Resistere senz’armi

10313980_562308653885564_5439463697467104540_nSi terrà sabato 31 maggio 2014 (ore 18.00), nella barchessa della villa Morosini ora XXV Aprile, l’inaugurazione della mostra storico/documentariaResistere senz’armi. Storie di Internati Militari Italiani nel Terzo Reich (1943-1945) realizzata dall’Istituto Veneziano per la Storia della Resistenza e della società contemporanea (Iveser).
La mostra si propone di far conoscere la vicenda storica dei circa 650.000 militari italiani che vennero catturati dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943 e deportati nei lager del Nord Europa. I nazisti li classificarono come Internati Militari Italiani (IMI), privandoli così delle tutele previste dalle convenzioni internazionali per i prigionieri di guerra.
La mostra – attraverso un originale allestimento, con la riproduzione di un cospicuo ed inedito materiale documentario e fotografico (conservato prevalentemente nell’archivio dell’Istituto) – ripercorre tutta la vicenda degli IMI: la cattura, il terribile viaggio nei carri bestiame, la dura vita nei campi, il rifiuto di collaborare con la Repubblica sociale italiana e la Germania nazista, la liberazione, il ritorno a casa e il difficile reinserimento. Di forte impatto la sezione con alcuni totem con le immagini fotografiche e i documenti di alcuni internati militari  e che ne propone i loro percorsi biografici. Tra questi soldati anche un miranese, il motorista della Regia Marina Militare, il novantaseienne  Luigi Baldan,  già conosciuto per il suo libro di memorie “Lotta per sopravvivere – la mia Resistenza non armata contro il nazifascismo”, edito nel 2007, relativo al periodo da internato militare italiano nei lager nazisti ed alle sue opere di solidarietà nei confronti delle ragazze ebree del campo di Sackisch Kudowa in Polonia.
Un’esposizione in cui parole, immagini e documenti ricostruiscono i contorni di storie singole e li fondono in una storia collettiva che fatica ancora a trovare un posto e un giusto riconoscimento nella memoria degli Italiani.

La mostra è stata realizzata in collaborazione con il Comune di Mirano, Centro Pace, Auser Mirano, ANPI Miranese, Associazione Nazionale Combattenti e Reduci sez. Provinciale di Venezia, Associazione Bersaglieri sez. Mirano, grazie ad un contributo della Regione del Veneto, con il patrocinio della Provincia di Venezia.

L’inaugurazione sarà aperta dalla visione di alcuni video storici documentari.
La mostra proseguirà fino al 15 giugno 2014 con i seguenti orari:
sabato e domenica 10.30 -13.00 / 15.00 – 19.00
venerdì 16.00 – 19.00

Visite guidate su prenotazione per scuole, gruppi, associazioni
info e prenotazioni:
041 5287737; [email protected]

Per un Italia libera e onesta: ripartiamo dalla Costituzione

Microsoft Word - ANPINEWS N.122A Modena con il Patrocinio del Comune, in occasione della Festa della Repubblica, in Piazza XX settembre alle ore 14.00 si terrà la manifestazione “Per un Italia libera e onesta: ripartiamo dalla Costituzione”. Interverranno Gustavo Zagrebelsky, Sandra Bonsanti, Stefano Rodotà, Lorenza Carlassare, Carlo Smuraglia, Marco Travaglio, Giancarlo Caselli, Alberto Vannucci, Elisabetta Rubini, Paul Ginsborg, Roberta De Monticelli, Gaetano Azzariti.
Fabrizio Gifuni leggerà e reciterà pagine della nostra storia storia e Maurizio Landini invierà una video testimonianza.

Aderiscono alla manifestazione:

ANPI Nazionale
Rete per la Costituzione
Giustizia e Libertà con il suo Presidente Antonio Caputo
Associazione nazionale Liberacittadinanza
Comitato di Parma “Salviamo la Costituzione”
Scuola di Formazione Politica “Antonino Caponnetto”
Centro Documentazione don Tonino Bello (Faenza)
Viva la Costituzione – Rovigo
Comitato per la Costituzione di Rovigo
DIECIeVENTICINQUE
Comitato di Faenza per la valorizzazione e la difesa della Costituzione
Libera-Uscita Sezione Modenese
Democrazia Atea
Associazione dei familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili
Associazione Culturale PARTECIPAZIONE
ASSOCIAZIONE REGGIANA PER LA COSTITUZIONE
Iniziativa Laica e “Giornate della laicità”
Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford
Associazione per la democrazia costituzionale
Associazione reggiana per la Costituzione
Comitato per la Costituzione di Grosseto
Lista Civica Italiana
Associazione PrendiParte
Carovana per la Costituzione SEMPRE
Comitato Pistoiese per la difesa della Costituzione
Articolo21
Coordinamento per la difesa della Costituzione di Modena

