Lettera di Diego Novelli a Carlo Smuraglia

Caro Carlo,
a seguito di un colloquio telefonico avvenuto ieri sera con Andrea Liparoto mi permetto di farti pervenire queste mie amichevoli considerazioni circa la vicenda del 12 ottobre p.v.
Il vostro documento della Segreteria del 25 settembre fa seguito a precedenti tue riflessioni sull’argomento, in particolare alla dichiarazione “Difendere la Costituzione sì, un altro partito no” (ANPI News n. 88 – 17/24 settembre 2013) ed alla lettera del 20 settembre indirizzata ai Presidenti dei Comitati Provinciali con allegata – per conoscenza – lettera indirizzata a Bonsanti, Zagrebelsky, Pace, Rodotà.
Il tema della difesa della Costituzione è stato oggetto di ampio dibattito all’interno dell’ANPI Provinciale di Torino in sede di diverse riunioni di Presidenza, del Comitato Provinciale del 20 luglio e dell’Esecutivo del 21 settembre. Il nostro Comitato Provinciale ha esaminato e discusso la preoccupante situazione economica, politica e sociale dell’Italia con particolare riferimento al dibattito in corso ed alle procedure in atto di modifiche costituzionali ed ha ritenuto di deliberare l’istituzione di una Commissione di lavoro permanente sulla “Emergenza Costituzionale”.
Già in precedenza, con una comunicazione del 6 maggio indirizzata a tutte le Sezioni ANPI della Provincia di Torino, la Presidenza aveva sollecitato un’immediata e forte mobilitazione non solo fra gli iscritti ma nei confronti di tutta la cittadinanza per informare sui rischi che la nostra Costituzione stava correndo. Alcune Sezioni si sono già impegnate in tal senso ed un ulteriore coinvolgimento viene attualmente richiesto.
Infine, l’ANPI provinciale di Torino ha aderito e partecipato all’attività del Comitato Torinese di “Viva la Costituzione” che vede attualmente l’adesione di oltre venti Associazioni tra le quali ACLI, ARCI, UISP, Emergency, FIOM, Libertà e Giustizia, Terra del Fuoco, Agende Rosse, Libera, Benvenuti in Italia etc.
Tutto questo si inserisce in un programma di conoscenza, lettura, difesa ed attuazione della Costituzione ai sensi del nostro Statuto che all’articolo 2 ci richiama a “concorrere alla piena attuazione, nelle leggi e nel costume, della Costituzione italiana”.
Ciò premesso, dopo avere attentamente esaminato il contenuto del Comunicato della Segreteria nazionale del 25 settembre, non posso nasconderti la mia profonda preoccupazione di fronte ad una decisione che di fatto allontana la nostra Associazione da un’iniziativa e da un progetto, “La via maestra”, che continuiamo a ritenere di particolare rilievo nell’attuale fase politica, caratterizzata dal pericolo di uno scardinamento dei principi costituzionali.Le affermazioni di taluni promotori dell’iniziativa – comparse sui quotidiani – vanno sicuramente esaminate con attenzione onde evitare il rischio di strumentalizzazioni in un’ottica di un possibile percorso verso la formazione di un nuovo soggetto politico (di cui non avvertiamo assolutamente il bisogno), operazione legittima ma che non appartiene agli obiettivi statutari della nostra Associazione.Tuttavia non dobbiamo ignorare altre dichiarazioni di assoluto rilievo e credibilità che, allo stato attuale dei fatti, negano tali obiettivi. La presenza di alcune personalità, tra le quali due figure torinesi della cultura e dell’impegno civile come Gustavo Zagrebelsky e don Luigi Ciotti, rappresenta una garanzia che in questa fase ci può tranquillizzare.
Ritengo importante che l’ANPI nazionale, attraverso la tua figura, intervenga in apertura della manifestazione di Roma, proprio per sollecitare un momento di impegno collettivo per la democrazia ed i diritti e per segnare in modo incontrovertibile il significato dell’iniziativa, sgomberando il campo da ogni possibile equivoco, da surrettizie (non esplicitate ma chiaramente intuibili) intenzioni. Sarebbe un primo passaggio molto importante per la difesa della Costituzione che non andrà disgiunto da un successivo ulteriore coinvolgimento della società civile.
Stanno emergendo, all’interno della nostra Associazione, numerose perplessità che potrebbero incidere negativamente sulla partecipazione futura a più ampi progetti relativi agli aspetti critici delle riforme in discussione, in particolare presso le nuove generazioni che stiamo cercando, talvolta con qualche difficoltà, di inserire nella nuova stagione dell’ANPI. Non mi pare di vedere, in queste generazioni, l’intento della formazione di un nuovo soggetto politico ma un impegno concreto relativo a numerose tematiche della democrazia come la lotta alla mafia, il diritto al lavoro, la difesa della scuola, della cultura, dei beni comuni, l’impegno per una nuova cittadinanza.
Ti confermo il massimo impegno da parte mia nel garantire, come nel passato, la totale autonomia dell’ANPI dai partiti politici e dai movimenti che operano nella società.
Mi permetto ancora sottolineare la mia personale perplessità ed amarezza auspicando un’urgente ulteriore riflessione sul tema in argomento anche con il coinvolgimento degli organismi nazionali ANPI.
La Costituzione per noi non può essere una sorta di icona intoccabile, però non possiamo ignorare il pericoloso progetto in atto.
Grazie per l’attenzione ed un fraterno saluto.

