assunse simbolicamente il nome di Marzabotto anche se i paesi colpiti furono molti di più. L’esecutore si chiamava Walter Reder. Era un maggiore delle SS soprannominato «il monco» perché aveva lasciato l’avambraccio sinistro a Charkov, sul fronte orientale. Kesserling lo aveva scelto perché considerato uno «specialista» in materia.
Al comando del 16° Panzergrenadier «Reichsfuhrer», il «monco» iniziò il 12 agosto una marcia che lo porterà dalla Versilia alla Lunigiana e al Bolognese lasciando dietro di sé una scia insanguinata di 3000 corpi straziati: uomini, donne, vecchi e bambini.
Crediamo che, in questi momenti così importanti della nostra storia, bisogna esserci. Per le prenotazioni vi invitiamo di telefonare ai numeri sotto indicati. L’ANPI Provinciale e specificatamente L’ANPI di Mira e Camponogara organizzano un pullman con le seguenti modalità:
Camponogara, partenza alle ore 6.40 dall’area vicino alla Chiesa
Fiesso d’Artico, partenza alle ore 6.50 davanti al Comune.
Dolo, partenza ore 7.00 dall’area piazza mercato fianco Pretura.
Mira, partenza da Mira,alle ore 7.15 dal parcheggio “Mira sole”..
La quota totale compreso viaggio, pranzo e spuntini mattino e pomeriggio è di euro 35.
Recapito Tel. 041 421064 (ore pasti) -3351220376- 3400984751. Tullio-Margherita- Mira
Recapito tel. 339409952- pres. Tamburini Alfredo –tel.3397898487- Claudio Cogno- Camponogara
Cari tutti, vi invio il promemoria per lo sciopero generale anti manovra di martedì 6 settembre….L’ANPI invita alla mobilitazione…
Come certamente saprete l’ANPI Provinciale di Venezia è stato tra i primi ad aderire allo sciopero indetto dalla CGIL le cui ragioni vanno sostenute con tutta la nostra forza di partecipazione. Scioperare per i diritti fondamentali contro un governo di destra che per sua natura toglie tutti i diritti, soprattutto dei più deboli ci impone di dire BASTA. Lo sciopero è un diritto di tutti gli uomini liberi ed uno strumento formidabile contro l’arroganza del potere.Lo sciopero generale della c.g.i.l. del 6 settembre dovrà essere anche un momento per ribadire che non ci possono essere diritti senza una seria politica di Pace tra i popoli.
Mestre-Programma dello sciopero che si terrà nella nostra provincia: partenza ore 9 rampa Cavalcavia Mestre con corteo per raggiungere piazza Ferretto.
Siete invitati tutti a partecipare e fare partecipare.
Tullio Cacco
segretario Anpi
Venezia
L’arte della guerra
Demolizioni & Restauri Corp.
Manlio Dinucci
C’è una società multinazionale che, nonostante la crisi, lavora a più non posso. Si occupa di demolizioni e restauri. Non di edifici, ma di interi stati. La casa madre è a Washington, dove nella White House risiede il Chief executive officer (Ceo), l’amministrazione delegato. I principali quartieri generali re-gionali si trovano a Parigi e Londra, sotto rampanti direttori e avidi comitati d’affari, ma la multinazionale ha filiali in tutti i continenti. Gli stati da demolire sono quelli situati nelle aree ricche di petrolio o con una importante posizione geostrategi-ca, ma che sono del tutto o in parte fuori del controllo della multinazionale. Si privilegiano, nella lista delle demolizioni, gli stati che non hanno una forza militare tale da mettere in pericolo, con una rappresaglia, quella dei demolitori. L’operazione inizia infilando dei cunei nelle crepe interne, che ogni stato ha. Nella Federazione Iugoslava, negli anni ’90, vennero fomentate le tendenze secessioniste, sostenendo e armando i settori etnici e politici che si opponevano al go-verno di Belgrado. In Libia, oggi, si sostengono e si armano i settori tribali ostili al governo di Tripoli. Tale operazione viene attuata facendo leva su nuovi gruppi dirigenti, spesso formati da politici passati all’opposizione per accaparrarsi dollari e posti di potere. Si chiede quindi l’autorizzazione dell’ufficio competente, il Consiglio di sicurezza