Inchiesta sulle omissioni politiche e la mancata giustizia delle vittime dell’eccidio nazista di Sant’Anna di Stazzema (Lucca)
Autore: Roberto
Elena Cattaneo e il suo discorso al Senato contro la riforma costituzionale
«Signor Presidente, colleghi, ho partecipato alla discussione su questa auspicata riforma senza una posizione precostituita e con un interesse per i contenuti e per il metodo. Ho compreso l’impegno dei relatori e dei senatori. Ma sono rimasta delusa nel vedere che valutazioni e idee ineccepibili, in quanto a logica e pertinenza politica e civile, non abbiano trovato ascolto. Le risorse umane, professionali ed intellettuali per fare meglio c’erano tutte, qui dentro e nel Paese. Ma non ho visto il coraggio di volare alto, spiegando ai cittadini e al Governo ciò che serve per riqualificare le componenti e le funzioni delle Camere nel quadro di un ordinamento nuovo e ben coordinato.
La verità la conoscete meglio di me. Non è questa la riforma costituzionale che serve al Paese. E il mio voto sul testo di oggi è dettato da questo disagio e da tre considerazioni.
La prima riguarda il contesto generale in cui si sono svolti i lavori: di scarso ascolto e di linguaggio inadatto a un momento tanto importante. Si è parlato di “allucinazioni” e “professoroni”, con un sentimento “di sufficienza verso accademici ed esperti politicamente impegnati”. Il linguaggio deriva dal pensiero e gli illustri studiosi di storia politica presenti in quest’Aula mi insegnano che l’anti-intellettualismo è un indicatore di crisi culturale e civile per un sistema liberaldemocratico.
La seconda considerazione è sul metodo utilizzato, troppo condizionato da strategie di Governo e da discipline di partito con cui si sono dettati contenuti, paletti e tempi, decisi fuori da quest’Aula. È un metodo sbagliato perché non si può condurre un esperimento che presuppone libera condivisione democratica senza la disponibilità a esaminare davvero e analiticamente i risultati che questo esperimento è destinato a produrre. Se si sbaglia il metodo nel fare un esperimento, i risultati saranno inutilizzabili. Se va bene.
La terza considerazione riguarda il progetto. Gli interventi da più parti e i miei colloqui con i colleghi di tutto l’emiciclo mi fanno concludere che si tratta di un progetto tecnicamente pasticciato e frettoloso, attualmente decontestualizzato rispetto ad altre riforme. È un progetto che non è in grado ora di indicare l’esito, l’assetto, l’equilibrio, la visione del nuovo assetto costituzionale che stiamo costruendo.
Non mi convincono le motivazioni a sostegno di un Senato non elettivo, le scelte sulle funzioni assegnate a questa Camera, la mancata riduzione del numero dei parlamentari dell’altra Camera, l’incertezza circa le garanzie di bilanciamento dei poteri e circa l’effettività del pluralismo della futura rappresentanza parlamentare.
Non mi convince come è stata affrontata la questione dell’elezione dei Presidente della Repubblica e la mancata ricerca di un metodo per acquisire al nuovo Senato “personalità abituate a disegnare le frontiere del mondo”, che sarebbero utilissime in queste contingenze economiche.
Per questo, e concludo, il mio voto sarà di astensione (che so equivalere ad un voto contrario in quest’Aula), che vuole essere, nel suo piccolo, un segnale per i cittadini e per i colleghi dell’altro ramo del Parlamento, affinché i loro lavori possano essere più sereni ed in tutta indipendenza positivi e attenti».
Elena Cattaneo, direttrice del Laboratorio di Biologia delle Cellule Staminali e Farmacologia delle Malattie Neurodegenerative del Dipartimento di Bioscienze e co-fondatrice di UniStem, il Centro di Ricerche sulle Cellule Staminali dell’Universita’ di Milano, è stata nominata senatrice a vita da Giorgio Napolitano insieme ad Abbado, Piano e Rubbia. Classe 1963, è la terza donna a ricoprire questo ruolo, dopo Camilla Ravera e Rita Levi Montalcini.
9 agosto 1945
Oggi 9 agosto si chiude la mostra Majors for peace su Hiroshima e Nagasaki con la proiezione del film “Hiroshima mon amour” di Alain Resnais versione integrale alle ore 21 in Sala consiliare in Villa Errera a Mirano.
Ringraziamo l’Amministrazione Comunale e in special modo la sindaca Maria Rosa Pavanello, Renata Cibin, Erica Brandolino, il centro Pace e l’Anpi di Mirano, ma soprattutto ringraziamo i Sindaci di Hiroshima e Nagasaki che già nel 1982 hanno creato l’Associazione “Sindaci per la Pace” che si prefigge l’obbiettivo nel 2020 di una Convenzione che vada alla distruzione di tutte le armi nucleari presenti nel mondo. Questo progetto prevede una corsa non solo contro il tempo, cinque anni non sono molto distanti, ma anche contro un’ inerzia mentale imposta a noi tutti dall’Informazione con la I maiuscola che tende a mantenere l’uso dell’arma nucleare relegato in uno spazio e in un tempo non ben definito e lontano che tuttavia è reale, esiste nelle sue coordinate, coordinate che non sono certo sotto il controllo del governo italiano -vedi Aviano, Ghedi, Vicenza ecc.- Se le cose stanno in questi termini è possibile che in determinate situazioni possa accaderne l’uso allora la liberazione da questa minaccia passa attraverso la prevenzione totale.
