“Le eredità di Vittoria Giunti” di Gaetano Gato Alessi

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Venerdì 31 ottobre alle ore 20.45 nella Sala Conferenze di Villa Errera, in Via Bastia Fuori 58 a Mirano (VE), l’, Anpi “Martiri di Mirano” in collaborazione con Libera Miranese, presenterà il libro di Gaetano Gato Alessi “Le eredità di Vittoria Giunti”.

Pochi conoscono la storia e l’identità della prima donna sindaco di Sicilia. Vittoria Giunti, siciliana di adozione, per scelta d’amore, comunista e partigiana, fu la prima donna a ricoprire la carica di sindaco in Sicilia, tra i primi sindaci d’Italia, dopo il fascismo. La Costituzione, approvata nel ’48, conferiva alle donne la sola capacità elettorale attiva, ma poco più tardi venne corretta, attribuendo anche alle donne il diritto di essere elette. Grazie a Gaetano Alessi, giovane militante e dirigente di sinistra, sindacalista, attivista antimafia con l’Arci, giornalista freelance, editorialista di Articolo 21 e Liberainformazione, oggi viene restituita memoria storica a questa donna straordinaria, che rischiava l’oblio. Le eredità di Vittoria Giunti, edito dalla Rivista Ad est, da Alessi fondata nel 2003, della quale Giunti è la madre spirituale, fa conoscere al mondo la prima sindaca siciliana. Per ironia della sorte, dopo anni di carteggi, solo il 29 ottobre il Tribunale di Agrigento riconosce e iscrive la testata al Registro dei giornali, riviste e periodici col n.° 290.

Vittoria Giunti, classe 1917, fiorentina di origine, di famiglia antifascista, di tradizione ottocentesca per la libertà e il rispetto della persona, vive a Firenze e poi si trasferisce a Roma, dove studia all’Istituto di alta Matematica, frequentando la via Panisperna, la via dei “ragazzi”, il gruppo di Fermi. Si laurea in matematica. Prima del conflitto è assistente all’Università di Firenze. Per indole e per formazione combatte il fascismo, ma fa una scelta di impegno, necessaria e sentita: diventa partigiana e lotta per la liberazione e la libertà. Partecipa a tutte le fasi che portano l’Italia alla Costituzione della Repubblica, facendo parte di diverse commissioni della Costituente, tra cui quella per il voto alle donne, di cui andrà sempre fiera. Dirige la casa della Cultura di Milano, è tra le fondatrici e direttrice della rivista Noi donne. Durante la Resistenza incontra il partigiano Salvatore Di Benedetto, più tardi sindaco di Raffadali, Deputato e Senatore della Repubblica che nelle fasi della Liberazione di Milano riporta gravi ferite. Si innamorano e dopo il 25 Aprile decidono di costruire il loro futuro insieme, in Sicilia. Di Benedetto la porta con sé a Raffadali, dove vivrà fino alla morte, avvenuta il 3 giugno del 2006, il giorno dopo una data a lei cara, la nascita della Repubblica. In Sicilia trova un’altra Resistenza che in quegli anni i contadini combattono contro i padroni e la mafia che li fiancheggia. Sono gli anni dell’occupazione delle terre, della presa di coscienza dei contadini della loro forza e del loro sfruttamento. Le donne sono protagoniste delle lotte. Con umiltà si integra, parla agli uomini e alle donne, lotta al loro fianco in quegli anni di riscatto sociale e umano, rappresentati dalla Riforma agraria. Il suo essere forestiera presto non sarà più un pregiudizio perché lei si pone con discrezione, senza superbia, alla pari. Vittoria riflette sulla fortuna che ha avuto nel nascere a Firenze, ad avere avuto una famiglia agiata, ad avere studiato e frequentato persone libere e rispettose della libertà altrui. Tutto quello che lei aveva avuto altri non lo avevano avuto in dono dalla vita. Perciò non si potevano colpevolizzare. Con la sua umiltà e il rispetto profondo per i siciliani conquista la loro stima e l’affetto. La sua concezione della politica è alta, antica. Politica per lei è servire il popolo, il debole, lavorare per loro. Vittoria Giunti è una figura di grande attualità, un esempio di cui la memoria collettiva abbisogna per il significato storico, sociale e politico, in questi tempi bui e indifferenti al significato originario e antico del fare politica. Nel racconto-intervista, Alessi ricostruisce le fasi della scelta dell’accettazione della candidatura a sindaco di Sant’Elisabetta, piccolo comune dell’entroterra siciliano, divenuto autonomo nel 1955. In un’epoca di povertà e arretratezza, Vittoria, donna fiorentina, scienziata e umanista, libera per indole e formazione, senza mai parlare di sé e della sua storia, conquista i siciliani, che la scelgono e per lei avranno parole di stima e affetto perchè le riconoscono l’onestà intellettuale, l’amore per gli ideali, veri e universali, rappresentati fortemente dal Partito Comunista, per il quale milita e agisce rispondendo al sogno di una cosa che aveva visto realizzare nell’Italia liberata del 1945.

