Lorenza Carlassare: Così si strozza la democrazia

costituzione_italianaProfessoressa Lorenza Carlassare da costituzionalista come giudica la decisione di contingentare i tempi della discussione sulla riforma?

E’ una decisione contraria alla Costituzione. Non mi era mai venuto in mente che nella revisione di una legge costituzionale si potesse agire in questo modo. Strozzare un dibattito su una riforma che deve essere votata con una maggioranza elevata proprio perché sia ragionata e condivisa. Mi sembra una cosa inaudita. Soprattutto considerando che risulta implicitamente escluso dalla stessa
Costituzione, che prevede appunto maggioranze molto elevate, due distinte delibere per ogni camera con uno scopo preciso: garantire che la riforma venga meditata, discussa e approvata da una maggioranza larga, non da una maggioranza artificiale che forza gli altri, una minoranza prefabbricata che vuole imporre la sua volontà. Il disprezzo del dissenso e la volontà di soffocarlo è propria dei sistemi autoritari. Non è lo spirito della Costituzione.

Il problema forse è all’origine: ci troviamo di fronte a una riforma costituzionale che non nasce dal parlamento ma viene dettata dal governo.

Anche questa è un’anomalia. Purtroppo negli ultimi anni ne abbiamo viste tantissime. Il governo si è impadronito di tutte le funzioni del parlamento e lo ha esautorato. Della funzione legislativa si è impadronito totalmente facendo solo decreti legge e ora s’ impossessa anche della revisione costituzionale. Tutto quello a cui stiamo assistendo negli ultimi tempi lascia sgomenti.

Vede dei rischi in questo modo di procedere da parte di governo e maggioranza?

Da tanto tempo vedo rischi, perché questa forzatura deriva dal fatto che non si vuole accettare il dialogo, che si vedono gli emendamenti e le proposte degli altri come un impaccio, un ostacolo, dei sassi sui binari da rimuovere, come ha detto Renzi. Ma gli argomenti degli altri non sono da rimuovere, sono da considerare ed eventualmente da confutare con argomenti idonei, altrimenti che
democrazia è? Oltre tutto si tratta di una riforma che fa parte di un programma più ampio di cui non sappiamo nulla.

Si riferisce al patto del Nazareno?

Questo patto Berlusconi-Renzi, che poi è Berlusconi-Verdini-Renzi che cosa significa? E’ un patto fra soggetti dei quali uno non aveva e non ha funzioni politiche istituzionali di alcun genere; ha perduto anche il titolo di senatore. Allora la domanda è: cosa c’è in questo patto? Un patto tra due partiti si può anche ammettere se è trasparente, ma un accordo segreto di cui ogni tanto trapelano alcune notizie ma del quale si esige che sia assolutamente rispettato alla lettera, no. Mi chiedo ancora: siamo in un Paese democratico o no?

Però il ministro Boschi di fronte alle accuse di autoritarismo risponde che si tratta di allucinazioni.

Penso che il ministro Boschi, della cui buona fede non dubito, non abbia nessuna idea di cosa è la democrazia e soprattutto che cosa è la “democrazia costituzionale”, che non vuol dire dominio della maggioranza. Quello che offende è la menzogna, continuamente ripetuta, che chi propone modifiche non voglia le riforme: tutti vogliono la riforma del bicameralismo attuale! Ma molti non vogliono la soluzione imposta. Perché il governo non vuole il Senato elettivo come negli Stati Uniti, con un numero ristretto di senatori eletti dai cittadini delle diverse regioni? Perché no?

Lei che risposta si dà?

Si vuol togliere la parola al popolo. Quanto sta accadendo va messo insieme alla legge elettorale con l’8% di sbarramento; si vuole chiudere la bocca alle minoranze, e non solo a minoranze esigue: la soglia dell’8% non è certo leggera. Si vuole fare una Camera interamente dominata dai due partiti dell’accordo, due partiti che poi sono praticamente uno perché lavorano insieme, in stretto accordo, quindi siamo arrivati al partito unico.

O magari al partito nazionale di cui parla Renzi.

Una cosa che mi fa venire i brividi. La democrazia costituzionale è necessariamente pluralista, perché gioca anche sull’articolazione politica del sistema e del parlamento, sulla possibilità di un dialogo e di un dissenso. Qui invece si parla di partito nazionale. Credo che per qualcuno si tratti di scarsa conoscenza e di scarsa dimestichezza con il costituzionalismo, per qualcun altro purtroppo no.

In questo rientra anche la decisione di innalzare da 500 a 800 mila le firme necessarie per proporre un referendum abrogativo?

Siamo sempre nella stessa logica di riduzione del peso del popolo, che evidentemente dà fastidio e bisogna tacitarlo. La gente chiede lavoro, è preoccupata per la chiusura delle fabbriche e i governanti si impuntano esclusivamente su queste cose. La riforma costituzionale serve certamente al fine di poter esercitare il potere con le mani libere, senza gli impacci della democrazia costituzionale. Però c’è anche un’altra ragione di fondo, ed è che la riforma è un bello schermo per nascondere il fatto che sugli altri piani non si fa niente. L’economia è andata più a rotoli che mai, finora si è fatto solo un gran parlare, un chiacchierare arrogante e assolutamente inutile.

Però seimila emendamenti sono tanti. L’opposizione non sta esagerando?

L’opposizione non ha altre armi perché il dialogo la maggioranza non lo vuole, ha detto subito che “chi ci sta, ci sta”. E gli altri, evidentemente, se “non ci stanno” a votare ciò che il governo vuole “se ne faranno una ragione”! In tale situazione chi vorrebbe una riforma diversa non può fare altro che rendere faticoso il percorso per indurre la maggioranza a riflettere su quello che fa e, per non veder fallire tutto, ad accettare qualche modifica. Ripeto ancora ciò che più volte ho detto: se vogliono fare un Senato con i rappresentanti delle regioni e degli enti locali non eletti dal popolo, lo facciano pure, però non possono attribuire a quest’organo funzioni costituzionali. Non possono dargli la possibilità di legiferare al massimo livello. A un simile Senato, fatto da persone che non ci rappresentano, dominate dai capi partito, si vuole invece assegnare il potere di revisione costituzionale, di partecipare all’elezione del presidente della Repubblica e di altri alti organi costituzionali. E’ assurdo. Facessero allora un Senato che è espressione delle autonomie con funzioni limitate alle necessità di raccordo con le autonomie locali. Altrimenti, se gli si vogliono attribuire funzioni costituzionali, deve essere elettivo. Ma, se non è possibile discutere di questo e di altri punti significativi, allora non resta altro
da fare che proporre emendamenti a raffica.