Con l’arma nucleare non è possibile la cura così come i nostri progenitori hanno fatto nel 1945 contro il Nazifascismo. La Bomba atomica mette in discussione la sopravvivenza stessa dell’umanità. Lo Statuto di Sindaci per la Pace parla chiaro: ogni Sindaco ha l’obbligo morale di sensibilizzare e di indurre i cittadini del proprio Comune a firmare la petizione e i sindaci di altri Comuni ad iscriversi a Majors for peace e sostenere così una grande rete a livello mondiale che realizzi questo progetto con determinazione. Il nostro appello è rivolto alle nuove generazioni ed è dettato dalla piega che stanno prendendo i rapporti nelle varie dispute internazionali. Facciamo come il Nicaragua: tutti i comuni di questo Paese sono iscritti a Majors for peace.
Sosteniamoli e sosteniamoci loro con noi e noi con loro.
Anpi Mirano
Il processo per la strage nazista di Sant’Anna di Stazzema è da rifare
In Germania fin dagli anni cinquanta Karlsruhe è conosciuta come «la Città del Diritto» in quanto ospita le sedi della Corte costituzionale Federale e della Corte di Giustizia Federale. E per questa cittadina di 300.000 abitanti del land Baden-Wuttemberg sembrano incrociarsi, a settant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale, il passato e il presente dell’Europa sia nella sua memoria storica di continente lacerato dal conflitto contro il nazifascismo sia nella sua prospettiva di unità politica futura.
A febbraio 2014 la Corte Costituzionale Federale aveva rinviato alla Corte Europea il giudizio sulla legittimità dell’Outright Monetary Transaction (Omt) il piano d’intervento straordinario di acquisto di titoli di Stato di paesi in difficoltà che il governatore della Bce Mario Draghi, osteggiato dal «falchi» della Bundesbank con a capo Jens Weidmann, aveva prospettato nel 2012 in piena crisi dell’eurozona. Una scelta che affondando le mani nel presente ha permesso di contenere la «tempesta perfetta», mantenere in piedi la moneta unica e offrire, in ultima istanza, ancora una possibilità al futuro progetto di unità politico-economica continentale. Ieri la Corte di Giustizia Federale le mani le ha affondate nel passato prossimo dell’Europa, quello dell’occupazione nazista e delle stragi di civili, ed ha annullato la decisione della procura generale di Stoccarda che nel maggio 2013 aveva disposto l’archiviazione del procedimento per la strage nazista di Sant’Anna di Stazzema del 12 agosto 1944 che provocò 560 morti.
Il processo in Germania si riaprirà ad Amburgo dove sono stati trasmessi gli atti a causa della presenza in quella città di uno degli imputati, Gherard Sommer, mentre in Italia la vicenda giudiziaria si era conclusa nel 2005 con la condanna definitiva di dieci membri delle Schutzstaffeln (SS) tedesche.
La storia molto prima delle sentenze dei tribunali si era premurata di scrivere pagine fondamentali su quelle vicende, sulla loro natura e sulla loro eredità collettiva e memoriale nonché sui motivi, prevalentemente legati alla «ragion di Stato» e agli equilibri geopolitici della Guerra Fredda, dei mancati processi ai criminali di guerra tedeschi e italiani. Ora a fianco ad una sfera giuridica a cui rimane comunque il compito dovuto di consegnare una sentenza, altra cosa sarebbe stata la giustizia da perseguire nell’immediato dopoguerra con altri effetti politici, è la lettura che un fatto del genere proietta nel presente ad interrogare i contemporanei.
E così nel suo continuo ondeggiare tra passato e presente la Germania sembra di nuovo divenire specchio della condizione di un continente investito dalla crisi economica e da una complessa transizione caratterizzata dalle tendenze a un rigido assetto monetarista e dalla riemersione di fenomeni xenofobi e di estrema destra alimentati proprio politica dell’austerità. Un’Europa però legata nello stesso tempo alla necessità irrinunciabile di determinare una coesione politica basata su una ricostruzione unitaria, non necessariamente condivisa, della sua storia.
Così, rifuggendo dalla tentazione di utilizzare come una clava il debito della Germania con la storia, recente è la polemica sui risarcimenti di guerra rivendicati dalla Grecia durante la somministrazione della «cura economica» della Troika ad Atene, allo stesso tempo la declinazione del presente dovrebbe indicare alla Germania una linea di ridefinizione del proprio ruolo scevro dagli spettri del passato imperiale del Reich. In questo senso un tratto unico e unitario della storia del continente, in grado cioè di segnarne un profilo identitario riconosciuto e riconoscibile è rappresentato dall’antifascismo e dalla guerra contro la Germania hitleriana e l’Italia di Mussolini. Un’istanza di carattere internazionale che divenuta movimento reale percorse trasversalmente tutte le società europee sostituendo il paradigma nazionalista e della fedeltà fideistica alla patria, fosse anche quella nazista, con quello valoriale che poneva i diritti delle persone e dei popoli al di sopra del primato dell’identità nazionale. Ogni partigiano, antifascista o antinazista europeo si batté contro la propria patria non per determinarne la morte, come in tempi di revisionismo prepotente si prova a dire oggi, ma per rifondarla su nuovi valori. Proprio nel ferro e nel fuoco di quella grande e drammatica storia nacque nel confino fascista di Ventotene l’idea stessa dell’Europa unita. La «Città del Diritto» non restituisce solo un processo da fare e non relega la sua attenzione alla sfera privata dei parenti delle vittime. La decisione di riaprire il procedimento ad Amburgo offre, di nuovo, l’occasione di fare i conti con la storia, di riaprire gli armadi della vergogna per guardarci dentro, conoscere da dove veniamo e capire dove si vuole andare.
