Resistere senz’armi

10313980_562308653885564_5439463697467104540_nSi terrà sabato 31 maggio 2014 (ore 18.00), nella barchessa della villa Morosini ora XXV Aprile, l’inaugurazione della mostra storico/documentariaResistere senz’armi. Storie di Internati Militari Italiani nel Terzo Reich (1943-1945) realizzata dall’Istituto Veneziano per la Storia della Resistenza e della società contemporanea (Iveser).
La mostra si propone di far conoscere la vicenda storica dei circa 650.000 militari italiani che vennero catturati dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943 e deportati nei lager del Nord Europa. I nazisti li classificarono come Internati Militari Italiani (IMI), privandoli così delle tutele previste dalle convenzioni internazionali per i prigionieri di guerra.
La mostra – attraverso un originale allestimento, con la riproduzione di un cospicuo ed inedito materiale documentario e fotografico (conservato prevalentemente nell’archivio dell’Istituto) – ripercorre tutta la vicenda degli IMI: la cattura, il terribile viaggio nei carri bestiame, la dura vita nei campi, il rifiuto di collaborare con la Repubblica sociale italiana e la Germania nazista, la liberazione, il ritorno a casa e il difficile reinserimento. Di forte impatto la sezione con alcuni totem con le immagini fotografiche e i documenti di alcuni internati militari  e che ne propone i loro percorsi biografici. Tra questi soldati anche un miranese, il motorista della Regia Marina Militare, il novantaseienne  Luigi Baldan,  già conosciuto per il suo libro di memorie “Lotta per sopravvivere – la mia Resistenza non armata contro il nazifascismo”, edito nel 2007, relativo al periodo da internato militare italiano nei lager nazisti ed alle sue opere di solidarietà nei confronti delle ragazze ebree del campo di Sackisch Kudowa in Polonia.
Un’esposizione in cui parole, immagini e documenti ricostruiscono i contorni di storie singole e li fondono in una storia collettiva che fatica ancora a trovare un posto e un giusto riconoscimento nella memoria degli Italiani.

La mostra è stata realizzata in collaborazione con il Comune di Mirano, Centro Pace, Auser Mirano, ANPI Miranese, Associazione Nazionale Combattenti e Reduci sez. Provinciale di Venezia, Associazione Bersaglieri sez. Mirano, grazie ad un contributo della Regione del Veneto, con il patrocinio della Provincia di Venezia.

L’inaugurazione sarà aperta dalla visione di alcuni video storici documentari.
La mostra proseguirà fino al 15 giugno 2014 con i seguenti orari:
sabato e domenica 10.30 -13.00 / 15.00 – 19.00
venerdì 16.00 – 19.00

Visite guidate su prenotazione per scuole, gruppi, associazioni
info e prenotazioni:
041 5287737; [email protected]

Per un Italia libera e onesta: ripartiamo dalla Costituzione

Microsoft Word - ANPINEWS N.122A Modena con il Patrocinio del Comune, in occasione della Festa della Repubblica, in Piazza XX settembre alle ore 14.00 si terrà la manifestazione “Per un Italia libera e onesta: ripartiamo dalla Costituzione”. Interverranno Gustavo Zagrebelsky, Sandra Bonsanti, Stefano Rodotà, Lorenza Carlassare, Carlo Smuraglia, Marco Travaglio, Giancarlo Caselli, Alberto Vannucci, Elisabetta Rubini, Paul Ginsborg, Roberta De Monticelli, Gaetano Azzariti.
Fabrizio Gifuni leggerà e reciterà pagine della nostra storia storia e Maurizio Landini invierà una video testimonianza.

Aderiscono alla manifestazione:

ANPI Nazionale
Rete per la Costituzione
Giustizia e Libertà con il suo Presidente Antonio Caputo
Associazione nazionale Liberacittadinanza
Comitato di Parma “Salviamo la Costituzione”
Scuola di Formazione Politica “Antonino Caponnetto”
Centro Documentazione don Tonino Bello (Faenza)
Viva la Costituzione – Rovigo
Comitato per la Costituzione di Rovigo
DIECIeVENTICINQUE
Comitato di Faenza per la valorizzazione e la difesa della Costituzione
Libera-Uscita Sezione Modenese
Democrazia Atea
Associazione dei familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili
Associazione Culturale PARTECIPAZIONE
ASSOCIAZIONE REGGIANA PER LA COSTITUZIONE
Iniziativa Laica e “Giornate della laicità”
Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford
Associazione per la democrazia costituzionale
Associazione reggiana per la Costituzione
Comitato per la Costituzione di Grosseto
Lista Civica Italiana
Associazione PrendiParte
Carovana per la Costituzione SEMPRE
Comitato Pistoiese per la difesa della Costituzione
Articolo21
Coordinamento per la difesa della Costituzione di Modena

“Siamo favorevoli al cambiamento, ma nel solco della Costituzione e nel quadro di una democrazia che si rafforza anziché ridurre gli spazi della rappresentanza. Non ci considereremo soddisfatti, dunque, se non quando il Paese non si sarà dotato di una legge elettorale veramente democratica; tra rappresentanza e governabilità si privilegerà la prima, pur cogliendo anche le esigenze di stabilità; la Costituzione sarà rispettata ed attuata nei suoi fondamenti e nelle sue linee di coerenza, apportando gli aggiustamenti necessari alla stessa struttura parlamentare, ma senza togliere alcunché agli equilibri ed alle garanzie che la Costituzione ci offre e che restano il fondamento della vita consociata. In questa direzione  intendiamo lavorare, col contributo di quanti credono nella Costituzione e nella democrazia e con un’informazione adeguata ai cittadini sulla reale posta in gioco e sul loro interesse a soluzioni chiare, trasparenti e ponderate. Comincia qui un cammino, che può anche essere lungo.
Ma questa forte presenza, questo calore e questa giornata magnifica di incontro mi induce a pensare che se ci impegneremo come dobbiamo, ce la faremo, nell’interesse del Paese e della democrazia”
Carlo Smuraglia – Presidente Nazionale ANPI – Teatro Eliseo, 29 aprile 2014

Ciao Giorgio

OLYMPUS DIGITAL CAMERANella serata del 26 maggio ci ha lasciati Giorgio Bottacin, la memoria storica della piazza, colui che a 8 anni vide trucidare i martiri in piazza a Mirano. «Lavoravo in pasticceria da Tonolo – racconta – vidi il primo morto trascinato a terra sotto il portico. Era stato ucciso poco prima davanti l’ex casa Pavan. Poi arrivarono i partigiani e spararono contro la casa del fascio. L’amico che era con me cadde morto a terra, io mi salvai per un pelo nascondendomi dietro la vecchia osteria Gasparini». Bottacin vide anche deportare gli Errera e fucilare altri miranesi al cimitero. Sempre presente alle commemorazioni e agli incontri con i ragazzi delle scuole medie dove portava la sua testimonianza degli eventi a cui aveva assistito: la foto si riferisce all’ultimo incontro dell’11 dicembre 2013.