“Assalto al Monte Grappa”: i video della serata

http://youtu.be/6xUaKdSqUrA?list=UUkACoSwDssj_XxMTkX3K0IA http://youtu.be/5Pm-1bN-hmM?list=UUkACoSwDssj_XxMTkX3K0IA http://youtu.be/Qf0V0DES8FQ?list=UUkACoSwDssj_XxMTkX3K0IA http://youtu.be/Ne6m60M6EN4?list=UUkACoSwDssj_XxMTkX3K0IA

http://anpimirano.it/2014/12-settembre-2014-assalto-al-monte-grappa/

L’orazione ufficiale del 70° anniversario del rastrellamento del Grappa

OLYMPUS DIGITAL CAMERAQuesta è l’orazione ufficiale della Dott.ssa Sonia Residori, storica e componente del direttivo dell’ISTREVI “Ettore Gallo”, nel giorno del 70° anniversario del rastrellamento del Grappa. Una relazione che ha fatto dimenticare per un momento, le tante assenze di una ricorrenza che dovrebbe essere per l’Anpi e per la popolazione della pedemontana una giornata dedicata alla memoria del sacrificio dei tanti partigiani trucidati. Il sindaco di Crespano, Rampin Annalisa (non vuole essere chiamata “sindaca”) ha sottolineato anche lei la delusione per una giornata che avrebbe dovuto essere ben diversa da come è stata. Per finire il quadro deludente c’era perfino un banchetto di una sezione dell’Anpi che vendeva libri, facendo della memoria semplice mercimonio. E la memoria dei nostri partigiani non merita queste giornate.