In questo modo, utilizzando l’eredità del passato come leva dell’azione del presente e non come retorica celebrativa è possibile rendere giustizia ai morti di Sant’Anna di Stazzema e delle tante altre stragi nazifasciste perpetrate in Italia e nel resto Europa. (Davide Conti, Il Manifesto del 7 agosto 2014)
Intervista a Franco Giustolisi:
Giornalista da più di mezzo secolo, scrittore e storico per vocazione (nel 2003 ha partecipato alla scrittura di un volume collettivo sulla strage di Sant’Anna di Stazzema), Franco Giustolisi da vent’anni si batte per rendere pubblici i documenti nascosti nel cosiddetto «Armadio della vergogna». Si tratta di un armadio “scoperto” nel 1994 a palazzo Cesi Gaddi di Roma (sede di vari organi giudiziari militari) dove erano stati “dimenticati” centinaia di fascicoli giudiziari e migliaia di notizie di reato relative ai crimini commessi in Italia durante l’occupazione nazifascista.
Una buona notizia arriva dalla corte federale di Karlsruhe.
La riapertura delle indagini contro il nazista Gherard Sommer, già condannato in Italia per l’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, è importante perché in primo grado avevano addirittura assolto tutti gli assassini. Significa che la Germania continua a far bene il suo lavoro e a fare i conti con la sua storia, senza badare a sovrastrutture di alcun tipo. L’Italia, invece, continua a tacere. Ultimamente mi ha molto colpito l’intervento del ministro degli esteri tedesco, Frank Walter Steinmeier, quando a Civitella di Val di Chiana, altro luogo dove ci fu una strage orribile, ha detto che non riusciva a concepire ciò che ha potuto fare il popolo tedesco. Come non riesce a concepire? Anche se poi si è scusato, mi lascia un po’ sgomento il fatto che un ministro tedesco esprima stupore, quanto al nostro ministro degli esteri, Federica Mogherini, in quell’occasione non ha aperto bocca. E dire che il ragazzotto fiorentino la vorrebbe ministro in Europa.
Cosa avrebbe dovuto dire?
Almeno che le sentenze si devono rispettare. Tutti i processi ai gerarchi nazisti si sono svolti nel modo più garantista possibile, tanto che la Germania non ha mai avuto nulla da eccepire. Mi sa che regalerò ai due ministri una copia del libro sulla strage di Sant’Anna di Stazzema
Quella drammatica vicenda è nella storia, ma quante altre stragi anche sconosciute sono state compiute dai nazifascisti?
Nell’armadio della vergogna ne sono state censite oltre mille e altri eccidi documentati e accertati non fanno nemmeno parte di quell’elenco. La nostra è una storia orribile ancora da scrivere e da divulgare.
L’argomento in Italia è a dir poco sottaciuto. Non solo non se ne parla, ma negli ultimi anni siamo stati travolti da un’ondata revisionista piuttosto volgare che scredita l’antifascismo. Resta ancora qualcosa di utile da fare?
Secondo me l’approdo naturale per rifare la storia di queste vicende ha bisogno di pochi punti fermi. La conta di tutte le vittime delle stragi, perché ancora oggi non conosciamo il numero dei morti. La richiesta di un perdono ufficiale, perché per cinquanta anni sono stati nascosti i fascicoli, e ricordo ancora le parole del presidente Ciampi che si era pronunciato favorevolmente. L’esecuzione di tutte le sentenze. E una giornata della memoria. Insomma, la fine del silenzio. La cosa più strana è che non si parla della più grande tragedia della storia italiana. Una vergogna.
Cosa intende per rendere esecutive le sentenze?
Se tizio merita l’ergastolo, ergastolo deve essere. Alla Germania non si chiede l’estradizione, basta che la sentenza venga applicata con gli arresti domiciliari. Altrimenti che senso ha? Sono persone anziane che già passano quasi tutto il tempo in casa, che ci stiano per un altro motivo.
Giovani e anche meno giovani sanno poco. Cosa bisogna fare perché la storia non rimanga stampata solo nei libri o sulle carte di una sentenza?
Parlarne, e parlarne ancora. Tutti adesso rileggono la storia della prima guerra mondiale, qualcuno mi deve spiegare perché invece nessuno ha voluto parlare dell’Armadio della vergogna. Sono passati tanti anni, credo che non sia nessun motivo per mantenere il silenzio. L’Anpì sarebbe il naturale depositario di questa ricostruzione storica, eppure di certi argomenti non vogliono parlare. A febbraio, con i sindaci di alcune località colpite dalla violenza nazifascista, e con i presidenti di Emilia Romagna e Toscana, le regioni più colpite, ho scritto una lettera al Quirinale: ancora non ho ricevuto risposta. Mi chiedo se ci sia qualcosa da nascondere.
Intervista di Luca Fazio da Il Manifesto del 7 agosto 2014
Proiezioni speciali nei giorni commemorativi del bombardamento di Hiroshima e Nagasaki
Nell’ambito della mostra “The Atomic Bombings of Hiroshima and Nagasaki Poster Exhibition”, allestita presso la sala consiliare auditorium “Madre Teresa di Calcutta” di Mirano, nei giorni commemorativi dei bombardamenti ci saranno due speciali proiezioni.
Nella stessa sala consiliare mercoledì 6 agosto alle ore 20.45 verrà proiettato il documentario sul bombardamento di Hiroshima dal titolo “La bomba atomica:Hiroshima Nagasaki” (dal programma Ulisse). Sabato 9 agosto alle ore 20.45 verrà proiettati il film “Hiroshima mon amour” di Alain Resnais. Ingresso libero.