“Siamo favorevoli al cambiamento, ma nel solco della Costituzione e nel quadro di una democrazia che si rafforza anziché ridurre gli spazi della rappresentanza. Non ci considereremo soddisfatti, dunque, se non quando il Paese non si sarà dotato di una legge elettorale veramente democratica; tra rappresentanza e governabilità si privilegerà la prima, pur cogliendo anche le esigenze di stabilità; la Costituzione sarà rispettata ed attuata nei suoi fondamenti e nelle sue linee di coerenza, apportando gli aggiustamenti necessari alla stessa struttura parlamentare, ma senza togliere alcunché agli equilibri ed alle garanzie che la Costituzione ci offre e che restano il fondamento della vita consociata. In questa direzione  intendiamo lavorare, col contributo di quanti credono nella Costituzione e nella democrazia e con un’informazione adeguata ai cittadini sulla reale posta in gioco e sul loro interesse a soluzioni chiare, trasparenti e ponderate. Comincia qui un cammino, che può anche essere lungo.
Ma questa forte presenza, questo calore e questa giornata magnifica di incontro mi induce a pensare che se ci impegneremo come dobbiamo, ce la faremo, nell’interesse del Paese e della democrazia”
Carlo Smuraglia – Presidente Nazionale ANPI – Teatro Eliseo, 29 aprile 2014

Ciao Giorgio

OLYMPUS DIGITAL CAMERANella serata del 26 maggio ci ha lasciati Giorgio Bottacin, la memoria storica della piazza, colui che a 8 anni vide trucidare i martiri in piazza a Mirano. «Lavoravo in pasticceria da Tonolo – racconta – vidi il primo morto trascinato a terra sotto il portico. Era stato ucciso poco prima davanti l’ex casa Pavan. Poi arrivarono i partigiani e spararono contro la casa del fascio. L’amico che era con me cadde morto a terra, io mi salvai per un pelo nascondendomi dietro la vecchia osteria Gasparini». Bottacin vide anche deportare gli Errera e fucilare altri miranesi al cimitero. Sempre presente alle commemorazioni e agli incontri con i ragazzi delle scuole medie dove portava la sua testimonianza degli eventi a cui aveva assistito: la foto si riferisce all’ultimo incontro dell’11 dicembre 2013.

Tutta l’Anpi di Mirano in questo triste momento porge le più sentite condoglianze ai familiari di Giorgio.

I funerali si svolgeranno venerdì 30 maggio alle ore 11 nel duomo di Mirano.

Fosse Ardeatine: il filmato ritrovato di Luchino Visconti

Il primo film documentario realizzato da Luchino Visconti ha ritrovato la via di casa. Una ‘chicca’ scovata negli Stati Uniti da Luciano Martini, endocrinologo, appassionato di musica, cinema e storia che l’ha acquistato per un pugno di dollari. Il filmato fa parte del lungometraggio “Giorni di Gloria” del 1945, che colleziona materiali firmati da Luchino Visconti, Giuseppe De Santis e Marcello Pagliero. Luchino Visconti aveva ripreso su incarico dell’esercito anglo-americano il processo contro l’ex questore di Roma Pietro Caruso, svoltosi nell’attuale sede dell’Accademia dei Lincei, la fucilazione che ne seguì dello stesso Caruso, del delegato Scarpato e di Pietro Koch. Quest’ultimo responsabile della Pensione Jaccarino, conosciuta anche come “villa tristezza”, famosa prigione fascista per le sevizie e i maltrattamenti, dove lo stesso Visconti era stato imprigionato per un breve periodo. Luciano Martini, 87 anni, professore all’Università di Milano per 40 anni, attraverso attente e lunghe ricerche ha ritrovato il nastro originale e lo ha acquistato da una piccola società americana.

