La Repubblica dell’Ossola durò solamente 33 giorni. Un territorio di quasi duemila chilometri quadrati fu liberato dai partigiani e diventò un vero e proprio Stato con un governo, un esercito e una capitale: Domodossola. Fu un esperimento democratico che stupì il mondo intero perché venne realizzato all’interno di un paese in guerra.
Tutto cominciò nell’agosto del 1944, i partigiani della brigata Valdossola comandata dal maggiore Dionigi Superti, della brigata Beltrami agli ordini del capitano Bruno Rutto, della brigata Piave di Filippo Frassati e Armando Calzavara, e infine della brigata Valtoce del tenente Alfredo di Dio, intimano la resa a tutti i presìdi tedeschi e fascisti stipati lungo la riva occidentale del Lago Maggiore. I tedeschi si arrendono subito, i fascisti invece combatteranno alcune ore prima di cedere le armi. Uno alla volta, i piccoli presìdi fascisti cadono. L’8 settembre 1944 l’intera Valdossola viene liberata, tranne Domodossola, che i partigiani, non senza esitazioni, decidono di liberare.
Il 9 settembre 1944 l’arciprete di Domodossola, don Luigi Pellanda, promosse un incontro al quale parteciparono i comandanti tedeschi e fascisti e i capi partigiani Dionigi Superti e Alfredo di Dio, per evitare inutili spargimenti di sangue. Sia i tedeschi che i fascisti decidono di lasciare Domodossola ai partigiani, a patto di poter evacuare con armi e familiari.
I partigiani accettano a condizione che siano da loro abbandonate tutte le armi non fabbricate in Germania. Appena Domodossola viene liberata, gli abitanti euforici si riversano per le strade sventolando il tricolore. Vengono aperte le frontiere con la Svizzera consentendo così ai giornalisti di tutto il mondo di poter documentare l’evento.
La controffensiva fascista venne sferrata all’alba del 10 ottobre, e alle 17 la prima colonna fascista entrava in Domodossola.
I fascisti schierarono circa 5.000 uomini, con tre cannoni, cinque carri armati e dieci autoblindo. I partigiani erano invece 3.000.La gran parte della popolazione abbandonò la Val d’Ossola per rifugiarsi in Svizzera lasciando il territorio pressoché deserto impedendo di fatto le forti rappresaglie che furono minacciate.
A tal proposito proprio il capo della provincia Enrico Vezzalini scrisse il famoso comunicato a Mussolini che recitava: “Abbiamo riconquistato l’Ossola, dobbiamo riconquistare gli Ossolani”. I partigiani che poterono trovarono rifugio in Val Sesia, dove si ricostituirono due formazioni partigiane che all’inizio del 1945 tornarono nell’Ossola e lottarono fino alla fine della guerra. La storia della Repubblica dell’Ossola è stata narrata nello sceneggiato di Leandro Castellani -Quaranta giorni di libertà- e dal libro di Giorgio Bocca -Una repubblica partigiana-.
Piero Malvestiti (1899-1964), combattente decorato della Prima guerra mondiale e antifascista cattolico che prese parte alla guerra di liberazione e al governo dell’Ossola, ricorda:
Ancor oggi la “Repubblica di Domodossola” […] costituisce l’eventus che ha caratterizzato – quale che sia stata la sua importanza militare – un poco tutta la Resistenza italiana […] Ben a ragione il Capo del Governo italiano, on. Bonomi, scriveva in quei giorni da Roma che i Patrioti della Valdossola “sono il simbolo dell’eroismo che pervade tutto il popolo italiano della battaglia per la sua redenzione”. […] La “Repubblica di Domodossola” prefigurava l’Italia di domani, ed era soprattutto un’aspra condanna e una sfida irriducibile. Paradossale, mentre il nazismo era ancora in Norvegia, in Danimarca, in Russia, in Olanda, nel Belgio in Francia, nell’Europa centrale, nei Balcani, in Grecia, in Italia, paradossale e assurdo che un pugno di uomini osasse sfidarlo al punto da istituire una «Giunta Provvisoria di Governo»