Intervista di Carlo Lania da “Il Manifesto” del 25/7/14

Mostra: “Le atomiche di Hiroshima e Nagasaki”

mostra hiroshimaDal 2014 il Comune di Mirano aderisce ufficialmente a Mayors for Peace (www.mayorsforpeace.org), l’organizzazione non governativa fondata dalle città di Hiroshima e Nagasaki con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’abolizione totale delle armi nucleari entro il 2020 e di promuovere la realizzazione di questo obiettivo (“Visione 2020”). L’ONG inoltre, mira a realizzare una pace mondiale duratura attraverso la solidarietà tra le Città del Mondo.
La Città di Mirano ospiterà dal 26 luglio al 7 agosto 2014 la mostra “The AtomicBombings of Hiroshima and Nagasaki Poster Exhibition”, una mostra promossa da Mayors for Peace al fine di accrescere la consapevolezza nell’opinione pubblica mondiale della necessità di abolire le armi nucleari.

Sabato 26 luglio 2014 alle ore 11 a Mirano nella Sala Consiliare in Via Bastia Fuori 54 ci sarà l’inaugurazione ufficiale della mostra: interverranno Maria Rosa Pavanello, sindaca di Mirano, Diego Collovini, presidente dell’Anpi provinciale, Gian Antonio Danieli, già segretario dell’ International Physicians for the Prevention of Nuclear War – Premio Nobel per la Pace 1985. La mostra rimarrà aperta fino al 9 agosto prossimo ogni giorno dalle 17.00 alle 19.00. Durante la mostra ci sarà una raccolta firme per l’abolizione totale delle armi nucleari entro il 2020.

Lettera della sindaca Maria Rosa Pavanello:

img058 Il testo della petizione per chiedere una convenzione sulle armi nucleari:

img056Raccolta firme per la stessa petizione:

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28 luglio 1944: i 13 martiri di Ca’ Giustinian

13 martiriLa mattina del 26 luglio 1944, 2 partigiani (Franco Arcalli “Kim” e un’altra persona di 40 anni della quale non si conosce l’identità) appartenenti ad un Gap veneziano – comandato dal partigiano azionista Aldo Varisco e appoggiato soprattutto dal socialista Giovanni Tonetti, il famoso “Conte rosso” – fecero un attentato dinamitardo contro la sede provinciale della Gnr (Guardia Nazionale repubblicana) a Ca’ Giustinian. La bomba di 80 kg fu trasportata all’interno dell’edificio in un baule, contenente sulla targhetta l’indirizzo di un ufficio di propaganda tedesco situato all’interno del palazzo. Così si evitò di insospettire i fascisti.
Il palazzo di Ca’ Giustinian dopo la nascita della Rsi divenne sede della Gnr veneziana.
All’interno del palazzo aveva sede l’Upi, (l’ufficio politico investigativo) cioè la polizia segreta fascista, dove furono torturati molti antifascisti e dove venivano decise le peggiori azioni criminali da parte fascista. Era il simbolo della repressione fascista insieme a Ca’ Littoria (sede del Pnf).
L’esplosione fu talmente forte da essere udita in quasi tutta la città e da danneggiare anche il vicino Hotel Bauer. Le vittime furono 14 tra militi e ausiliari fascisti.
La reazione fascista non si fece attendere.
Il Capo della provincia Piero Cosmin scrisse un comunicato dove si leggeva: “Venezia accomuna nell’identità del sacrificio i soldati germanici e i militi della Guardia nazionale repubblicana caduti sul posto del dovere. Vorremmo vedere il volto di questi criminali, vorremmo vedere se effettivamente appartengono alla razza umana tanto il loro gesto tradisce l’istinto di una bestia scatenata alla più bieca ferocia”. E il 28 luglio sul Gazzettino si legge un altro comunicato della Gnr: “La esecranda ed infame azione dinamitarda, che ha gettato nel lutto parecchie famiglie, compiuta il 26 u.s, da criminali al soldo del nemico, ha avuto come obiettivo principale la sede del comando provinciale della GNR in palazzo Giustinian. Non pietà per innocenti ed ignari, non scrupolo per la soppressione violenta di tante umili esistenze, han fermato la mano assassina di chi con freddo animo ha compiuto il gesto nefando, uccidendo i fratelli per obbedire al nemico”.
L’ipocrisia fascista si manifesta anche e soprattutto nelle parole: i fascisti morti vengono definiti vittime innocenti, militi caduti sul posto del dovere; mentre i partigiani vengono definiti criminali, assassini e bestie feroci.
Infine il comunicato fascista annuncia: “La coincidenza vuole che il Tribunale straordinario di guerra sia oggi chiamato a giudicare vari elementi, già assicurati alla giustizia della GNR, responsabili di complotto contro lo Stato repubblicano e autori confessi di azioni dinamitarde. L’esecuzione della sentenza che verrà emanata dal Tribunale speciale, sarà eseguita sulle stesse macerie di palazzo Giustiniani”.
Infatti, 13 partigiani rinchiusi nel carcere S. Maria Magggiore di Venezia furono scelti per rappresaglia, anche se non erano coinvolti nell’attentato di Ca’ Giustinian e non pendeva su di loro nessuna accusa particolare se non quella di essere antifascisti.
All’alba del 28 luglio i 13 partigiani furono fucilati sulle macerie di Ca’ Giustinian e fucilati.

I loro nomi sono:

Gustavo Levorin, nato a Padova di 39 anni, operaio tipografo e segretario della Federazione veneziana del Pci. Arrestato nel Gennaio del 1944 e torturato.

Giovanni Felisati, nato a Mestre di 35 anni, operaio della fabbrica Montevecchio, comunista.

Francesco Biancotto, nato a S. Donà di Piave di 18 anni, falegname comunista. Un giovane molto coraggioso. Arrestato, gli fu promessa la libertà immediata in cambio di una confessione; lui rispose: “Fucilatemi pure, se volete, ma io non tradirò mai i miei compagni”. Mentre veniva trasportato nel luogo della fucilazione, cantava Bandiera rossa.

