Emily e Clorinda, due giovani donne di generazioni diverse, ma vicine, accomunate da un segno di parentela, ma non solo, anche da un’identificazione di ideali e prospettive. Clorinda Menguzzato non aveva ancora vent’anni (li avrebbe compiuti di lì a poco), quando cadde a morte dopo tre giorni di sevizie e torture da parte dei tedeschi, lungo un tornante sulla strada che collega Castello a Pieve Tesino. Era l’ottobre del 1944.
Emily Menguzzato ha trent’anni ed è la nipote di Clorinda, vive a Trieste dove lavora in una cooperativa sociale e si occupa di minori e di educazione alla legalità e alla cittadinanza attiva. “Mio padre mi parlò di questa storia, per la prima volta, in una delle rare occasioni in cui da bambina mi portarono a Castello Tesino”. Emily ha un bel volto, lo sguardo solare, la tensione di chi è aperto alle possibilità. “Avevo circa 7 o 8 anni e, assieme ai miei due fratelli maggiori, entrammo nella casa dei bisnonni. Ci fermammo lungo il corridoio dove era appesa la foto di Clorinda. Papà ci spiegò che quella era la sorella del nonno, uccisa durante la guerra”.
“E’ stato come se il tempo si fosse annullato, come se Clorinda fosse stata uccisa in quel momento”…
“Non somiglia un po’ a Emily?”, aveva concluso il babbo in quella circostanza.
“Ricordo – osserva adesso – che quella frase me la fece sentire più vicina”. E’ l’inizio di un percorso di avvicinamento alla storia della sua famiglia paterna, la prima di una serie di tappe che porta Emily alla conoscenza della zia, del perché andò in montagna e si unì ai partigiani, della sua morte quando era giovanissima, dell’incomprensione che è durata a lungo riguardo alle sue scelte coraggiose. E’ per Emily anche un passaggio dalla conoscenza all’empatia, un immedesimarsi amorevole nelle ragioni di quella sua zia che era più giovane di lei quando si trovò davanti a difficili strade da percorrere, a ostacoli da oltrepassare. Scopre che “Veglia” era stata torturata e violentata dai tedeschi durante gli interrogatori perché facesse i nomi degli altri partigiani, ma lei non parlò; che ciò le è valso di essere insignita – fra le pochissime donne della Resistenza – della Medaglia d’Oro al Valor militare. La storia di quella sua zia rimane però per la nipote solo “una storia”, nonostante senta forte il valore simbolico anche quando comincia a parlarne con i ragazzi con cui lavora.
Poi, circa un anno fa, qualcosa cambia nel senso di una ancora maggiore consapevolezza. “Ero in viaggio per un corso di formazione per operatori della giustizia minorile – racconta Emily -; si parlava di valori e democrazia ed erano presenti parenti di vittime di mafia. Di colpo la vita di Clorinda ha smesso di essere una storia ed è diventata una realtà”. Emily comincia così a pensare a lei in altri termini, sotto altre sembianze: non era più solo l’eroina di famiglia. “Era una ragazza giovanissima che mi sembrava di conoscere e che, per stare dalla parte più difficile e scomoda, aveva dato la vita sacrificando il suo futuro e la possibilità di essere moglie e madre”. Comincia a guardare a quella lontana vicenda molto più da vicino. “E’ stato come se il tempo si fosse annullato, come se Clorinda fosse stata uccisa in quel momento. Sapevo della sua morte, ma solo allora ho provato un forte dolore”.
Emily sente di esserle grata non solo per il suo contributo alla costruzione della nuova democrazia nata dalle fatiche e dai sacrifici della Resistenza, ma è conscia che senza il suo silenzio mantenuto sotto tortura probabilmente suo nonno Rodolfo (nome di battaglia “Menefrego) sarebbe stato catturato e ucciso, suo padre non sarebbe nato e nemmeno lei. “Sentivo che in qualche modo le dovevo anche la vita!”. E il pensiero di Emily va a suo nonno, che insieme alla sorella Clorinda fu parte attiva del battaglione Gherlenda, lassù tra gli aspri declivi di Costabrunella. A lui, premiato poi con una croce al merito di guerra. “A lui, che si tenne questo dolore per sé per tutta la vita”.
