Resistenza e Costituzione

Venerdì 13 dicembre 2013 ore 20.45 presso la  Sala conferenze di Villa Errera si terrà l’incontro:

“Resistenza e Costituzione”
con la partecipazione di:
Felice Casson senatore della Repubblica
Silvia Manderino “Rete per la Costituzione”
Diego Collovini presidente ANPI provinciale di Venezia
Rappresentanti del Comune di Mirano

Giornata della memoria: 11 dicembre 2013

Giovanni Garbin, Severino Spolaor, Bruno Garbin, Cesare Spolaor, Giulio Vescovo, Cesare Chinellato

Si ripeterà anche quest’anno il percorso commemorativo che le classi terze delle scuole medie“L. Da Vinci” e “G. Mazzini” seguiranno in piazza Martiri a Mirano nella mattina di mercoledì 11 dicembre 2013, a partire dalle ore 8.30, per la “Giornata della Memoria e dei Martiri della città di Mirano”.
Ai trecento alunni di 11 classi delle medie quest’anno si uniranno gli studenti del liceo “Majorana – Corner” per ricordare i tragici eventi accaduti nella notte tra il 10 e l’11 dicembre 1944, quando sei giovani partigiani del gruppo di Luneo vennero catturati in conseguenza della delazione di una spia e, dopo un sommario interrogatorio, furono seviziati e trucidati dalla barbarie fascista. Si chiamavano Cesare Chinellato, Bruno e Giovanni Garbin, Cesare e Severino Spolaor, Giulio Vescovo.
Gli alunni delle medie percorreranno i sei luoghi della tortura e della fucilazione in piazza Martiri (casa del Fascio – caserma della Finanza, via Barche, farmacia Sansoni, via Castellantico, Municipio, ovale) e sosteranno nei diversi punti e in ognuno ascolteranno una testimonianza portata da testimoni diretti, che hanno vissuto quell’eccidio o da persone che hanno approfondito questo episodio. I testimoni saranno affiancati dagli studenti dei licei.
Si riuniranno poi al centro della piazza, vicino al monumento al Partigiano, per la commemorazione ufficiale cui interverranno la Sindaca Maria Rosa Pavanello e la Presidente del Consiglio comunale Renata Cibin.
L’iniziativa è promossa dagli istituti comprensivi di Mirano e dal liceo “Majorana – Corner” in collaborazione con il Comune, l’ANPI del Miranese, l’AUSER quale momento di approfondimento della storia miranese e dell’episodio storico dal quale deriva il nome della piazza. Una piazza vissuta di solito diversamente, come luogo di svago, che diviene luogo di riflessione per conoscere le vicende di giovani concittadini che un tempo hanno dato la loro vita per ideali di libertà.
La Giornata della memoria è stata istituita dal Consiglio Comunale nel 2003 e celebrata l’11 dicembre di ogni anno perché la più violenta rappresaglia che ha coinvolto il paese si era svolta in piazza Martiri l’11 dicembre 1944. Questa giornata è dedicata comunque a tutte le vittime del nazifascismo che caddero a Mirano nell’inverno 1944/45, a partire da Oreste Licori che fu fucilato l’1 novembre 1944 fino alla fucilazione il 17 gennaio 1945 di Luigi Bassi, Ivone Boschin, Dario Camilot, Michele Cosmai, Primo Garbin, Aldo Vescovo, Gianmatteo Zamatteo e alla morte in combattimento il 27 aprile 1945 di Luigi Tomaello e Mario Marcato e alla deportazione in Germania, da cui non fecero più ritorno, nel febbraio 1944 di Nella Grassini Errera e Paolo Errera.

In questa occasione verrà intitolata la sezione Anpi come “Martiri di Mirano”, questa la motivazione:

Il  Presidente Franceso  De Gasperi, il  Vice Presidente Renzo Tonolo, il Segretario Bruno Tonolo e i membri del Consiglio  Direttivo della sez. ANPI di Mirano, all’unanimità approvano l’intitolazione della sezione ANPI ai “MARTIRI di MIRANO”.
Pertanto, da oggi 11.12.2013, giorno della memoria dei sei giovani martiri barbaramente torturati dalle brigate nere ed esposti in Piazza e qui lasciati morire a monito per le genti di  questi territori,  la sezione sarà  denominata:  Sezione ANPI “Martiri di Mirano”.
Con questo atto solenne si intende dare imperitura memoria ai Partigiani di Mirano e del miranese, ai soldati che dissero no alla R.S.I. morti nei campi di concentramento, agli ebrei, zingari, omosessuali, deportati e sterminati, a quanti, nel silenzio dell’anonimato, vissero quelle tragiche giornate a fianco dei combattenti fornendo loro aiuto e protezione.
Di tutti i Martiri, uniti nel dono della loro vita per la Libertà e la Democrazia, oggi, con il ricordo, vogliamo assumere l’impegno come ex partigiani e antifascisti, nella quotidiana azione politica e nella testimonianza personale.