Stefano Bertazzolo, nato a Carrara S. Giorgio (Padova) di 25 anni, residente a S. Donà di Piave. Contadino e comunista da tempo malato di tubercolosi.

Attilio Basso, nato a S. Donà di Piave di 22 anni, impiegato cattolico e comunista. Gli era appena nato un figlio.

Giovanni Tamai, nato a S. Donà di Piave di 20 anni, operaio tessile e comunista.

Angelo Gressani, nato ad Ovaro(Udine) di 48 anni, orologiaio e comunista.  Residente a Ceggia, riparava e collaudava le armi del suo gruppo d’azione.

Enzo Gusso, nato a S. Donà di Piave di 31 anni, del partito d’Azione. Impiegato; davanti alle torture, rispondeva:”Sono antifascista e odio i tedeschi perché proteggono i fascisti”.

Venceslao Nardean nato a Noventa di Piave, di 19 anni, falegname, comunista.

Ernesto D’Andrea, nato a Musile di Piave di 31 anni. Operaio a Marghera, comunista e organizzatore della resistenza nel sandonatese.

Violante Momesso, nato a Noventa di Piave di 21 anni, contadino e comunista.

Amedeo Peruch, nato nel sandonatese di 39 anni, contadino, cattolico e comunista.

Giovanni Tronco, nato a S. Donà di Piave di 39 anni, fabbro e comunista.

L’ANPI Sez. Ceggia-Torre di Mosto e il Comune di Ceggia invitano la cittadinanza e tutti coloro che condividono gli ideali di Pace e Fratellanza tra i Popoli alla Commemorazione dei Tredici eroici partigiani di Cà Giustinian presso Piazza XIII Martiri a Ceggia, VE.
Dalle ore 20:45 musiche e letture CONTRO LE GUERRE DI IERI, DI OGGI E DI DOMANI.

 

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27 luglio a Pian de le Femene: Pastasciutta antifascista

10463064_656932831050249_1840745326269007830_nAnche quest’anno la sezione A.N.P.I. “La Spasema” – sinistra piave e la Nino Nannetti di Vittorio Veneto offriranno a chi vorrà “avventurarsi” a Pian de le Femene nel comune di Limana, nel piazzale antistante il Museo Partigiano A.Piol una pastasciutta (naturalmente accompagnata da un buon bicchiere di vino rigorosamente rosso) in memoria di quella storica offerta di Alcide Cervi proprio il 27 aprile del 1943 per festeggiare la caduta del fascismo avvenuta solo due giorni prima.
Sarà nostro ospite Adelmo Cervi, figlio di Aldo, uno dei sette fratelli trucidati dai fascisti il 28 dicembre del 1943 e il comandante partigiano Egildo Moro “Romo”.
Adelmo, inoltre nella serata di sabato 26 con inizio alle 20.30 presenterà presso la Società Operaia di Lentiai il suo ultimo libro: “Io che conosco il tuo cuore – Storia di un padre partigiano raccontata da suo figlio”.
Per chi vorrà alle 9.30, con partenza dal piazzale del Museo, passeggiata sui luoghi della resistenza attorno al monte Frontal accompagnati da una guida. L’escursione di circa due ore non presenta nessuna difficoltà anche se si consigliano calzature e abbigliamento consono.
Nel pomeriggio, monologo sula Resistenza di Simone Menegaldo autore e saggista dell ‘ ISTRESCO di Treviso.

Una lettera scritta da 142 cittadini israeliani

10501903_10153006492194992_4886099936091896921_n-300x300La carneficina che sta facendo a pezzi la gente di Gaza non fa parte di una guerra convenzionale. Uno degli eserciti più potenti del mondo s’è scagliato con tutta la sua ferocia contro persone lasciate sole dai governi “amici”, pronti semmai a chiudere loro, come sempre, ogni valico o via di fuga. Quel che accade in questi giorni a Gaza fa parte però di una guerra più grande, quella di tutti gli Stati e di tutti gli eserciti contro tutti i popoli. Sì, perfino contro quello che vive in Israele. Ce lo ricorda una splendida quanto emozionante lettera scritta da 142 cittadini israeliani capaci di vedere e capire l’orrore che provocano l’occupazione e la volontà di chi esercita il potere politico e militare nel loro paese. “Viviamo qui da troppo tempo perché si possa dire che non sapevamo, che non abbiamo capito prima o che non siamo stati in grado di prevederlo”. Quei cittadini scrivono alla famiglia di Mohammed Abu Khadr, il giovane palestinese arso vivo da un gruppo di coloni, ma scrivono anche al mondo intero. Sono parole che sfidano il pensiero dominante di una società che hanno visto diventare povera e perdersi nella cultura della violenza. Quelle parole coraggiose tengono aperta, anche quando tutto sembra perduto, la sola speranza di un cambiamento in profondità che potrebbe aver ragione dell’orrore