Nell’occasione sarà visitabile la mostra che, attraverso 18 poster informativi, racconta gli effetti delle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki. E’ allestita grazie al materiale fornito da Mayors for Peace, l’organizzazione nata dai sindaci delle due città giapponesi che chiede l’abolizione delle armi nucleari nel mondo, alla quale la Città di Mirano ha aderito da quest’anno. La mostra è aperta fino al 9 agosto (data del bombardamento di Nagasaki) tutti i giorni dalle 17.00 alle 19.00. Quest’iniziativa è realizzata da Comune di Mirano, Centro per la Pace e la Legalità “Sonja Slavik”, Anpi Mirano.
Nato, offensiva globale
Niente ferie, ma superlavoro estivo alla Nato. È in preparazione il Summit dei capi di stato e di governo che, il 4-5 settembre a Newport nel Galles, fisserà le linee dell’«adattamento strategico» in funzione anti-Russia. Come già annunciato dal generale Usa Philip Breedlove, Comandante supremo alleato in Europa, esso «costerà denaro, tempo e sforzo». I lavori sono già iniziati.
In Ucraina, mentre la Nato intensifica l’addestramento delle forze armate di Kiev, finanziate da Washington con 33 milioni di dollari, si stanno riattivando tre aeroporti militari nella regione meridionale, utilizzabili dai cacciabombardieri dell’Alleanza. In Polonia si è appena svolta una esercitazione di parà statunitensi, polacchi ed estoni, lanciati da C-130J arrivati dalla base tedesca di Ramstein. In Ungheria, Romania, Bulgaria e Lituania sono in corso varie operazioni militari Nato, con aerei radar AWACs, caccia F-16 e navi da guerra nel Mar Nero.
In Georgia, dove si è recata una delegazione dell’Assemblea parlamentare Nato per accelerare il suo ingresso nell’Alleanza, le truppe rientrate dall’Afghanistan vengono riaddestrate da istruttori Usa per operare nel Caucaso. In Azerbaigian, Tagikistan e Armenia vengono addestrate forze scelte perché operino sotto comando Nato, nel cui quartier generale sono già presenti ufficiali di questi paesi. In Afghanistan la Nato sta riconvertendo la guerra, trasformandola in una serie di «operazioni coperte».
L’«Organizzazione del Trattato del Nord-Atlantico», dopo essersi estesa all’Europa orientale (fin dentro il territorio dell’ex Urss) e all’Asia centrale, punta ora su altre regioni.
In Medio Oriente la Nato, senza apparire ufficialmente, conduce attraverso forze infiltrate una operazione militare coperta contro la Siria e si prepara ad altre operazioni, come dimostra lo spostamento a Izmir (Turchia) del Landcom, il comando di tutte le forze terrestri dell’Alleanza.
In Africa, dopo aver demolito con la guerra la Libia nel 2011, la Nato ha stipulato nel maggio scorso ad Addis Abeba un accordo che potenzia l’assistenza militare fornita all’Unione africana, in particolare per la formazione e l’addestramendo delle brigate della African Standby Force, cui fornisce anche «pianificazione e trasporto aeronavale». Ha così voce determinante sulle decisioni relative a dove e come impiegarle. Un altro suo strumento è l’operazione «anti-pirateria» Ocean Shield, nelle acque dell’Oceano Indiano e del Golfo di Aden strategicamente importanti.
All’operazione, condotta di concerto col Comando Africa degli Stati uniti, partecipano navi da guerra italiane anche con il compito di stringere relazioni con le forze armate dei paesi rivieraschi: a tale scopo il cacciatorpediniere lanciamissili Mimbelli ha fatto scalo a Dar Es Salaam in Tanzania dal 13 al 17 luglio.
In America Latina, la Nato ha stipulato nel 2013 un «Accordo sulla sicurezza» con la Colombia che, già impegnata in programmi militari dell’Alleanza, ne può divenire presto partner. In tale quadro il Comando meridionale Usa sta tenendo in Colombia una esercitazione di forze speciali sud e nord-americane, con la partecipazione di 700 commandos.
Nel Pacifico è in corso la Rimpac 2014, la maggiore esercitazione marittima del mondo, in funzione anti-Cina e anti-Russia: vi partecipano, sotto comando Usa, 25000 militari di 22 paesi con 55 navi e 200 aerei da guerra. La Nato è presente con le marine di Usa, Canada, Gran Bretagna, Francia, Olanda e Norvegia, più Italia, Germania e Danimarca come osservatori. L’«Organizzazione del Trattato del Nord-Atlantico» si è estesa al Pacifico.
(il manifesto, 29 luglio 2014)
3 agosto: commemorazione 70° dell’eccidio dei 7 Martiri a Venezia
Non dimentichiamoci, in questo particolare momento, di chi ha donato vita e giovinezza alla nostra libertà che dobbiamo continuare a difendere, oggi più che mai!
ore 18.15 concentramento in via Garibaldi presso la sede dell’ANPI 7 Martiri
ore 18.30 partenza del corteo per i monumenti alla Partigiana e Riva dei Sette Martiri;
ore 19.00 commemorazione ufficiale c/o la lapide dei Martiri.
Saranno presenti il Sub Commissario del Comune di Venezia , Sergio Pomponio, il vicepresidente dell’ANPI provinciale di Trento, Mario Cossali, il presidente dell’ANPI provinciale di Venezia, Diego Collovini, la Presidente della Sezione ANPI 7 Martiri, Lia Finzi, il direttore dell’IVESER, Marco Borghi, e Annamaria Gelmi, nipote dei martiri/fratelli Alfredo e Luciano Gelmi.
Un ringraziamento particolare al maestro vetraio Massimo Costantini e a Gianni Foffano per aver eseguito, a titolo gratuito, le nuove splendide fiammelle votive della lapide dei Sette Martiri.