Diego Novelli (Presidente Provinciale Anpi Torino)

26 settembre 2013

La manifestazione del 12 ottobre a Roma: l’Anpi non aderisce

“Non possiamo aderire a iniziative che, pur legittime, prospettano piattaforme politico-programmatiche. Resta fermo il nostro impegno per salvaguardare la Costituzione. Urge un forte rilancio delle linee del 2 giugno a Bologna”.
Questo in estrema sintesi il senso del documento approvato oggi 25 settembre dalla Segreteria nazionale dell’Anpi a proposito della manifestazione indetta, tra gli altri, da Rodotà, Zagrebelsky, Landini, per il 12 ottobre a Roma.

Questi sono invece alcuni commenti di iscritti all’associazione apparsi nella pagina facebook dell’Anpi:

Tiziana Pesce: se anche nell’Anpi, i vertici decidono e la base deve seguire, non mi va assolutamente bene. Oltretutto tradirei tutti coloro che hanno combattuto affinchè la nostra Costituzione fosse la più democratica, “la più bella del mondo”, come si suol dire…già vilipesa da coloro che continuano a chiamarsi di sinistra solo a parole. Tradirei gli ideali dei miei genitori, e questo proprio non l’accetto.

Iris Cristofanini: sono una iscritta all’ANPI figlia di Partigiano combattente, e sono decisamente disgustata dal fatto che la mia associazione non partecipi alla manifestazione del 12 ottobre la cui piattaforma, è stato detto in modo chiaro da Landini nell’assemblea di preparazione, non è la formazione diun partito o una lista politica, mala difesa e l’applicazione della Costituzione .. Ogni giustificazione per la non partecipazione che adduce il documento della segreteria è solamente un alibi per non affrontare le responsabilità della segreteria di fronte ad una situazione gravissima , non solo di stravolgimento della Costituzione nata dalla Resistenza , ma portato avanti da un parlamento di nominati, con la presenza di inquisiti e condannati eletto con programmi elettorali che non contenevano nessun cambiamento della Carta . Non è questo il modo di difendere l’ANPI e le motivazioni per le quali è nata nè di difendere gli alti ideali che fecero nascere la Costituzione migliore del mondo , i morti e i torturati che è costata come ricorda Calamandrei : “Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati.
Dovunque è morto un Italiano per riscattare la libertà e la dignità della nazione, andate là, o giovani, col pensiero, perché là è nata la nostra Costituzione”.