Appello dell’ANPI in difesa della Costituzione

“La Camera a breve voterà sulle modifiche all’art. 138. Facciamoci sentire e difendiamola, questa Costituzione, da questo nuovo attacco. Il 24 novembre l’ANPI sarà in oltre 160 piazze d’Italia per informare i cittadini e in seguito organizzerà un presidio davanti a Montecitorio. Non esiste battaglia impossibile!”
Si avvicina la scadenza del “periodo di riflessione” previsto dalla Costituzione per la sequenza delle votazioni in materia costituzionale. Il 10-11 dicembre scadranno i tre mesi dalla precedente votazione e la Camera dovrà procedere all’ultimo atto, il voto sulle modifiche all’art. 138, di cui più volte ho cercato di spiegare il contenuto. Bisogna impiegare questo lasso di tempo per cercare di far capire a tutti che l’art. 138 non è una norma qualsiasi, ma è quella che detta le regole del gioco ed è, per questo, inserita tra le “garanzie costituzionali”. Insomma, bisogna chiedere a gran voce che la Camera non voti questo disegno di legge costituzionale, così dannoso e pericoloso. In questo senso si è pronunciato anche il Comitato direttivo di “Salviamo la Costituzione”, in una recente riunione che, su questo punto, è stata assolutamente unanime. Per quanto ci riguarda direttamente, come ANPI, abbiamo tante iniziative già in campo, sulla Costituzione, in tutto il Paese. Abbiamo l’occasione del 24 novembre, la “giornata del tesseramento” – in oltre 160 piazze d’Italia – che abbiamo deciso di dedicare alla Costituzione e nella quale avremo modo di avvicinare molti cittadini e cittadine. Abbiamo manifestato l’intento di tenere un presidio davanti alla Camera; e lo faremo, spero, con una larga partecipazione e con l’adesione di tutte le Associazioni impegnate nella difesa della Costituzione. Insomma, facciamoci sentire e difendiamola, questa Costituzione, da questo nuovo attacco. Sappiamo che è una battaglia difficile, perché il Governo ha legato la sua stessa sopravvivenza alla questione delle riforme costituzionali; anche se non abbiamo mancato di notare alcune crepe che si vanno formando anche nella maggioranza. Ma non esiste battaglia impossibile; e l’ANPI è erede e successore a titolo universale, come ha scritto in una bella sentenza il Tribunale militare di Verona, di coloro che combatterono per la libertà, sapendo che si trattava di una impresa al limite dell’impossibile, se non altro per la sproporzione tra le forze in campo. Rifacciamoci a quegli esempi e impegniamoci, davvero tutti, per impedire un’operazione che riteniamo negativa per l’interesse della collettività. Il che non ci impedirà, poi, di insistere perché si facciano, con le procedure ordinarie previste dalla Costituzione, quelle poche riforme che sono ormai mature e che non intaccano né i princìpi generali della Costituzione, né la coerenza interna del sistema strutturale definito dal legislatore costituente, vale a dire dell’ossatura dello Stato (Parlamento, Governo, Organi di garanzia). (Carlo Smuraglia, presidente Anpi)