COSA ACCADDE QUEL 3 AGOSTO DEL 1944
Si fece festa grande, con abbondanti bevute, la notte sul 2 agosto 1944, sulle navi della Marina germanica attraccate alla Riva dell’Impero. Ma quando ci si accorse della sparizione di una sentinella di motovedetta, il Comando germanico non esitò a decidere la rappresaglia, che si abbatté su sette detenuti politici a Santa Maria Maggiore.
Essi erano:
Aliprando Armellini, 24 anni, di Vercelli, partigiano combattente; Gino Conti, 46 anni, animatore della Resistenza nel Cavarzerano; Bruno De Gasperi, 20 anni, di Trento; i fratelli Alfredo Gelmi, 20 anni, e Luciano Gelmi, 19 anni, di Trento (i tre giovani trentini erano renitenti alla leva di Salò); Girolamo Guasto, 25 anni, di Agrigento; Alfredo Vivian, 36 anni, veneziano, operaio alla Breda, comandante militare partigiano nella zona del Piave, l’unico dei sette già condannato a morte per l’uccisione di un marinaio tedesco a Piazzale Roma il 13 dicembre 1943, e l’unico a essere indicato dal Comando tedesco, mentre gli altri sei furono segnalati dalla Questura e dal Comando della Guardia nazionale repubblicana. L’esecuzione volle essere anche una plateale “lezione” per gli abitanti di Via Garibaldi, da sempre zona antifascista. All’alba del 3 agosto pattuglie tedesche perquisirono le case, rastrellando oltre 500 persone – uomini e donne – che furono allineate lungo la Via, mani in alto e faccia al muro, e così rimasero per due ore, prima di essere costrette ad assistere alla fucilazione, dopo la quale 136 uomini furono condotti in carcere come ostaggi. Alle sei del mattino, i Sette Martiri, come subito li chiamò la voce di popolo, furono disposti in fila, legati tra loro con le braccia distese, schiena alla laguna, tra due pali eretti sulla Riva. Un ufficiale tedesco lesse ad alta voce la sentenza e ordinò il fuoco al plotone di 24 soldati, davanti alla folla atterrita. Il cappellano del carcere, don Marcello Dell’Andrea, che aveva accompagnato in motoscafo i condannati, confessandoli e comunicandoli (soltanto Vivian si disse “non professante”), tenne alto il Crocefisso; un attimo prima della scarica dei fucili, Vivian gridò “Viva l’Italia libera” e un altro condannato implorò “Vendicateci”. Con scope e secchi d’acqua, alcuni bambini furono costretti dai tedeschi a ripulire la Riva dalle chiazze di sangue. Pochi giorni dopo, le acque della laguna restituirono il corpo della sentinella tedesca. Non aveva ferite: il marinaio era caduto in acqua ubriaco ed era annegato. Era stata rappresaglia di guerra, e a conflitto concluso non ci fu processo. Soltanto tre giovani donne, alla cui delazione si doveva la cattura di tre dei Martiri furono condannate nel 1947 a otto anni di carcere, pena meramente simbolica per la sopravvenuta amnistia, che rese vano anche il processo contro il brigatista nero che aveva arrestato Conti.
[Testo di Leopoldo Pietragnoli]
Inaugurazione della targa in memoria di “Piuma” e “Cristallo”
Giorgio Gherlenda “Piuma”, Alvaro Bari “Cristallo” e Gastone Velo “Nazzari” furono arrestati mentre rientravano da un’azione nella valle del Primiero, dove i partigiani volevano liberare la moglie di un generale tedesco aderente alla congiura per il fallito attentato del 20 luglio 1944 contro Hitler. Nelle celle della caserma Zannettelli di Feltre, il maresciallo della Gestapo Wilhelm “Willy” Niedermayer li interrogò sotto tortura. Gastone Velo “Nazzari” riuscì incredibilmente a fuggire nottetempo dalla prigione di Feltre ma non ebbe modo di liberare i compagni. Lui stesso fu fucilato un paio di mesi più tardi a Castel Tesino (Trento) dove venne catturato l’8 ottobre 1944 durante un rastrellamento da miliziani nazisti locali del Corpo di sicurezza trentino (Cst), mentre cercava riparo con la nota partigiana Clorinda Menguzzato “Veglia” (violentata, torturata e uccisa il 10 ottobre 1944).
Bari e Gherlenda furono fucilati dagli uomini di Willy sul ponte di Cesana (Lentiai, Belluno) il 5 agosto 1944: le due salme furono gettate nel Piave e vennero recuperate il giorno dopo da persone del luogo e consegnate pietosamente ai famigliari.
Il 2 agosto alle ore 10.30 presso il ponte vecchio di Cesana – Busche verrà inaugurata una targa ricordo nel punto dove furono fucilati i due partigiani. Interverrà Giovanni Perenzin, presidente dell’Anpi di Belluno.
Aggiornamento: le foto della cerimonia
Salviamo il popolo di Gaza
Appello di scienziati, ricercatori e medici apparso sulla rivista “Lancet”:
Salviamo il popolo di Gaza
Siamo medici e scienziati che spendono la loro vita nella cura e nella tutela della salute e della vita umana. Siamo inoltre persone informate; insegniamo l’etica delle nostre professioni, insieme alla sua conoscenza e pratica. Tutti noi abbiamo lavorato a Gaza e da anni conosciamo la sua situazione.
Sulla base della nostra etica e della nostra pratica, denunciamo ciò a cui stiamo assistendo nell’aggressione di Gaza da parte di Israele. Chiediamo ai nostri colleghi, professionisti giovani e anziani, di denunciare l’aggressione israeliana. Sfidiamo la perversità di una propaganda che giustifica la creazione di una situazione di emergenza per mascherare un massacro, una cosiddetta «aggressione difensiva». In realtà è uno spietato assalto di durata, portata e intensità illimitate.