dell’Onu, motivando l’intervento con la necessità di sfrattare il dittatore che occupa i piani alti (ieri Milosevic, oggi Gheddafi). Basta il timbro con scritto «si autorizzano tutte le misure necessarie» ma, se non viene dato (come nel caso della Iugoslavia), si procede lo stesso. La squadra dei demolitori, già approntata, entra in azione con un massiccio attacco aeronavale e operazioni terrestri all’interno del paese, attorno a cui è stato fatto il vuoto con un ferreo embargo. Intanto l’ufficio pubblicitario della multinazionale conduce una martellante campagna mediatica per presentare la guerra come necessaria per difen-dere i civili, minacciati di sterminio dal feroce dittatore. Completata la demolizione, si procede alla costruzione di un nuovo stato (come in Iraq e Afghanistan) o di un insieme di staterelli (come nella ex Iugoslavia) in mano ad amministratori fidati. L’altro importante settore della multinazionale è quello del restauro di stati pericolanti. Come l’Egitto e la Tunisia, lo Yemen e il Bahrain, le cui fondamenta sono state scosse dal movimento popolare che ha defenestrato o messo in difficoltà i regimi garanti degli interessi delle potenze occidentali. Secondo la direttiva del Ceo di assicurare una ordinata e pacifica transizione, il restauro viene effettuato consolidando anzitutto il pilastro su cui già poggiava il potere – la struttura portante delle forze armate – ridipingendolo con i colori arcobaleno della democrazia. Si restaurano così gli stati colpiti dal terremoto sociale, su cui la multinazionale fonda la sua influenza in Nordafrica e Medio Oriente, e allo stesso tempo, provocando una scossa artificiale, se ne demolisce uno relativamente indipendente. Già alla casa madre brindano allo scongiurato pericolo della rivoluzione araba. Ma in pro-fondità, nelle società arabe, crescono le tensioni che preparano un nuovo sisma sotto le fondamenta del palazzo imperiale.
(il manifesto, 30 agosto 2011)
Il 3 agosto l’Anpi del Miranese ha inviato all’Anpi nazionale una lettera per chiedere una presa di posizione sulle vicende di Libia, ma non c’e’ ancora stata una risposta o una comunicazione a riguardo. Sono passati 30 giorni e la situazione in Libia si sta complicando.
Al Presidente
dell’Anpi Nazionale
Carlo Smuraglia
e, p.c.
Al Presidente
dell’ANPI Provinciale di Venezia
Marcello Basso
Agli Iscritti e simpatizzanti
dell’Anpi del Miranese
Caro Presidente,
nel corso degli ultimi mesi è emersa, tra i nostri iscritti, la necessità di allargare il dibattito a questioni che riguardano le scelte di politica estera, avviate dal nostro governo, che ci hanno coinvolto militarmente su vari fronti con un pesante tributo in vite umane.
L’idea che democrazia e pace si esportino con le armi, in particolare nei paesi ricchi di petrolio, si sta affermando come l’unica opzione percorribile negando validità ad altre ipotesi che prevedano strategie di mediazione diplomatica ispirate ai principi sanciti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani di Parigi del 1948.
Dichiarazione emanata proprio all’indomani della fine della seconda guerra mondiale che aveva visto la sconfitta del nazifascismo grazie alla mobilitazione delle coscienze di uomini liberi e consapevoli che un mondo migliore si sarebbe potuto costruire solo se si fossero affermati i valori irrinunciabili della pace, della libertà, dell’accoglienza nella difesa del diritto all’autodeterminazione dei popoli.
Come viene ricordato nel Documento Politico Programmatico al XV° Congresso Nazionale dell’ANPI: L’autonomia dell’ANPI, innanzitutto da ogni partito, è condizione irrinunciabile dell’unità per una Associazione culturalmente e politicamente pluralista qual’ è l’ANPI ancor più oggi, affinché possa esercitare con efficacia, credibilità, vasta partecipazione e consenso la sua funzione di “coscienza critica” della democrazia e della società.
