Mariech 14 luglio 2013: Dalle montagne la Libertà

Il 14 luglio per la Libertà: per incontrarsi e ricordare. Alle  10:30 a Cima Mariech. Valdobbiadene (1435 m. s.l.m.).
Vi siete mai fermati a pensare ai luoghi della vostra memoria?
Vi sono luoghi che potrebbero regalarvi lo spaziare degli occhi, il colore dei prati, la serenità di uno sguardo che dai declivi nelle giornate limpide giunge fino al mare.
Ognuno di essi ha una storia, fatta di uomini e donne, fatta di sudore e sguardi, fatta di condivisione spesso e di solitudine altre volte.
Poi vi sono luoghi in cui questo si lega alla Storia, Mariech è uno di questi. Mariech ha visto uomini e donne lottare per la libertà. Il cippo attorno al quale i ritroviamo ogni anno, in memoria dei 137 caduti civili e partigiani, ma che ricorda anche Salvedella, sede del Comando di Brigata, Forconeta, Garda, Pecol, S.Boldo e gli altri luoghi della fascia pedemontana che hanno ospitato, come il Cansiglio e la Pianura Veneta, i “Garibaldini” della Brigata “Mazzini, dalla fine del 1943 alla primavera del 1945, nella lotta contro il nazifascismo per la libertà e la democrazia. Luoghi che sono stati pieni di vita e speranze, luoghi che ne risuonano ora nel loro silenzioso ricordo.
Ci ritroviamo per far risuonare in quel silenzio un ricordo di parole, per condividerlo, mantenere ferma la memoria su quanto è stato conquistato ed impegnarci ogni giorno per guardare il mondo con quella consapevolezza: la difesa della libertà e della democrazia si costruisce ogni giorno, parlando, impegnandosi, raccontando e condividendo storie ed intenti .
Partigiani e bambini, uomini e donne, ragazzi. Esserci oggi ha quel senso.
Il senso di far anche sentire e vedere che siamo in molti a voler continuare a pensare il mondo come un luogo dove impegnarsi qui, ora, perché tutto questo venga difeso.
Un cippo è un luogo per fermarli quegli occhi, fermare i pensieri, ricordare insieme quanto queste vite abbiano lottato per la Libertà, la Democrazia, i Diritti.
E lasciar poi spaziare lo sguardo fino al mare, all’orizzonte.
Perché abbiamo avuto chi ha dato ai nostri occhi la libertà di poter pensare reali le parole orizzonte, futuro, domani.
Per chi non riuscisse a salire in montagna l’appuntamento è alle  12.30 all’osteria Al Codirosso di Nogarolo di Tarzo, per continuare la giornata insieme, condividere un tempo di discorsi e di stare insieme, per sostenere l’ANPI e perché anche da un bel modo di stare insieme parte il costruire la democrazia. (da http://www.anpitreviso.it)

Per prenotazioni, entro mercoledì 10 luglio
Piero Baratto 0423 981246
Luigi Polegato 3388658929
Pasquale Ruffo 043883422
Natalino Merotto 0438898303
ANPI povinciale 0422 260113

Una strage dimenticata: 4 luglio 1944 a Cavriglia (Ar)