Comunicato della Rete per la Costituzione

costituzione_italianaLa Rete per la Costituzione, che unisce comitati e associazioni delPaese nati per la difesa della Costituzione e soprattutto per la sua concreta applicazione, esprime profondo sconcerto di fronte alle ultime notizie relativeagli arresti, alle indagini, alle inchieste che stanno ancora una volta dimostrando come il Paese debba trovare finalmente una strada per un cambiamento radicale della vita pubblica.
La grande maggioranza dei cittadini di questo Paese, indeboliti e strematida una crisi economica senza precedenti, subisce gli effetti devastanti di una gestione della vita politica che manifesta eclatanti esempi di vera e propria criminalità.
Nel mentre coperchi vengono aperti dalla magistratura italiana rivelando come anche il mondo economico-finanziario, nel suo stretto connubio con la politica nazionale e locale, sia profondamente condizionato da comportamenti ormai sistemici di corruzione e affarismo illecito, la Rete perla Costituzione vuole esprimere la propria solidarietà ai magistrati e aigiudici che nell’esercizio delle loro doverose funzioni, nonostante le grandi difficoltà che incontrano, costituiscono l’unico baluardo per evitare che la Repubblica possa essere sopraffatta senza possibilità di un ritorno ad una vitacivile, al rispetto delle regole, alla democrazia disegnata dalla Costituzione italiana.
La Rete per la Costituzione esprime inoltre condanna nei confronti diogni tentativo, manifesto o subdolo, diretto ad ostacolare o ad allentare ledoverose indagini dei magistrati che hanno il compito di accertare ogni fatto ocomportamento che abbia determinato la trattativa Stato-mafia.
Siamo convinti che sia necessario costituire un nuovo fronte democratico che raccolga tutte le persone che intendono vivere in questo Paeseall’insegna di una democrazia fatta di rispetto e osservanza delle regole, ditrasparenza dell’attività amministrativa e politica, di civile e diffusapartecipazione, di legalità, di giustizia, di pari dignità e di solidarietà.
In definitiva, di rispettosa osservanza della Costituzione e dei suoi principi fondamentali.
Crediamo per questo che anche le ultime iniziative governative dirette alla profonda trasformazione dell’impianto istituzionale dello Stato siano palesemente in contrasto sia con i principi costituzionali che con i principi della rappresentanza democratica su cui questo Paese è stato costruito.

Omaggio ai caduti russi per la libertà

partigiani-sovietici1Intervento di Roberto Cenati Vicepresidente vicario dell’ANPI di Milano, tenuto il 9 maggio al cimitero di  Musocco, davanti al monumento dei Caduti partigiani sovietici, per la fine della Seconda Guerra Mondiale in Europa.