E’ questo modo critico di essere dell’ANPI oggi che ci sollecita a chiedere agli organismi direttivi dell’ANPI Provinciale di Venezia di valutare l’opportunità, dopo il periodo estivo, di dar vita ad una serie di iniziative, aperte al territorio, per favorire il confronto tra gli iscritti anche attraverso un’informazione ragionata e non allineata sulla situazione internazionale, alla luce degli ultimi drammatici eventi che hanno visto l’Italia intervenire a fianco delle forze Nato in Libia mentre è ancora in corso la sanguinosa esperienza afgana.
Dovrà essere un contributo qualificato nei contenuti e nelle ragioni, ben diverso dalle squallide motivazioni pseudo pacifiste usate strumentalmente in chiave elettoralistica dalla Lega
Convinti della necessità di muoversi nella direzione di un maggior coinvolgimento della base su questioni di grande rilevanza sociale e politica, ti ringraziamo sin d’ora per l’attenzione che vorrai dare a questa proposta.
Augurandoti buon lavoro, ti inviamo cordiali saluti.
Sezione ANPI del Miranese
Il sole di Agosto acceca ogni cosa .
Gli aerei da guerra della Nato (compresi quelli italiani in barba alla nostra Costituzione ) stanno seminando morte e distruzione: 40 raid aerei in 2 giorni “per spianare la strada all’avanzata dei ribelli” dicono le TV e scrivono i giornali
Gli attacchi durano da quattro mesi con 4000 bombardamenti che hanno colpito ben 1600 obiettivi civili, facendo oltre 2000 morti .
52 miliardi di euro il costo di due mesi di guerra pari alla manovra economica italiana
che colpirà in primis lavoratori giovani pensionati. Contemporaneamente gioiscono
le borse europee che vanno in rialzo per le notizie che vengono da Tripoli.
Cento anni fa l’Italia di Giolitti invase la Libia e fu un genocidio: oggi come allora si vuol ridisegnare il Medio Oriente e il nostro paese ulteriormente sarà coinvolto in guerre imperialiste che non risolveranno certo le crisi dovute al sistema capitalistico.
Sono esterrefatto che ancora non ci sia una richiesta compatta , autorevole per il cessate il fuoco immediato per la risoluzione pacifica della crisi e per l’auto determinazione del popolo Libico . Di già il sonno della ragione ha generato mostri.
.
Bruno Tonolo segretario Anpi del Miranese
Una «vittoria» timbrata dagli aerei Nato
Manlio Dinucci
Una foto pubblicata dal New York Times racconta, più di
tante parole, ciò che sta avvenendo in Libia: mostra il corpo
carbonizzato di un soldato dell’esercito governativo, accanto
ai resti di un veicolo bruciato, con attorno tre giovani ribelli
che lo guardano incuriositi. Sono loro a testimoniare che il
soldato è stato ucciso da un raid Nato.
In meno di cinque mesi, documenta il Comando congiunto
alleato di Napoli, la Nato ha effettuato oltre 20mila raid aerei,
di cui circa 8mila di attacco con bombe e missili. Questa
azione, dichiarano al New York Times alti funzionari Usa
e Nato, è stata decisiva per stringere il cerchio attorno a
Tripoli. Senza questa «pressione» quotidiana su obiettivi
fissi, forze in movimento, colonne di automezzi di incerta
identificazione, i «bengasiani» non sarebbero mai arrivati in
Tripolitania.
Gli attacchi sono divenuti sempre più precisi, distruggendo
le infrastrutture libiche e impedendo così al comando
di Tripoli di controllare e rifornire le proprie forze. Ai
cacciabombardieri che sganciano bombe a guida laser da
una tonnellata, le cui testate penetranti a uranio impoverito e
tungsteno possono distruggere edifici rinforzati, si sono uniti
gli elicotteri da attacco, dotati dei più moderni armamenti.
Tra questi il missile a guida laser Hellfire, che viene lanciato
a 8 km dall’obiettivo, impiegato in Libia anche dagli aerei
telecomandati Usa Predator/Reaper.