Buongiorno a tutti, alle cittadine e ai cittadini presenti, ai rappresentanti delle associazioni partigiane e dei reduci, ai signori Sindaci e alle autorità di tutti i comuni oggi qui intervenuti.
Ringrazio prima di tutto il prof. Vittorio Andolfato, presidente dell’Associazione 26 settembre per avermi invitata a ricordare, in questa celebrazione, quello che è stato uno dei momenti più terribili della Resistenza vicentina e italiana, il rastrellamento del Grappa.
Nell’estate del 1944, il massiccio del Grappa, il “Monte sacro” degli italiani, rappresentava una specie di lembo di terra liberata, una sorta di zona franca, per antifascisti, renitenti e disertori, per i giovani che non intendevano aderire alla Rsi e collaborare con l’occupante tedesco.
Anche per gli ex prigionieri alleati, fuggiti dai campi di concentramento italiani dopo l’8 settembre, il Grappa rappresentava il territorio della salvezza vuoi per la presenza delle brigate partigiane nelle quali in molti si arruolarono, vuoi perché costituiva una tappa importante nel loro lungo viaggio verso la Svizzera.
Tra il 20 e il 21 settembre 1944, ingenti forze militari tedesche portarono l’attacco alle formazioni partigiane che presidiavano il massiccio del Grappa. Le forze della Resistenza ebbero un numero esiguo di perdite, ma non disponendo di armi adeguate e neppure di munizioni sufficienti, dopo un breve tentativo per contrastare il nemico, dovettero abbandonare il terreno. Alle ore 13 del 21 settembre 1944 il Comando partigiano diramò alle formazioni l’inevitabile “si salvi chi può”.
Gli altri giorni, quelli che vanno dal 22 fino alle prime ore del 29 settembre, furono caratterizzati dalla distruzione del territorio e delle case da parte dei rastrellatori, ma soprattutto dalla caccia all’uomo condotta con ogni mezzo. La maggior parte dei partigiani, infatti, era riuscita a sganciarsi e, superando i posti di blocco disposti da centinaia di fascisti italiani attorno al massiccio, a trovare un nascondiglio o a tornare a casa.
Con un piano diabolico il Comando tedesco indusse i genitori, gli amici e i parenti a far presentare i ragazzi partigiani promettendo loro salva la vita. Purtroppo, come cinicamente ebbe a dire l’ex federale Passuello, «in tempo di guerra la parola d’onore non vale nulla», e la promessa era in realtà un inganno.
Per alcuni giorni tutti i paesi della fascia pedemontana del Grappa divennero un grande patibolo, nel quale si susseguirono fucilazioni ai lati delle strade e all’interno della caserma Reatto e impiccagioni di giovani uomini ai pali della luce, agli alberi, ai poggioli delle case.
Il massacro terminò nella notte tra il 28 e il 29 settembre 1944, con l’eccidio avvenuto al quadrivio di Caselle d’Asolo, con l’uccisione degli ultimi partigiani condannati a morte, i 51 uomini ai quali il vescovo, mons. Zinato, credeva di aver salvato la vita con il suo intervento personale e dei quali non è mai stato trovato il corpo.
I reparti che portarono l’attacco al massiccio del Grappa, scontrandosi con i partigiani, erano esclusivamente tedeschi perché ai fascisti italiani collaboratori era riservata in genere una funzione di supporto. Solo la 1a legione d’assalto Tagliamento ebbe il “privilegio” di combattere al loro fianco: si trattava di un reparto di italiani che avevano giurato fedeltà a Hitler e che erano agli ordini esclusivi del Comando SS in Italia, una delle «migliori unità» naziste del gen. Wolff.
Di tale reparto, che si distinse per crudeltà anche in altre zone del Paese, fecero parte alcuni personaggi che divennero poi famosi in varia misura nell’Italia democratica. Giorgio Albertazzi, celebrato e applaudito attore di teatro; Augusto Ceracchini, considerato il «padre delle arti marziali» in Italia; Carlo Mazzantini, padre della più conosciuta Margaret, ma scrittore di successo egli stesso; Giose Rimanelli romanziere, professore emerito d’Italiano e letteratura comparata negli Stati Uniti. Tutti e quattro hanno lasciato le loro memorie ai posteri raccontando diffusamente della loro esperienza di volontari di Salò, ma facendo scendere un pesante silenzio su ciò che successe nel Vicentino, in particolare sul Grappa come se la legione Tagliamento non fosse mai stata nel nostro territorio. Dal momento che i documenti del reparto erano stati distrutti, queste loro memorie sono state storia per diversi anni.
Eppure secondo le denunce delle vittime, recuperate fortunosamente, i legionari della Tagliamento devastarono il Grappa ovunque: razziarono e bruciarono le casere della zona, si impossessarono di centinaia di capi di bestiame, arrestarono tutti i civili incontrati sul cammino stuprando le ragazze, uccidendo con indifferenza.
La presenza dei legionari è confermata sul luogo dove si consumò il dramma a Bassano il 26 settembre 1944, quando 31 giovani tra partigiani e civili, furono appesi agli alberi delle vie cittadine, con il cartello “Bandito” sul petto. L’esecuzione, allestita su tre vie alberate della cittadina trasformate in improvvisati patiboli, venne eseguita, tra gli altri, anche da legionari della Tagliamento.
Così come i legionari fecero parte altresì dei plotoni di esecuzione all’interno della caserma Reatto.
Nelle loro memorie Albertazzi, Mazzantini, Rimanelli e Ceracchini non nominano mai, neppure per errore, nessuna località del Vicentino.
Giorgio Albertazzi ha minimizzato tutta la sua partecipazione di ufficiale volontario alla repubblica di Salò, con una frase, ormai molto nota: «Io i partigiani li ho sempre visti scappare, le poche volte che li ho visti». Nel suo romanzo autobiografico, quando si tratta di raccontare il soggiorno vicentino della legione Tagliamento, il filo della memoria s’interrompe con un blak-out, e sposta direttamente il reparto da Pesaro Urbino alla Val Camonica, come se avere il comando di uno dei tre plotoni di cui era composta la 3a Compagnia, e aver partecipato al massacro del Grappa, fosse stato un fatto del tutto accidentale.
Lo scontro in cui fu ucciso l’eroico comandante Vico Todesco, il cap. Giorgi, assieme a Giuseppe Andriolo, Giampaolo Arsié, Antonio Cadorin e Giuseppe Dalla Zanna, avvenne nei pressi di Monte Oro, a Busa delle Càvare, tra i partigiani della Brigata “Italia Libera Campo Croce” e i legionari della 3a Compagnia della Legione “Tagliamento” nella quale era inquadrato con il grado di sottotenente anche Giorgio Albertazzi, allora comandante del 2° Plotone Fucilieri.
Eppure “Ah, sia chiaro: io sul monte Grappa non c’ero proprio” così rispondeva Albertazzi al giornalista del Giornale di Vicenza, Stefano Ghirlanda, che lo intervistava il 7 febbraio 2007.
Questa “dimenticanza” unita alla distruzione di tutta la documentazione attuata dal reparto al momento della resa, ricorda il comportamento delle truppe SS che quando si ritiravano dai campi di concentramento, distruggevano il più possibile, proprio per uccidere la memoria, sostenendo che tanto nessuno avrebbe creduto…
Lo storico francese Jacques Le Goff osserva come la commemorazione del passato abbia conosciuto un vertice nella Germania nazista e nell’Italia fascista in quanto «la memoria collettiva ha costituito un’importante posta in gioco nella lotta per il potere condotta dalle forze sociali. Impadronirsi della memoria e dell’oblìo è una delle massime preoccupazioni delle classi, dei gruppi, degl’individui che hanno dominato e dominano le società storiche. Gli oblii, i silenzi della storia sono rivelatori di questi meccanismi di manipolazione della memoria collettiva».
Offende il mio senso civico ed etico il sapere che Albertazzi, Ceracchini, Mazzantini e Rimanelli hanno vissuto a lungo e indisturbati, senza mai assumersi la responsabilità delle loro azioni, anzi talora sventolando spavaldi la militanza in un reparto assassino, tal altra protestando indignati per la propria buona fede e ancora affermando la validità della propria idea nonostante abbia ridotto l’Europa intera ad un gran cimitero.
Come possiamo costruire una società civile e democratica se nessuno è mai responsabile di niente? Distruggere ma anche solo intaccare la memoria di un individuo o di un gruppo umano, significa attentare alle sue radici e mettere a repentaglio la sua stessa identità pregiudicando la capacità di progettare il futuro.
Il recupero della memoria, la sistemazione e l’interpretazione del passato possono contribuire tanto alla costituzione dell’identità, individuale o collettiva, quanto alla formazione dei nostri valori.
Nel dopoguerra nessuno pagò per un massacro costato circa 300 vite umane e l’assenza di giustizia ha reso il dolore ancora più straziante. Lo storico non è un giudice, non ha il compito di stabilire chi è colpevole e chi è innocente, ma stabilisce lo svolgimento dei fatti, a volte con lacune perché è impossibile riparare alla distruzione dei documenti, in ogni caso contribuisce, se fa bene il suo mestiere, alla ricostituzione più corretta della memoria collettiva e, parzialmente, al risarcimento per l’assenza di giustizia, individuando le responsabilità e riconoscendo le vittime.
Io credo che siamo debitori, per dirla con le parole del filosofo Ricoeur, nei confronti di coloro che ci hanno preceduto di una parte di ciò che siamo e nella misura in cui il passato contribuisce a fare di noi ciò che siamo, dobbiamo rispondere del passato. Se oggi noi viviamo in un Paese con molte storture sulle quali possiamo lavorare, ma democratico e libero, lo dobbiamo alle vittime del massacro del Grappa, al sacrificio di questi giovani resistenti verso i quali deve andare tutta la nostra gratitudine. E queste mie parole vogliono essere un piccolo tributo di riconoscenza. Grazie.

 

Lorenza Carlassare: Così si strozza la democrazia

costituzione_italianaProfessoressa Lorenza Carlassare da costituzionalista come giudica la decisione di contingentare i tempi della discussione sulla riforma?