L’8 maggio 1945, a Berlino, alla presenza dei rappresentanti delle forze armate dell’Unione Sovietica, dell’Inghilterra, degli Stati Uniti, della Francia venne firmato l’atto di capitolazione incondizionato della Germania.
Dopo la firma dell’atto, dal 9 al 17 maggio 1945 si consegnarono alle autorità sovietiche  1 milione e 391 mila uomini dell’esercito tedesco. La guerra in Europa era terminata; il 9 maggio si celebra la fine di quel sanguinoso conflitto che costò la vita ad oltre 50 milioni di persone e in Russia si celebra la vittoria della Grande Guerra Patriottica contro il nazifascismo.
Ma la Seconda Guerra Mondiale non fu solo un conflitto sanguinoso. Fu anche un vero e proprio scontro planetario tra le forze della coalizione antifascista che si richiamavano agli ideali di democrazia e libertà e quelle, nazifasciste e hitleriane che volevano imporre in Europa e nel mondo un regime antidemocratico, oppressivo, fondato sul razzismo, sull’antisemitismo e sul terrore.  Se avessero vinto le forze che si richiamavano alle ideologie nazifasciste, l’Europa si sarebbe trasformata in un immenso campo di concentramento.
All’alba del 22 Giugno 1941 la Germania nazista attacca a tradimento l’Unione Sovietica, impiegando ingenti mezzi: 5 milioni e mezzo tra soldati e ufficiali, quasi 5.000 aeroplani, oltre 3.500 carri armati.
Il governo fascista, deciso a non essere da meno dell’alleato nazista, inviò il corpo di spedizione dell’Armir, che subì pesantissime perdite. La tragedia vissuta dai soldati italiani rappresenta una delle più gravi responsabilità del fascismo di fronte al popolo italiano e contribuì a rendere sempre più vivi e forti il risentimento e l’ostilità degli italiani verso il fascismo. Non furono pochi coloro che, segnati da quella tragica esperienza, militarono, dopo il loro ritorno in Italia, nelle formazioni partigiane, come Nuto Revelli, fra i primi organizzatori della Resistenza nel Cuneese, dopo l’8 Settembre 1943.
Ebbe inizio, con l’operazione Barbarossa, la Grande Guerra Patriottica, condotta dall’esercito, dai partigiani e da tutto il popolo sovietico contro l’invasione nazifascista.
Nelle zone occupate le autorità tedesche organizzavano rastrellamenti, perquisizioni, bruciavano le case di quanti opponevano resistenza, gettavano in carcere e nei campi di concentramento i familiari dei partigiani.
Le SS tedesche, dopo l’occupazione dei villaggi, si macchiarono anche di atroci crimini contro gli ebrei, centinaia di migliaia dei quali furono eliminati.
Dal 1941 al 1944 furono deportati in Germania, dalle zone occupate dell’Unione Sovietica, circa 5 milioni di persone, con l’obiettivo di rifornire di manodopera la macchina bellica hitleriana e con l’intendimento di fiaccare la Resistenza antinazista.
Leningrado, ora San Pietroburgo, fu assediata dal 9 Settembre 1941 al 18 Gennaio 1944, per 900 lunghissimi giorni. Durante quell’assedio decine di migliaia di donne, di bambini e di anziani morirono di fame e di fatiche.
Ma il tentativo dei tedeschi di terrorizzare la popolazione si rivelò controproducente. La Resistenza prendeva sempre più vigore e costituì, con il lavoro di milioni di cittadini nelle retrovie, volto a dotare il Paese di una economia di guerra all’altezza della situazione, il fattore determinante nella disfatta degli invasori, sconfitti nella storica battaglia di Stalingrado e arresisi al maresciallo Zukov il 31 gennaio 1943.
Cominciò allora quella ritirata tedesca che non doveva più arrestarsi, sino al tracollo definitivo del Terzo Reich.
Saremo sempre infinitamente grati e riconoscenti a tutto il popolo sovietico per questo suo fondamentale e determinante contributo alla sconfitta del nazifascismo.
Ma un ulteriore motivo di gratitudine e di riconoscenza ci lega al popolo russo.
Esso è rappresentato dal contributo delle migliaia di soldati di poco più di vent’anni, provenienti dalle parti più remote dell’Unione Sovietica che, catturati dai tedeschi e tradotti in Italia, riuscirono a fuggire, dopo l’8 Settembre 1943, dai campi di prigionia fascisti e si unirono alle formazioni partigiane.
Di essi vogliamo ricordare, oggi, simbolicamente, tre partigiani sovietici della 53a Brigata Garibaldi, fucilati insieme a partigiani italiani, tra cui il tenente Giorgio Paglia, giovane studente del Politecnico di Milano, il 21 Novembre 1944, dai fascisti della Legione Tagliamento, nella località Malgalunga in provincia di Bergamo.
I loro nomi sono: Semion Kopcenko, nome di battaglia Simone, Ilarion Etanov, nome di battaglia Donez, Alexander Nogin, nome di battaglia Molotov.
Grande è stato il tributo di sangue dei partigiani sovietici in Italia.
Sono circa 500 le tombe di militari sovietici sparse nei cimiteri italiani.
Il monumento davanti al quale siamo oggi raccolti è dedicato ai partigiani sovietici caduti in Italia, combattendo nelle file del Corpo Volontari della Libertà.
In questo campo del Cimitero maggiore di Milano, riposano 8 soldati sovietici, tutti giovanissimi, prigionieri di guerra, vittime di incursioni aeree tra il 1942 e il 1943.
Questo campo ci impone il dovere di ricordare quale è stato il prezzo durissimo di sangue e sofferenze pagati dai giovani partigiani europei per ridare la libertà a tutti noi. Ma da questo campo ci giunge anche un monito. La memoria è il valore che ci può salvare, la testimonianza più autentica, perché memoria e storia sono il contrario dell’oblio che tende a cancellare le differenze.
Noi vogliamo che gli uomini siano liberi. Ma per essere liberi ciascuno di noi deve conoscere, avere memoria del passato. Se non si conosce la storia, si è gregari e schiavi, non si è liberi.
Ricordiamoci una cosa fondamentale. Non è vero che “il lavoro rende liberi”, come beffardamente si leggeva all’ingresso del lager di Auschwitz, ma è la conoscenza che ci fa liberi; ecco perché noi vogliamo che la nostra memoria sia per tutti conoscenza di cosa è stato il nazifascismo e di quali sono stati i valori di chi si è battuto contro il regime del terrore, per essere liberi e per costruire una società più giusta.
Concludo col ricordare un evento molto significativo avvenuto il 16 Maggio 1945 sul piazzale del lager di Mauthausen, nel quale venivano deportati gli operai delle grandi fabbriche del Nord, a seguito degli scioperi del novembre-dicembre 1943 e del marzo 1944. Il 16 maggio 1945 si svolse una grande manifestazione antinazista, nel corso della quale, gli ex deportati, pronunciarono un solenne giuramento, nel quale, tra l’altro affermarono: “Si aprono le porte di uno dei campi peggiori e più insanguinati: quello di Mauthausen.
La pluriennale permanenza nel campo ha rafforzato in noi la consapevolezza del valore della fratellanza tra i popoli.
Vogliamo percorrere una strada comune: quella della libertà di tutti i popoli, del rispetto reciproco, della collaborazione nella grande opera di costruzione di un mondo nuovo, libero, giusto per tutti.
Nel ricordo del sangue versato da tutti i popoli, nel ricordo di milioni di fratelli assassinati dal nazifascismo, giuriamo di non abbandonare mai questa strada”.
E questo deve essere anche il nostro impegno.