All’Università di Padova rivive il discorso di Concetto Marchesi

Concetto Marchesi pronuncia il suo discorso

Quando Concetto Marchesi morì, nel 1957, e il parlamento italiano si fermò per commemorarlo, tutti gli intervenuti, da Togliatti a Bettiol, centrarono il loro intervento su due episodi: straordinari, pur all’interno di una vita straordinaria. Domani questi due episodi rivivranno concretamente, a set­tanta anni di distanza, negli stessi luoghi in cui si svolsero. Tutto comincia il 9 novembre del 1943 e finisce il 5 dicembre dello stesso anno. Padova è appena entrata a far parte della Repubblica di Salò. Concetto Marchesi, grande latinista, è il nuovo rettore dell’Università, nominato da Badoglio e lasciato in carica dal nuovo governo mussoliniano. È l’inaugurazione dell’anno accademico, Marchesi tiene un discorso che, pur non esplicitamente, suona all’orecchio di chi ascolta come un alto richiamo a valori di libertà, di giustizia che sono contrapposti a quelli dello stato nazifascista.
Marchesi parla dopo aver fatto cacciare dall’aula studenti in divisa della milizia fascista e parla davanti al nuovo ministro dell’Educazione Nazionale nominato da Mussolini, Carlo Alberto Biggini. Un caso unico, una sfida intollerabile per fascisti come Alessandro Pavolini, che ne vuole a tutti i costi la testa, non solo metaforicamente. Ma mentre il fascismo prende le sue decisioni Marchesi rimane al suo posto, quasi per un mese, anche contro l’opinione del Partito Comunista di cui era membro, perché vuole difendere gli studenti e i professori dell’Università. Il 1 dicembre però le cose precipitano, Marchesi è costretto alla clandestinità, ma fa ancora in tempo a lanciare un appello agli studenti, che viene distribuito di mano in mano il 5 dicembre: “Una generazione di uomini ha distrutto la vostra giovinezza e la vostra Patria…, non lasciate che l’oppressore disponga ancora della vostra vita, fate risorgere i vostri battaglioni, liberate l’Italia dalla servitù e dalla ignominia”. È la prima esplicita chiamata alle armi per la Resi­stenza italiana. Per i settantanni di questi avvenimenti, l’Università di Padova ha pensato a qualcosa di nuovo e di diverso. Non la commemorazione, non il ricordo, ma la riproposta teatralizzata di quegli eventi. Alle 10.30 di giovedì 5 dicembre, nell’Aula Magna del Bo rivivranno il discorso inaugurale del 9 novembre e l’appello agli studenti, riproposti non da attori ma da professori dell’Università patavina. A chiudere un intervento di Carlo Fumian – docente di Storia Contemporanea – e del Rettore attuale, Giuseppe Zaccaria. «Non volevamo», racconta Carlo Fumian, «proporre agli studenti i soliti interventi sulla figura di Marchesi. Abbiamo pensato che fosse giusto porre l’accento su quello che stava avvenendo in quei giorni. Sulle decisioni irrevocabili che gli studenti erano costretti a prendere . Oggi può sembrarci facile, ma in quei giorni del ’43 chi sceglieva non sapeva cosa sarebbe successo, non poteva prevedere come sarebbe finita. L’appello di Marchesi è ancora oggi un testo emozionante, di una grande forza, che è giusto far ascoltare ai giovani».
Non per nulla Togliatti sottolineava – nel ricordo – la voce di Marchesi “che dava alle parole una potenza nuova e incideva negli animi”, una voce “precisa, dura, spietata perfino”. Una voce che apre una guerra. «È un caso unico», dice Fumian, «in nessun altro posto l’Università si è posta alla guida della lotta contro il nazismo e il fascismo. Lo raccontiamo attraverso le testimonianze di Bruno Trentin e Maria Carazzolo, che erano nell’Aula Magna il 9 novembre e poi aderirono all’appello. Trentin aveva diciassette anni e teneva un diario. Dopo aver ascoltato Marchesi scrive due sole ultime righe: tempo scaduto. Adesso all’opra».
Bruno Trentin, poi grande sindacalista, non fu l’unico a raccogliere l’appello. Furono molti ad ascoltare Marchesi che li invitava a prendere le armi per aggiungere “al labaro della vostra Università la gloria di una nuova e più grande decorazione in questa battaglia suprema per la giustizia e per la pace  del mondo”. (di Nicolò Menniti-Ippolito da “La Nuova Venezia” del 4-12-13)

I particolari della giornata del 5 dicembre all’Università di Padova: http://unipd-centrodirittiumani.it

Il discorso di Concetto Marchesi (e una sua biografia):

3 dicembre 1944: strage di Vo’

Willy Lembcke (al centro)