E’ una decisione contraria alla Costituzione. Non mi era mai venuto in mente che nella revisione di una legge costituzionale si potesse agire in questo modo. Strozzare un dibattito su una riforma che deve essere votata con una maggioranza elevata proprio perché sia ragionata e condivisa. Mi sembra una cosa inaudita. Soprattutto considerando che risulta implicitamente escluso dalla stessa
Costituzione, che prevede appunto maggioranze molto elevate, due distinte delibere per ogni camera con uno scopo preciso: garantire che la riforma venga meditata, discussa e approvata da una maggioranza larga, non da una maggioranza artificiale che forza gli altri, una minoranza prefabbricata che vuole imporre la sua volontà. Il disprezzo del dissenso e la volontà di soffocarlo è propria dei sistemi autoritari. Non è lo spirito della Costituzione.

Il problema forse è all’origine: ci troviamo di fronte a una riforma costituzionale che non nasce dal parlamento ma viene dettata dal governo.

Anche questa è un’anomalia. Purtroppo negli ultimi anni ne abbiamo viste tantissime. Il governo si è impadronito di tutte le funzioni del parlamento e lo ha esautorato. Della funzione legislativa si è impadronito totalmente facendo solo decreti legge e ora s’ impossessa anche della revisione costituzionale. Tutto quello a cui stiamo assistendo negli ultimi tempi lascia sgomenti.

Vede dei rischi in questo modo di procedere da parte di governo e maggioranza?

Da tanto tempo vedo rischi, perché questa forzatura deriva dal fatto che non si vuole accettare il dialogo, che si vedono gli emendamenti e le proposte degli altri come un impaccio, un ostacolo, dei sassi sui binari da rimuovere, come ha detto Renzi. Ma gli argomenti degli altri non sono da rimuovere, sono da considerare ed eventualmente da confutare con argomenti idonei, altrimenti che
democrazia è? Oltre tutto si tratta di una riforma che fa parte di un programma più ampio di cui non sappiamo nulla.

Si riferisce al patto del Nazareno?

Questo patto Berlusconi-Renzi, che poi è Berlusconi-Verdini-Renzi che cosa significa? E’ un patto fra soggetti dei quali uno non aveva e non ha funzioni politiche istituzionali di alcun genere; ha perduto anche il titolo di senatore. Allora la domanda è: cosa c’è in questo patto? Un patto tra due partiti si può anche ammettere se è trasparente, ma un accordo segreto di cui ogni tanto trapelano alcune notizie ma del quale si esige che sia assolutamente rispettato alla lettera, no. Mi chiedo ancora: siamo in un Paese democratico o no?

Però il ministro Boschi di fronte alle accuse di autoritarismo risponde che si tratta di allucinazioni.

Penso che il ministro Boschi, della cui buona fede non dubito, non abbia nessuna idea di cosa è la democrazia e soprattutto che cosa è la “democrazia costituzionale”, che non vuol dire dominio della maggioranza. Quello che offende è la menzogna, continuamente ripetuta, che chi propone modifiche non voglia le riforme: tutti vogliono la riforma del bicameralismo attuale! Ma molti non vogliono la soluzione imposta. Perché il governo non vuole il Senato elettivo come negli Stati Uniti, con un numero ristretto di senatori eletti dai cittadini delle diverse regioni? Perché no?

Lei che risposta si dà?

Si vuol togliere la parola al popolo. Quanto sta accadendo va messo insieme alla legge elettorale con l’8% di sbarramento; si vuole chiudere la bocca alle minoranze, e non solo a minoranze esigue: la soglia dell’8% non è certo leggera. Si vuole fare una Camera interamente dominata dai due partiti dell’accordo, due partiti che poi sono praticamente uno perché lavorano insieme, in stretto accordo, quindi siamo arrivati al partito unico.

O magari al partito nazionale di cui parla Renzi.

Una cosa che mi fa venire i brividi. La democrazia costituzionale è necessariamente pluralista, perché gioca anche sull’articolazione politica del sistema e del parlamento, sulla possibilità di un dialogo e di un dissenso. Qui invece si parla di partito nazionale. Credo che per qualcuno si tratti di scarsa conoscenza e di scarsa dimestichezza con il costituzionalismo, per qualcun altro purtroppo no.

In questo rientra anche la decisione di innalzare da 500 a 800 mila le firme necessarie per proporre un referendum abrogativo?

Siamo sempre nella stessa logica di riduzione del peso del popolo, che evidentemente dà fastidio e bisogna tacitarlo. La gente chiede lavoro, è preoccupata per la chiusura delle fabbriche e i governanti si impuntano esclusivamente su queste cose. La riforma costituzionale serve certamente al fine di poter esercitare il potere con le mani libere, senza gli impacci della democrazia costituzionale. Però c’è anche un’altra ragione di fondo, ed è che la riforma è un bello schermo per nascondere il fatto che sugli altri piani non si fa niente. L’economia è andata più a rotoli che mai, finora si è fatto solo un gran parlare, un chiacchierare arrogante e assolutamente inutile.

Però seimila emendamenti sono tanti. L’opposizione non sta esagerando?