Roberto Cenati

L’incendio di Odessa e la stampa italiana

imagesVediamo i lenzuoli sui corpi di decine di persone, nelle videoriprese di Odessa, in Ucraina. Lì è in atto un pogrom antirusso in pieno XXI secolo, con lancio di molotov, granate artigianali, assedi, bastonature. Squadre nazistoidi di Pravy Sektor (“Settore Destro”), protette e inquadrate anche nel resto del Paese da una giunta insediatasi dopo aver allontanato con la violenza un presidente eletto regolarmente, stanno devastando i luoghi di aggregazione sociale e politica – ossia i partiti, le associazioni, i sindacati – di una parte della popolazione di Odessa (maggioritaria) identificabile come russa, russofona o filorussa. La polizia della città sul Mar Nero ha lasciato fare per ore.
Ma le vergognose testate italiane fanno a gara per sopire e troncare la reale portata della notizia.
Distinguere fra un generico incidente e una strage politica: il confine per capire quali tempi di fuoco si avvicinano passa da qui, dai 38 morti del 2 maggio di Odessa (per tacere degli altri episodi da guerra civile nel resto di un paese in bancarotta).
In materia di guerra la stampa italiana, specie sul web, ci ha già abituati al peggio negli ultimi anni. Con il dramma dell’Ucraina si è già subito portata ai suoi peggiori livelli, già raggiunti nel disinformare i lettori sulla guerra in Libia e poi in Siria. Le pagine web italiote ci farebbero davvero ridere, se non parlassimo di una tragedia: i 38 filo-russi bruciati in una sede sindacale dai nazionalisti ucraini di estrema destra sono diventati delle generiche “38 vittime in un incendio”. «Quasi si trattasse di un incidente e non di un massacro politico», commenta Daniele Scalea, direttore dell’IsAG, un istituto di studi geopolitici molto attento alle vicende dell’Europa orientale. Scalea e anche noi ci domandiamo cosa avrebbero scritto nel 2011 il Corriere della Sera, o la Repubblica, o Il Fatto Quotidiano, se dei miliziani di Gheddafi avessero assediato decine di manifestanti fino a farli bruciare vivi.
Ecco come il canale televisivo russo RT riferisce i fatti:
«Almeno 38 attivisti antigovernativi sono morti nell’incendio della Camera del Lavoro di Odessa a seguito del soffocamento per il fumo o dopo essere saltati dalle finestre dell’edificio in fiamme, ha riferito il ministro dell’Interno ucraino. L’edificio è stato dato alle fiamme dai gruppi radicali pro-Kiev.»
Così invece li racconta il Corriere della Sera:
«Trentotto persone sono morte in un incendio scoppiato nella città ucraina di Odessa e legato ai disordini tra manifestanti filo russi e sostenitori del governo di Kiev.»
Così, genericamente, un incendio “legato ai disordini”…
Ancora, il pezzo su Repubblica suona così:
«È di almeno 38 morti anche il bilancio delle vittime degli scontri tra separatisti e lealisti a Odessa, città portuale ucraina sul Mar Nero. “Uno di loro è stato colpito da un proiettile”, ha riferito una fonte all’agenzia Interfax, “mentre per quel che riguarda gli altri non si conosce la causa della loro morte”. La sede dei sindacati è stata data alle fiamme. Le persone sono morte nell’incendio. Gli scontri sono violentissimi.» La macabra contabilità si disperde in un groviglio in cui non si capisce chi fa che cosa, quanti muoiono in un episodio o in un altro, chi appicca gl’incendi.
L’Unità riesce a fare peggio di tutti. La salma del giornale di Gramsci scrive infatti che la sede del sindacato è stata bruciata dai separatisti filo-russi (uno scoop malauguratamente ignorato in tutto il resto del mondo). A ulteriore dimostrazione che all’Unità non sanno quel che dicono, aggiungono che sono stati «abbattuti due elicotteri filorussi, Mosca furiosa», come se la rivolta avesse una sua aviazione all’opera.
Naturalmente la notizia era inversa: due elicotteri d’assalto Mi-24 delle forze speciali di Kiev (che stanno combattendo assieme a contractors stranieri e milizie naziste), sono stati abbattuti dalle forze ribelli. Notizia molto preoccupante, se vista nelle sue implicazioni, possibilmente quelle esatte, della possibile escalation del conflitto.Se puntiamo di nuovo l’attenzione al rogo di Odessa, la conclusione è dunque chiara: gli organi di informazione nostrani sono reticenti, quando non falsificano, perché non riferiscono che le vittime sono state tutte di una parte, né che la causa immediata della loro morte sia stato un incendio doloso appiccato dalla milizia del partito nazista Pravy Sektor presso la sede di un sindacato.
Questo accade nell’Odessa del 2014 e non nella Ferrara del 1921 né nella Stoccarda del 1932. A quel tempo c’erano ancora organi di informazione che raccontavano la portata reale della catastrofe, prima di esserne travolti.
Non sappiamo ancora se il veleno della catastrofe politica di questo secolo potrà essere evitato, data la risolutezza degli apparati atlantisti nel precipitare nel caos l’Ucraina, paese chiave della sicurezza comune europea.
L’unico antidoto esistente può funzionare solo se diventa un fenomeno politico e mediatico di massa: l’antidoto è informarsi e informare, fuori dalla ragnatela mediatica dominante, far sapere tutto su chi vuole estendere il grande incendio, ben oltre i palazzi di Odessa.  (di Pino Cabras da http://megachip.globalist.it)