Finché avvengono cerimonie come quella di stamattina a Vo’, i conti con la seconda guerra mondiale non saranno mai chiusi. Ma i paesi che (come Vo’, suppongo) pensano che prima o poi avranno giustizia, devono rassegnarsi: giustizia non c’è stata e non ci sarà mai. L’Europa Unita non nasce sull’espiazione delle colpe, ma sul loro oblio. Oggi a Vo’ si ricorda l’ultima strage commessa dai tedeschi prima della ritirata, l’impiccagione di tre abitanti del luogo. Da quel che scrive Claudio Ghiotto, le impiccagioni erano la rappresaglia per il ferimento di un soldato tedesco. Ma il soldato tedesco si era ferito da solo, sparandosi a un piede per non andare al fronte. I Superuomini ariani avevano capito che i Sottouomini russi stavano vincendo e sarebbero arrivati a Berlino. Era la fine. Il presentimento della fine produce nell’uomo uno di questi due effetti: o aumenta la paura e lo rabbonisce, o aumenta la furia e lo imbestialisce. I tedeschi erano imbestialiti. Uno storico di Este ha studiato queste vicende, Francesco Selmin: è partito con l’ipotesi che le vittime di questa guarnigione tedesca fossero una trentina, e ha concluso che furono un centinaio e mezzo. I condannati all’impiccagione venivano appesi a un albero, o alla spalletta di un ponte. Oppure venivano impiccati con la tecnica dello strappo: in piedi su un camion, col laccio al collo, il camion avanzava, un tedesco lanciava la corda ad avvinghiarsi a un ramo, e l’uomo era morto. Qui a Vo’ usarono ambedue i metodi. Che utilità politica o militare aveva questa crudeltà? Nessuna. Il comandante tedesco era un capitano, si chiamava Willy Lembcke, uomo di una stupidità totale. Mirava alla carriera. Era della Wehrmacht, ma quando ottenne da Berlino il compito di svolgere servizi di polizia, come se fosse delle SS, gongolò. Aveva piantato la sede del comando a Este, nel Collegio Vescovile, e riservava alcune stanze del palazzo alle torture. Conosco abitanti di Este, Montagnana, Castelbaldo, Merlara, Urbana e dintorni a cui ha fatto cavare le unghie, o li ha folgorati con le scosse elettriche. Un quarto di secolo fa è tornato a Este un suo soldato, a dire: «Io ero buono, vi avvisavo quando partivano le retate, sono vostro amico». L’incontro si svolgeva nel Collegio Vescovile, e uno degli ascoltatori si alzò in piedi: «Voi mi avete cavato le unghie, nella stanza di là». Io avevo scritto un articolo, proprio quel giorno, su questo giornale, rievocando le vicende. E il tedesco mi puntò contro il dito: «Questo scrittore senza onore non sa che Hitler diceva: o morite colpiti al petto dal nemico, o morite colpiti alla schiena da me come traditori». No, io sapevo benissimo queste cose, ma se hai fatto quel che hai fatto, stai nascosto in Germania, non venire nel Veneto per essere festeggiato. Poco dopo questa feroce e stupida strage di Vo’, i tedeschi scapparono. Nel mio primo romanzo, “Il quinto stato”, racconto quelle vicende, mitizzandole come meritano. Il libro vien tradotto anche in Germania (“Der fünfte Stand”), insieme con i primi capitoli del secondo, “La vita . eterna” (“Das ewige Leben”). Nei libri, al comandante tedesco mantengo il suo nome vero, Lembcke. Era ancora vivo. Un pool di magistrati tedeschi aveva delle prove dei suoi crimini, allegano anche i due romanzi, e cominciano il processo. Il comandante è nel suo salotto, con la pila delle prove su un tavolo, ha un infarto, lo portano in clinica, e muore. Potenza della scrittura? Gli ho spaccato il cuore? Al quotidiano francese “Libération” confessavo di sentire il mio primo libro «come un colpo di fucile, sparato dall’Italia alla Germania, per colpire al cuore un nemico della mia gente». Patetica illusione. La letteratura non ha alcun potere. Anni dopo, una docente dell’università di Potsdam adotta come testo per le sue lezioni “Das ewige Leben”, i suoi studenti leggono le stragi sui Colli Euganei, e vogliono saperne di più, girano per le biblioteche dell’esercito e dei tribunali, ma non trovano niente. Perché, mi spiega la docente Isabella Von Tretskow (von Tretskow era il nome di un generale congiurato contro Hitler e perciò impiccato, Isabella è una sua nipote? Continua la guerra contro il Führer, usando gli impiccati del Veneto Euganeo?), una legge tedesca stabilisce che se un cittadino tedesco è accusato di crimini che possono infangare la sua memoria, ma muore prima della condanna, ha diritto che tutte le prove vengano distrutte. Amici di Vo’, non avrete mai giustizia per i crimini che avete patito. Perché in Germania non ne esiste traccia. Tra le altre fregature, l’Europa ci infligge anche questa. E non è la più piccola. (Ferdinando Camon da “La Nuova Venezia” del 4-12-12)

Una ricerca di Claudio Ghiotto sulla strage di Vo’

Raimondo Ricci, morto l’ex partigiano che testimoniò contro il “boia di Genova”