Barbara Mangiapane: sono una iscritta ANPI e trovo vergognoso che la mia associazione non aderisca alla manifestazione del 12 ottobre in difesa della costituzione. Sapete perfettamente che l’iniziativa non prospetta nessuna piattaforma politico – programmatica. L’unico programma che si pone è quello della Costituzione antifascista. Ogni giustificazione non è che un alibi per non assumersi le proprie responsabilità di fronte a quello che sta avvenendo. La Costituzione non si difende solo con le parole, ma con i fatti: avere paura di esprimere una critica ad una forza politica che in Parlamento si è chiaramente espressa, attraverso il voto, per lo stravolgimento della Costituzione è inaccettabile. Non è certo in questo modo che difendete l’obiettivo per il quale l’ANPI è nata. Questo è il momento di scegliere da che parte stare, se essere partigiani della Costituzione anche con i fatti.

Francesco Valerio Della Croce: Cara ANPI, sono molto deluso dalla tua mancata adesione alla manifestazione del 12 in difesa della Costituzione antifascista nata dalla Resistenza. Ho imparato da quest’associazione e dall’esperienza storica del Resistenza una grande lezione: gli uomini in quanto tale sono sempre soggetti a scelte, a schieramento. Oggi, con questo disimpegno, tradisci non solo una causa alta come la difesa della nostra Carta fondamentale e delle sue promesse di libertà, ma calpesti anche la memoria di un grande uomo che diceva: “Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.”
Questa, per me, è davvero una brutta giornata.

Luisa Corno: ma state scherzando vero?

Contributo per una cultura della pace

…Proprio in questo caos è quando Dio chiede alla coscienza dell’uomo: «Dov’è Abele tuo fratello?». E Caino risponde: «Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen4,9). Anche a noi è rivolta questa domanda e anche a noi farà bene chiederci: Sono forse io il custode di mio fratello? Sì, tu sei custode di tuo fratello! Essere persona umana significa essere custodi gli uni degli altri! E invece, quando si rompe l’armonia, succede una metamorfosi: il fratello da custodire e da amare diventa l’avversario da combattere, da sopprimere. Quanta violenza viene da quel momento, quanti conflitti, quante guerre hanno segnato la nostra storia! Basta vedere la sofferenza di tanti fratelli e sorelle. Leggi tutto “Contributo per una cultura della pace”

DOCUMENTO DEL COMITATO CENTRALE DEL PARTITO COMUNISTA SIRIANO

Oh masse del nostro popolo siriano! Sorelle , fratelli! A voi si rivolge il Partito comunista siriano, in questi giorni difficili, chiamando a serrare le fila e a fare ogni sforzo per affrontare la bieca aggressione coloniale.
Dopo il fallimento del tentativo di sottomettere la Siria da parte dell’imperialismo mondiale e della sua punta di diamante, l’imperialismo americano. Tentativo messo in atto attraverso l’imposizione dell’embargo e le operazioni di supporto alle bande criminali, sovversive e terroristiche, che hanno commesso atti efferati, fra cui massacri spaventosi , compiuti su base confessionale ed etnica, e atti di vandalismo e distruzione di impianti economici, nel tentativo di imporre giudizi oscurantisti lontani ed estranei alla tradizione del popolo siriano, da sempre caratterizzato per l’apertura e la tolleranza. Ora vediamo che l’imperialismo americano annuncia la volontà di mettere in atto una aggressione militare diretta, coadiuvato dai suoi alleati di sempre. Volontà di aggressione che gli Usa basano su menzogne e false accuse.
Questa bieca potenza ci accusa , oggi, di crimini da essa stessa commessi in diverse parti del mondo, sbandierando la bandiera “della difesa del mondo libero e della democrazia”. Lo testimonia l’uso di armi batteriologiche e chimiche nella guerra contro la Corea a metà del secolo scorso e l’uso delle stesse armi nella guerra contro il movimento di liberazione del popolo del Vietnam, compresa la polvere «Arancia B», ancora oggi la causa di parti di neonati deformi – a 40 anni dalla fine del conflitto – da parte delle donne vietnamite. Guerre queste dove l’imperialismo americano è uscito coperto di vergogna. La macchina militare degli Stati Uniti ha inoltre utilizzato l’uranio impoverito nella guerra contro il nostro fratello Iraq. Un’arma tremenda che pure non ha aiutato gli Usa a rendere possibile l’occupazione: gli invasori americani sono stati costretti a fuggire dalla terra dell’orgoglioso Iraq come i topi.
Questi crimini commessi dall’imperialismo americano, perpetuati per molti decenni, richiederebbero di consegnare i governanti e i leader colpevoli al Tribunale penale internazionale. Tale tribunale deve giudicarli come in passato sono stati giudicati i governanti e i leader della Germania di Hitler. Sono questi, imperialisti e leader del sionismo, i nazisti contemporanei e subiranno la stessa sorte grazie alla lotta di liberazione dei popoli del mondo.
Il coraggioso popolo siriano, il suo valoroso esercito, dopo l’ eroica fermezza nazionale dimostrata per più di due anni di fronte a una guerra non dichiarata, affronteranno con più coraggio questa vergognosa e palese aggressione militare.
La difesa del sistema nazionale siriano – che affronta a testa alta tutti i tentativi di aggressione, rifiutando l’umiliazione e la sottomissione – significa difendere la Patria, la sovranità e l’indipendenza.
In queste difficili circostanze che attraversa il nostro Paese e il nostro popolo tutti gli sforzi devono essere fatti per rafforzare tutti i fronti: politico , militare ed economico. Il popolo siriano non è solo nella sua battaglia, a fianco della sua giusta lotta c’è il sostegno di tutti i liberi del mondo.