L’opposizione non ha altre armi perché il dialogo la maggioranza non lo vuole, ha detto subito che “chi ci sta, ci sta”. E gli altri, evidentemente, se “non ci stanno” a votare ciò che il governo vuole “se ne faranno una ragione”! In tale situazione chi vorrebbe una riforma diversa non può fare altro che rendere faticoso il percorso per indurre la maggioranza a riflettere su quello che fa e, per non veder fallire tutto, ad accettare qualche modifica. Ripeto ancora ciò che più volte ho detto: se vogliono fare un Senato con i rappresentanti delle regioni e degli enti locali non eletti dal popolo, lo facciano pure, però non possono attribuire a quest’organo funzioni costituzionali. Non possono dargli la possibilità di legiferare al massimo livello. A un simile Senato, fatto da persone che non ci rappresentano, dominate dai capi partito, si vuole invece assegnare il potere di revisione costituzionale, di partecipare all’elezione del presidente della Repubblica e di altri alti organi costituzionali. E’ assurdo. Facessero allora un Senato che è espressione delle autonomie con funzioni limitate alle necessità di raccordo con le autonomie locali. Altrimenti, se gli si vogliono attribuire funzioni costituzionali, deve essere elettivo. Ma, se non è possibile discutere di questo e di altri punti significativi, allora non resta altro
da fare che proporre emendamenti a raffica.

Intervista di Carlo Lania da “Il Manifesto” del 25/7/14

Mostra: “Le atomiche di Hiroshima e Nagasaki”

mostra hiroshimaDal 2014 il Comune di Mirano aderisce ufficialmente a Mayors for Peace (www.mayorsforpeace.org), l’organizzazione non governativa fondata dalle città di Hiroshima e Nagasaki con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’abolizione totale delle armi nucleari entro il 2020 e di promuovere la realizzazione di questo obiettivo (“Visione 2020”). L’ONG inoltre, mira a realizzare una pace mondiale duratura attraverso la solidarietà tra le Città del Mondo.
La Città di Mirano ospiterà dal 26 luglio al 7 agosto 2014 la mostra “The AtomicBombings of Hiroshima and Nagasaki Poster Exhibition”, una mostra promossa da Mayors for Peace al fine di accrescere la consapevolezza nell’opinione pubblica mondiale della necessità di abolire le armi nucleari.

Sabato 26 luglio 2014 alle ore 11 a Mirano nella Sala Consiliare in Via Bastia Fuori 54 ci sarà l’inaugurazione ufficiale della mostra: interverranno Maria Rosa Pavanello, sindaca di Mirano, Diego Collovini, presidente dell’Anpi provinciale, Gian Antonio Danieli, già segretario dell’ International Physicians for the Prevention of Nuclear War – Premio Nobel per la Pace 1985. La mostra rimarrà aperta fino al 9 agosto prossimo ogni giorno dalle 17.00 alle 19.00. Durante la mostra ci sarà una raccolta firme per l’abolizione totale delle armi nucleari entro il 2020.

Lettera della sindaca Maria Rosa Pavanello:

img058 Il testo della petizione per chiedere una convenzione sulle armi nucleari:

img056Raccolta firme per la stessa petizione:

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Vittoria Giunti, la partigiana che diventò sindaco