Gli obiettivi vengono individuati non solo dagli aerei radar
Awacs, che decollano da Trapani, e dai Predator italiani che
decollano da Amendola (Foggia), volteggiando sulla Libia
ventiquattr’ore su ventiquattro. Essi vengono segnalati –
riferiscono al New York Times i funzionari Nato – anche
dai ribelli. Pur essendo «mal addestrati e organizzati», sono
in grado, «per mezzo delle tecnologie fornite da singoli
paesi Nato», di trasmettere importanti informazioni al «team
2
Nato in Italia che sceglie gli obiettivi da colpire». Per di
più, riferiscono i funzionari, «Gran Bretagna, Francia e altri
paesi hanno dispiegato forze speciali sul terreno in Libia».
Ufficialmente per addestrare e armare i ribelli, in realtà
soprattutto per compiti operativi.
Emerge così il quadro reale. Se i ribelli sono arrivati a
Tripoli, ciò è dovuto non alla loro capacità di combattimento,
ma al fatto che i cacciabombardieri, gli elicotteri e i Predator
della Nato spianano loro la strada, facendo terra bruciata.
Nel senso letterale della parola, come dimostra il corpo del
soldato libico carbonizzato dal raid Nato.
In altre parole, si è creata ad uso dei media l’immagine di
una «resistenza» con una forza tale da battere un esercito
professionale. Anche se ovviamente muoiono dei ribelli negli
scontri, non sono loro che stanno espugnando Tripoli.
E’ la Nato che, forte di una risoluzione del Consiglio
di sicurezza dell’Onu, sta demolendo uno stato con la
motivazione di difendere i civili. Evidentemente, da quando
un secolo fa le truppe italiane sbarcarono a Tripoli, ha fatto
grandi passi in avanti l’arte della guerra coloniale.
TRIPOLI – Decisivo anche il ruolo delle truppe del Qatar
Ecco le forze Nato impegnate a terra
Manlio Dinucci
L’ambasciata del Qatar a Tripoli – mostra un video (http:/
/www.youtube.com/user/ZZ7L?ob=5#p/a/u/0/PybQX__fLWQ)
–
è stata riaperta tre giorni fa da uomini armati che, entrati
nell’edificio danneggiato, vi hanno subito affisso la
bandiera nazionale. Viene così documentata la presenza
in Libia di forze speciali qatariane. Forze speciali di Gran
Bretagna, Francia e Qatar, scrive The New York Times (23
agosto), stanno fornendo appoggio tattico alle forze ribelli e
consiglieri della Cia stanno aiutando il governo di Bengasi
a organizzarsi. Commandos britannici e francesi, conferma
un alto ufficiale della Nato, sono sul terreno con i ribelli a
Tripoli. E, alla domanda se vi sono anche agenti della Cia,
risponde che certamente è così.
Viene in tal modo sconfessata la Nato, che solo ieri è
stata costretta ad ammettere, di fronte all’evidenza e con
un «funzionario anonimo» citato dalla Cnn, che le forze
militari dell’alleanza combattono sul campo a Tripoli.
Perché finora aveva giurato di non avere «boots on the
ground», ossia militari sul terreno in Libia. Le forze speciali
britanniche – indicano le inchieste del Guardian e del
Telegraph – hanno svolto un ruolo chiave nell’attacco
a Tripoli. Esso è stato preparato a Bengasi dal servizio
segreto britannico MI6, che ha predisposto depositi di armi e
apparecchiature di comunicazione attorno alla capitale, nella
quale ha infiltrato propri agenti per guidare gli attacchi aerei.
L’offensiva è iniziata quando, sabato notte, Tornado Gr4
della Raf decollati dall’Italia hanno attaccato, con bombe di
precisione Paveway IV, un centro di telecomunicazioni e altri
obiettivi chiave nella capitale. Secondo un’inchiesta riportata
da France Soir, operano in Libia almeno 500 commandos
britannici, cui si aggiungono centinaia di francesi. Questi
ultimi vengono trasportati in Libia dagli elicotteri della Alat
(Aviation légère de l’armée de terre), imbarcati sulla nave da
assalto anfibio Tonnerre.