Vergogna all’imperialismo e ai suoi agenti !

Gloria alla fermezza nazionale! La Siria non si inginocchierà !

Il Comitato Centrale del Partito Comunista Siriano!

Siria, agosto 2013

Milano, agosto 1943

Invano cerchi tra la polvere,
povera mano, la città è morta.
È morta: s’è udito l’ultimo rombo
sul cuore del Naviglio: e l’usignolo
è caduto dall’antenna, alta sul convento,
dove cantava prima del tramonto.
Non scavate pozzi nei cortili:
i vivi non hanno più sete.
Non toccate i morti, così rossi, così gonfi:
lasciateli nella terra delle loro case:
la città è morta, è morta.

Salvatore Quasimodo

Festeggiamenti per Priebke che compie 100 anni: l’appello dell’ANED fiorentina a tutti i Parlamentari eletti in Toscana

Illustrissima/o Senatore, Deputato,

abbiamo deciso di scrivere questa lettera per porVi all’attenzione un evento che riteniamo leda la Memoria  di quanti hanno perso la vita per mano della follia omicida dei nazisti.
Si tratta della festa di compleanno di Erich Priebke, ufficiale delle SS condannato all’ergastolo per aver pianificato la rappresaglia delle Fosse Ardeatine. Un nazista della prima ora che con incommensurabile orrore si è reso complice di 335 omicidi di innocenti, studenti, lavoratori, partigiani, ebrei, fucilandoli al buio delle antiche cave di pozzolana.
Priebke gode di grande stima da parte dei giovani neonazisti in quanto, a differenza di molti altri gerarchi nazisti, non si è mai pentito pubblicamente dei suoi crimini commessi contro l’umanità.
Priebke il prossimo 29 luglio compirà 100 anni ed è proprio di queste ore la notizia secondo cui il militare della SS stia organizzando una festa in suo onore.
Appare evidente che la nostra Associazione non possa impedire lo svolgimento di una festa privata ma con la presente chiediamo fermamente che alla cerimonia del criminale nazista non siano presenti rappresentanti delle Istituzioni italiane, come purtroppo, per simili eventi, è già avvenuto in passato.
Lo dobbiamo alla Memoria di centinaia di innocenti deportati, torturati ed uccisi negli ex lager nazifascisti che, nella maggior parte dei casi, non hanno avuto la possibilità neanche di festeggiare il loro 20esimo compleanno.
Per tutte queste ragioni, chiediamo a tutti i Senatori e Deputati eletti  nella nostra regione di:

1) Sottoscrivere pubblicamente questa nostra richiesta, inviandoci risposta di adesione via mail Aned Firenze  – [email protected] – e provvederemo ad aggiornare i nostri profili internet;

2) Sensibilizzare l’intero Parlamento affinché vi sia una presa di posizione comune ed univoca che imponga indispensabili limiti di decenza agli eventuali festeggiamenti.