copertina libro vittoria-giunti pagina 3Vivo per un pelo, con la faccia demolita, nella primavera del 1945 il partigiano siciliano Salvatore Di Benedetto torna al suo paese con il sogno della libertà in tasca e una giovane moglie sottobraccio. Si chiama Vittoria Giunti ed è fiorentina. Anche lei ha fatto la resistenza. Partigiana comunista. Un tipo sveglio, dinamico, sanguigno. n po’ strana, dicono in paese: la moglie di Totò Di Benedetto non è come le altre, viene dal “continente”, a Raffadali non ci sono femmine che parlano con questo accento, che ridono in quel modo e che portano camicie colorate. Tutti la guardano. All’ inizio con la diffidenza che si riserva ai forestieri, poi con ammirazione. Abita nel palazzo più antico del paese, fa mille domande, soprattutto alle donne, vuole sapere questo e quello, vuole sapere come si usa da queste parti, ha fretta di imparare il dialetto, ripete le parole, sbaglia, le ripete di nuovo. Sa tante cose, ma preferisce ascoltare. Le piace discutere. È una che sa il fatto suo. Quando rientra da Palermo, dopo avere partorito, si affaccia al balcone e senza parlare solleva in braccio suo figlio per presentarlo ufficialmente a un plotone di comari che ciarlano di sotto. Ora che ha deciso di vivere in Sicilia, è una siciliana come le altre (anche se manterrà sempre una distanza critica dalla tipica e complessa mentalità di chi vive in fondo allo stivale). E per lei, in un’ Isola libera dal fascismo ma non dalla miseria e dalla prepotenza, all’ indomani della seconda guerra mondiale, ancora stanca ed eccitata dalle battaglie combattute, comincia un’ altra vita, un’ altra battaglia, un’ altra resistenza. C’ è da difendere i diritti dei lavoratori, abolire il feudo e occupare le terre. Gli uomini sudano sangue nei campi sotto il sole, le donne stanno dietro alle persiane socchiuse. Pochi sanno cosa sono i diritti. Nessuno conosce le leggi scritte. Per tutti valgono quelle non scritte. La partigiana Vittoria si dà da fare, organizza incontri e comizi, spiega e scrive. È una donna colta. E di partito. Qualche anno dopo, nel 1956, diventa sindaco di Santa Elisabetta, piccolo centro a pochi chilometri da Raffadali. È lei il primo sindaco donna della Sicilia. La sua storia viene raccontata da un libro autofinanziato “Le eredità di Vittoria Giunti” curato da Gaetano Alessi della Rivista Ad Est. Nata nel 1917 e scomparsa tre anni fa. Una famiglia borghese, la sua: professionisti, medici, professori. Figlia di un ingegnere, alto funzionario delle ferrovie, vive un’ infanzia felice tra Firenze e le colline toscane: «Nella casa di campagna del nonno – racconterà lei stessa, pochi anni fa, a Gaetano Alessi – c’ era una biblioteca e in questa biblioteca c’ era una vetrina in cui era esposta una medaglia d’ argento che il mio bisnonno aveva ottenuto come garibaldino. Risale molto indietro nel tempo, in un Ottocento risorgimentale, quell’ ideale, quell’ atmosfera di libertà che si respirava nella mia famiglia. Atmosfera ottocentesca risorgimentale e liberale nel senso più vero della parola. Una cultura rispettosa di tutte le opinioni, nel senso critico, non nel significato negativo che danno a questa parola, ma nel senso di giudizio e di rispetto delle altrui opinioni». L’ anziana signora leggeva la sua storia e le sue scelte alla luce dell’ educazione ricevuta da ragazza. «Un’ educazione – raccontava – autenticamente antifascista, nel senso oggettivo del termine, nel senso di vissuta democrazia. Questa educazione è una delle radici della ragione della mia partecipazione alla vita civile. L’ altra è Firenze. La Firenze in cui ogni mattina, quando andavo a scuola, incontravo Dante, Michelangelo, Giotto. Incontravo il segno del libero comune, delle lotte anche furiose per la conquista di una libertà civile che anticipava di tanti secoli le libertà che qui in Sicilia sono state conquistate così tardi, compreso la rottura dei vincoli del feudalesimo». Ma c’ è ancora un’ altra radice alla base del suo attivismo politico: «La sorte fortunata di incontrare poi, quando la mia famiglia si è trasferita da Firenzea Roma, delle persone che mi hanno orientato decisamente verso quelle posizioni politiche che ho seguito per tutta la vita». Studia al Liceo Tasso, respira l’ aria dell’ antifascismo con polmoni affamati, si perde in lunghe discussioni politiche, guarda con avidità attraverso «quegli spiragli di libertà che sempre si trovano anche nei regimi dittatoriali». «Eravamo spinti – continuava – da ragioni ed esigenze di carattere morale, culturale, perché era veramente indegno il modo in cui si soffocavano i diritti della democrazia. La demagogia sfacciata, gli strumenti più volgari per ottenere il consenso della gente, si opponevano decisamente al nostro modo di essere. E ancora l’ assoluta impossibilità di approvvigionamento dei testi, degli strumenti del sapere, la censura, la proibizione non solo dei libri politici e di carattere economico, ma l’ occultamento dei romanzi dell’ intera letteratura americana ed europea, l’ impossibilità di ascoltare la musica dei giovani di allora come il blues e il jazz». Donna d’ acciaio, raffinata nei modi, laureata in Matematica e Fisica all’ Università di Roma, allieva dell’ Istituto di Alta Matematica, assistente all’ Università di Firenze, subito pronta a sacrificare la carriera accademica per l’ impegno civile. Durante la Costituente è componente di diverse commissioni nazionali, tra cui quella per il voto alle donne. Giovane staffetta partigiana, conosce Salvatore Di Benedetto, partigiano anche lui, più grande di sei anni, arrestato con Vittorini nel 1943, organizzatore della resistenza in Lombardia, poi parlamentare e dirigente comunista, sindaco per trent’ anni della stessa Raffadali che alla fine passerà in mano ai fratelli Cuffaro. Collezionista di libri antichi e pieno di interessi culturali, Di Benedetto sarà il compagno di tutta la vita. A Tivoli, durante una delle azioni a sostegno dell’ avanzata alleata, una bombaa mano gli ha devastato il volto e strappato un occhio. In ospedale, irriconoscibile, lo ha riconosciuto solo lei, Vittoria, e se n’ è innamorata. Due anni dopo si trasferiscono in Sicilia. E lì rimangono, a combattere. Fino al 2006. Lui se ne va il primo maggio, lei il due giugno. I lavoratori e la Repubblica. Manco a farlo apposta. (di Salvatore Fanzone da “Repubblica” del 3 settembre 2009)

http://www.noidonne.org/articolo.php?ID=02893

https://www.facebook.com/events/293651557322905/

La corruzione che ci circonda

fotoPalcoModena2Questa è una parte dell’intervento di Gustavo Zagrebelsky alla manifestazione “Per un’Italia libera e onesta” del 2 giugno a Modena:

Il nostro Paese sta sprofondando nel conformismo (…) siamo usciti da una consultazione elettorale che ha dato il risultato a tutti noto, ma la cosa che colpisce è questo saltare sul carro del vincitore. Tacito diceva che una delle abitudini degli italiani è di ruere in servitium: pensate che immagine potente, correre ad asservirsi al carro del vincitore. Noi tutti conosciamo persone appartenenti al partito che ha vinto le elezioni che hanno opinioni diverse rispetto ai vertici di questo partito. Ora non si tratta affatto di prendere posizioni che distruggono l’unità del partito, ma di manifestare liberamente le proprie opinioni senza incorrere nell’anatema dei vertici di questo partito (…) Queste persone, dopo il risultato elettorale, hanno tirato i remi in barca e le idee che avevano prima, oggi non le professano più. Danno prova di conformismo. (…)
La nostra rappresentanza politica è quella che è (…) La diffusione della corruzione è diventata il vero humus della nostra vita politica, è diventata una sorta di costituzione materiale. Qualcuno, il cui nome faccio solo in privato, ha detto che nel nostro Paese si fa carriera in politica, nel mondo della finanza e dell’impresa, solo se si è ricattabili (…) Questo meccanismo della costituzione materiale, basato sulla corruzione, si fonda su uno scambio, un sistema in cui i deboli, cioè quelli che hanno bisogno di lavoro e protezione, gli umili della società, promettono fedeltà ai potenti in cambio di protezione.