L'incendio_dell'Hotel_BalkanIl 13 luglio 1920 il Narodni Dom (in sloveno, Casa del popolo) di Trieste, che era la sede delle organizzazioni degli sloveni triestini, oltre ad ospitare una banca, la tipografia dei principali giornali sloveni, un caffè e un albergo, veniva bruciato dai fascisti, in quello che Renzo De Felice definì “il vero battesimo dello squadrismo organizzato”. Dal 1919 gli italiani iniziarono una politica di “italianizzazione” delle nuove province conquistate alla fine della prima guerra mondiale, ma l’incendio del Narodni Dom fu l’inizio di decine e decine di azioni squadristiche che volevano distruggere anche fisicamente ogni traccia slovena dai nuovi territori. Un pogrom in piena regola. Una forte e inquietante analogia con i fatti di Odessa.

Schio, 1943-1945. Storia di dodici «elementi pericolosi»

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Questa è l’intervista di Alessandro Pagano Dritto a Ugo De Grandis autore del libro “Elemento pericoloso – Inquisizione e deportazione politica nella Schio di Salò” (Da http://www.vicenzapiu.com).

L’ultimo libro di Ugo De Grandis, Elemento pericoloso. Inquisizione e deportazione politica nella Schio di Salò (1943-1945). L’odissea dei partigiani del Btg. Territoriale «F.lli Bandiera» di Schio deportati a Mauthausen – Gusen (Centrostampaschio, Schio, 2014, 15 euro) racconta delle vicende che portarono all’arresto e alla deportazione in Germania di dodici antifascisti scledensi alla fine del 1944: di questi – Giovanni Bortoloso, Andrea Bozzo, Roberto Calearo, Italo Galvan, William Pierdicchi, Pierfranco Pozzer, Anselmo Thiella, Vittorio Tradigo, Andrea Zanon, Bruno Zordan – solo uno, William Pierdicchi, farà ritorno nel giugno 1945. VicenzaPiù ne ha parlato con l’autore.
In apertura di Elemento pericoloso il lettore trova due citazioni: una da una lettera di Ernesto «Che» Guevara, l’altra da Fahrenheit 451 di Ray Bradbury. Quest’ultima recita: «Ognuno deve lasciarsi qualche cosa dietro quando muore, diceva sempre mio nonno: […]. Qualche cosa insomma che la nostra mano abbia toccato in modo che la nostra anima abbia dove andare quando moriamo […]. Non ha importanza quello che si fa, diceva mio nonno, purché si cambi qualche cosa da ciò che era prima in qualcos’altro che abbia poi la nostra impronta».