Le nostre mani grondano sangue. Le nostre mani hanno dato fuoco a Mohammed. Le nostre mani hanno soffiato sulle fiamme. Viviamo qui da troppo tempo perché si possa dire “non lo sapevamo, non lo abbiamo capito prima, non eravamo in grado di prevederlo”. Siamo stati testimoni dell’enorme macchina di incitamento al razzismo e alla vendetta messa in moto dal governo, dai politici, dal sistema educativo e dai mezzi di informazione.
Abbiamo visto la società israeliana diventare povera e in stato di abbandono, fino a quando la chiamata alla violenza è diventata uno sfogo per molti, adulti e giovani senza distinzioni, in tutte le sue forme.
Abbiamo visto come l’essere “ebreo” sia stato totalmente svuotato di significato, e radicalmente ridotto a nazionalismo, militarismo, una lotta per la terra, odio per i non-ebrei, vergognoso sfruttamento dell’Olocausto e dell’“Insegnamento del Re (Davide, ndt)”.
Più di ogni altra cosa, siamo stati testimoni di come lo Stato di Israele, attraverso i suoi vari governi, ha approvato leggi razziste, messo in atto politiche discriminatorie, si è adoperato per custodire con forza il regime di occupazione, preferendo la violenza e le vittime da ambo le parti ad un accordo di pace.
Le nostre mani sono impregnate di questo sangue, e vogliamo esprimere le nostre condoglianze e il nostro dolore alla famiglia Abu Khadr, che sta vivendo una perdita inimmaginabile, e a tutta la popolazione palestinese.
Ci opponiamo alle politiche di occupazione del nostro governo, e siamo contro la violenza, il razzismo e l’istigazione che esiste nella società israeliana.
Rifiutiamo di lasciare che il nostro ebraismo venga identificato con questo odio, un ebraismo che include le parole del rabbino di Tripoli e di Aleppo, il saggio Hezekiah Shabtai che ha detto: “Ama il tuo prossimo come te stesso” (Levitico, XVIII).
Questo amore reciproco non si riferisce soltanto a quello di un ebreo verso un altro, ma anche verso i nostri vicini che non sono ebrei. E’ un amore che ci insegna a vivere con loro e insieme a loro perseguire il benessere e la sicurezza. Non è soltanto il buonsenso che ce lo richiede, ma è la Torah stessa, che ci ha ordina di condurre la vita in modo armonioso, nonostante e contro le azioni dello Stato e le parole dei nostri rappresentanti di governo.
Le nostre mani grondano di sangue.
Per questo ci impegniamo a continuare la nostra battaglia all’interno della società israeliana – ebrei e palestinesi – per cambiare la società dal suo interno, per lottare contro la sua militarizzazione e per diffondere una consapevolezza che oggi risiede soltanto in una esigua minoranza.
Lotteremo contro la scelta di muovere ancora guerre, contro l’indifferenza nei confronti dei diritti e delle vite dei palestinesi, e il continuo favorire gli ebrei in tutto questo ciclo di violenza.
Dobbiamo combattere per offrire un legame umano – un legame che sia anche politico, culturale, storico, israelo-palestinese ed arabo- ebraico; un legame che può essere raggiunto attraverso la storia di molti di noi che hanno origini ebraiche ed arabe, e per questo, fanno parte del mondo arabo.
La nostra scelta è quella della lotta per l’uguaglianza civile e il cambiamento economico, in nome dei gruppi emarginati e oppressi nella nostra società: arabi, etiopi, mizrahim (di discendenza araba), donne, religiosi, lavoratori migranti, rifugiati, richiedenti asilo e molti altri.
Di fronte a questa situazione il lato più forte è quello che ha la capacità di usare la nonviolenza per abbattere il regime razzista e il vortice di violenza. Di fronte alla compiacenza di molti israeliani, cerchiamo e scegliamo la nonviolenza, mentre gli altri preferiscono permettere al regime di ingiustizia di rimanere saldo al proprio posto, e aspettano soluzioni che in qualche modo fermino la spirale infinita di violenza – che mostra la sua faccia ora in questa nuova guerra contro Gaza – soltanto per avere nuove morti e appelli alla vendetta da ambo le parti e allontanando un possibile accordo sempre più lontano.
Le nostre mani grondano di sangue, e il nostro desiderio è quello di creare una lotta congiunta con qualsiasi palestinese che voglia unirsi a noi contro l’Occupazione, contro la violenza del nostro regime, contro il disprezzo dei diritti umani.
Questa sarà una lotta per mettere fine all’Occupazione, o con l’istituzione di uno Stato palestinese indipendente o attraverso la creazione di uno Stato unico in cui tutti saremo cittadini di pari diritti e dignità.
Le nostre mani sono piene di questo sangue. Affermandolo così forte nella nostra società saremo sempre accusati dalla propaganda nazionalista di essere unilaterali, e di condannare soltanto i crimini israeliani e non quelli commessi dai palestinesi.
A queste persone noi rispondiamo così: colui che sostiene o giustifica l’uccisione dei palestinesi, supporta e incoraggia di conseguenza anche l’uccisione degli israeliani ebrei. E viceversa. La giostra della violenza è grande e si muove velocemente, ma noi ci opponiamo ad essa, e crediamo che l’unica soluzione sia la nonviolenza.
Andare contro i metodi di Netanyahu non significa necessariamente sostenere Hamas: la realtà non è dicotomica. Altre opzioni esistono nell’asso tra questi due. Allora sottolineiamo ancora di più che siamo cittadini israeliani e il centro della nostra vita è Israele. Per questo la nostra più grande critica è rivolta alla società israeliana, che cerchiamo di cambiare.
Questi assassini si nascondono tra di noi, fanno parte di noi. Ci sono, ovviamente, spazi in cui si possono criticare anche le altre società. Ma crediamo, ciononostante, che il dovere di ogni persona sia di esaminare prima da vicino e in modo critico la propria società, e solo dopo si possa permettere di approcciarsi alle altre (…).
Le nostre mani grondano di questo sangue, e sappiamo che la maggior parte dei palestinesi innocenti uccisi negli ultimi 66 anni da noi israeliani ebrei non hanno mai ricevuto giustizia.
I loro assassini non sono stati arrestati, neanche processati, a differenza dei ragazzi sospettati per l’omicidio di Mohammed. La maggior parte di questi innocenti è morta per mano di uomini in uniforme mandati dal governo, dai militari, dalla polizia o dallo Shin Bet.
Questi omicidi, avvenuti per mezzo di aerei, artiglieria o di persona vengono definiti come “errori umani” o “problemi tecnici”. E quando ci si riferisce ad essi a volte si include soltanto una fiacca scusa. La maggior parte dei casi viene raramente posta sotto inchiesta e quasi tutti finiscono senza rinvii a giudizio, dissolvendosi nell’aria. Tanti, troppi sono ignorati dai media, dalle agenzie giudiziarie, dall’esercito.
La ragione per cui i sospettati della morte di Mohammed sono stati arrestati è semplice: non portavano un’uniforme.
Ad eccezione dei soldati condannati per il massacro di Kafr Qasam nel 1956 e rimasti in prigione per non più di un anno, raramente ci sono stati altri processi nelle Corti israeliane contro uomini dello Stato, anche per la maggior parte degli odiosi massacri a cui questa terra ha assistito.
Le nostre mani sono impregnate di quel sangue. Quando Benjamin Netanyahu esprime le sue condoglianze e condanna l’omicidio di Mohammed, lo fa con lo stesso respiro di sempre, comunicando una rivendicazione pericolosa e razzista sulla superiorità morale di Israele nei confronti dei suoi vicini.
“Non c’è posto per simili assassini nella nostra società. In questo noi ci distinguiamo dai nostri vicini. Nelle loro società questi assassini sono visti come eroi e hanno delle piazze dedicate ai loro nomi. Ma questa non è l’unica differenza. Noi perseguiamo coloro che incitano all’odio, mentre l’Autorità Palestinese, i loro media ufficiali e sistema educativo fanno appello alla distruzione di Israele”.
Netanyahu ha dimenticato che diverse persone sospettate di essere criminali di guerra hanno servito in vari governi israeliani, alcuni sotto la sua stessa leadership, e che il numero di persone innocenti assassinate negli ultimi 66 anni di conflitto dipinge un quadro molto diverso.
Quando guardiamo il numero di ebrei israeliani e di palestinesi uccisi, vediamo che il numero dei palestinesi è molto più elevato.
Netanyahu dimentica anche, o cerca di farci dimenticare, l’incitamento diffuso propagato dal suo governo nelle ultime settimane, e le sue parole di vendetta dopo la scoperta dei corpi dei tre ragazzi ebrei rapiti – Gilad Shaar, Naftali Fraenkel ed Eyal Yifrah – quando tutti noi eravamo in stato di profondo shock: “Satana non ha ancora inventato una vendetta per il sangue di un bambino, né per il sangue di questi ragazzi giovani e puri” (…).
Le nostre mani hanno sparso questo sangue, e invece di dichiarare giorni di digiuno, lutto e pentimento, il governo ha ora deciso di lanciare un’operazione militare a Gaza, che ha chiamato “Operazione Bordo Protettivo”.
Chiediamo al governo di fermare questa operazione subito e di lottare per una tregua e per un accordo di pace, a cui il governo israeliano si è sempre opposto negli ultimi anni.
Gaza è la storia di tutti noi; è anche l’oblio della nostra storia. E’ il posto più segnato dal dolore in Palestina e in Israele (…). Gaza è la nostra disperazione.
Le nostre origini comuni sembrano essere state spazzate via sempre più lontano: dopo 40 anni di possibilità di un compromesso storico doloroso tra i due movimenti nazionali, quello palestinese e quello sionista, questa opzione è gradualmente evaporata. Il conflitto viene reinterpretato in termini mitologici e teologici, in termini di vendetta, e tutto ciò che ora possiamo promettere ai nostri figli sono molte altre guerre per le generazioni a venire, nuove uccisioni tra entrambi i popoli, e la costruzione di un regime di apartheid che richiederà ancora più decenni per essere smantellato.
Le nostre mani hanno sparso questo sangue (…), cerchiamo di lavorare contro questa tendenza. Lo facciamo attraverso le varie comunità della nostra società: ebrei e palestinesi, arabi e israeliani, Mizrahi e Ashkenazi, tradizionalisti, religiosi, laici e ortodossi.
Abbiamo scelto di opporci ai muri, alle separazioni, alle espropriazioni e deportazioni, al razzismo e alla colonizzazione, per offrire un futuro comune come alternativa all’attuale stato depressivo, oppressivo e violento della nostra società.
Vogliamo costruire un avvenire che non si arrenda al ciclo di violenza e di vendetta, ma che al suo posto offra la giustizia, la riparazione, la pace e l’uguaglianza; un futuro che attinge agli elementi comuni della nostra cultura, umanità e tradizioni religiose in modo che le nostre mani non serviranno più a spargere sangue, ma a ricongiungerci l’uno con l’altro in pace, con l’aiuto di dio, Insha’Allah.