Tutta l’Anpi di Mirano in questo triste momento porge le più sentite condoglianze ai familiari di Giorgio.

I funerali si svolgeranno venerdì 30 maggio alle ore 11 nel duomo di Mirano.

Comunicato della Rete per la Costituzione

costituzione_italianaLa Rete per la Costituzione, che unisce comitati e associazioni delPaese nati per la difesa della Costituzione e soprattutto per la sua concreta applicazione, esprime profondo sconcerto di fronte alle ultime notizie relativeagli arresti, alle indagini, alle inchieste che stanno ancora una volta dimostrando come il Paese debba trovare finalmente una strada per un cambiamento radicale della vita pubblica.
La grande maggioranza dei cittadini di questo Paese, indeboliti e strematida una crisi economica senza precedenti, subisce gli effetti devastanti di una gestione della vita politica che manifesta eclatanti esempi di vera e propria criminalità.
Nel mentre coperchi vengono aperti dalla magistratura italiana rivelando come anche il mondo economico-finanziario, nel suo stretto connubio con la politica nazionale e locale, sia profondamente condizionato da comportamenti ormai sistemici di corruzione e affarismo illecito, la Rete perla Costituzione vuole esprimere la propria solidarietà ai magistrati e aigiudici che nell’esercizio delle loro doverose funzioni, nonostante le grandi difficoltà che incontrano, costituiscono l’unico baluardo per evitare che la Repubblica possa essere sopraffatta senza possibilità di un ritorno ad una vitacivile, al rispetto delle regole, alla democrazia disegnata dalla Costituzione italiana.
La Rete per la Costituzione esprime inoltre condanna nei confronti diogni tentativo, manifesto o subdolo, diretto ad ostacolare o ad allentare ledoverose indagini dei magistrati che hanno il compito di accertare ogni fatto ocomportamento che abbia determinato la trattativa Stato-mafia.
Siamo convinti che sia necessario costituire un nuovo fronte democratico che raccolga tutte le persone che intendono vivere in questo Paeseall’insegna di una democrazia fatta di rispetto e osservanza delle regole, ditrasparenza dell’attività amministrativa e politica, di civile e diffusapartecipazione, di legalità, di giustizia, di pari dignità e di solidarietà.
In definitiva, di rispettosa osservanza della Costituzione e dei suoi principi fondamentali.
Crediamo per questo che anche le ultime iniziative governative dirette alla profonda trasformazione dell’impianto istituzionale dello Stato siano palesemente in contrasto sia con i principi costituzionali che con i principi della rappresentanza democratica su cui questo Paese è stato costruito.

“Senza diritti, scienza e lavoro il progresso del nostro Paese è a rischio”

elena-cattaneo-2-770x580Discorso di Elena Cattaneo, Docente della Statale di Milano e Senatore a vita, alla celebrazione del 25 aprile in Piazza Duomo a Milano:

Prima di riuscire a salire su questo palco ho trascorso giornate a cercare nei libri sui quali sono solita studiare, di genetica, di biologia, di neuroscienze per trovare spunti, meccanismi che mi aiutassero a capire come presentarmi qui oggi, in questa piazza, in una giornata così significativa.
Inutile dire che non ho trovato niente. E che non è facile per una persona come me abituata a lavorare su ciò che è infinitamente piccolo e invisibile anche solo sollevare lo sguardo verso questa piazza e indirizzarlo verso momenti che non ho vissuto ma che ho studiato. Posso quindi solo presentarmi a voi per quello che sono. Sono una scienziata, un professore universitario, qui alla Statale di Milano, sono una donna, una mamma, una cittadina di questo Paese.
E sento che questo Paese e chi lo ha abitato per anni prima di me ha consegnato a me e a molti più o meno giovani di me una grande fortuna: quella di svegliarci ogni mattina nella parte più bella del mondo. Ma anche la garanzia che non sapremo mai cosa significa lo scoppio di una bomba a pochi metri o che non vedremo mai nessuno dei nostri figli salire su una zattera per affrontare un mare immenso in cerca della liberazione. A noi questa fortuna è stata data. Ci è stata data insieme a una seconda grande fortuna, che è la possibilità di leggere, di studiare, di impadronirci di pezzi di conoscenza nel Paese che vanta più cultura al mondo. Senza però dimenticarci che con la cultura e lo studio viene anche il privilegio (oltre all’onere) di sottoporre le proprie idee alla verifica delle fonti e dei risultati dimostrabili.
Ecco io comincio ogni mattina conscia di queste due fortune e con un senso di gratitudine perché il mio bicchiere è già mezzo pieno senza che io abbia fatto nulla per meritarlo. È anche per questo motivo che credo che il mondo sia prima di tutto degli altri e poi mio e che impegnarsi sia un dovere.
Nel passato le cose stavano diversamente. Per insegnare dovevi giurare fedeltà. Al Re prima e al fascismo poi. Nel 1931 fu imposto a tutti i professori universitari di giurare fedeltà anche al regime fascista e a Mussolini. Erano state aggiunte solo tre parole rispetto al giuramento che comunque già bisognava fare al Re: Per due volte era ripetuto “Al Regime fascista”.
Dodici professori su 1225 rifiutarono palesemente di prestare questo giuramento e persero la cattedra. Perdere l’insegnamento significa perdere il rapporto con gli studenti. È come strapparti il cuore. Alcuni altri non giurarono sottraendosi con modalità diverse. Un certo numero si era già defilato prima dall’Italia.
Questi i loro nomi: Mario Carrara, Lionello Venturi, Gaetano De Sanctis, Piero Martinetti, Bartolo Nigrisoli, Ernesto Buonaiuti, Giorgio Errera, Vito Volterra, Giorgio Levi della Vida, Fabio Luzzatto, Francesco Ruffini e suo figlio Edoardo, il più giovane di tutti. Aveva 30 anni ed era all’inizio della sua carriera universitaria, insegnava storia del diritto.
E’ un dovere ricordare chi ha contribuito, con le sue azioni, a lasciarci un’Italia libera e democratica. Loro hanno combattuto senza armi. Lo hanno fatto con il modo che conoscevano meglio: tenendo accesa la fiaccola della conoscenza che non poteva essere piegata a nessun totalitarismo.
E’ dalla storia di un Paese che si deve partire per costruire il futuro. E’ la storia da cui partire per ricordare le emozioni, le conquiste, gli errori da non fare più, per trovare ispirazione, moniti, coraggio.
Tra gli oltre mille che giurarono vi furono alcuni nomi capitali della nostra storia che lo fecero «per continuare il filo dell’insegnamento secondo l’idea di libertà», per impedire che le loro cattedre – secondo l’espressione di Luigi Einaudi – cadessero «in mano ai più pronti ad avvelenare l’animo degli studenti».
Altri accademici vicini al comunismo giurarono con la giustificazione che il prestare giuramento permettesse loro di svolgere “un’opera estremamente utile per il partito e per la causa dell’ antifascismo”. Analogamente, la maggior parte dei cattolici, su suggerimento di Papa Pio XI, prestò giuramento «con riserva interiore».
Quel Giuramento di fedeltà al fascismo fu imposto anche nella Pubblica Amministrazione e nelle industrie più importanti: a chi si rifiutava veniva spedita una lettera di “licenziamento in tronco”.
Come molti storici mi insegnano non bisogna guardare alla storia come a qualcosa fatta da soli eroi, anche se questi esistono. È più autentico e aderente al reale vedere come le varie categorie di persone hanno opposto resistenza al Fascismo lungo un continuum , che va dal non partecipare ad alcuna attività politica fascista sino all’opposizione e al carcere, come Vittorio Foa, Leone Ginzburg, Eugenio Colorni, Sandro Pertini, la cui storia di resistenza, lotta, carcere in opposizione al nazifascismo fu ovviamente enorme.
Queste persone rimangono figure abbaglianti. Sono esempi di puro fulgore morale.
Si deve cercare nella storia delle persone esempi, cioè scelte a cui guardare e da cui imparare. Io cerco di farlo, senza nemmeno lontanamente pensare di potere rivivere la forza morale di coloro che hanno fatto la Resistenza, che è cosa alta e d’altri tempi. Però sono curiosa per i ragionamenti di chi va oltre la contingenza personale, e in essi cerco la coerenza e la dirittura morale. Cerco di capire quale coraggio abbia spinto, sollecitato, sorretto quelle persone. Come hanno potuto e saputo organizzarsi proprio nella nostra città, Milano, nell’aprile del 1945, quelle persone per insorgere e liberarla. Mi interessa capire come hanno potuto immaginare e saputo credere di potere cambiare la storia di questo Paese in meglio. Ciascuno di loro era uno solo. Ma erano uniti da un senso di appartenenza a questo Paese che non potevano vedere trattato in quel modo.
Quegli esempi animano in modo analogo il mio lavoro, perché vorrei anch’io, come tanti altri colleghi, tenere accesa, idealmente, la stessa fiaccola che i docenti universitari che rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo e tutti i cittadini che lo sconfissero non hanno lasciato spegnere più di 70 anni fa.
Mi occupo di scienza e del suo insegnamento. Ho il compito, con i miei colleghi, di costruire la conoscenza, quella che non è ancora scritta nei libri di oggi e che sarà rifinita su quelli di domani. Ho il compito di promuovere i saperi, di contribuire a dare speranze. Anche di fare da sentinella rispetto a tutte le situazioni che mirano a manipolare e piegare i fatti a interessi di parte e che, così facendo, mettono a rischio la libertà, prima di tutto il resto.
Amo il mio lavoro. E penso che possa insegnare un comportamento di vita salutare. Perché insegna che l’onestà nella vita di una persona è tutto, che ogni lavoro fatto onestamente è fondamentale; che impegnarsi è un dovere. Questo lavoro mi ha insegnato ogni mattina a partire come se stessi andando sulla luna, tante volte senza nemmeno sapere dove sia la luna. Mi ha fatto capire che le mie idee, quelle che ho più fortemente amato, possono essere sbagliate.
E quindi mi ha insegnato un metodo per verificare se sono giuste o sbagliate. Il metodo consiste nel mettere alla prova le idee facendo degli esperimenti. Cioè nel portare quelle idee al bancone del laboratorio, dove devo mettere in fila tutti gli esperimenti che riesco a immaginarmi, per capire quali tra le mie aspettative sono sbagliate. E quali rimangono temporaneamente in piedi.
Il mio lavoro mi ha insegnato cosa significhi fallire. Ma anche a esplorare luoghi dove nessuno era mai stato prima. E dove hai due possibilità. Scappare o resistere. Nei nostri laboratori noi impariamo a resistere sperando in un traguardo per poi magari vederlo svanire e infine raggiungendolo proprio per non avere mai rinunciato a cercarlo.