È UN MECCANISMO omnipervasivo che raggiunge il culmine nei casi della criminalità organizzata mafiosa, ma che possiamo constatare nella nostra vita quotidiana (…)
Questo meccanismo funziona nelle società diseguali, in cui c’è qualcuno che conta e che può, e qualcuno che non può e per avere qualcosa deve vendere la sua fedeltà, l’unica cosa che può dare in cambio (…) Quando Marco Travaglio racconta dei casi di pregiudicati o galeotti che ottengono 40 mila preferenze non è perché gli elettori sono stupidi: sanno perfettamente quello che fanno, ma devono restituire fedeltà. Facciamoci un esame di coscienza e chiediamoci se anche noi non ne siamo invischiati in qualche misura. (…)
Questo meccanismo fedeltà-protezione si basa sulla violazione della legge. Se vivessimo in un Paese in cui i diritti venissero garantiti come diritti e non come favori, saremmo un paese di uomini e donne liberi. Ecco libertà e onestà. Ecco perché dobbiamo chiedere che i diritti siano garantiti dal diritto, e non serva prostituirsi per ottenere un diritto, ottenendolo come favore.
Veniamo all’autocoscienza: siamo sicuri di essere immuni dalla tentazione di entrare in questo circolo? (…) Qualche tempo fa mi ha telefonato un collega di Sassari che mi ha detto: “C’è una commissione a Cagliari che deve attribuire un posto di ricercatore e i candidati sono tutti raccomandati tranne mia figlia. Sono venuto a sapere che in commissione c’è un professore di Libertà e Giustizia…”. Io ero molto in difficoltà, ma capite la capacità diffusiva di questo sistema di corruzione, perché lì si trattava di ristabilire la par condicio tra candidati. Questo per dire quanto sia difficile sgretolare questo meccanismo, che si basa sulla violazione della legge. Siamo sicuri di esserne immuni? Ad esempio, immaginate di avere un figlio con una grave malattia e che debba sottoporsi a un esame clinico, ma per ottenere una Tac deve aspettare sei mesi. Se conosceste il primario del reparto, vi asterreste dal chiedergli il favore di far passare vostro figlio davanti a un altro? Io per mia fortuna non mi sono mai trovato in questa condizione, ma se mi ci trovassi? È piccola, ma è corruzione, perché se la cartella clinica di vostro figlio viene messa in cima alla pila, qualcuno che avrebbe avuto diritto viene posposto. Questo discorso si ricollega al problema del buon funzionamento della Pubblica amministrazione: se i servizi funzionassero bene non servirebbe adottare meccanismi di questo genere. Viviamo in un Paese che non affronta il problema della disonestà e onestà in termini morali. (…) Se non ci risolleviamo da questo, avremo un Paese sempre più clientela-rizzato, dove i talenti non emergeranno perché emergeranno i raccomandati, e questo disgusterà sempre di più i nostri figli e nipoti che vogliono fare ma trovano le porte sbarrate da chi ha gli appoggi migliori. È una questione di sopravvivenza e di rinascita civile del nostro Paese. Ora, continuiamo a farci questo esame di coscienza: non siamo forse noi, in qualche misura, conniventi con questo sistema? Quante volte abbiamo visto vicino a noi accadere cose che rientrano in questo meccanismo e abbiamo taciuto? Qualche tempo fa, si sono aperti un trentina di procedimenti penali a carico di colleghi universitari per manipolazione dei concorsi universitari (…) Noi non sapevamo, noi non conoscevamo i singoli episodi (…) e per di più non siamo stati parte attiva del meccanismo, ma dobbiamo riconoscere che abbiamo taciuto, dobbiamo riconoscere la nostra correità.

PROPOSTA: Libertà e Giustizia è una associazione policentrica che si basa su circoli, che sono associazioni nella associazione, radicati sul territorio e collegati alla vita politica. Non sarebbe il caso che i circoli si attrezzassero per monitorare questi episodi, avendo come alleati la stampa libera e la magistratura autonoma? Potrebbe essere questa una nuova sfida per Libertà e Giustizia, controllare la diffusione di questa piovra che ci invischia tutti, cominciando dal basso, perché dall’alto non ci verrà nulla di buono, perché in alto si procede con quel meccanismo che dobbiamo combattere.

http://www.libertaegiustizia.it/2014/06/03/una-lezione-di-onesta-riempie-piazza-xx-settembre/

 

Festa cittadina della Pace e della Legalità

festapace.inddL’Anpi di Mirano in occasione della festa della pace di Domenica 1 Giugno organizzata dal Centro Pace del Comune di Mirano di cui l’Anpi fa parte presenta la mostra di Mayors for Peace per far conoscere alle nuove generazioni la tragedia di Hiroshima come memoria storica e monito per il futuro.