E’ così che in questa giovane donna trentenne nasce il bisogno fortissimo di mettersi sulle tracce di Clorinda, di conoscere la sua storia fino in fondo, di leggere tutto ciò che è stato scritto su di lei e di parlare con chi l’ha conosciuta. Vuole prendersi tutto il tempo necessario per conoscere e vivere con calma i luoghi e i posti che sono stati significativi per sua zia Clorinda, la casa, le strade, i vicoli, l’aria che si respira nel paese nelle ore più solitarie del giorno. Un posto in qualche modo magico, un luogo dove coltivare la memoria. “Fare in modo che la sua memoria sia preservata – ha pensato Emily – è il minimo che io possa fare”. E questo viene tradotto nel suo lavoro quotidiano. “Spesso, parlando con i ragazzi di giustizia e libertà si sente la necessità di fornire loro esempi positivi. Don Ciotti dice che la memoria deve trasformarsi in impegno per mantenere vivi gli insegnamenti che le vittime delle ingiustizie sociali ci hanno lasciato. Fare memoria non deve limitarsi a ‘celebrare’ ma deve tradursi in azioni concrete nel nostro quotidiano”. Solo così Clorinda, Ancilla – “Ora”, l’amica staffetta partigiana pure lei trucidata dai nazisti – e gli altri non sono morti invano. (da http://www.vitatrentina.it)
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7 aprile 2013: inaugurazione del cippo dedicato alla memoria di Clorinda Menguzzato “Veglia”
Domenica 7 aprile alle ore 9 a Castello Tesino, inizierà la cerimonia per l’inaugurazione del cippo alla memoria di Clorinda Menguzzato “Veglia”, trucidata dai nazisti l’11 ottobre del 1944 sulla strada per Pieve Tesino. Interverranno Alberto Parcher, Presidente della Giunta Provinciale, Marcello Basso della Presidenza Anpi Nazionale e Sandro Schmid, Presidente Anpi del Trentino. Qui trovate il volantino della manifestazione.
Le foto della manifestazione: http://imgur.com/a/4vp95
Un ricordo di “Veglia” nelle parole di Sandro Schmid:
“ Una cosa sola non passa mai: la voce della nostra coscienza la quale ci dice che abbiamo fatto il nostro dovere e questa voce che non conosce tramonto è la nostra vera gloria.”
Don Francesco Sordo Corvo – cappellano del Gherlenda
Clorinda Menguzzato è una giovane e bella ragazza di Castello Tesino che lavora come tante altre la campagna e il bestiame di famiglia. All’Albergo Italia conosce il proprietario Riccardo Fattore Lina e un altro sottoufficiale degli alpini Leda, entrambi punti di riferimento del CLN. Con l’arrivo dalle vette feltrine del gruppo partigiano Giorgio Gherlenda, Clorinda passa con la Resistenza. Partecipa a numerose azioni fino al clamoroso assalto alla Caserma del CST di Castello Tesino (14 settembre 1944) dove catturano l’intera guarnigione (60 militi) con il loro comandante tedesco. L’impresa sarà trasmessa da Radio Londra.
I partigiani s’impadroniscono delle armi e liberano tutti gli ostaggi. La reazione nazista è immediata. Alcune centinaia di tedeschi e militi del CST rastrellano la montagna verso la base del Gherlenda alla diga di Costabrunella. Come scudo umano si fanno precedere da Pronto e Mosca due partigiani catturati e poi crivellati di colpi.
Lo scontro, favorito da una nebbia fittissima, comporta la morte sul campo del mitico comandante Fumo Isidoro Giacomin. Il battaglione Gherlenda riesce comunque a sfuggire alla morsa. I tedeschi si ritirano. I partigiani recuperano il corpo del loro comandante e in cima a Costabrunella, con il parroco di Pieve Tesino Lino Tamanini celebrano la Messa e danno l’ultimo saluto. Testimoniata dalle foto, con fucile in spalla è presente anche Veglia, non a caso chiamata dai tedeschi la leonessa dei partigiani e la sua giovane compagna “Ora” Ancilla Marighetto con il fratello Celestino Renata, e fra gli altri il nostro Corrado Pontalti Prua .