E’ morto a Genova Raimondo Ricci, ex senatore del Pci ed ex presidente nazionale dell’Associazione partigiani d’Italia. Aveva 93 anni ed era da tempo malato. Nel settembre del 1943 scelse di fare il partigiano: venne arrestato dopo pochi mesi e dopo essere stato recluso in vari carceri liguri venne deportato a Mauthausen, da dove venne poi liberato il 5 maggio del 1945; aveva 24 anni. Da avvocato, difese i sindacalisti e i militanti comunisti. Presidente provinciale dell’Anpi nel 1969, è stato parlamentare per tre legislature dal 1976 ed ha fatto parte della Commissione d’inchiesta sulla P2. E’ stato anche membro del Consiglio di presidenza della Corte dei Conti e presidente dell’Istituto ligure per la storia della Resistenza.
Nel giugno del 2002 è stato testimone ad Amburgo contro Sigfried Engel, comandante della polizia tedesca a Genova e responsabile delle stragi naziste in Liguria: per questo il comandante nazista fu condannato all’ergastolo in contumacia per la strage della Benedicta (147 vittime ), per la strage del Turchino (59), per la strage di Portofino (22) nel 1944 e per la Strage di Cravasco, vicino Campomorone (20 morti) nel 1945.
Messaggi di cordoglio sono arrivati da molti esponenti della sinistra genovese e ligure. “Con lui scompare un altro dei simboli di ciò che fu la drammatica lotta per la conquista della libertà e della democrazia” ha dichiarato il ministro dell’Ambiente (spezzino) Andrea Orlando. “Per costruire il futuro bisogna saper partire dal pilastro della Resistenza – ha aggiunto il sottosegretario alla Difesa Roberta Pinotti – E sino agli ultimi anni della sua vita, Raimondo Ricci non ha mai smesso di farsi pilastro della memoria, di testimoniare, anche tra i giovani, il significato prezioso dell’antifascismo, della democrazia e della libertà conquistati dai nostri partigiani”. Per Gianni Cuperlo, candidato alla segreteria del Pd, ”Raimondo è stata una grande personalità della Resistenza, dell’antifascismo, della sinistra e della nostra Repubblica. Appassionato difensore della nostra Costituzione ha dedicato la sua vita, con passione, a far vivere i valori della libertà e della democrazia. Per questo lo voglio salutare con un grande abbraccio e trasmettere il mio cordoglio alla sua famiglia”. ”‘Il fascismo non è stata un’opinione, ma una drammatica realtà da non dimenticare’”. Un forte abbraccio a Raimondo Ricci”: così Nichi Vendola su twitter, citando le sue parole, rende l’omaggio di Sinistra Ecologia Libertà al comandante partigiano, ricordando “il suo impegno di allora per ridare dignità e libertà agli italiani e il suo più recente impegno a difesa della Costituzione”. (da “Il Fatto”)

24 novembre: Giornata nazionale del tesseramento

DIFENDIAMO LA COSTITUZIONE

 

 Nella Giornata del Tesseramento per  aderire all’Anpi in nome dell’Antifascismo e della Resistenza:

Anpi Mirano    Anpi Spinea     Anpi Noale    Anpi S.Maria di Sala     “Rete per La Costituzione”

Ti invitano

DOMENICA 24 NOVEMBRE 2013

in Piazza Martiri di Mirano ore 10.30

a sottoscrivere la petizione

da inviare ai deputati del Parlamento

per dire no

agli attuali tentativi di riforma costituzionale

Appuntamento con la Costituzione: No alla modifica dell’art. 138.

“Riguardo alle riforme costituzionali si vuole togliere l’ultima parola ai cittadini su una norma di garanzia costituzionale (art. 138 della Costituzione).” Mobilitiamoci insieme per impedirlo. L’ANPI invita tutti il 24 novembre, nelle piazze d’Italia, per un appuntamento con la Costituzione e propone a tutte le altre Associazioni un presidio da tenere nei pressi della Camera dei Deputati nei giorni immediatamente precedenti al voto (attorno al 10-11 dicembre). La Democrazia è anche vera informazione.

Appello per la democrazia della nostra Costituzione

Nel Paese è sempre più forte e vasta la preoccupazione per il lavoro; le condizioni di vita sempre più precarie per masse di cittadini; l’erosione dei diritti fondamentali come il diritto alla salute, all’istruzione, all’ambiente, è in continua progressione.
Nonostante ciò, la maggioranza di Governo ha deciso di impegnarsi per cambiare la Costituzione, addirittura nel suo impianto istituzionale e senza alcun dibattito nel Paese. La Costituzione, nata dalla resistenza e dallo spirito antifascista, si può modificare, ma senza stravolgere gli equilibri della democrazia parlamentare, già parzialmente rappresentativa a causa di una legge elettorale, ora sottoposta al giudizio della Corte Costituzionale.
Di più ci preoccupa l’introduzione di un presidenzialismo o semi-presidenzialismo diretto, più volte reclamato dalla destra, che toglierebbe al Presidente della Repubblica il suo ruolo di super partes esercitato nel Consiglio Superiore della Magistratura o come Capo delle Forze Armate. Questa concentrazione di poteri l’abbiamo già vissuta in passato, con tragiche conseguenze. Non è con un presidente votato “a maggioranza” che si esce dalla crisi ma con una nuova visione morale della cosa pubblica, e una più equa politica dei redditi e del lavoro.
Per questo si chiede che l’attuale maggioranza, piuttosto che impegnarsi per stravolgere la Costituzione, approvi subito i provvedimenti necessari a garantire una svolta per l’occupazione, le politiche del lavoro e una nuova legge elettorale coerente con i principi costituzionali.
Per questo abbiamo deciso di impegnarci per la difesa della nostra Costituzione fonte dei diritti di eguaglianza, di solidarietà e di pace.