Perché è compito dell’intero Parlamento tutelare la Memoria delle vittime delle stragi naziste.

In attesa di una Vostra risposta, Vi ringraziamo per l’attenzione e la disponibilità,

Aned Firenze

Aggiornamento del 26/7/13: i parlamentari toscani accolgono l’appello

La costituzionalista Lorenza Carlassare: “Addio saggi, io non sto zitta”

Mentre attorno alla decisione di sospendere i lavori parlamentari contro la fissazione di un’udienza in Cassazione (imputato Silvio B) si fa un gran blaterare di “scelta faticosa” e di “errori di comunicazione” (lettera dei senatori Pd), qualcuno che sbatte la porta c’è. Lorenza Carlassare, professore emerito di diritto costituzionale a Padova, ha presentato ieri le sue dimissioni dalla commissione dei saggi per le riforme. E attenzione: non c’entrano nulla i lavori della citata commissione. C’entra proprio la decisione di sospendere i lavori del Parlamento: l’organo Costituzionale deputato alla funzione legislativa, non lo sfogatoio dei malumori di un imputato.

Professoressa, cosa pensa di quanto è accaduto in Parlamento mercoledì?

È un attacco alla democrazia. Con queste dimissioni voglio protestare contro un atto che io ritengo di una gravità inaudita. Una cosa inammissibile. Atto che ha avuto anche l’avallo del Partito democratico.
Stiamo precipitando in un baratro. Non so cosa pensare, sono indignata per quello che è accaduto. A cosa mira questo comportamento? A tacitare i giudici? Lo Stato di diritto dove va a finire? Non posso assolutamente più continuare a collaborare con la Commissione: la maggioranza ha deciso di fermare i lavori del Parlamento perché la data di una sentenza non consente a un imputato di beneficiare della prescrizione. Ma scherziamo?

Un atto intimidatorio contro i giudici che il 30 luglio dovranno deliberare sul ricorso proposto dai legali di Berlusconi contro la condanna che in appello lo ha visto condannato a quattro anni (più l’interdizione dai pubblici uffici) per frode fiscale?

Ma certo che è stata una cosa intimidatoria nei confronti dei giudici che dovranno decidere! Per questo è inaccettabile. Stiamo parlando di un potere dello Stato che sospende i lavori per protesta contro un altro potere.

I nodi delle sentenze che vedono imputato l’ex premier stanno venendo al pettine: era immaginabile che il governo e il parlamento sarebbero stati ostaggio delle proteste berlusconiane. E già un antipasto c’era stato, quando l’11 marzo i neo deputati del Pdl (tra cui alcuni futuri ministri) avevano manifestato davanti al Tribunale di Milano.

Ma quello che è accaduto in Parlamento è ancora più grave, molto più grave. Là si trattava di parlamentari, qui del Parlamento, del massimo organo dello Stato. Non un gruppo politico, ma l’organo costituzionale che sospende i lavori contro un altro potere dello Stato. Perché è questo che è accaduto.

In molti hanno taciuto. Troppi?

Sono sgomenta, esterrefatta e indignata: me lo faccia ripetere. Sono stupita dai silenzi che provengono da sedi di rilievo istituzionale e da autorità politiche. Questi silenzi sono inauditi. Le reazioni di tutti dovrebbero essere ferme e decise. Ma non dispero: sono sicura che si farà sentire presto la voce dei giuristi. È il fatto più grave accaduto in questi ultimi, tormentati, anni di vita della Repubblica.  (di Silvia Truzzi da “Il Fatto”)

9 maggio 1978: Giuseppe “Peppino” Impastato

Daniele Biacchessi ha scritto questo pezzo (“Quel giorno a Cinisi”) per ricordare l’uccisione di Peppino Impastato:

Ha braccia forti e un corpo allungato, come il suo volto.
Capelli mai pettinati, e baffi, e barba. E uno sguardo che osserva lontano.
Al di là delle persone e dei fatti, al di là della sua stessa terra.
È un uomo curioso, Giuseppe Impastato detto Peppino.
A Cinisi c’è nato e cresciuto.
Cinque gennaio 1948.
Il padre, Luigi Impastato, è un commerciante, amico di mafiosi.
Lo zio, Cesare Manzella, è un capomafia, verrà ucciso nel 1963 nel corso di una guerra tra clan.
È giovane Peppino.
Lui ha fatto un giuramento.
«Così, come mio padre, non ci diventerò mai.»
Fonda il circolo Musica e Cultura.
Molti dicono che è matto, ma altri giovani del paese si uniscono a lui. Siamo nel 1976. Insieme a un gruppo di amici mette su una radio libera. La chiama Radio Aut.
Piccola emittente che denuncia le illegalità, i progetti criminali, gli affari della mafia.
Nel 1978 Peppino Impastato decide di candidarsi come indipendente nelle liste di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali.
Ma all’appuntamento non arriverà mai.
9 maggio 1978.
Sono le ore 1,40.
Il macchinista del treno Trapani-Palermo, Gaetano Sdegno, è un onesto lavoratore.
Quella tratta di ferrovia siciliana che sfila tra le campagne e i coltivi la conosce bene.
Località “Feudo”, territorio di Cinisi.
Il macchinista avverte uno scossone, ferma la locomotiva e osserva il binario:é tranciato.
Così avverte il dirigente della stazione ferroviaria che, alle 3,45 chiama al telefono i carabinieri.
Arrivano sul posto.
Compiono il primo sopralluogo.
Il binario è divelto per un tratto di circa 40 centimetri e nel raggio di 300 metri sono sparsi resti di una persona.
E’ Giuseppe Peppino Impastato.
Sul posto accorrono decine di paesani curiosi.
I compagni di Impastato vengono tenuti a distanza.
Ciò che rimane del corpo di Peppino viene raccolto in un sacco di plastica e portato via.
Lo stesso 9 maggio il procuratore aggiunto Gaetano Martorana invia un fonogramma al procuratore generale in cui parla di “attentato alla sicurezza dei trasporti mediante esplosione dinamitarda”.
Undici aprile 2002, ventiquattro anni dopo.
Le 17.15. A Palermo esce la Corte.
Ergastolo a don Tano Badalamenti. È il mandante dell’assassinio.
Leggo un passo dalle conclusioni della sentenza.
“….Grazie alle dichiarazioni dei collaboratori, non solo si è potuto restringere il cerchio della responsabilità alla cosca di Cinisi, ma anche è rimasto accertato che Badalamenti Gaetano, avvalendosi delle prerogative di capo di detta famiglia, decise l’omicidio e la sua esecuzione con quelle particolari modalità, essendo il maggiore interessato sia all’eliminazione del Giuseppe Impastato, che alla successiva messa in scena dell’attentato; cosicché il composito quadro indiziario, per la sua gravità, precisione ed univocità, impedisce ogni altra lettura alternativa”.
Scrive la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Giuseppe Impastato:
“E’ ancora tutto da scrivere il capitolo del rapporto tra mafiosi e forze dell’ordine. E quando finalmente lo si scriverà si potrà vedere che è popolato da noti capimafia che con i carabinieri trattano, si accordano, fanno dei patti. Un doppio gioco, ma alla luce del sole”.

Video “Munnizza”