Importante anche il ruolo che svolge in Libia il Qatar, uno
dei più stretti alleati degli Usa: ha speso oltre un miliardo
di dollari per potenziare la base aerea Al-Udeid secondo
le esigenze del Pentagono, che se ne serve per la guerra
in Afghanistan e come postazione avanzata del Comando
centrale. Non stupisce quindi che Washington abbia dato a
questa monarchia del Golfo l’incarico di fiducia di infiltrare
in Libia commandos che, addestrati e diretti dal Pentagono, si
possono meglio camuffare da ribelli libici grazie alla lingua e
all’aspetto. Il Qatar ha anche il compito di rifornire i ribelli:
un suo aereo è stato recentemente visto a Misurata, dove
2
ha trasportato un grosso carico di armi. Da fonti attendibili
risulta che, insieme a quelle del Qatar, operino in Libia anche
forze speciali giordane e probabilmente anche di altri paesi
arabi. Va ricordato che negli Emirati arabi uniti sta nascendo
un esercito segreto che può essere impiegato anche in altri
paesi arabi del Medio Oriente e Nordafrica (v. il manifesto
del 18 maggio).
Mentre prosegue gli attacchi aerei per spianare la strada
ai ribelli, la Nato conduce sul terreno una guerra segreta
per assicurarsi che, nella Libia del dopo-Gheddafi, il potere
reale sia nelle mani delle potenze occidentali, affiancate dalle
monarchie del Golfo. In quel caso le forze speciali alzeranno
la bandiera del peacekeeping e indosseranno i caschi blu.
(il manifesto, 25 agosto 2011)
Presentiamo un compito di Alice Antoni, una ragazza di terza media, che si è meritata il massimo dei voti.
Fai una relazione sul film “Roma città aperta” di Roberto Rossellini. Riferisci in breve la trama del
film, indica a quale argomento storico è collegabile; quali sono i personaggi che ti hanno colpito di
più?
“Roma città aperta” è un film diretto da Roberto Rossellini nel 1945, nel periodo successivo alla
liberazione dell’Italia dai tedeschi e alla fine della seconda guerra mondiale. È ambientato nella
Roma del 1943, durante l’occupazione nazista. Sebbene faccia riferimento a fatti storici realmente
accaduti, i personaggi e la storia di questo film sono invenzione del regista e degli sceneggiatori.
Luigi Ferraris, uomo importante della Resistenza e militante del Partito Comunista, si nasconde con
il falso nome di ingegnere Manfredi ma viene comunque scoperto dalla polizia. Sfugge all’arresto
rifugiandosi in casa dell’amico Francesco, che vive con la futura moglie Pina. Pina è incinta e ha già
un bambino più grande avuto dal precedente marito, morto tempo prima. Manfredi si tiene in
contatto con gli altri gruppi di partigiani, grazie all’aiuto di Don Pietro, parroco che svolge il ruolo
di staffetta.
Nel quartiere dove l’ingegnere Manfredi si era nascosto viene attuata una retata della polizia e delle
SS, e questa seconda volta viene arrestato insieme a Francesco. Pina mostra la sua disperazione e
corre dietro al camion della polizia, ma muore sotto gli spari dei tedeschi. I due tuttavia vengono
liberati dagli altri partigiani, ancora prima di arrivare alla sede della Gestapo.
Si nascondono nuovamente nell’abitazione di Marina, una giovane attrice amante di Manfredi.
È una donna fragile, ingenua e legata ai soldi. Sarà lei a tradirlo, denunciandolo alle SS in cambio di
poco. Manfredi viene scoperto durante un incontro con Don Pietro, così vengono entrambi arrestati
e fatti prigionieri dai nazisti. Il maggiore Fritz Bergamam tortura e interroga il partigiano fino alla
morte, ma questi resiste e non dirà nulla. Il prete viene fatto fucilare la mattina seguente.
Il film finisce con l’inquadratura dei bambini che sono voluti restare vicino al prete, guardando da
lontano l’esecuzione, e che se ne vanno in silenzio stringendosi tra loro.
“Roma città aperta” si collega quindi con l’argomento storico della seconda guerra mondiale, più in
particolare alla situazione in Italia dopo lo sbarco al sud degli alleati nel 1943. Roma era al mezzo
di un paese diviso in due fazioni: da una parte i liberatori angloamericani, dall’altra, al nord,
l’occupazione nazista. A Roma gli alleati non erano arrivati, ma la Resistenza si fece attiva più che
mai.