Diego Collovini  Presidente Comitato Prov.Anpi di Venezia
Tullio Cacco        Segretario Comitato Prov. Anpi di Venezia

Pace e disarmo negli anni della globalizzazione

Questo è il documento approvato all’unanimità dal Comitato direttivo Provinciale di Venezia il giorno 9 Novembre 2013:

Prologo: Noi, popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità, a riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella uguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole, a creare le condizioni in cui la giustizia ed il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati e dalle altre fonti del diritto internazionale possano essere mantenuti, a promuovere il progresso sociale ed un più elevato tenore di vita in una più ampia libertà, e per tali fini a praticare la tolleranza ed a vivere in pace l’uno con l’altro in rapporti di buon vicinato, ad unire le nostre forze per mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ad assicurare, mediante l’accettazione di princìpi e l’istituzione di sistemi, che la forza delle armi non sarà usata, salvo che nell’interesse comune, ad impiegare strumenti internazionali per promuovere il progresso economico e sociale di tutti i popoli, abbiamo risoluto di unire i nostri sforzi per il raggiungimento di tali fini, (dalla Carta delle Nazioni Unite)

Pace e Disarmo negli anni della globalizzazione

La sezione ANPI “MARTIRI di MIRANO” chiede al “Direttivo Provinciale ANPI di Venezia”,
convocato sabato 9 novembre 2013 alle ore 15.00, di approvare la seguente proposta per l’organizzazione di un Congresso Mondiale per la Pace (CMP) sul tema pace e disarmo negli anni della globalizzazione da tenersi nel 2014 a Venezia, città della pace e dell’accoglienza.
A questo scopo si propone la costituzione di un comitato, tecnico scientifico, allargato ai rappresentanti delle Istituzioni, che valuterà i contenuti tematici, la scelta dei relatori e le questioni pratiche inerenti la produzione dell’evento.
E’ importante che vengano accolte idee e proposte provenienti da diverse aree politico-culturali, indicative della complessità delle questioni che saranno affrontate e che daranno spunto per la formulazione di una relazione introduttiva.
Le recenti guerre in Medio Oriente, Iraq e Siria, in particolare, con la loro tragica ricaduta sulle popolazioni civili, hanno messo in luce un disegno di “normalizzazione”, che incurante dei diritti fondamentali dell’uomo sanciti dalla Dichiarazione Universale di Parigi del 1948, si pone al servizio di strategie d’intervento gestite al di fuori dagli Organismi Internazionali di controllo. Tutto questo giustificato e reso accettabili all’opinione pubblica con la complicità di un’informazione ufficiale completamente asservita ai grandi poteri dominanti.
L’ANPI su questi temi deve riflettere e far riflettere, riaffermando con forza i principi inviolabili di “giustizia e libertà” da garantire a tutti i popoli.
Possibili percorsi per i lavori del comitato tecnico/scientifico che si andrà a costituire :

  • Pace nel disarmo generale e controllato.
  • Rifiuto della guerra come soluzione dei conflitti tra gli Stati. (art.11 della Costituzione: L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali)
  • Accoglienza e protezione per i migranti, rispetto e valorizzazione delle diversità, dialogo interetnico e religioso.
  • Valorizzazione degli Organismi Internazionali preposti alla soluzione dei conflitti.
  • Lotta alla fame, alla povertà, al sottosviluppo.
  • Diritto allo studio e a una cultura senza censure.
  • Pace nell’uguaglianza sociale, nel giusto lavoro, nella difesa dei minori.
  • Pace nella democrazia contro ogni forma di fascismo.
  • Pace con  i principi della Costituzione Italiana, nata dalla Resistenza.