Come mai proprio questa citazione in questo libro?

La risposta più banale è che ho letto Fahrenheit 451 mentre stavo leggendo questo libro. Devo confessare che anni fa ero un lettore vorace; più poi ho scritto di storia e meno ho trovato tempo per leggere libri che non fossero saggi storici. Questa frase mi ha colpito perché mi sembra rappresenti l’essenza di scrivere libri, soprattutto libri di storia, di voler lasciare un segno, una traccia della propria attività. Ogni libro che io scrivo è destinato a lasciare un segno e questo, nello specifico, è anche un libro che rompe con una visione distorta dell’episodio di giustizia sommaria avvenuto alle carceri di Schio nel luglio 1945.

Il libro si regge su un apparato di note che citano denunce presentate dopo la Liberazione, prima e dopo l’eccidio di Schio.
Come si è posto lei, da storico, nei confronti di questa documentazione? Non c’era il rischio che qualcuno, a liberazione avvenuta, calcasse la mano nel presentarle?

Vorrei prima di tutto specificare, visto che nominiamo l’eccidio di Schio, che questo non è e non va considerato un libro sull’eccidio di Schio. Lo dico perché mi capita di incontrare persone che mi chiedono se ho scritto un nuovo libro sull’eccidio di Schio: no. Certo, la vicenda principale che racconto – quella dei dodici antifascisti scledensi inviati in Germania – ha avuto dei riflessi sull’eccidio delle carceri e il libro stesso è nato dall’acquisizione dei fascicoli a carico dei fascisti detenuti al loro interno; fascicoli istruiti dai Reali Carabinieri ricostituitisi dopo il giorno della locale liberazione, il 29 aprile 1945. I Carabinieri condussero le indagini sulla base di segnalazioni di privati cittadini, del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) o dei partigiani e inoltrarono poi i verbali redatti alla Commissione di epurazione. Il rischio che qualcuno calcasse la mano nel denunciare ovviamente c’era; ma si tratta comunque di denunce autografe, che hanno condotto un ufficiale di polizia giudiziaria ad aprire un fascicolo e che quindi hanno un preciso valore. Questi fascicoli sono stati conservati nella sede del Tribunale di Vicenza, alla sezione «Corte d’Assise Straordinaria 1945-1946»: quella Corte che poi cessò di funzionare col famoso decreto Togliatti. Leggi tutto “Schio, 1943-1945. Storia di dodici «elementi pericolosi»”

Se la politica ascoltasse quei ragazzi…

10321601_10152143019127903_775660903705055456_oDa Articolo 21 un bel resoconto della manifestazione ANPI del 29 aprile:

Come sarebbe stato bello se Renzi e la Boschi, anziché prendersela con i “professoroni” che da trent’anni, non si sa come, non si sa perché, bloccherebbero le mitiche riforme, fossero stati con noi ieri pomeriggio al Teatro Eliseo! Come sarebbe stato bello se avessero partecipato all’iniziativa promossa dall’ANPI e dedicata a “una questione costituzionale”, ossia la tutela dei princìpi, dei valori e dello spirito originario della Costituzione dagli assalti di riformatori le cui proposte sembrano essere dettate più da esigenze elettorali che da un reale disegno di buona manutenzione della Carta!
Se fossero venuti con noi, ad esempio, si sarebbero accorti che nel Paese non c’è nessun gufo, nessun rosicone e nessun disfattista, tanto meno a sinistra, e che i nostri allarmi, i nostri appelli, le nostre richieste di chiarimento non derivano dalla volontà di favorire l’ascesa grillina a Palazzo Chigi bensì dal fermo desiderio di ricostruire una coalizione di centrosinistra degna di questo nome, in grado di garantire al Paese un governo all’altezza e di restituire credibilità alle istituzioni.
Se fossero venuti, inoltre, si sarebbero accorti che alla manifestazione promossa dall’ANPI non c’erano solo i “parrucconi” dal capello canuto che loro tanto avversano ma anche decine e decine di giovani che alle riunioni del PD non si vedono più. Giovani “partigiani”, giovani animati dall’amore per la politica e da un fortissimo impegno civile, giovani coraggiosi, ricchi di passione, desiderosi di raccogliere il testimone e prepararsi a combattere le resistenze moderne: per il lavoro, per i diritti, per la dignità della persona e anche per il ritorno della politica perché quella cui stiamo assistendo in questi mesi, oggettivamente, non lo è.
Non è politica quest’indegna e costante gazzarra priva di contenuti e di proposte; non è politica la religione dell’insulto e della delegittimazione dell’avversario; non è politica l’offesa gratuita, la sopraffazione delle minoranze e il tentativo di imporre il pensiero unico, da qualunque parte esso provenga; non è politica quest’arroccarsi in difesa di posizioni indifendibili mentre una moltitudine di cittadini ricchi di idee bussa alle porte e vorrebbe portare aria fresca nei palazzi del potere; non è politica, infine, questo scontro feroce, senza esclusione di colpi, all’insegna di un populismo e di una demagogia dilaganti che contribuiscono unicamente ad accentuare la sfiducia e il distacco delle persone da un sistema che viene considerato, spesso a ragione, dannoso e autoreferenziale.
È politica eccome, invece, il bel confronto fra una ragazza che avrà avuto la mia età o poco più e figure eccezionali come Rodotà, il professor Gianni Ferrara e il presidente dell’ANPI Carlo Smuraglia; è politica quella ragazza che ha imboccato il percorso della vita seduta a fianco di chi ha combattuto per rendere possibile la libertà del suo pensiero e delle sue parole; è politica vedere dei giovani col fazzoletto tricolore dell’ANPI  al collo e l’idea di essere i “partigiani del Terzo Millennio” o, meglio ancora, i “partigiani della Costituzione”; è politica il ricordo del meraviglioso discorso di Calamandrei ai giovani, quando li esortò a tener sempre vivo il ricordo del sangue e delle vite che era costata la nostra Costituzione. È la politica di cui avrebbe bisogno un Paese come il nostro, dalla memoria sempre più labile, in cui tutto sembra oramai consentito, persino dichiarazioni ignobili, persino le offese barbare ai sindacati e ai corpi intermedi, persino il vilipendio sistematico al Capo dello Stato, persino la logica dello sfascio nei confronti del sistema democratico.
È una politica onesta, genuina, pulita, in cui le generazioni si prendono per mano e camminano insieme, in cui chi è stato sui monti della Resistenza trasmette ai nipoti quei valori e quelle sensazioni, affidando alla nostra generazione il compito immane di custodirli e farli giungere alle prossime generazioni che, a differenza nostra, non avranno la fortuna di ascoltare la testimonianza diretta di chi ha vissuto quei giorni drammatici.
È, in poche parole, un’altra idea d’Italia, un’altra idea di confronto, un’altra idea di dialogo e di apertura mentale; è un’idea per cui vale la pena battersi perché, come abbiamo ricordato altre volte, è proprio nel momento dell’abisso che nacque il sogno dell’Europa unita ed è inaccettabile che oggi qualcuno si aggrappi persino a riforme complesse e ineludibili per utilizzarle in campagna elettorale, strumentalizzando la richiesta di cambiamento che si leva dal Paese.
Sì, c’è bisogno di cambiare, c’è bisogno di guardare al futuro, c’è bisogno di uscire da questo maledetto ventennio di declino e di degrado ma perché ciò accada è necessario, innanzitutto, appropriarsi di un nuovo linguaggio, poi tornare a guardarsi negli occhi, infine tornare a concepire la politica e la società nel suo complesso come una comunità solidale in cammino, riscattando con una nuova resistenza, morale e culturale, il senso stesso della dignità umana, calpestata dal liberismo, dall’egoismo, dall’idea che la società non esista e non abbia senso e, più che mai, dall’idea che non esistano più valori che non possono essere ridotti a merce.

Questa è la Resistenza cui sono chiamati i ventenni di oggi. Speriamo, per il bene della collettività, che ne siano all’altezza.

di Roberto Bertoni da articolo21.org