Parlo di un lavoro che insegna a costruire con altre persone, ovunque siano nel mondo, e con loro a coltivare il battito della speranza che non dà tregua, ma anche l’orgoglio di una professione che ogni giorno sembra capace di risvegliare una delle parti più pure e passionali degli uomini.
Dobbiamo parlare di più di scienza, di speranza, di cultura nel nostro Paese. Dobbiamo riuscire a mettere politica, scienza, cultura nelle stesse aule. Penso sia importante per il Paese. Perché la scienza insegna il rispetto per l’oggettività dei fatti, la tolleranza verso punti di vista diversi, il rifiuto dell’autoritarismo. La scienza può insegnare a diventare cittadini migliori perché insegna a rispettare le prove, ad amare ciò che uno conquista e tutti poi possono usare, a rifiutare le menzogne, a resistere ai compromessi che riducono la libertà, a combattere gli abusi.
Un tempo pensavo che fare lo scienziato significasse “solo” stare in laboratorio e invece ho capito che la parte più importante della scienza è la sua dimensione pubblica, e questa piazza lo dimostra. Lo scopo è uno: conoscere per dare ad altri.
Si deve discutere di tutto. Non puoi rinunciare a percorrere nuove strade quando ti trovi alla frontiera. Quindi impari a dissentire ogni volta che qualcuno vuole impedirti di studiare o di andare in una direzione ignota, sentendone quasi fisicamente la necessità, quando serve e tutte le volte che i fatti vengono manipolati.
Ecco la fiaccola che tutti noi dobbiamo tenere acceso. È la fiaccola dei fatti accertati e accertabili. C’è la realtà, e poi basta. Non è solo un fatto di scienza ma anche di civiltà.
Tra gli esempi di vita del nostro passato, guardo anche a quella degli scienziati che hanno scoperto per tutti e contro tutti. E oggi voglio ricordare anche la vita non facile di uno scienziato che ha visto coronata la sua lunga carriera con il massimo riconoscimento possibile, sia in ambito scientifico sia in ambito politico.
Era uno scienziato ebreo in un Paese totalitario governato da razzisti; aveva deciso di rifiutare la vita classica fatta di casa e famiglia per dedicarsi alla vita di laboratorio; aveva combattuto contro il padre per avere ciò che le spettava, la possibilità di studiare. Questo scienziato, lo avrete capito, era una ebrea nell’Italia fascista delle leggi antirazziali; era una donna nell’Italia maschilista degli anni 30, dove alle donne era preclusa la vita accademica.
E’ la scienziata Premio Nobel e Senatrice a vita che scoprì l’esistenza delle neurotrofine, Rita Levi Montalcini. Un esempio per tutti noi, un esempio degli inestricabili rapporti tra libertà politica e libertà della ricerca scientifica. Rita fu allieva del grande anatomista Giuseppe Levi, all’Università di Torino. Insieme a lei, Levi fu maestro anche degli scienziati Renato Dulbecco e Salvador Luria, anche loro riconosciuti nel loro lavoro con il Premio Nobel. Un maestro, tre premi Nobel. Una storia unica al mondo e che probabilmente resterà unica per i secoli a venire.
E allora penso a questo. Penso che a volte capita di essere un po’ pessimisti e di considerare il nostro Paese senza speranza e quindi chiudersi in se stessi. Ma è questa nostra storia di cittadini, di uomini di cultura, di instancabili partigiani della ragione a dirci che non possiamo. Perché la terra che calpestiamo è stata la terra di grandi scienziati e illuminati pensatori, in tutte le discipline. E anche io voglio partecipare a questo Paese, con ciò che so meglio fare, che è lo studio delle cellule del cervello e di una specifica malattia, per sperare di poter contribuire a vincerla. L’entusiasmo è ancora tutto qui, ti fa aprire la porta del laboratorio di ricerca ogni mattina come se avessi 20 anni e come se volessi cambiare il mondo. Che è poi quello che cerchiamo di fare ogni giorno nei nostri laboratori. Vincere sfide di conoscenza e malattie.
Ecco perché non posso accettare limitazioni della libertà e dei diritti sullo sviluppo della società.
Cosa significa dunque festeggiare la Liberazione per una porzione importante della società che è il suo sviluppo scientifico e tecnologico, per una porzione di società che vuole assicurarne il cammino verso il progresso?
Significa in primo luogo ricordarsi che Diritti, Progresso e Libertà non arrivano da soli ma bisogna costruirli: cioè progettarli e poi convincere la politica che si possono realizzare. In secondo luogo che Diritti, Progresso e Libertà, una volta acquisiti, vanno anche difesi.
In questi otto mesi in cui ho fatto anche la Senatrice a vita, accettando con tutta l’umiltà possibile, con tutta la devozione e l’impegno possibile, senza mai trascurare il laboratorio, mi sono più volte chiesta come potevo promuovere la ricerca dei fatti, la verifica e l’attendibilità delle proposte scientifico-tecnologiche disponibili sul campo, e quali erano quelle utili al Paese.
La risposta che mi sono data è che queste cose diventavano raggiungibili solo “liberando ogni possibilità di indagine” e facendo si che i diritti non fossero calpestati.  Ci sono tante battaglie da fare. Una è già stata quasi vinta, contro la legge 40. Una legge basata su limitazioni ideologiche e cieche, che tanto male ha fatto a tante coppie. Ma le battaglie non sono finite. Sentiamo da più parti insensati attacchi contro la vaccinazione. Alcune regioni vorrebbero uscire dal programma nazionale delle vaccinazioni infantili. Non c’è un solo dato che provi la nocività dei vaccini. Tutto dice il contrario, e se oggi l’umanità è libera dalle pandemie che l’hanno falcidiata come il vaiolo, la difterite e la poliomielite, lo dobbiamo ai vaccini. In questo paese non si può quasi parlare, discutere e cercare le prove scientifiche su un altro tema importante, quello degli ogm. I divieti stanno creando gravi problemi al settore agroalimentare, in drammatico deficit da decenni. Rinunciare pregiudizialmente all’ogm è un atteggiamento miope.
Certo, noi non siamo tedeschi, neppure inglesi o francesi e spesso agiamo spinti dai sentimenti prima che dalla razionalità. Ci spinge un sentimento di umanità, non per niente siamo la patria dell’Umanesimo. Spesso è un bene e una nostra forza. Ma non siamo tedeschi, francesi o inglesi nemmeno quando dovremmo reagire contro chi ne approfitta. Per questo gli italiani hanno bisogno, più di altri, che ci siano delle sentinelle, per loro, nei luoghi della politica.
Mi avete permesso e dato l’onore di dire molte cose. Vorrei quindi concludere. Mi sono riferita al nazifascismo e alla fiera opposizione che la migliore Italia ha saputo manifestare. Ho parlato di quello che conosco meglio, della scienza, di storie di scienziati, di diritti come esempio emblematico della responsabilità che ha la cittadinanza, che abbiamo noi, anche noi qui in questa piazza, di difendere il progresso nostro e delle future generazioni.
Ma il progresso passa soprattutto attraverso il lavoro. Senza diritti, scienza e lavoro il progresso del nostro Paese è a rischio. Tra le varie libertà c’è anche quella di avere un lavoro, e fare ricerca è un lavoro. Questo è qualcosa che come scienziata sento molto: le nuove generazioni non devono essere obbligate a espatriare per fare della buona ricerca. L’estero deve essere una grande possibilità formativa, non un destino per la sopravvivenza.
In laboratorio e in Senato lavorerò per un Paese più libero da oscurantismi antiscientifici, per un Paese che abbia più libertà e lavoro, per un Paese che torni ad avere la speranza per il futuro che il suo passato merita. E con me, in quel Parlamento e fuori, so, perché vi vedo ora, che ci sono tante altre sentinelle pronte a scongiurare il rischio di tornare a quel passato buio da cui i nostri nonni e genitori ci hanno liberato.