Fonte italiana e nota di Osservatorio Iraq, Medioriente e Nordafrica http://osservatorioiraq.it/

*Traduzione dall’ebraico all’inglese di Idit Arad e Matan Kaminer. La lettera, pubblicata originariamente sul sito Haokets, è stata pubblicata in inglese sul magazine israeliano +972mag , che ringraziamo per la gentile concessione. Al link originale la lista dei cittadini israeliani che hanno firmato la la lettera. La traduzione in italiano è a cura di Stefano Nanni e Anna Toro.

Gaza il gas nel mirino

Per capire qual è uno degli obiettivi dell’attacco israeliano a Gaza bisogna andare in profondità, esattamente a 600 metri sotto il livello del mare, 30 km al largo delle sue coste. Qui, nelle acque territoriali palestinesi, c’è un grosso giacimento di gas naturale, Gaza Marine, stimato in 30 miliardi di metri cubi del valore di miliardi di dollari. Altri giacimenti di gas e petrolio, secondo una carta redatta dalla U.S. Geological Survey (agenzia del governo degli Stati uniti), si trovano sulla terraferma a Gaza e in Cisgiordania.
Nel 1999, con un accordo firmato da Yasser Arafat, l’Autorità palestinese affida lo sfruttamento di Gaza Marine a un consorzio formato da British Gas Group e Consolidated Contractors (compagnia privata palestinese), rispettivamente col 60% e il 30% delle quote, nel quale il Fondo d’investimento dell’Autorità ha una quota del 10%. Vengono perforati due pozzi, Gaza Marine-1 e Gaza Marine-2. Essi però non entrano mai in funzione, poiché sono bloccati da Israele, che pretende di avere tutto il gas a prezzi stracciati.
Tramite l’ex premier Tony Blair, inviato del  «Quartetto per il Medio Oriente», viene preparato un accordo con Israele che toglie ai palestinesi i tre quarti dei futuri introiti del gas, versando la parte loro spettante in un conto internazionale controllato da Washington e Londra. Ma, subito dopo aver vinto le elezioni nel 2006, Hamas rifiuta l’accordo, definendolo un furto, e chiede una sua rinegoziazione. Nel 2007, l’attuale ministro della difesa israeliano Moshe Ya’alon avverte che «il gas non può essere estratto senza una operazione militare che sradichi il controllo di Hamas a Gaza». Nel 2008, Israele lancia l’operazione «Piombo Fuso» contro Gaza.
Nel settembre 2012 l’Autorità palestinese annuncia che, nonostante l’opposizione di Hamas, ha ripreso i negoziati sul gas con Israele. Due mesi dopo, l’ammissione della Palestina all’Onu quale «Stato osservatore non membro»  rafforza la posizione dell’Autorità palestinese nei negoziati. Gaza Marine resta però bloccato, impedendo ai palestinesi di sfruttare la ricchezza naturale di cui dispongono. A questo punto l’Autorità palestinese imbocca un’altra strada.
Il 23 gennaio 2014, nell’incontro del presidente palestinese Abbas col presidente russo Putin, viene discussa la possibilità di affidare alla russa Gazprom lo sfruttamento del giacimento di gas nelle acque di Gaza. Lo annuncia l’agenzia Itar-Tass, sottolineando che Russia e Palestina intendono rafforzare la cooperazione nel settore energetico. In tale quadro, oltre allo sfruttamento del giacimento di Gaza, si prevede quello di un giacimento petrolifero nei pressi della città palestinese di Ramallah in Cisgiordania. Nella stessa zona, la società russa Technopromexport è pronta a partecipare alla costruzione di un impianto termoelettrico della potenza di 200 MW.
La formazione del nuovo governo palestinese di unità nazionale, il 2 giugno 2014, rafforza la possibilità che l’accordo tra Palestina e Russia vada in porto. Dieci giorni dopo, il 12 giugno, avviene il rapimento dei tre giovani israeliani, che vengono trovati uccisi il 30 giugno: il puntuale casus belli che innesca l’operazione «Barriera protettiva» contro Gaza.Operazione che rientra nella strategia di Tel Aviv, mirante a impadronirsi anche delle riserve energetiche dell’intero Bacino di levante, comprese quelle palestinesi, libanesi e siriane, e in quella di Washington che, sostenendo Israele, mira al controllo dell’intero Medio Oriente, impedendo che la Russia riacquisti influenza nella regione. Una miscela esplosiva, le cui vittime sono ancora una volta i palestinesi.