L’8 ottobre una colonna militare corazzata tedesca circonda e mette in stato d’assedio Castello Tesino. Il parroco don Cristofolini con tutti i paesani fa voto alla Madonna per risparmiare la Comunità dalla rappresaglia. Un gruppetto di partigiani si nasconde verso Celado. Solo Veglia non lascia al suo destino il suo amato Nazzari ancora indebolito dalle ferite. Una scelta fatale a entrambi. S’incamminano sul sentiero che porta verso Zuna, dove Veglia voleva trovare rifugio in una malga. Sull’imbrunire sono sorpresi da due militi del CST di Castello che li avrebbero anche lasciati scappare se non fossero sopraggiunti altri due militi fanatici che, dopo alcune prime sevizie, li consegnano ai tedeschi insediati nel maso più vicino di proprietà della famiglia Buffa, a due chilometri da Castello Tesino verso Grigno. La notte cala presto il suo mantello nero. Nazzari è scaraventato a terra con il calcio del mitra e subito picchiato senza misericordia per farlo parlare. Di lui i tedeschi non sanno il nome e non immaginano che è il nuovo capo di stato maggiore del Gherlenda.
Si svuota sul tavolo lo zaino di Veglia. La ragazza tenta con un gesto disperato di recuperare la pistola lasciata sul fondo. Non ci riesce. La schiaffeggiano con violenza. La legano mani e piedi a una sedia. La riconoscono subito anche i tedeschi per averla vista spesso all’Albergo Italia. Nazzari durante la notte, a forza di percosse viene ridotto ad un grumo di sangue. All’alba i due partigiani sono portati alla sede delle SS a Castello Tesino e non si vedranno più . Un attimo prima Veglia riesce a sussurare alla sua compagna di scuola Ida che abitava in quella casa: “Mi uccideranno. Sarò la morte della mia mamma. Non me ne importa di me.Mi spiace solo per lui che è innocente”. Poi fu interrotta bruscamente .
Ad occuparsi direttamente di Veglia è il comandante Hegenbart. Le torture di ogni genere durano per tre giorni. Il comandante tedesco fa azzannare persino dal suo cane lupo.
A nulla vale il tentativo di don Narciso Sordo di aiutarla e sostenerla spiritualmente. A sua volta don Sordo è arrestato, poi liberato e ancora arrestato un mese dopo, questa volta con destinazione Mauthausen dove morirà tragicamente.
Veglia non parla, dalla sua bocca non esce nemmeno un nome. Ai suoi carnefici dice sprezzante: “È inutile, quando non ne potrò più dal dolore, mi mozzerò la lingua con i denti”.
La sera dell’11 è portata fuori dal paese. Su un tornante della strada, vicino a una scarpata, a non molti metri da Villa Daziaro, Veglia è freddata con un colpo di arma da fuoco a bruciapelo. Lo sparo rimbomba nella notte e si sente chiaramente in Villa Daziaro . Gli ultimi militi che lasciano il luogo sono gli stessi due che l’avevano arrestata. Non contenti la spogliano, la violano per l’ultima volta, la calpestano e la buttano nella scarpata dove rimane intrappolata da alcuni rami degli alberi. Il giorno dopo nessuno osa passare da quelle parti .
Sarà la pietà cristiana di don Narciso Sordo e del parroco Silvio Cristofolini, a recuperarla e rivestirla con il vestito tradizionale del Tesino. La troverà così, sul bordo della strada, il medico condotto di Castello Tommasini autorizzato a riconoscerla. Il corpo sarà poi tumulato nella fossa comune fuori il cimitero.
Quattro giorni dopo Veglia avrebbe festeggiato i suoi 20 anni.