23 aprile 1945: i partigiani liberano Genova

sfil23 aprile: Le nove di sera. Si riunisce  a il CLN genovese, per decidere se dare il via all’insurrezione o aspettare. Il Comando germanico aveva fatto sapere al vescovo Siri – e questi a Pittaluga (Taviani), che ne riferì subito in apertura di seduta – d’esser disposto a rinunciare alla minacciata distruzione del porto, se il Cln si fosse impegnato a rispettare quattro giorni di tregua ,permettendo all’esercito tedesco una ritirata indisturbata. Ci fu una calorosa discussione sul l’accogliere o meno il messaggio della Curia. Infine, a  notte fonda, con quattro voti contro due il CLN liberò l’ordine di insurrezione.

24 aprile: Alle quattro del mattino i primi colpi di fucile. Subito dopo, le raffiche di mitraglia.
Alle cinque, sempre più frequenti, i colpi di cannone e di mortaio. Durissima la battaglia al centro di Piazza De Ferrari.  Gli abitati di Sestri Ponente, Cornigliano,Pontedecimo, Bolzaneto, Rivarolo, Quarto, Quinto erano caduti fin dal mattino in mano agli insorti. Mancava, tuttavia, la continuità territoriale fra le loro posizioni e il centro cittadino.  Sulla camionale per Milano le colonne nemiche, bloccate nelle gallerie, tentano sortite: non possono più a lungo restare prive d’acqua.
La sera del 24 si chiude in una cupa atmosfera. La situazione era ancora più tragica e confusa per la minaccia che, dal Comando di Savignone, inviava il generale Meinhold: aprire il fuoco su Genova con le batterie pesanti di Monte Moro e con quelle leggere del porto, qualora non si lasciassero evacuare in ordine le truppe tedesche. Gli americani avevano appena raggiunto La Spezia, distanti dunque più di cento chilometri.
Fin dalla sera il Comitato ero conscio del rischio che accadesse a Genova quel che era successo a Varsavia. Adesso però – a differenza della sera prima – non c’era più il problema di fidarsi o meno della parola del nemico; adesso il Comitato poteva trattare in termini di forza: aveva nelle sue mani un numero cospicuo  di prigionieri tedeschi perciò decide d’inviare una lettera-ultimatum al generale Meinhold.

25 aprile: Alba: riprende la battaglia, praticamente in tutta la città. Ore nove: le Sap di Sestri espugnano il Castello Raggio. Ore nove e trenta: si arrendono i presidi di Voltri e di Prà.
Ore nove e quarantacinque: si arrendono le batterie di Arenzano.
Fra le otto e le dieci e trenta: le Sap conquistano Piazza Acquaverde (ma non la stazione Principe), le caserme di Sturla, l’ospedale di Rivarolo e alcuni punti di resistenza in Val Polcevera. Intanto il professor Stefano (Carmine Romanzi) dopo un avventuroso viaggio in ambulanza da Genova a Savignone ,consegna due lettere al gen. Meinhold (una del Cardinale Boetto e la proposta di resa del CLN). Il generale decide di trattare la resa, poiché viene a conoscenza anche del fatto che tutte le strade per la ritirata sulla linea Kesselring del Po, sono saldamente in mano ai partigiani (Divisione Pinan Cichero, comandata da Scrivia) e come garanzia consegna a Romanzi la sua pistola.
Ore quindici : il gen. Meinhold e i suoi accompagnatori arrivano con l’ambulanza in città dopo cinque ore di viaggio, scortati da due partigiani in motocicletta,e si recano a Villa Migone, residenza del Cardinale, dove si trovano già il console tedesco Von Hertzdorf e Giovanni Savoretti. Ore diciassette iniziano le trattative di resa. Rappresentano il Cln Scappini e Martino. Rappresenta il Corpo dei Volontari per la Libertà il maggior Mauro Aloni del Comando Piazza di Genova .
Ore diciassette e trenta: un grosso contingente dei reparti acquartierati nel porto si arrende ai partigiani.
Ore diciannove da Savona Carlo Russo telefona che anche là sono insorti.
Ore diciannove e trenta: a Villa Migone il gen. Meinhold firma l’atto di resa. Scappini testimonierà poi che il generale firmò quasi improvvisamente, dopo molte incertezze, e che tutti loro, osservandolo in quelle ore di trattative, ebbero l’impressione che stesse compiendo lo sforzo più impegnativo della sua vita. Prima che la resa sia  firmata si è fatta la conta dei militari tedeschi prigionieri degli insorti della città:1360. Numerosi altri sono stati e saranno catturati dai partigiani che stanno calando dalla montagna.

26 aprile Mezzanotte e mezza: il colonnello Davidson, comandante in capo delle missioni alleate, giunge alla sede genovese del CLN a San Nicola. Vista la situazione, riesce a contattare  telefonicamente gli Americani della 92a Buffalo, arrivati a Rapallo, per annunciar loro che proseguano pure perchè la via è libera.
Ore quattro e trenta:  il generale Meinhold trasmette l’ordine di resa ai reparti. Deve usare toni duri e minacciosi con i presidi che ancora resistono. Ufficiali tedeschi lo cercheranno senza esito in diversi punti della città per eseguire la condanna a morte emessa nei suoi confronti.
Ore nove: Pittaluga ( Taviani) raggiunge la stazione radio di Granarolo  e dà l’annuncio da Radio Genova della capitolazione tedesca, legge l’atto di resa e aggiunge: “Popolo genovese esulta. L’insurrezione, la tua insurrezione, è vinta. Per la prima volta nel corso di questa guerra, un corpo d’esercito aguerrito e ancora bene armato si è arreso dinanzi a un popolo. Genova è libera. Viva il popolo genovese, viva l’Italia”.
Mezzogiorno: giungono notizie inquietanti. Due reggimenti germanici in ritirata da La Spezia hanno raggiunto Rapallo. Che cosa accadrà a Genova se riescono a stabilire i collegamenti con gli assediati di Monte Moro e del porto?
Ore tredici: i partigiani della Cichero e della Pinan Cichero si attestano nei punti nevralgici della città…Intanto altre forze partigiane della montagna tengono saldamente in mano i passi della Bocchetta, dei Giovi, della Scoffera e di Uscio: da qui scendono a bloccare la via Aurelia tra Rapallo e Nervi, così la colonna tedesca…si dissolve.
Ore diciannove: una interminabile schiera di prigionieri tedeschi sfila per il centro cittadino inquadrata dai partigiani in armi.
Tarda serata: le avanguardie angloamericane arrivano a Nervi, dieci giorni prima del tempo previsto dai piani.

27 aprile Ore tredici il generale Almond, comandante in capo della V° armata americana rende per primo visita al Cln, nell’Hotel Bristol.  Almond ringraziò i patrioti per l’aiuto profuso, e manifestò la sua ammirazione per il modo in cui erano state condotte le cose e governata la città. I genovesi ritornano nelle vie della città liberata .
Anche se in queste cronache le vicende militari dei giorni della liberazione di Genova possono apparire piuttosto intrecciate a causa del tentativo fatto di verificarle contemporaneamente in tutti i Settori di città e di montagna, dobbiamo prendere atto che il quadro generale che ne risulta corrisponde alla definizione di “insurrezione modello” coniata da Roberto Battaglia per indicare gli avvenimenti genovesi dei giorni 23,24 e 25 aprile 1945. Lo abbiamo visto nell’applicazione dei piani operativi, tutti eseguitinelle direttrici previste, salvo alcuni tempi di attuazione peraltro non prevedibili.
Ne abbiamo avuto conferma nel vero e proprio salto di qualità compiuto sul piano militare, in breve tempo, dagli effettivi e dai quadri delle formazioni di montagna chiamate a marciare contro i presidi e a fermare le colonne di ripiegamento.
Le formazioni cittadine ci hanno rivelato, infine, la notevole capacità di trasformarsi rapidamente in reparti organizzati ed efficienti impiegando i numerosi volontari “insurrezionali”, altra grande novità nel quadro militare di quelle giornate.
L’unità politica emilitare appare comunque come premessa e base di questo successo, sostenendo il CLN Liguria nella responsabile decisione di dare tempestivamente il segnale dell’insurrezione e di seguire la spinta popolare senza attendere l’arrivo delle unità di montagna.
In tal modo si rende possibile, con alcune modifiche essenziali al piano A, respingere il ricatto del comando germanico e impedire le distruzioni, fermando, nello stesso tempo, la maggior parte delle truppe nemiche prima che lascini la città.
Unità, tempestività e una buona preparazione hanno reso possibile questa operazione di importante livello strategico, nella quale si è saputo imprimere alla grande sollevazione popolare le giuste spinte per liberare Genova in una situazione militare ancora tecnicamente favorevole al nemico……Con gli ultimi combattimenti dei partigiani e delle forze insurrezionali per liberare Spezia, Genova, Savona e Imperia finiscono le cronache militari della resistenza nella regione Liguria: 20 000 partigiani combattenti, 2 776 partigiani mutilati e invalidi, 2 500 caduti. (da http://www.istitutoresistenza-ge.it)