Desideriamo riferire i fatti così come li vediamo e le loro implicazioni sulla vita di un popolo.
Siamo sconvolti per l’assalto militare su semplici civili a Gaza con il pretesto di punire i terroristi. Questo è la terza aggressione militare su vasta scala a Gaza dal 2008. Ogni volta il bilancio delle vittime è costituito principalmente da persone innocenti a Gaza, in particolare donne e bambini, sotto il pretesto inaccettabile di Israele di sradicare i partiti politici e la resistenza all’occupazione illegale e all’assedio imposto da Israele.
Questa azione terrorizza anche coloro che non sono direttamente colpiti, e ferisce l’anima, la mente e la resilienza delle giovani generazioni. La nostra condanna e il disgusto sono ulteriormente aggravati dal rifiuto e dal divieto a Gaza di ricevere aiuti e rifornimenti esterni per alleviare questa terribile situazione.
Il blocco su Gaza è stato ulteriormente inasprito rispetto all’anno scorso e questo ha peggiorato il prezzo pagato dalla popolazione. A Gaza, la gente soffre a causa della fame, della sete, della mancanza di farmaci, dell’inquinamento, della mancanza di energia elettrica, dall’assenza di qualsiasi mezzo per ottenere un reddito, non solo per le bombe e le granate. Mancanza di elettricità, carenza di benzina, scarsità di cibo e acqua, straripamento di fogne, risorse e posti di lavoro sempre più scarsi, sono tutti disastri causati direttamente e indirettamente dall’assedio.
Lottare o morire, nessun’altra scelta
La gente di Gaza sta resistendo a questa aggressione perché vuole una vita migliore e normale e, pur piangendo nel dolore, sofferenza e terrore, rifiuta una tregua temporanea che non prevede una possibilità reale per un futuro migliore. Una voce sotto gli attacchi a Gaza è quella di Um Al Ramlawi che parla per tutti quelli di Gaza «Ci stanno ammazzando tutti comunque – che sia una morte lenta per l’assedio, o una rapida da attacchi militari. Non abbiamo nulla da perdere — dobbiamo lottare per i nostri diritti, o morire».
Gaza è bloccata per mare e terra dal 2006. Qualsiasi persona di Gaza, compresi i pescatori, che si avventuri al di là di 3 miglia nautiche dalla costa di Gaza rischia di essere colpita dalla marina israeliana. Nessuno può uscire da Gaza attraverso gli unici due posti di blocco, Erez o Rafah, senza autorizzazione speciale degli israeliani e degli egiziani, difficile se non impossibile per molti da ottenere.
La gente di Gaza non è in grado di andare a studiare all’estero, di lavorare all’estero, di visitare le proprie famiglie all’estero, o svolgere attività all’estero, per non parlare di andare in vacanza. Persone ferite e malate, inoltre, non possono con facilità uscire per ottenere cure specialistiche al di fuori di Gaza e molti sono morti per questo. L’entrata di cibo e medicine a Gaza è limitata e molti beni essenziali per la sopravvivenza sono vietati. Prima dell’attacco attuale, i materiali nei magazzini medici a Gaza erano già a un minimo storico a causa del blocco. Ora sono ormai tutti esauriti. Allo stesso modo Gaza non è in grado di esportare i suoi prodotti. Poco prima dell’attacco, Israele ha anche ulteriormente ridotto il tenue flusso di merci consentite verso Gaza. L’agricoltura è stata gravemente compromessa dall’imposizione di una zona cuscinetto ed è ormai quasi completamente ferma. Olivi e alberi da frutto sono sradicati dai militari. I prodotti agricoli non possono essere esportati a causa del blocco. L’ottanta per cento della popolazione di Gaza dipende dalle razioni di cibo delle Nazioni unite.
Gran parte degli edifici e delle infrastrutture di Gaza erano state distrutte durante l’Operazione Piombo Fuso del 2008–9, ma i materiali da costruzione sono stati bloccati in modo che le scuole, le case e le istituzioni non possono essere adeguatamente ricostruite. Le fabbriche distrutte dai bombardamenti sono state raramente ricostruite aggiungendo disoccupazione alla miseria.
La riconciliazione respinta da Israele
Nonostante le difficili condizioni, la popolazione di Gaza e i loro leader politici hanno recentemente cercato di risolvere i loro conflitti «senza armi e senza danno» attraverso un processo di riconciliazione tra le fazioni, in cui la loro leadership ha rinunciato a titoli e posizioni, in modo da formare un governo di unità nazionale abolendo la politica di divisione tra fazioni che opera dal 2007. Questa riconciliazione, se pur accettata da molti nella comunità internazionale, è stata immediatamente respinta da Israele. Gli attacchi israeliani bloccano questa opportunità di unità politica tra Gaza e la Cisgiordania e colpiscono una parte della società palestinese distruggendo le vite della gente di Gaza. Sotto il falso pretesto di eliminare il terrorismo, Israele sta cercando di distruggere la crescente unità palestinese. Tra le altre menzogne, si afferma che i civili di Gaza sono ostaggio di Hamas, quando la verità è che la Striscia di Gaza è ermeticamente chiusa dagli israeliani e dagli egiziani.
Nessun rifugio sicuro per gli sfollati
Gaza è stata bombardata ininterrottamente negli ultimi 14 giorni, seguiti ora dall’invasione su terra di carri armati e migliaia di soldati israeliani. A più di sessantamila civili provenienti dal nord di Gaza è stato ordinato di lasciare le loro case in modo da poterle distruggere. Questi sfollati non hanno un posto dove andare, perché la parte centrale e meridionale di Gaza sono sottoposte a pesanti bombardamenti di artiglieria. L’intera Gaza è sotto attacco. L’unico rifugio a Gaza sono le scuole dell’Unrwa, un rifugio incerto già preso di mira durante Piombo Fuso, quando sono state uccise molte persone.