24 marzo 1944: strage delle Fosse Ardeatine

Era il 24 marzo 1944 quando i nazisti decisero, come rappresaglia nei confronti di un attacco partigiano avvenuto il 23 marzo contro le truppe d’occupazione tedesche in Via Rasella, a Roma, di rastrellare 355 persone tra civili e militari dalle carceri romane. L’intento dei militari nazisti fu chiaro sin da subito, individuare delle persone da massacrare per vendicare i 32 tedeschi uccisi dai partigiani romani. Il generale in carica nella piazza di Roma era Kurtz Maeltzer, il quale, si racconta, rimase particolarmente colpito dall’attentato compiuto dai partigiani della GAP (Gruppo di Azione Patriottica) di Roma.
Per questo motivo i nazisti, che già si erano resi protagonisti di stragi efferate in diverse località italiane, decisero di vendicarsi uccidendo 10 italiani per ogni tedesco ucciso. Da qui la decisione di rastrellare 355 persone (la notte successiva morì un altro tedesco e si decise di aggiungere altri 10 italiani alla lista), tra le quali si trovavano anche membri del personale sanitario, infermi, feriti e malati. Una vera e propria rappresaglia, vietata peraltro dalla Convenzione di Ginevra del 1929. Come se non  bastasse i nazisti non compirono alcuna indagine per appurare l’identità dei responsabili dell’attacco di Via Rasella, nè attesero le consuete 24 ore per verificare se gli autori dell’attentato si sarebbero consegnati alle autorità naziste. Inizialmente vennero scelti partigiani o persone colluse o compromesse con l’antifascismo, ma poi, non essendo stata raggiunta la cifra prefissa, i nazisti avrebbero chiesto al questore fascista Caruso (poi fucilato dai Tribunali antifascisti al termine della guerra) di rastrellare altre cinquanta persone tra i detenuti non politici. Un crimine terribile, consumato nelle tristemente note Fosse Ardeatine da Herbert Kappler, all’epoca ufficiale delle SS, e già responsabile del rastrellamento del ghetto di Roma. Una strage orrenda, forse la peggiore mai consumata in Italia.
I responsabili dell’eccidio, Kappler, Priebke e Kesserling, furono tutti e tre condannati (i primi due all’ergastolo, il terzo alla pena di morte), ma per un motivo o per l’altro nessuno di loro scontò integralmente la pena. Kappler dopo qualche anno nel carcere militare di Roma riuscì a sfuggire in Germania, Priebke fu arrestato dopo una lunga latitanza in Argentina, e Kesserling dopo pochi anni di carcere si riunì ai neonazisti bavaresi, trovando la morte solo per un attacco cardiaco, nel 1960.

Scrive Carla Capponi, che aveva partecipato a quell’azione in via Rasella, nel suo libro “Con cuore di donna- Il Ventennio, la Resistenza a Roma, via Rasella: i ricordi di una protagonista”:
“Per noi quell’ordine assassino era un crimine contro il quale occorreva mobilitarsi, attaccare con maggiore durezza e determinazione. L’annuncio “questo ordine è già stato eseguito” con cui terminava il breve comunicato, suonava come una sfida: non avevano scritto “La sentenza è già stata eseguita”, perché nessun tribunale avrebbe sancito una condanna così efferata, contro ogni legge, contro ogni morale, contro ogni diritto umano.
Dopo la liberazione di Roma, quando si indagò su quella strage si scoprì che solo tre delle vittime erano state condannate a morte con sentenza; neppure il tribunale tedesco installato a via Lucullo aveva avuto il coraggio o la possibilità di emettere una sentenza che desse appoggio legale a quel massacro. Volevano fare intendere che al di sopra di tutte le leggi del diritto e della morale, c’erano gli “ordini” del comando nazista, il “Deutschland über alles”, della razza ariana, destinata a dominare tutte le altre considerate inferiori e per le quali non c’era bisogno né di tribunale né di sentenze.
Avevano assassinato in fretta gli ostaggi, occultato i cadaveri e lasciato le famiglie senza notizie, così che ciascuna potesse sperare che i propri cari non fossero nel numero dei destinati alla morte e aspettassero fiduciose. Per questo non fecero indagini, non cercarono i partigiani, non usarono il mezzo del ricatto chiedendo la resa dei GAP. L’eccidio doveva consumarsi per vendetta, non per cercare giustizia.
Volevano nascondere un altro crimine, l’avere ucciso quindici persone oltre i trecentoventi dichiarati, come scoprimmo quando, liberata Roma, furono riesumate le salme: trecentotrentacinque. I tedeschi uccisi erano stati trentadue, uno dei settanta feriti era morto durante la notte a seguito delle ferite: Kappler decise di sua iniziativa di aggiungere dieci vittime a quelle già predestinate e, nella fretta di dare immediata esecuzione all’eccidio, ne prelevarono dal carcere quindici, cinque in più della vile proporzione tra caduti tedeschi e prigionieri da assassinare, quindici in più di quelli autorizzati dal comando di Kesserling. Dell’ “errore” si rese conto Priebke mentre svolgeva l’incarico di “spuntare” le vittime prima dell’esecuzione, rilevandole da un elenco all’ingresso delle cave Ardeatine, luogo prescelto per l’esecuzione e l’occultamento dei cadaveri. Lui stesso e Kappler decisero di assassinare anche quei cinque, rei di essere testimoni scomodi della strage”.