Direttivo ANPI “Martiri di Mirano”

Bruno Fanciullacci (13 novembre 1919 – 17 luglio 1944)

Bruno Fanciullacci

Bruno Fanciullacci è forse il partigiano più odiato dai fascisti di ieri e di oggi, nonché dai revisionisti d’accatto. Odiato, ingiuriato, diffamato. Quello di Fanciullacci è un nome rovente, scomodo, quando appare semina discordia. Pochi personaggi sono lontani quanto lui dall’idea posticcia e fetente di una “concordia nazionale”. Fanciullacci divide e dividerà sempre. Perché?
Perché Fanciullacci è… “l’assassino di Giovanni Gentile”. O almeno, è il più famoso componente del commando gappista che attese il filosofo sotto casa e lo uccise a colpi d’arma da fuoco. Questa è la sua storia raccontata dal collettivo Wu Ming in un articolo apparso il 6/5/2010 sul sito http://www.wumingfoundation.com:

A Firenze è un “largo”, a Pontassieve una “via”. Largo e Via Bruno Fanciullacci. Due targhe inaugurate di recente (2002 e 2003), tra polemiche politiche e querele incrociate. Fanciullacci fu un partigiano gappista, medaglia d’oro della Resistenza. Alcuni lo ritengono un killer (“l’assassino di Giovanni Gentile”), altri – noi compresi – un eroe. Pochi sinora lo hanno considerato un filosofo. E’ tempo di omaggiarlo in quella veste.
Sì, filosofo. Una nomea da riscattare, dopo anni di utilizzi arrischiati tipo “il filosofo Rocco Buttiglione”, di torpore accademico e convegni trascorsi a spaccare in sedici il pelo trovato nell’uovo. La filosofia, la prassi del filosofare, deve tornare nelle strade, le strade dove stanziava Socrate, dove viveva come un clochard Diogene detto “il Cane”. Non c’è bisogno di imitare quest’ultimo e dormire in una botte: è sufficiente abbattere gli steccati tra quel che si dice e quel che si fa. Vivere eticamente.
Bruno studia da autodidatta, nel fatiscente carcere di Castelfranco Emilia. Mentre sopporta angherie e privazioni e si rovina per sempre la salute, discute di economia, storia e ingiustizie secolari. Tra i detenuti circolano, ben occultati o mandati a memoria, testi di Marx, Engels, Labriola. Sono gli anni dal 1938 al 1942, Bruno è appena un ragazzo, arrestato ancora minorenne per aver distribuito stampa clandestina antifascista. Aveva un buon lavoro in un hotel di Firenze, poteva farsi i cazzi suoi nel comfort della “zona grigia”, e invece ha scelto l’opposizione al regime. Da bambino, nel pistoiese, ha visto le camicie nere angariare suo padre e costringerlo a trasferirsi con tutta la famiglia. L’antifascismo è una scelta di vita.
Gli hanno dato sette anni. Mentre è in prigione scoppia la guerra. Sulla scia di Hitler, il Duce dichiara guerra a mezzo mondo. La catastrofe incombe, le SS dilagano in tutta Europa finché non trovano uno scoglio insuperabile: la resistenza di Stalingrado. Il corpo d’armata tedesco s’impantana e viene annichilito. L’esercito italiano è allo sbando. Parte la controffensiva sovietica e “dentro le prigioni l’aria brucia come se / cantasse il coro dell’Armata Rossa”. Anche a Castelfranco.
Gli scontano la condanna, Bruno torna libero alla fine del ’42, elettrizzato dal vento dell’Est. Sconfiggere tedeschi e fascisti è possibile. Diventa operaio alla FIAT di Firenze, giusto in tempo per i grandi scioperi contro la guerra del marzo 1943.
A luglio cade il fascismo e il Re fa arrestare Mussolini. Ne prende il posto Badoglio, che però annuncia: “La guerra continua”. Velleità stroncata poco dopo: l’8 settembre c’è l’Armistizio. L’Italia si spacca: a sud il governo ufficiale, al centro-nord l’occupazione tedesca e lo stato-fantoccio di Salò. I partigiani si organizzano, comincia la guerriglia.
Tra gli intellettuali che scelgono Salò, il più importante è Giovanni Gentile, fondatore della dottrina filosofica detta “Attualismo”, colonna portante dell’edificio culturale fascista. Super-barone accademico, presidente di tutto il presiedibile, in vent’anni di dittatura Gentile è divenuto potente e ricchissimo. Hitler in persona gli ha conferito l’Ordine dell’Aquila Germanica.
Dopo l’8 Settembre, il filosofo getta il suo peso nella propaganda repubblichina e filo-nazi. Nel dicembre 1943, dietro la cortina fumogena di strumentali appelli alla “concordia possibile” (sotto l’egida di Hitler, ça va sans dire), esorta senza mezzi termini alla lotta contro “sobillatori e traditori, venduti o in buona fede”, chiarendo che bisogna stroncare le “forme delittuose di antifascismo e di irriducibile e di pericolosa opposizione al movimento nazionale”. Aggiunge: “sulla necessità della lotta giusta e necessaria io sono d’accordo con chi non vuole compromessi”.
Il 19 marzo 1944 Gentile incensa il Führer in un discorso all’Accademia d’Italia, dichiara che la Patria è stata “ritrovata attraverso Mussolini e aiutata a rialzarsi dal Condottiero della grande Germania, che quest’Italia aspettava al suo fianco, dove era il suo posto per il suo onore e per il suo destino, accomunata nella battaglia formidabile per la salvezza dell’Europa e della civiltà occidentale” etc. etc.
In questi giorni non si parla a vanvera, la realtà morde il culo e ogni frase è una chiamata alle armi. Gentile fa il naïf, si raccomanda che nella repressione non si commettano “arbitrii” o “sciocchezze”, ma intanto fornisce la giustificazione di un “grande uomo di cultura” a rastrellamenti e deportazioni, alla fucilazione di giovani renitenti alla leva, alla logica che porta all’eccidio delle Ardeatine e a stragi come quelle di Sant’Anna di Stazzema, Padule di Fucecchio, Marzabotto. Dal ’39, del resto, Gentile non ha detto nulla contro leggi razziali e persecuzione degli ebrei.
“Non sono questi i filosofi di cui abbiamo bisogno”, pensa più di un osservatore. Citiamo da una trasmissione di Radio Londra:

“Gentile ha difeso il liberalismo in nome della dialettica; poi ha difeso il terrore fascista in nome della dialettica, e ora difende la tolleranza sempre in nome della dialettica. E’ noto il filosofema del manganello a cui Gentile legò il suo nome [*] quando i manganelli spaccavano il cranio degli operai disarmati e che ha avuto il suo epilogo nelle esecuzioni di Verona. [Ora Gentile] ricorda ai fascisti che non bisogna ricorrere alla violenza e che c’è una solidarietà umana superiore ai conflitti […] la dialettica in mano a Gentile è diventata una ciabatta per qualunque piede, o, come disse Croce, un grimaldello da ladro che apre tutte le porte. Per questo il popolo italiano e in particolare la classe lavoratrice non accettano niente dalla bocca del signor Gentile… Qualunque cosa dicano, questi Pulcinella della filosofia hanno sempre torto”.

Intanto Bruno sta riflettendo: vuole combattere, ma dal carcere è uscito debole e malaticcio, non può salire in montagna, marciare in mezzo a neve e fango, dormire all’addiaccio… Decisione fatidica: resta a Firenze. Diviene uno dei membri più attivi e coraggiosi dei GAP, temuti guerriglieri urbani, specializzati in imboscate e sabotaggi.
Da quel momento, corre a cavallo di un razzo: con altri gappisti travestiti da guardie, fa evadere 17 partigiane dal carcere di Santa Verdiana; penetra nella sede del sindacato fascista e brucia le schede sugli scioperanti dell’anno prima, impedendone la deportazione in Germania; arrestato e torturato dalla famigerata “Banda Carità”, riesce a scappare e torna in azione.
In carcere, anni prima, Antonio Gramsci ha commentato una frase di Gentile: “Filosofia che non si pensa, ma che si fa, e perciò si enuncia ed afferma non con le formule ma con l’azione”. Per Gramsci, è solo “mascheratura” di un opportunismo: l’azione che per Gentile afferma la filosofia è quella del regime fascista, a cui il filosofo delega il “fare”.
Su chi abbia deciso l’agguato esistono varie teorie, delle quali ci frega poco. E’ ancora controverso se sia stato Fanciullacci ad attendere Gentile sotto casa. Ha davvero importanza? Bruno per noi è un filosofo a prescindere. Quella che comunque lo oppone a Gentile è una disputa filosofica, ed è lui a vincerla, perché non delega il “fare” ad altri, non agisce da “governato” bensì da uomo libero, e non in un singolo atto, ma in tutta la sua vita. E’ lui, non il barone che l’ha scritta, a trovare la verità della frase commentata da Gramsci: la filosofia si afferma con l’azione.
I due ragazzi tengono dei libri sottobraccio. Sembrano studenti e, a modo loro, lo sono. L’autore del “Manifesto degli intellettuali fascisti” arriva in auto, scarrozzato dal suo chauffeur. Bruno gli fa un cenno, Gentile abbassa il finestrino… E’ il 15 aprile 1944.
Nel fronte antifascista vi sono polemiche, qualcuno prende le distanze (ma dal modus operandi, non dalla condanna morale) e la controversia proseguirà fino ai giorni nostri.
Bruno, però, non potrà prendervi parte. Il 15 luglio lo arrestano ancora. Di nuovo torturato, per non tradire i suoi compagni tenta una fuga che è anche suicidio: si getta ammanettato da una finestra al primo piano, i suoi aguzzini gli sparano, un colpo alla testa lo uccide. E’ il 17 luglio. A novembre avrebbe compiuto venticinque anni.

Un libro sui gappisti fiorentini