Secondo il Ministero della Salute di Gaza e Ufficio delle Nazioni unite per il Coordinamento degli affari umanitari (Ocha), al 21 luglio, 149 dei 558 uccisi a Gaza e 1.100 dei 3.504 feriti sono bambini.
Quelli sepolti sotto le macerie non sono ancora conteggiati. Mentre scriviamo la Bbc riferisce del bombardamento di un altro ospedale, colpite l’unità di terapia intensiva e le sale operatorie, con la morte di pazienti e personale. Ora si teme per il principale ospedale di Al Shifa. Oltre a tutto ciò, non c’è nessuno a Gaza che non sia psicologicamente traumatizzato. Chiunque abbia più di 6 anni di età ha già vissuto il suo terzo attacco militare da parte di Israele.
Distruggere, ferire l’anima e il corpo
Il massacro a Gaza non risparmia nessuno, e comprende i disabili e i malati negli ospedali, bambini che giocano sulla spiaggia o sul tetto, con una larga maggioranza di non combattenti. Ospedali, cliniche, ambulanze, moschee, scuole e l’edificio della stampa sono stati tutti attaccati, con migliaia di case private bombardate, indirizzando chiaramente il fuoco per colpire intere famiglie uccidendole all’interno delle loro case, e/o privare famiglie delle loro case cacciandole fuori pochi minuti prima di distruggerle. Un’intera area è stata distrutta il 20 luglio, lasciando migliaia di sfollati senzatetto, accanto a centinaia di feriti e uccidendo almeno 70 persone. Questo va ben oltre lo scopo di trovare gallerie. Nessuno di questi è un obiettivo militare. Questi attacchi mirano a terrorizzare, ferire l’anima e il corpo delle persone e rendere perversamente impossibile la loro vita nel futuro, demolendo anche le loro case e impedendo di ricostruirle.
Israele insulta la nostra umanità
Vengono utilizzate armi che, è risaputo, causano danni a lungo termine alla salute di tutta la popolazione; in particolare armi a non frammentazione e bombe a testata pesante. Siamo testimoni del fatto che armi di precisione sono usate indiscriminatamente e sui bambini, e vediamo costantemente armi “intelligenti” sbagliare mira, a meno che non siano volutamente usate per distruggere vite innocenti.
Denunciamo il mito propagato da Israele che l’aggressione avviene «preoccupandosi di salvare le vite dei civili e il benessere dei bambini».
Il comportamento di Israele ha insultato la nostra umanità, intelligenza e dignità, così come la nostra etica e sforzi professionali. Anche quelli di noi che vogliono andare e portare aiuto non sono in grado di raggiungere Gaza a causa del blocco.
Questa «aggressione difensiva» di durata, portata e intensità illimitata deve essere fermata.
Inoltre, qualora l’utilizzo di gas fosse confermato, questo costituirebbe inequivocabilmente un crimine di guerra per il quale, prima di ogni altra cosa, dovranno immediatamente essere decretate severe sanzioni contro Israele con la totale cessazione di qualsiasi accordo commerciale e di collaborazione con l’Europa.
Mentre scriviamo, vengono riferiti altri massacri e minacce al personale medico dei servizi di emergenza e il rifiuto di ingresso per convogli umanitari internazionali. Noi, come scienziati e medici non possiamo tacere mentre questo crimine contro l’umanità continua. Invitiamo anche i lettori a non rimanere in silenzio. Gaza intrappolata sotto assedio viene uccisa da uno delle più grandi e più sofisticate moderne macchine militari del mondo. La terra è avvelenata da detriti di armi con conseguenze per le generazioni future. Se quelli di noi in grado di farsi sentire non lo fanno e non prendono posizione contro questo crimine di guerra, sono anch’essi complici della distruzione delle vite e delle case di 1,8 milioni di persone a Gaza.
Prendiamo inoltre atto con disappunto che solo il 5% dei nostri colleghi accademici israeliani hanno firmato un appello al loro governo per fermare l’operazione militare contro Gaza. Siamo tentati di concludere che, con l’eccezione di questo 5%, il resto degli accademici israeliani sono complici nel massacro e la distruzione di Gaza. Ravvisiamo anche la complicità dei nostri paesi in Europa e in Nord America in questo massacro e ancora una volta l’impotenza delle istituzioni e delle organizzazioni internazionali nel fermarlo.
Paola Manduca, Professor of Genetics, University of Genoa, Italy; Sir Iain Chalmers, James Lind Library, Oxford; Mads Gilbert, Professor and Clinical Head, Clinic of Emergency Medicine, University Hospital of North Norway; Derek Summerfield, Institute of Psychiatry, King’s College,London; Ang Swee Chai, Consultant Orthopaedic Surgeon, London; Alastair Hay, Dept of Environmental Toxicology, University of Leeds; Steven Rose, Emeritus Professor of Life Sciences, Open University; Hilary Rose, Professor Emerita, University of Bradford. Angelo Stefanini, MD, Public Health, Bologna, Italy; Andrea Balduzzi, Zoologist, University of Genoa, Italy; Bruno Cigliano, MD, Paediatric Surgeon, University of Naples “Federico II”, Italy; Carmine Pecoraro, MD, Nephrologist, Santobono Children Hospital, Naples, Italy; Emilio Di Maria, MD PhD, Medical Genetics,University of Genoa, Italy; Franco Camandona, MD, Gynaecologist, ASL3, Liguria, Italy; Guido Veronese, MD, Clinical Psychologist, University of Milan-Bicocca, Italy; Luca Ramenghi. MD, Neonatology, Gaslini Childrens’ Hospital, Genoa, Italy; Marina Rui, Chemist, University of Genoa, Italy; Pierina DelCarlo, MD, Paediatrician, Massa, Italy; Sergio D’agostino, MD, Paediatric Surgeon, Hospital Vicenza, Italy; Silvana Russo, MD, Pediatric Surgeon, Santobono Children Hospital, Naples, Italy; Vincenzo Luisi, MD, Paediatric Cardiac surgeon, Massa Hospital, Italy; Stefania Papa, Environmentalist, University of Naples, Italy; Vittorio Agnoletto, MD, University Statale, Milan, Italy; Mariagiulia Agnoletto, Psychiatrist, Milan, Italy.