Uno dei personaggi che colpiscono di più è Pina, interpretata dall’attrice Anna Magnani. È una
donna popolana, con un carattere forte e rinforzato dagli stenti portati dalla guerra.
La figura del prete è interessante; Don Pietro si dimostra un uomo di grande fede, consapevole dei
rischi che corre ma anche di quali sono i suoi doveri del suo ruolo. Penso che un prete debba aiutare
i poveri, quelli che soffrono e che vengono privati dei loro diritti più importanti. E i nazisti, i
fascisti, hanno fatto questo con le dittature, le leggi razziali, le fucilazioni, i rastrellamenti e lo
sterminio degli ebrei come di zingari, disabili e omosessuali. Don Pietro decide di dare il suo aiuto a
chi vuole combattere questo e liberare il paese.
L’ingegnere Manfredi è un uomo altrettanto convinto e deciso nelle sue azioni, nei suoi ideali e
nella resistenza alla violenza dei tedeschi. La sua forza d’animo viene dimostrata quando, nelle
scene finali, resiste a terribili torture e muore, pur di non tradire i suoi compagni.
Tuttavia in questo film mi ha personalmente colpito il monologo di uno dei generali nazisti, durante
un discorso tra SS mentre Manfredi era interrogato. Questo generale è ubriaco, parla di cose che
non dovrebbe dire ma che pensa e per questo gli altri nella sala pensano di lui che sia un “disertore”.
Dice che beve ogni sera per dimenticare quello che ha fatto e visto, ammette di non crederci più
nella “razza padrona”. Finisce ripetendo che non c’è più speranza per loro dopo tutti i morti e l’odio
che hanno seminato per tutta l’Europa.
Infine il film è una testimonianza di quegli anni e forse il messaggio finale, dato dai bambini, è che
il futuro c’è e sarà migliore, ma per averlo molti sono gli uomini che hanno dato la vita proprio
come Manfredi.
Sulla Resistenza, con la nostra classe, abbiamo visto anche una serie di interviste raccolte in un
video. A parlare erano le donne, combattenti e staffette, che hanno avuto ruoli importanti nella lotta
partigiana. Anche tra loro c’è chi ha dato la vita, chi ha messo a rischio tutto per portare avanti
quegli ideali. Le staffette avevano il compito di portare messaggi tra i vari fronti, ma anche di
portare munizioni, viveri, medicinali: molte aiutavano proprio come infermiere chi si feriva negli
scontri.
Si muovevano con le biciclette e riuscivano a passare inosservate per la maggior parte delle volte,
ma nel caso venissero fermate, dovevano avere un alibi “di ferro”. Alcune delle donne intervistate
sono state arrestate e anche portate nei campi di concentramento.
Questo filmato mi ha dato l’impressione di descrivere bene come hanno vissuto i protagonisti della
lotta partigiana, comprese quelle donne.
In conclusione, posso dire che ho un’idea precisa di cosa è stata la Resistenza per il nostro paese. Il
popolo sotto oppressione di una dittatura terribile e insensata ha combattuto per la libertà, la fine
della guerra, i propri diritti che venivano violati. È stato un movimento soprattutto di giovani di
diverse età e classe sociale, anche di vari partiti.
E molti di quei giovani sono morti, ma ancora oggi è importante ricordarli poiché nei luoghi dove
hanno combattuto e dato la vita si sono scritte le prime pagine della nostra Costituzione, quella della
Repubblica Italiana, libera dalla dittatura e che ripudia la guerra come strumento di offesa alla
libertà degli altri popoli.
L’anpi del Miranese aderisce alla manifestazione del 2 Giugno a Milano con la preghiera
tuttavia di far presente per la prossima volta all’estensore dell’appello di inserire la parola
pace tra i diritti inalienabili. vedi allegato….manca proprio!!!!!!
Una svista del genere può creare sofferenza in chi spera in un mondo migliore !
Saluti
Bruno Tonolo
ANPI del MIRANESE
Comunicazione sul sito Nazionale dell’ANPI:
http://www.anpi.it/il-2-giugno-corteo-a-milano-per-la-costituzione/