CLNAI: Ultimatum del 19 aprile 1945

arrendersiowebSia ben chiaro per tutti che chi non si arrende sarà sterminato.

Sia ben chiaro per i componenti delle forze armate del cosiddetto governo fascista repubblicano che chi sarà colto con le armi in mano sarà fucilato.

Solo chi abbandona oggi, subito, prima che sia troppo tardi, volontariamente, le file del tradimento, solo chi si arrende al Comitato di Liberazione Nazionale, consegna le armi – quante armi può – ai patrioti avrà salva la vita, se non si sarà macchiato personalmente di più gravi delitti.

Il Comitato di Liberazione Nazionale e le formazioni armate del Corpo dei Volontari della Libertà non accettano e non accetteranno mai – in armonia con le decisioni dei capi responsabili delle Nazioni Unite – altra forma di resa dei nazifascisti che non sia la resa incondizionata.

Che nessuno possa dire che, sull’orlo della tomba, non è stato avvertito e non gli è stata offerta un’estrema ed ultima via di salvezza.

Il Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia.

Achille Marazza per la Democrazia Cristiana

Augusto De Gasperi per la Democrazia Cristiana

Ferruccio Parri per il Partito d’Azione

Leo Valiani per il Partito d’Azione

Luigi Longo per il Partito Comunista Italiano

Emilio Sereni per il Partito Comunista Italiano

Giustino Arpesani per il Partito Liberale Italiano

Filippo Jacini per il Partito Liberale Italiano

Rodolfo Morandi per il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria

Sandro Pertini per il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria

Manifestazione ANPI del 29 aprile sulle riforme Costituzionali

anpi Care amiche e cari amici, care Associazioni,

  come ormai saprete, l’ANPI ha indetto un manifestazione nazionale, al Teatro Eliseo di Roma, per martedì 29 aprile, alle ore 16,30, sui temi e con le posizioni che rileverete agevolmente dall’allegato, che esprime quanto deliberato, dopo ampia e proficua discussione, dal Comitato Nazionale dell’ANPI, nella riunione del 1 aprile scorso.

  Non chiediamo adesioni, né facciamo raccolta di firme, perché pensiamo che – oltre ad indirizzi che a buon diritto possiamo considerare comuni – ci possono essere molte variazioni, essenziali o sfumature, ben comprensibili data la delicatezza dei temi affrontati. Riteniamo, peraltro, che su alcuni punti di carattere generale (la necessità di cambiamento, ma nella coerenza costituzionale e nel rispetto dei princìpi di rappresentanza e di democrazia) ci possa essere, come auspichiamo, un sentire comune. Ed è per questo che Vi rivolgo, a nome della mia Associazione, un caldo invito a partecipare alla manifestazione, sia pure nella libertà di ciascuno di mantenere posizioni diverse sugli aspetti particolari.

  Noi crediamo che sarebbe interesse di tutti che la manifestazione fosse partecipata anche da  forze e persone diverse, oltre ai nostri iscritti, perché c’è una necessità reale di impedire che – troppo  in fretta e senza opportune riflessioni – si metta mano sia alla legge elettorale che alla riforma del Senato, proponendo invece una riflessione  serena e costruttiva, nei tempi necessari, per cambiare, con coerenza e con rispetto dei diritti dei cittadini e dei princìpi Costituzionali.

  Spero, quindi, di vedervi con noi il 29 aprile. Se poi riterrete di inviarci anche il vostro saluto e la vostra adesione di fondo alle tematiche in discussione, ne saremo particolarmente felici e ne daremo pubblicamente atto.

  La battaglia sarà lunga, con ogni probabilità e richiederà un serio impegno da parte di tutti. Se riusciremo a condurla unitariamente, almeno negli aspetti fondamentali e fatte salve le opinioni di ciascuno sulle specifiche soluzioni, ne trarrà vantaggio l’intera collettività, oggi forse un po’ distratta rispetto a questi temi, ma che cercheremo di informare adeguatamente perché ognuno conosca e possa poi esprimere consapevolmente la propria volontà.

  Con i più cordiali saluti e nella sincera speranza di ritrovare il terreno per un cammino comune.

                                                                                                 Carlo Smuraglia

Milano 15 aprile 2014

Le riforme, le esigenze della rappresentanza, il rispetto della coerenza costituzionale: una “questione democratica”

anpiIl Comitato nazionale dell’ANPI rileva che:

–             l’indirizzo che si sta assumendo nella politica governativa in tema di riforme  e di politica istituzionale non appare corrispondente a quella che dovrebbe essere la normalità democratica;

–             si sta privilegiando il tema della governabilità (pur rilevante) rispetto a quello della rappresentanza (che è di fondamentale e imprescindibile importanza)

–             si continua nel cammino – anomalo – già intrapreso da tempo, per cui è il Governo che assume l’iniziativa in tema di riforme costituzionali e pretende di dettare indirizzi e tempi al Parlamento;

–             un rinnovamento della politica e delle istituzioni è essenziale per il nostro Paese, come già rilevato nel documento dell’ANPI del 12 marzo 2014;

–             sono certamente necessari aggiustamenti anche del sistema parlamentare, così come definito dalla Costituzione, rispettando peraltro non solo la linea fondamentale perseguita dal legislatore costituente, ma anche le esigenze di centralità del Parlamento, della rappresentanza dei cittadini, del controllo sull’attività dell’Esecutivo, delle aziende e degli enti pubblici, in ogni loro forma e manifestazione;

–             in questo contesto, è giusto superare innanzitutto il cosiddetto bicameralismo “perfetto”, fondato su un identico lavoro delle due Camere e quindi, alla lunga, foriero anche di lungaggini e difficoltà del procedimento legislativo; ma occorre farlo mantenendo appieno la sovranità popolare, così come espressa fin dall’art. 1 della Costituzione e garantendo una rappresentanza vera ed effettiva dei cittadini, nelle forme più dirette;