(Manlio Dinucci, il manifesto, 15 luglio 2014)

Atomic entimema

http://youtu.be/PKrXkZ_aOf4

Foto di Nagasaki e Hiroshima

NATO’s nuclear forces

In the Strategic Concept adopted by Allies at the Lisbon Summit at the end of 2010, NATO committed to the goal of creating the conditions for a world without nuclear weapons.

The Strategic Concept also reconfirmed that, as long as there are nuclear weapons in the world, NATO will remain a nuclear Alliance. Deterrence, based on an appropriate mix of nuclear and conventional capabilities, remains a core element of NATO’s strategy, even though the circumstances in which any use of nuclear weapons might have to be contemplated are extremely remote.

 

Riforme, la resistenza tradita

costituzione_italianaNella settimana appena iniziata si giocherà una partita decisiva per la Repubblica. Quel progetto di scompaginare l’architettura dei poteri come disegnata dai costituenti, che è stato il chiodo fisso della grande riforma propugnata da Berlusconi, sfociata nella riforma della II parte della Costituzione che il popolo italiano ha bocciato con il referendum del 25/26 giugno del 2006, sta per andare in porto con nuove forme e grazie ad un nuovo attore politico. Per quanto articolato diversamente, si tratta dello stesso progetto politico-istituzionale.

Esso si sviluppa su due fronti: la riforma elettorale e la riforma costituzionale. Questi due cantieri interagiscono fra loro e puntano a realizzare il medesimo obiettivo: cambiare i connotati alla democrazia italiana realizzando un sistema politico che il compianto prof. Elia qualificò come “premierato assoluto”. Quel sistema di pesi e contrappesi che i costituenti, memori dell’esperienza fascista, avevano delineato per scongiurare il pericolo della dittatura della maggioranza, sarà profondamente squilibrato per realizzare un nuovo modello istituzionale che persegue la concentrazione dei poteri nelle mani del capo dell’esecutivo, a scapito del Parlamento e delle istituzioni di garanzia.

Non ci sarà più la centralità del Parlamento, anzi il Parlamento sarà dimezzato con l’eliminazione di un suo ramo, poiché il nuovo Senato sarà sostanzialmente un ente inutile che non potrà interferire nell’indirizzo politico e legislativo. Dalla Camera dei deputati saranno espulse molte o quasi tutte le voci di opposizione, il Governo eserciterà un potere di supremazia sulla Camera attraverso l’istituto della tagliola e del voto bloccato. La minoranza che vincerà la lotteria elettorale, controllerà il Parlamento, si impadronirà facilmente del Presidente della Repubblica, eleggerà i 5 giudici costituzionali di competenza delle Camere ed influirà sulle nomine di competenza del Capo dello Stato.

Le istituzioni di garanzia formalmente resteranno in piedi ma saranno addomesticate per non disturbare il navigatore. Sarà sempre più difficile contestare scelte inaccettabili dell’esecutivo (si pensi al nucleare) attraverso il ricorso al referendum popolare, dato l’innalzamento a 800.000 della soglia delle firme necessarie. Le scelte che si faranno in questi giorni in Senato saranno cruciali perché la riforma del Senato è l’indispensabile presupposto della riforma elettorale e non saranno possibili modifiche quando ci sarà la seconda lettura. É questa l’ultima trincea dove si difende quel testamento di centomila morti che ci ha consegnato la Resistenza. Poche cose ci chiedono i nostri morti, diceva Calamandrei: non dobbiamo tradirli.

Domenico Gallo

Lettera ai senatori

costituzione_italianaRiceviamo e diffondiamo questo appello di Silvia Manderino di Rete per la Costituzione:

Vi allego la lettera che la “Rete per la Costituzione” ha inviato ieri sera, 13 luglio 2014, al Presidente del Senato e a ciascuno dei 315 senatori in previsione della discussione sul DDL – partita oggi nell’aula del Senato – con cui il Parlamento è in procinto di modificare l’ordinamento costituzionale della Repubblica.
Come penso saprete, domani, 15 luglio, a Roma ci sarà un presidio davanti al Senato (concentramento iniziale in Piazza delle Cinque Lune), organizzato da varie associazioni e comitati, per fare sentire la voce dissonante dei molti cittadini che non accettano una riforma che stravolgerebbe l’impianto costituzionale disegnato dalla Carta.
La situazione – in presenza di un silenzio assordante da parte della quasi totalità degli organi di informazione sulle posizioni contrarie ad un progetto di natura plebiscitaria che si vuole imporre a tutta la cittadinanza italiana – è di estrema gravità.
Lo stanno dicendo da tempo molte persone, dai costituzionalisti ai comuni cittadini.
L”indifferenza generale è ciò su cui contano i fautori di questo progetto (partito, come noto, dal cosiddetto “patto del Nazareno”).
Questo progetto di controriforma costituzionale potrebbe definitivamente incidere sul futuro del Paese democratico.
Cerchiamo di unire tutte le forze per contrastare questo disegno.
Diffondete come e più potete.
Un caro saluto

Silvia Manderino

Questa la lettera ai senatori:

Il progetto di riforma costituzionale sottoposto all’esame dell’Aula del Senato a partire da lunedì 14 luglio 2014, è oggetto di grande preoccupazione per molti cittadini italiani che, manifestando in varie forme la loro opposizione, considerano la Costituzione repubblicana il fondamento della convivenza democratica.
Con il referendum confermativo del 2006 la maggioranza degli italiani impedì il tentativo di stravolgere le norme su cui si fonda l’ordinamento dello Stato italiano.
Oggi questo progetto torna ad imporsi, ma ha l’aggravante di essere il frutto di accordi intervenuti tra due soggetti privati, uno dei quali ha commesso gravi reati contro lo Stato per i quali è stato definitivamente condannato ed ha in corso l’espiazione della pena.
Questa intollerabile situazione è certamente una delle più gravi anomalie per cui l’Italia si distingue tra gli altri Paesi europei.
Mancano però anche evidenti ragioni giuridiche perché l’attuale Parlamento italiano –  frutto  di una legge elettorale che la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima – possa disporsi a modificare la Costituzione, iniziativa di vitale importanza per il futuro del Paese e che i cittadini italiani, tra l’altro, non hanno mai chiesto venisse promossa e attuata.
Non vi sono fondate ragioni per trasformare il Senato della Repubblica in mera “camera consultiva”, privata delle fondamentali funzioni che la Costituzione ha attribuito proprio pensando al bilanciamento dei poteri costituzionali e per di più formata da soggetti non eletti dai cittadini italiani ma nominati in altri luoghi e per altre funzioni.
Se a ciò si aggiunge la previsione di estendere l’immunità parlamentare a senatori nominati, allora la violazione appare manifesta a cominciare dai principi sanciti dall’art. 3 della Carta.
Il progetto che vi accingete a discutere al Senato in prima lettura, dopo che alla Camera è stata approvata una nuova legge elettorale che presenta tutte le caratteristiche di illegittimità costituzionale della precedente, autorizza i cittadini a ritenere che vi sia una volontà diretta ad eliminare dalla Costituzione i principi della democrazia rappresentativa per introdurre un sistema di investitura plebiscitaria.
Questo è il concreto e grande rischio che corre la Repubblica.
Ed è un pericolo che è vostro compito sventare.
Il vostro ruolo impone non solo di considerare le ragioni di quella che appare come una radicale modifica della struttura istituzionale dello Stato, ma di assumere la responsabilità di una decisione che potrebbe segnare nel futuro la fuoriuscita da una Repubblica democratica.
Come cittadini componenti associazioni e comitati in difesa della Costituzione presenti in varie parti d’Italia e uniti nella “Rete per la Costituzione”, vi sollecitiamo affinché il progetto di riforma costituzionale in discussione venga fermato.

                                                                                    Rete per la Costituzione

Sette osservazioni sulla crisi ucraina

Neonazisti ucraini della rivolta Maidan
Neonazisti ucraini della rivolta Maidan

La reazione russa era obbligata. Apre scenari da brivido, ma segue ferreamente e coerentemente la logica della III guerra mondiale in cui il mondo è immerso.