Nel libro “La farfalla impazzita”  Giulia Spizzichino, scrive:
“Non ricordo come, ma a un certo punto si venne a sapere che alle Fosse Ardeatine c’era un numero impressionante di cadaveri. Non si sapeva esattamente chi vi fosse sepolto, ma era chiaro che si trattava di prigionieri prelevati dalle carceri dopo l’attacco di via Rasella. Erano loro gli scomparsi, e poi c’era stato l’annuncio sul giornale della rappresaglia eseguita. Il comando tedesco non aveva mai comunicato i nomi delle persone trucidate, ma le famiglie che non avevano notizie dei propri cari non si facevano illusioni circa loro sorte.
Chi andò alle cave a vedere riferì che era impossibile solo pensare di dare un nome alle vittime. Quei corpi erano rimasti là sotto per quasi tre mesi ed erano tutti ammassati, a formare un unico groviglio. Qualcuno propose di chiudere l’entrata, rendendo il luogo una grande tomba comune. Le famiglie degli scomparsi però non lo accettavano. Le figlie del generale Simoni, per esempio, si opposero violentemente, obiettando che in quel modo non avrebbero mai saputo se il loro padre fosse lì dentro.
Quando l’odio produce effetti tanto devastanti, per averne ragione non c’è che l’opera dell’amore. Chi si offrì di compierla fu un medico ebreo, il dottor Attilio Ascarelli. Un uomo stupendo, non ho altri modi per definirlo, che impegnò nella difficile impresa tutta la sua passione, la sua professionalità. Voleva attribuire un volto a ciascuno di quei miseri resti. Iniziò a separare i corpi uno per uno, dato che si erano attaccati. Attraverso i ritagli degli abiti e gli oggetti che avevano addosso – i documenti erano stati loro sottratti – riuscì un po’ alla volta a ottenere il riconoscimento di quasi tutti.
Naturalmente anche la mia famiglia fu coinvolta, tanti dei nostri cari mancavano all’appello, ma io andai sul posto poche volte, mia madre non voleva condurmi con sé. Ero sempre triste ogni volta che tornavo alle Fosse Ardeatine!
Ricordo che c’erano tanti pezzetti di stoffa lavati e sterilizzati, appesi a dei fili con le mollette. Erano numerati, per effettuare un riconoscimento bisognava annotarsi quei numeri. All’epoca i vestiti venivano fatti su misura dal sarto, non c’erano abiti confezionati come adesso, quindi le donne di casa tenevano da parte degli avanzi della stoffa per poterla utilizzare per le riparazioni. Per noi, come per tanti, è stata una fortuna. Solo così abbiamo potuto ritrovare i nostri familiari, li abbiamo riconosciuti attraverso la comparazione dei tessuti. Un pezzetto di stoffa per il nonno Mosè, un altro per lo zio Cesare. Mio cugino  Franco, i suoi sogni e i suoi presentimenti: tutto in qualche lembo di tessuto! E ogni volta quanto dolore, quanto quanto dolore …”

Se n’è andato a cento anni il partigiano Ferdinando

Aveva da poco festeggiato il secolo di vita. Ferdinando Angelini è morto all’Ospedale Civile dove era stato ricoverato in seguito a una caduta in casa. Conosciuto e stimato a Cannaregio, dove viveva, Angelini era uno dei veterani della lotta partigiana. Leggi tutto “Se n’è andato a cento anni il partigiano Ferdinando”