–             il Senato, dunque, non va “abolito”, così come non va eliminata l’elezione da parte dei cittadini della parte maggiore dei suoi componenti; possono essere individuate anche forme di rappresentanza di altri interessi, nel Senato, come quelli delle autonomie locali, della cultura, dei saperi, della scienza; ma in forme tali da non alterare il delicato equilibrio delle funzioni e della rappresentanza;

–             la maggior parte dell’attività legislativa può ben essere assegnata alla Camera, così come il voto di fiducia al Governo; ma individuando nel contempo forme di partecipazione e tipi di intervento da parte del Senato, così come previsto in molti dei modelli già esistenti in altri Paesi;

–             in nessun modo il Senato può essere escluso da alcune leggi di carattere istituzionale, nonché dalla partecipazione alla formazione del bilancio, che è lo strumento fondamentale e politico dell’azione istituzionale e dei suoi indirizzi anche con riferimento alle attività di Autonomia e Regioni;

 –             tutto questo può essere realizzato agevolmente, anche con una consistente riduzione di spese, non solo unificando la gran parte dei servizi delle due Camere, ma anche riducendo il numero dei parlamentari, sia della Camera che del Senato, vista l’opportunità offerta dalla differenziazione delle funzioni;

–             bisogna  anche dire che concentrare tutti i poteri su una sola Camera, per di più composta anche col premio di maggioranza, lasciando altri compiti minori ad un organismo non elettivo, con una composizione spuria e fortemente discutibile ed obiettivi e funzioni altrettanto oscure,  non appare rispondente affatto al disegno costituzionale, dotato di una sua intima coerenza proprio perché fatto di poteri e contropoteri e di equilibri estremamente delicati; un disegno che in qualche aspetto può – e deve – essere aggiornato, ma non fino al punto di stravolgere quello originario.

Queste sembrano, all’ANPI, le linee  fondamentali di un cambiamento democratico delle istituzioni, che esalti il ruolo del Parlamento, rafforzi la rappresentanza dei cittadini in tutte le sue espressioni, ed assegni ad ognuna di esse il ruolo che le compete secondo gli orientamenti generali della Carta Costituzionale e le esigenze della democrazia, da perseguire con economicità di spesa ed efficienza dei risultati.

Appare, altresì, pacifico che deve essere riformato il titolo V della Costituzione, procedendo ad una più razionale ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni, che elimini ragioni di conflitto e consenta agli organi centrali dello Stato di esprimere una legislazione di pieno indirizzo su materie fondamentali per tutto il territorio; definisca compiutamente e definitivamente il ruolo delle Regioni, a loro volta bisognose di riforme sulla base dell’esperienza realizzata dal 1970 ad oggi, che spesso le ha viste diventare altri organismi di centralizzazione dei poteri e le riconduca a funzioni di indirizzo e controllo e non di gestione; nonché precisi in modo conclusivo tutta la materia delle Province e degli enti intermedi, finora risolta con provvedimenti parziali che non sembrano corrispondere ad esigenze di effettiva razionalità e di contenimento delle spese.

Tutto questo richiederà tempi più adeguati, escluderà la fretta, rispondente, piuttosto che ad esigenze razionali, ad altro tipo di logiche; ma dovrà essere affrontato senza tergiversazioni e senza inopinati stravolgimenti dei metodi e degli stessi contenuti. Se è giusto porre rimedio ad alcune incongruenze strutturali rivelate dall’esperienza, l’obiettivo deve essere quello di farlo con saggezza e ponderazione, ed anche con le competenze necessarie, sempre preferibili alla improvvisazione ed all’incoerenza di una fretta dettata da ragioni molto lontane dal rispetto con cui si devono affrontare serie riforme costituzionali.

Ci sono, sul tappeto, diverse proposte; altre sono fornite dall’esperienza giuridica e politica di altri Paesi; le si esamini senza pregiudizi  e insofferenze ed ascoltando  pareri e proposte che possono contribuire al miglior esito delle riforme.

E si approfitti dell’occasione per un ripensamento della legge elettorale, che così come approvata da un ramo del Parlamento, non risponde alle esigenze di una vera rappresentanza e di democrazia e soprattutto contraddice, oltre alle attese di gran parte dei cittadini, le stesse indicazioni della Corte Costituzionale.

 Infine, l’occasione non appare idonea per raccogliere l’antica esigenza, manifestata da altri Governi e sempre respinta, di un rafforzamento dell’esecutivo e del suo Presidente, che vada a scapito della funzione e del ruolo del Parlamento, al quale il Governo può indicare priorità, come è suo diritto, ma non imporre scadenze e calendari privilegiati rispetto a qualunque autonoma iniziativa del Parlamento.

Su tutti questi temi, l’ANPI è pronta a discutere e confrontarsi, ma prima di ogni altra cosa, intende informare i cittadini, perché sappiano qual è la reale posta in gioco e capiscano che questa Associazione, che si rifà a valori fondamentali e in essi trova la sua forza e la sua autorevolezza, intende esercitare non solo la sua funzione critica, ma anche la sua capacità propositiva, nel rispetto assoluto del suo ruolo e della sua autonomia.

Quando si tratta di difendere valori che si richiamano alla Costituzione ed alla democrazia, oltreché ai diritti di fondo in cui si esprime la sovranità popolare, l’ANPI non può che essere in campo, non per conservare, ma per innovare, restando però sempre ancorata ai valori ed ai princìpi della Costituzione.

Questa non è l’ora della obbedienza ai diktat, ma è quella della mobilitazione, a cui chiamiamo tutti i cittadini, per fare ciò che occorre con la dovuta ponderazione e col rispetto e la salvaguardia degli interessi fondamentali dei cittadini, che certo aspirano ad un rinnovamento, ma in un contesto equilibrato e democratico, corrispondente alle linee coerenti e chiaramente definite dalla Costituzione repubblicana.

                                                        IL COMITATO NAZIONALE DELL’ANPI

 Roma, 9 aprile 2014

Davide Conti: “L’anima nera della Repubblica. Storia del MSI”

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Venerdì 18 aprile alle ore 20.45 presso la sala conferenze di Villa Errera, Davide Conti presenterà il suo ultimo lavoro “L’anima nera della Repubblica. Storia del MSI”. Introdurrà Bruno Maran.