Prima osservazione. La crisi in corso in Ucraina è l’ennesima riprova che le crisi sistemiche portano inesorabilmente a guerre mondiali. Per favore, basta stupirci delle guerre. La crisi sistemica del Seicento fu risolta dalle guerre anglo-olandesi che durarono più di vent’anni. La crisi sistemica scorsa fu risolta da una guerra mondiale di trent’anni che iniziò nel 1914 e terminò solo nel 1945. La guerra mondiale scatenata dall’odierna crisi sistemica è iniziata ufficialmente l’11 settembre del 2001, cioè tredici anni fa e oggi rischia di entrare in una fase nuova e più devastante.
Seconda osservazione. L’odierna crisi sistemica, si è conclamata ufficialmente il 15 agosto del 1971 quando Nixon dichiarando che il Dollaro non era più convertibile in oro, dichiarò implicitamente che la moneta imperiale era garantita esclusivamente dalla potenza politica, militare, diplomatica, culturale e solo infine economica degli Stati Uniti. Gli stessi motivi per cui quella moneta aveva corso mondiale obbligatorio. Basta, per favore, ripetere che la crisi attuale è iniziata con lo scoppio della bolla dei subprime o, al più, con quella della “New Economy”. Sono due episodi della crisi sistemica principale.
Terza osservazione. La crisi ucraina sembra confermare l’ipotesi che ho avanzato in “Al cuore della Terra e ritorno”: siamo entrati in una fase di deglobalizzazione, ovvero di suddivisione del sistema-mondo in compartimenti geo-economici separati e potenzialmente contrapposti. Un’altra conferma è il Transatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip), cioè la cosiddetta “Nato economica”, in corso di negoziazione. Di conseguenza la finanziarizzazione come l’abbiamo sperimentata a partire dal Volcker shock del 1979 e poi diventata virulenta negli ultimi venti anni, subirà una radicale trasformazione, dato che era sostenuta dalla globalizzazione. In relazione a questa accezione del concetto di “finanziarizzazione”, dobbiamo aspettarci una fase di definanziarizzazione che accompagnerà, anche se non in modo meccanico, quella di deglobalizzazione. Questa definanziarizzazione richiede di scambiare il più possibile valori finanziari con valori reali. Il che, in parole povere, vuol dire cercare di riempire un enorme sacco vuoto con ricchezza reale, cosa che non può non portare a disastri e scompensi per innanzitutto richiede un aumento del saggio di profitto (da cui le “riforme del lavoro”) e l’assalto all’arma bianca del dominio pubblico. Come placebo per l’ormai irrecuperabile “piena occupazione”, al fine del necessario controllo sociale verrà probabilmente introdotto un “reddito di sussistenza”, operando così una ghettizzazione istituzionalizzata di parti sempre più ampie delle crescenti “classi subalterne”, per più di una generazione. Uno scenario sociale, culturale e antropologico agghiacciante.
Quarta osservazione. Con la crisi ucraina gli Stati Uniti e la Nato sono ritornati ai vecchi amori della Guerra Fredda: le forze politiche fasciste. L’accoglienza di Kerry al nazista Oleh Tjahnybok, leader di Svoboda, ne è l’emblema. Nel 2009 era stata la volta dell’Honduras a subire un golpe old fashion orchestrato dall’entourage della famiglia Clinton ed eseguito da gorilla fascistoidi addestrati nella “Scuola delle Americhe”. In Medio Oriente ormai non si nasconde più l’utilizzo imperiale di manovalanza fondamentalista antidemocratica. Ad ogni modo, in Europa era dai tempi del colpo di stato dei colonnelli in Grecia che non si assisteva più a un uso aperto di personale fascista in Europa (utilizzo coperto c’è stato invece ad esempio durante le guerre che hanno distrutto la Jugoslavia. Anzi, possiamo considerare le guerre nei Balcani un punto di snodo, in cui forse per la prima volta cooperarono con le forze imperiali sia fascisti sia jihadisti. La differenza è che oggi, per l’appunto, il loro utilizzo è palese, aperto, quasi rivendicato.
Quinta osservazione. Il ricorso da parte imperiale di forze che formalmente sono direttamente contrastanti coi valori professati dall’Impero, è un probabile sintomo dell’indebolimento delle sue capacità egemoniche, cioè delle sue capacità a far condividere come universali i propri interessi particolari. Da tempo, infatti, il “modello” occidentale ha dimostrato di non essere in grado di essere universalmente applicato e di creare più problemi di quanti ne riesca a risolvere, sia in termini di sviluppo, sia in termini di stabilità sociale e internazionale.
Sesta osservazione. Il colpo di stato in Ucraina (ché tale è stato, indipendentemente dal fatto che il regolarmente eletto presidente Janukovič fosse corrotto e incapace), eseguito come avevo previsto assieme ad altri osservatori, pochi purtroppo, durante lo svolgimento dei giochi olimpici di Soči, è avvenuto grazie a finanziamenti statunitensi e tedeschi (non solo accertati, ma addirittura dichiarati), è stato politicamente sostenuto, a volte persino in loco, da pezzi grossi della politica e della diplomazia Atlantica (Kerry, McCain, Ashton) e infine è stato attuato utilizzando reparti paramilitari fascisti a volte addestrati direttamente in basi Nato. In poche parole, è stato un assalto atlantico alle frontiere occidentali della Russia, con ciò stracciando in una volta i Trattati di Parigi ed Helsinki su cui si basava la sicurezza collettiva europea dopo la fine dell’Urss.
E’ stata quindi una mossa pericolosissima, cosa che testimonia delle gravi difficoltà che l’Occidente sta sperimentando a causa della crisi sistemica.
Settima osservazione. La reazione della Russia era obbligata. Ciò non vuol dire che non apra scenari da brivido, ma solo che segue ferreamente e coerentemente la logica della terza guerra mondiale in cui siamo immersi. L’avventurismo occidentale, che è testimone di una preoccupante dose di arrogante disperazione, sta nel fatto che si è compiuta la mossa ucraina pur sapendo che al 90% Mosca avrebbe reagito in modo brutale e deciso. Do per scontato che le dinamiche concitate di questo scorcio di crisi sistemica possano indurre anche mosse particolarmente pericolose e imbecilli. Ma qui mi sembra che siamo di fronte a una inquietante amnesia storica. Non ci si ricorda più che la Russia (e spero che si capisca perché non dico “Unione Sovietica” in questo contesto) al costo di centinaia di migliaia di morti sgominò la VI armata del generale Friedrich Paulus a Stalingrado, invertendo le sorti della II Guerra Mondiale? Non ci si ricorda più che la Russia al prezzo di venti milioni di morti ricacciò i nazisti fino a issare la bandiera rossa sul Reichstag? Si pensa che quelle cose siano successe perché c’era Stalin al Cremlino? Sbagliato. Stalin ebbe bisogno di evocare non una resistenza comunista, bensì la Grande Guerra Patriottica benedetta dai pope.
Una guerra le cui radici affondavano totalmente nella tradizione russa, dove i Tedeschi erano i Cavalieri Teutoni e l’Armata Rossa gli stormi di contadini-soldati guidati dal principe Aleksandr Nevskij.
Non dice niente il fatto che Putin abbia avuto per la Crimea anche l’appoggio delle opposizioni?
Cosa credete che pensino i Russi quando vedono i nazisti della Galizia prendere in ostaggio le piazze ucraine? Non si chiamava “Galizien” la prima unità non tedesca di SS?
Se i decisori occidentali non hanno più voglia di leggersi la Storia si vadano almeno a vedere il film di Eisenstein e quando i Cavalieri Teutoni caricano i Russi sul lago Peipus gelato si facciano venire anche loro un po’ di sano, istruttivo e saggio gelo alla fronte vedendo come è andata a finire.

Morale. C’è necessità di Pace. C’è un’enorme necessità di Pace. C’è un’urgentissima necessità di Pace. Per il nostro Paese c’è bisogno di una politica di neutralità. Innanzitutto dovrebbe ritornare a svolgere quel ruolo di mediazione che lo ha contraddistinto a partire dalla fine della II Guerra Mondiale almeno fino all’inizio degli anni Novanta. Già questo sarebbe un notevole passo avanti. Alternativamente, il nostro Paese potrebbe essere tirato dentro una guerra devastante in men che non si dica, senza che nemmeno se ne accorga. C’è bisogno che si rilanci un movimento di pacifismo attivo. C’è bisogno di capire che guerra e crisi sono due facce della stessa medaglia.
C’è bisogno di un rilancio dell’idea stessa di “democrazia”. All’inizio della crisi, tra gli anni Sessanta e Settanta c’era coscienza di ciò. Oggi che questa coscienza è ancora più necessaria di allora siamo invece paralizzati in uno stato catatonico sia delle capacità di analisi e comprensione, sia di quelle di mobilitazione politica. Non abbiamo più la capacità di elaborare un’idea indipendente, che guardi al di là del nostro naso. Al massimo siamo al carro dei problemi suscitati dall’avversario e riusciamo – spesso malamente – solo a ragionare su quelli.
Eppure siamo di fronte a un cambio di civiltà. Forse a un cambio dell’idea stessa di civiltà. Dovremmo con tutte le nostre forze evitare che ciò si trasformi in una catastrofe, perché la catastrofe non è assolutamente ineluttabile (la storia del mondo è piena di cambiamenti di civiltà), ma evitarla dipende da noi. Eppure non riusciamo a far niente e la catastrofe la rischiamo in continuazione.

Piero Pagliani (da http://realtofantasia.blogspot.it)