“La causa dell’incidente è stata un errore della crew (equipaggio). Ha manovrato aggressivamente l’aereo, superando la velocità massima di 100 miglia all’ora e scendendo molto più in basso dei 1000 piedi di altezza. Lo schianto non è frutto del caso, perché l’equipaggio ha volato più basso e più veloce di quanto consentito”. Un’ammissione totale di responsabilità quella contenuta nel rapporto investigativo redatto dal generale dei Marines Peter Pace che imputa all’aviazione americana tutta la colpa della tragedia del Cermis, quando, il 3 febbraio 1998, un caccia statunitense trancia il cavo della funivia di Cavalese (Trento) uccidendo venti persone.
Il rapporto è stato redatto dalle forze Usa solo un mese dopo l’incidente, ma La Stampa è riuscita ad entrarne in possesso solo oggi. Scrive Pace: “Raccomando che vengano presi i provvedimenti disciplinari e amministrativi appropriati nei confronti dell’equipaggio, e dei comandanti, che non hanno identificato e disseminato le informazioni pertinenti riguardo ai voli di addestramento. Gli Stati Uniti dovranno pagare tutte le richieste di risarcimento per la morte e il danno materiale provocato dall’incidente”.
Insomma, le forze armate americane sono responsabili di quanto accaduto e devono risponderne. Tutta la catena di comando: dai quattro membri dell’equipaggio fino ai comandanti della base militare americana di Aviano, da dove l’aereo si è alzato in volo.
Ma le cose vanno diversamente. Subito dopo il disastro, la magistratura italiana chiede di processare i quattro membri dell’equipaggio, ma, in base alle leggi Nato, ad avere la giurisdizione è la giustizia militare a stelle e strisce. Nonostante l’allora primo ministro Massimo D’Alema abbia chiesto formalmente agli Stati Uniti di rinunciare alla giurisdizione sui quattro membri dell’equipaggio, il processo si celebra in America. All’inizio sono incriminati tutti e quattro i membri della crew, ma il processo procede solo per il pilota Richard Ashby e il navigatore Joseph Schweitzer. Il 4 marzo del 1999 il primo viene assolto, mentre la giuria fa cadere le accuse a carico del secondo ufficiale. Esattamente un anno dopo che il rapporto investigativo redatto dal generale Pace li inchiodava alle loro responsabilità. Ma c’è di più. Sì perché i militari non solo hanno violato i regolamenti per i voli di addestramento uccidendo 19 turisti e un lavoratore, ma hanno anche inquinato le prove. A bordo del velivolo c’era infatti una telecamera con cui l’equipaggio aveva girato un video della missione. Peccato che una volta a terra, il filmato fosse stato cancellato. I due vengono giudicati colpevoli per avere “ostruito la giustizia”, per avere avuto “una condotta impropria per un ufficiale e gentiluomo” e vengono dimessi dalle forze armate. Il pilota viene condannato a sei mesi di carcere (ne sconterà quattro e mezzo per buona condotta), il suo vice non fa neanche un giorno di galera.
E i risarcimenti per i familiari delle vittime? I primi soldi li elargisce il governo italiano nel febbraio 1999, 65mila euro per ogni vittima. Una legge che prevede lo stanziamento di 40 milioni di dollari viene bocciato dal Congresso americano e nel dicembre dello stesso anno il Parlamento italiano eroga 1,9 milioni di dollari. Cifra che, secondo gli accordi dell’Alleanza atlantica, vengono rimborsati al 75 per cento dagli States.
Una storia di impunità che il documento pubblicato dalla Stampa mette nero su bianco: secondo il rapporto infatti, a bordo dell’aereo c’erano i documenti che vietavano i voli a bassa quota e soprattutto c’erano le mappe che segnalavano la presenza della funivia. Ma nessuno aveva aperto quelle buste. Elementi che hanno fatto dire a Pace che l’America doveva pagare per gli errori commessi. Ma la storia dimostra che aveva torto. (da “Il Fatto” del 13 luglio 2011)