«Il Movimento sociale italiano non rappresentò solo un’esperienza testimoniale, un approdo unicamente reducistico, ininfluente rispetto alle vicende politiche. Un «polo escluso», come definito da qualcuno. Condizionò, invece, a più riprese il quadro politico e istituzionale, consentendo, fra il 1953 e il 1960, la nascita di ben quattro governi a guida democristiana (Pella, Zoli, Segni e Tambroni), nonché l’elezione di due presidenti della Repubblica, Giovanni Gronchi nel 1955 e Giovanni Leone nel 1972, quest’ultimo grazie proprio ai voti missini. Non solo, tra i primi anni Sessanta e la metà dei Settanta, nel pieno dispiegarsi della strategia della tensione, entrò in stretta relazione con i vertici militari italiani, con gli ambienti Nato e dell’Alleanza atlantica, con settori industriali, ma anche, in campo internazionale, con la destra repubblicana di Richard Nixon. Fece parte integrante di quell’ampio schieramento anticomunista che si costituì nel nostro paese e che operò dietro tutti i piani eversivi e di messa in discussione delle istituzioni democratiche, tentando addirittura di assumerne un ruolo guida. Di questo tratta in particolare “L’anima nera della Repubblica” di Davide Conti (pp. 226, euro 20 euro, Laterza), un libro che ricostruisce la storia dell’Msi in stretta connessione con l’evolversi delle più generali vicende politiche, economiche e internazionali. Una storia non solo partitica, si potrebbe dire, ma dell’estrema destra nel suo complesso, con uno sguardo sul passato recente e il presente. Qualcuno, forse, ha già dimenticato come l’MSI, nel 1994, con il suo top elettorale di sempre (il 13.5%), ancor prima di trasformarsi in Alleanza Nazionale, riuscì, nel quadro della fine della prima Repubblica, a diventare forza di governo insieme a Forza Italia e Lega.
Indipendentemente dal carattere nostalgico, l’Msi cercò subito, nell’immediato dopoguerra (nacque il 26 dicembre 1946), di ritagliarsi uno spazio politico nell’alveo anticomunista. Dirimenti in questo senso furono le vicende internazionali. Prima la guerra di Corea del 1950, poi la rivolta antisovietica di Budapest nel 1956, portarono l’Msi a un sostegnopieno dell’Alleanza atlantica, accettata come “sistema militare anticomunista”, a favore del quale già nel 1951 il suo gruppo dirigente si era espresso, nonostante le organizzazioni giovanili missine inscenassero manifestazioni antiamericane in opposizione alla ratifica del patto. D’altro canto l’ambivalenza e la doppiezza furono tra le costanti di tutta la sua storia, sempre in bilico fra inserimento e sovversione. “Inserimento”, da un lato, negli anni Cinquanta e nei primissimi Sessanta, nell’area governativa, a destra della Democrazia cristiana, come contrappeso alle aperture nei confronti dei governi di centrosinistra, “sovversione”, dall’altro, nei termini della riproposizione di sé come “forza alternativa al sistema”, che lo spinse a coltivare un violento e sistematico squadrismo, a costituire gruppi paramilitari, ma soprattutto ad assecondare le pulsioni golpiste che in quegli anni attraversavano le forze armate, o parte di esse, progetto attorno al quale negli anni Settanta disegnò le prospettive.
I fatti del luglio Sessanta con la sconfitta del governo Tambroni, nato con il sostegno determinante dei parlamentari missini, costretto alle dimissioni dalla protesta di piazza, portò all’irreversibile crisi di ogni opzione strategica di inserimento. Da qui anche una svolta con la decisione dell’Msi di costruire strutture parallele armate con la convergenza dell’ala guidata da Giorgio Almirante con tutta la galassia della destra extraparlamentare, da Ordine Nuovo ad Avanguardia Nazionale, nella prospettiva di uno scardinamento violento delle istituzioni repubblicane.
L’idea di un colpo di stato attraverso gli stessi vertici dell’Arma dei carabinieri, si pensi al “Piano Solo” che coinvolse nell’estate del 1964 l’allora Presidente della Repubblica Antonio Segni e il generale Giovanni De Lortenzo, ma anche ampi settori dell’esercito. Gli atti finali del famoso convegno all’Hôtel Parco dei principi di Roma, agli inizi di maggio del 1965, promosso proprio dallo Stato maggiore, sono ancora lì a dimostrarlo.
I rapporti con gli ambienti militari furono strettissimi, collocando l’Msi all’interno di quell’ “atlantismo radicale”, volto al contrasto del Pci nei termini della cosiddetta “controinsorgenza” e della “guerra rivoluzionaria”, con la collaborazione prevista tra militari e civili lungo crinali eversivi. I colonnelli che avevano, nell’aprile del 1967, assunto il potere in Grecia, indicavano la strada. Da qui lo svilupparsi della strategia della tensione come “strategia politico-militare di origine atlantica”.
Giorgio Almirante fu il primo segretario dell’Msi, nell’immediato dopoguerra, ma soprattutto, dopo un lungo intervallo, al suo comando dal 1969 fino quasi alla fine degli anni Ottanta. Rispetto ai suoi predecessori rideclinò la politica di inserimento in modo assai più aggressivo, puntando alla frattura fra i partiti antifascisti con settori della Dc, Pli e Psdi. Una sorta di schieramento nazionale “anticomunista”. Sotto la sua guida cercò di coniugare la carica “antisistema” delle origini con il richiamo alla “piazza di destra”, il ribellismo dei moti di Reggio Calabria (1970), ampiamente sostenuti, con una politica di “legge” e “ordine”. “Doppiopetto e manganello”, come si disse allora. A tale scopo riaggregò anche tutto l’estremismo extraparlamentare. I “bombaroli” di Ordine nuovo furono riaccolti nei ranghi del partito già nel novembre 1969, poche settimane prima della strage di Piazza Fontana.
L’internità dell’Msi alla strategia della tensione, con un carico notevolissimo di episodi violenti e squadristici, fu indiscutibile, come il suo proposito di concretizzare una svolta autoritaria sotto gli auspici delle forze armate. Molte le fonti utilizzate a questo proposito dall’autore, non solo istituzionali, ma anche di provenienza democristiana, tra gli altri l’archivio dell’Istituto Luigi Sturzo. Da questa stessa documentazione una fotografia degli innumerevoli finanziamenti di cui godeva l’Msi: dalla Fiat di Giovanni Agnelli (che incontrò Giorgio Almirante nel settembre 1969) alla Confindustria, all’Assaolombarda, per passare da Eni, Snia e Montecatini. Aziende private e parastatali. Un flusso impressionante di denaro, anche straniero, come i milioni di dollari, registrati nelle informative del Ministero degli interni, affluiti da Washington. La strategia della tensione fu sconfitta, verso la metà degli anni Settanta, dopo una prolungata e imponente mobilitazione antifascista che fece naufragare i disegni eversivi e ricacciò l’Msi nella marginalità. Fino ai primi anni Novanta quando, sotto la direzione di Gianfranco Fini, il partito neofascista fu ripescato e rilegittimato all’interno del nuovo schieramento berlusconiano. Da questa stessa storia alcune delle radici della nuova destra politica italiana, dai tratti eversivi, di certo non conservatrice.

Un’intervista di Radio Radicale a Davide Conti