Il documento “Mayors for Peace”

Comunicato del Comune di Mirano per l’anniversario della tragedia di Hiroshima e Nagasaki

Lettera del Sindaco Di Hiroshima al Comune di Mirano

Certificato di appartenenza del Comune di Mirano alle “Mayors for peace”:

certificato1027

Resistere senz’armi

10313980_562308653885564_5439463697467104540_nSi terrà sabato 31 maggio 2014 (ore 18.00), nella barchessa della villa Morosini ora XXV Aprile, l’inaugurazione della mostra storico/documentariaResistere senz’armi. Storie di Internati Militari Italiani nel Terzo Reich (1943-1945) realizzata dall’Istituto Veneziano per la Storia della Resistenza e della società contemporanea (Iveser).
La mostra si propone di far conoscere la vicenda storica dei circa 650.000 militari italiani che vennero catturati dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943 e deportati nei lager del Nord Europa. I nazisti li classificarono come Internati Militari Italiani (IMI), privandoli così delle tutele previste dalle convenzioni internazionali per i prigionieri di guerra.
La mostra – attraverso un originale allestimento, con la riproduzione di un cospicuo ed inedito materiale documentario e fotografico (conservato prevalentemente nell’archivio dell’Istituto) – ripercorre tutta la vicenda degli IMI: la cattura, il terribile viaggio nei carri bestiame, la dura vita nei campi, il rifiuto di collaborare con la Repubblica sociale italiana e la Germania nazista, la liberazione, il ritorno a casa e il difficile reinserimento. Di forte impatto la sezione con alcuni totem con le immagini fotografiche e i documenti di alcuni internati militari  e che ne propone i loro percorsi biografici. Tra questi soldati anche un miranese, il motorista della Regia Marina Militare, il novantaseienne  Luigi Baldan,  già conosciuto per il suo libro di memorie “Lotta per sopravvivere – la mia Resistenza non armata contro il nazifascismo”, edito nel 2007, relativo al periodo da internato militare italiano nei lager nazisti ed alle sue opere di solidarietà nei confronti delle ragazze ebree del campo di Sackisch Kudowa in Polonia.
Un’esposizione in cui parole, immagini e documenti ricostruiscono i contorni di storie singole e li fondono in una storia collettiva che fatica ancora a trovare un posto e un giusto riconoscimento nella memoria degli Italiani.

La mostra è stata realizzata in collaborazione con il Comune di Mirano, Centro Pace, Auser Mirano, ANPI Miranese, Associazione Nazionale Combattenti e Reduci sez. Provinciale di Venezia, Associazione Bersaglieri sez. Mirano, grazie ad un contributo della Regione del Veneto, con il patrocinio della Provincia di Venezia.

L’inaugurazione sarà aperta dalla visione di alcuni video storici documentari.
La mostra proseguirà fino al 15 giugno 2014 con i seguenti orari:
sabato e domenica 10.30 -13.00 / 15.00 – 19.00
venerdì 16.00 – 19.00

Visite guidate su prenotazione per scuole, gruppi, associazioni
info e prenotazioni:
041 5287737; [email protected]

Per un Italia libera e onesta: ripartiamo dalla Costituzione

Microsoft Word - ANPINEWS N.122A Modena con il Patrocinio del Comune, in occasione della Festa della Repubblica, in Piazza XX settembre alle ore 14.00 si terrà la manifestazione “Per un Italia libera e onesta: ripartiamo dalla Costituzione”. Interverranno Gustavo Zagrebelsky, Sandra Bonsanti, Stefano Rodotà, Lorenza Carlassare, Carlo Smuraglia, Marco Travaglio, Giancarlo Caselli, Alberto Vannucci, Elisabetta Rubini, Paul Ginsborg, Roberta De Monticelli, Gaetano Azzariti.
Fabrizio Gifuni leggerà e reciterà pagine della nostra storia storia e Maurizio Landini invierà una video testimonianza.

Aderiscono alla manifestazione:

ANPI Nazionale
Rete per la Costituzione
Giustizia e Libertà con il suo Presidente Antonio Caputo
Associazione nazionale Liberacittadinanza
Comitato di Parma “Salviamo la Costituzione”
Scuola di Formazione Politica “Antonino Caponnetto”
Centro Documentazione don Tonino Bello (Faenza)
Viva la Costituzione – Rovigo
Comitato per la Costituzione di Rovigo
DIECIeVENTICINQUE
Comitato di Faenza per la valorizzazione e la difesa della Costituzione
Libera-Uscita Sezione Modenese
Democrazia Atea
Associazione dei familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili
Associazione Culturale PARTECIPAZIONE
ASSOCIAZIONE REGGIANA PER LA COSTITUZIONE
Iniziativa Laica e “Giornate della laicità”
Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford
Associazione per la democrazia costituzionale
Associazione reggiana per la Costituzione
Comitato per la Costituzione di Grosseto
Lista Civica Italiana
Associazione PrendiParte
Carovana per la Costituzione SEMPRE
Comitato Pistoiese per la difesa della Costituzione
Articolo21
Coordinamento per la difesa della Costituzione di Modena

“Siamo favorevoli al cambiamento, ma nel solco della Costituzione e nel quadro di una democrazia che si rafforza anziché ridurre gli spazi della rappresentanza. Non ci considereremo soddisfatti, dunque, se non quando il Paese non si sarà dotato di una legge elettorale veramente democratica; tra rappresentanza e governabilità si privilegerà la prima, pur cogliendo anche le esigenze di stabilità; la Costituzione sarà rispettata ed attuata nei suoi fondamenti e nelle sue linee di coerenza, apportando gli aggiustamenti necessari alla stessa struttura parlamentare, ma senza togliere alcunché agli equilibri ed alle garanzie che la Costituzione ci offre e che restano il fondamento della vita consociata. In questa direzione  intendiamo lavorare, col contributo di quanti credono nella Costituzione e nella democrazia e con un’informazione adeguata ai cittadini sulla reale posta in gioco e sul loro interesse a soluzioni chiare, trasparenti e ponderate. Comincia qui un cammino, che può anche essere lungo.
Ma questa forte presenza, questo calore e questa giornata magnifica di incontro mi induce a pensare che se ci impegneremo come dobbiamo, ce la faremo, nell’interesse del Paese e della democrazia”
Carlo Smuraglia – Presidente Nazionale ANPI – Teatro Eliseo, 29 aprile 2014