Una «vittoria» timbrata dagli aerei Nato
Manlio Dinucci
Una foto pubblicata dal New York Times racconta, più di
tante parole, ciò che sta avvenendo in Libia: mostra il corpo
carbonizzato di un soldato dell’esercito governativo, accanto
ai resti di un veicolo bruciato, con attorno tre giovani ribelli
che lo guardano incuriositi. Sono loro a testimoniare che il
soldato è stato ucciso da un raid Nato.
In meno di cinque mesi, documenta il Comando congiunto
alleato di Napoli, la Nato ha effettuato oltre 20mila raid aerei,
di cui circa 8mila di attacco con bombe e missili. Questa
azione, dichiarano al New York Times alti funzionari Usa
e Nato, è stata decisiva per stringere il cerchio attorno a
Tripoli. Senza questa «pressione» quotidiana su obiettivi
fissi, forze in movimento, colonne di automezzi di incerta
identificazione, i «bengasiani» non sarebbero mai arrivati in
Tripolitania.
Gli attacchi sono divenuti sempre più precisi, distruggendo
le infrastrutture libiche e impedendo così al comando
di Tripoli di controllare e rifornire le proprie forze. Ai
cacciabombardieri che sganciano bombe a guida laser da
una tonnellata, le cui testate penetranti a uranio impoverito e
tungsteno possono distruggere edifici rinforzati, si sono uniti
gli elicotteri da attacco, dotati dei più moderni armamenti.
Tra questi il missile a guida laser Hellfire, che viene lanciato
a 8 km dall’obiettivo, impiegato in Libia anche dagli aerei
telecomandati Usa Predator/Reaper.
Gli obiettivi vengono individuati non solo dagli aerei radar
Awacs, che decollano da Trapani, e dai Predator italiani che
decollano da Amendola (Foggia), volteggiando sulla Libia
ventiquattr’ore su ventiquattro. Essi vengono segnalati –
riferiscono al New York Times i funzionari Nato – anche
dai ribelli. Pur essendo «mal addestrati e organizzati», sono
in grado, «per mezzo delle tecnologie fornite da singoli
paesi Nato», di trasmettere importanti informazioni al «team
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Nato in Italia che sceglie gli obiettivi da colpire». Per di
più, riferiscono i funzionari, «Gran Bretagna, Francia e altri
paesi hanno dispiegato forze speciali sul terreno in Libia».
Ufficialmente per addestrare e armare i ribelli, in realtà
soprattutto per compiti operativi.
Emerge così il quadro reale. Se i ribelli sono arrivati a
Tripoli, ciò è dovuto non alla loro capacità di combattimento,
ma al fatto che i cacciabombardieri, gli elicotteri e i Predator
della Nato spianano loro la strada, facendo terra bruciata.
Nel senso letterale della parola, come dimostra il corpo del
soldato libico carbonizzato dal raid Nato.
In altre parole, si è creata ad uso dei media l’immagine di
una «resistenza» con una forza tale da battere un esercito
professionale. Anche se ovviamente muoiono dei ribelli negli
scontri, non sono loro che stanno espugnando Tripoli.
E’ la Nato che, forte di una risoluzione del Consiglio
di sicurezza dell’Onu, sta demolendo uno stato con la
motivazione di difendere i civili. Evidentemente, da quando
un secolo fa le truppe italiane sbarcarono a Tripoli, ha fatto
grandi passi in avanti l’arte della guerra coloniale.
(il manifesto, 23 agosto 2011)