“Io il mio discorso l’ho terminato,ora preparate il discorso funebre per me”, così Giacomo Matteotti, parlamentare e segretario del partito socialista unitario, terminò il suo intervento alla Camera dei deputati il 30 maggio del 1924.
In quell’intervento con la passione civile di sempre e con la consueta stringente concatenazione dei fatti, Matteotti elencò tutte le nefandezze delle quali si erano rese protagoniste le camice nere di Mussolini.
Alla fine del suo intervento, più volte interrotto dagli schiamazzi e dalle volgarità dei fascisti, il deputato socialista così concluse: “Contestiamo in questo luogo e in tronco la validità delle elezioni”. Si riferiva alle elezioni politiche vinte da Mussolini e dai suoi alleati.
Quell’elenco era talmente dettagliato e documentato da suscitare l’attenzione della stessa stampa estera,in particolare di quella inglese. In quella medesima occasione preannunciò un secondo intervento che avrebbe dovuto pronunciare l’undici giugno, e nel quale, oltre ai brogli, avrebbe denunciato la maxi tangente che il gruppo americano Sinclair Oil aveva probabilmente versato ai fascisti in cambio della concessione per la ricerca e lo sfruttamento di eventuali giacimenti petroliferi.
Nei giorni successivi si dedicò alla stesura di quella denuncia e raccolse la documentazione nella sua borsa.
Il 10 giugno del 1924, mentre si recava alla Camera dei deputati, un gruppo di fascisti, ben noti al partito e a Musssolini, rapivano ed ammazzavano Matteotti. Li guidava Amerigo Dumini, in seguito furono condannati a 5 anni per omicidio preterintenzionale, i mandanti, ovviamente, restarono al governo, anzi intensificarono la stretta repressiva, sino alla sospensione di tutti i diritti politici e civili.
La borsa di Matteotti non fu mai ritrovata, così come non saranno ritrovate nei decenni successivi, altre borse scottanti o agende compromettenti.
“Uccidete pure me, ma un ucciderete mai le idee che sono un me”, aveva urlato in faccia alle camice nere, Giacomo Matteotti, qualche mese prima di essere ammazzato. (di Beppe Giulietti da “Il Fatto”)