http://www.thelancet.com/gaza-letter-2014
Sulla riforma del Senato e su Gaza
Note urgenti sulla riforma del Senato del Presidente nazionale dell’ANPI, Carlo Smuraglia:
Non posso assolutamente tacere di fronte al fatto che al Senato si sia deciso di imporre la cosiddetta “ghigliottina” sulla discussione in atto sulla riforma del Senato, fissando il voto conclusivo, quale che sia lo stato dei lavori a quel momento, all’8 agosto.
E’ un fatto che considero molto grave (non ho tempo né modo di concordare queste dichiarazioni con la Segreteria e quindi me ne assumo la personale responsabilità), che dimostra ancora una volta che non si è compreso che la Costituzione e le norme che tendono a modificarla non sono leggi come le altre, ma fanno parte di quel complesso normativo che è la base di tutto il sistema e della stessa convivenza civile.
Se la Costituzione impone maggioranze molto qualificate per l’approvazione delle modifiche, se vuole due letture consecutive da parte di ogni Camera, se prevede che tra la prima e la seconda lettura ci deve essere uno spazio “di riflessione” di tre mesi, questo significa che si vuole una discussione approfondita, su tutti i temi, che ciascuno possa riflettere, decidere, votare (anche secondo coscienza), che vi sia dibattito, confronto e meditazione. Non è concepibile imporre, in questo contesto, una “tagliola”, fissare dei tempi stretti e inderogabili per l’approvazione. Altrimenti, sarebbe vanificato proprio lo sforzo del legislatore costituente di fissare quella serie di regole che ho indicato prima.
La “ghigliottina” è strumento delicato ed eccezionale per qualsiasi legge; ma, a mio parere, è addirittura improponibile ed inammissibile per leggi di modifica costituzionale.
Si obietta che ci sono moltissimi emendamenti e c’è chi fa l’ostruzionismo. La risposta è facile: nella prassi parlamentare sono notissimi anche gli strumenti più volte adottati, nel tempo, per contrastarlo; ma sono strumenti tipicamente collegati ad una prassi “ordinaria”, totalmente diversi dalla ghigliottina, che è – e resta – strumento eccezionalissimo e in ogni caso mai applicabile alle modifiche costituzionali. Perché, dunque, ricorrere proprio allo strumento peggiore e inammissibile (nel caso specifico), in una materia così delicata?
Davvero, gli spazi della democrazia, in questo modo, si riducono ancora una volta, tanto più che stiamo parlando di un provvedimento di riforma costituzionale che, inusualmente per questa materia, proviene dal Governo e di una data che per primo ha fissato il Presidente del Consiglio, dunque di un passivo adeguamento almeno di alcuni gruppi parlamentari alla volontà dell’esecutivo.
Tutto questo non va bene, non è assolutamente accettabile e delinea prospettive, per il futuro, quanto mai preoccupanti.
25 luglio 2014
Comunicato della Segreteria nazionale dell’ANPI sui tragici fatti di Gaza:
La Segreteria nazionale, confermando e facendo propria la dichiarazione formulata dal Presidente nella news-letter 129 del 22 luglio, qui di seguito riportata, a proposito di quanto sta accadendo in Medio Oriente, nella striscia di Gaza: manifesta la deplorazione più viva per gli attacchi violenti e indiscriminati da parte di Israele (l’ultimo ieri contro una struttura dell’ONU), che vanno a colpire tragicamente la popolazione civile con un numero ormai elevato di vittime, anche fra donne e bambini; ricorda la dichiarazione dell’ONU che denuncia anche crimini contro l’umanità; chiede che l’U.E. e, in primo luogo, il Governo italiano, assumano una posizione precisa in favore:
a) di un immediato cessate il fuoco, duraturo da entrambe le parti;
b) per il riconoscimento dello Stato della Palestina al pari di quello di Israele;
c) contro ogni forma di violazione dei diritti umani, di chiunque, in quella delicatissima area.
Roma, 25 luglio 2014
Di seguito, la dichiarazione del Presidente Smuraglia, pubblicato ANPInews n. 129 del 22 luglio scorso:
“Che si può dire ancora di tragedie come quella della Palestina e della morte, nel Mediterraneo, di tante persone (anche donne e bambini) che tentano di uscire da Paesi in guerra o in crisi, cercando una qualunque prospettiva migliore e incappando invece, assai spesso, in un destino fatale? Non si può rimanere inerti di fronte a tanto orrore. Ma le parole non bastano più.
Ci vogliono iniziative serie, di pace e di accoglienza “vera”; ci vuole un impegno degli Stati, dell’ONU, dell’Europa, per far finire questi massacri e tornare almeno ad un livello accettabile di civiltà e di diritti.
E forse ci vuole meno indifferenza da parte di tutti, perché quelle morti, quelle tragedie, ci riguardano da vicino e ci impongono non solo di esprimere commozione ed emozioni, ma di manifestare una seria volontà di pace e di riconoscimento dei diritti umani.