Il 4 luglio 1944 191 civili maschi fra i quattordici e gli ottantacinque anni vengono rastrellati, mitragliati e bruciati da reparti tedeschi specializzati della Divisione Hermann Göring nei paesi di Meleto Valdarno, Castelnuovo dei Sabbioni, Massa Sabbioni e San Martino, frazioni di Cavriglia nel Valdarno in provincia di Arezzo.
Dopo la strage i soldati nazisti (inclusi alcuni fascisti italiani travestiti da tedeschi che parlavano con perfetto accento toscano…) scomparvero dalla valle d’Avane senza lasciare traccia di sé.
Nessuno seppe più niente di loro e la popolazione, che non vide mai fatta giustizia sulla morte dei propri padri, tentò nel tempo di spiegarsi i motivi del massacro.
Nacquero così progressivamente negli anni la tesi della rappresaglia, del controllo del territorio, quindi quella che voleva come preordinatori della strage i repubblichini locali, che intendevano distruggere la radice storica comunista di questa società (zona mineraria per l’estrazione della lignite con forti lotte operaie anarchiche e socialiste).
Nessuno dei governi italiani (sempre asserviti agli interessi della NATO, dell’isterico anticomunismo e della “Guerra fredda”) si preoccupò mai dei veri responsabili tedeschi, dei cosiddetti cani che dormono da non stuzzicare, nessuno dette più peso alle loro strategie, ai loro piani, alle loro origini ed alle loro filosofie di guerra, stabilite ai prodromi del secondo conflitto mondiale da Adolf Hitler.
Grazie allo studio attento e dettagliato dell’inchiesta portata a termine dallo Special Investigation Branch inglese tra il 1944 ed il 1945 nei luoghi scenari delle stragi, secretata fino agli anni novanta negli archivi di Kew (Londra) e nel noto Armadio della vergogna a Roma, il ricercatore di Storia Contemporanea all’Università di Firenze Filippo Boni con il fondamentale aiuto della più importante memoria storica vivente di Castelnuovo dei Sabbioni, Emilio Polverini (figlio di una vittima) ha ritrovato nomi, cognomi e fotografie dei soldati che quella mattina si resero protagonisti del massacro e li ha pubblicati nel libro “Colpire la Comunità: 4-11 luglio 1944, le stragi naziste a Cavriglia” edito dalla Regione Toscana, in cui in un’analisi storico-scientifica dettagliata e puntuale, dopo aver ricostruito il contesto storico e narrativo della strage, è riuscito a portare alla luce quella che fu la reale strategia del terrore nazista, politica di guerra che era sempre stata un caposaldo della Wehrmacht prima e durante la seconda guerra mondiale. (Anpi Crescenzago)

http://campidisterminio.altervista.org/site/strage-di-cavriglia.php

Illeggittima l’esclusione della Fiom-Cgil dalla trattativa Fiat

Maurizio Landini: “La Costituzione rientra in fabbrica. E’ una vittoria di tutti i lavoratori. Non ci sono più alibi: il Governo convochi immediatamente un tavolo con la Fiat e tutte le organizzazioni sindacali per garantire l’occupazione e un futuro industriale. E’ ora che il Parlamento approvi una legge sulla rappresentanza.”

Questa la nota del collegio difensivo della Fiom-Cgil che commenta la sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittima l’esclusione della Fiom-Cgil operata dalla Direzione aziendale negli stabilimenti Fiat:

La Corte Costituzionale, nella sua nota fa sapere di aver ” dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, 1 c. lett. b) della legge 20 maggio 1970, n. 300 (cosiddetto ‘Statuto dei lavoratori’) nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale sia costituita anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda”.
È stata così neutralizzata la strategia della FIAT che aveva disconosciuto tutti gli accordi collettivi, compreso quello che istituiva le RSU, contando in una interpretazione dell’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori che le consentisse di tenere la FIOM fuori dalle proprie aziende, unicamente perché il testo della norma prevedeva il requisito dell’essere firmatari della contrattazione collettiva applicata in azienda.
La FIOM aveva promosso una serie di procedimenti per condotta antisindacale, mentre alcuni Giudici avevano proposto la lettura “costituzionalmente orientata”, oggi accolta dalla Corte e altri avevano invece respinto i ricorsi, i Tribunali di Modena, Vercelli e Torino avevano rimesso la questione alla Corte Costituzionale che è stata discussa nella giornata di ieri, 2 luglio, e decisa nei termini di cui alla nota della Consulta.
Il collegio difensivo della FIOM-CGIL esprime la sua piena soddisfazione per l’intervento dei Giudici delle leggi che ha ripristinato un principio di democrazia nei luoghi di lavoro che tiene conto della effettiva rappresentatività delle organizzazioni sindacali, senza condizionare l’agibilità sindacale alla firma del contratto collettivo applicato, in armonia con lo spirito del recente accordo interconfederale del 31 maggio 2013.
Prof. Avv. Piergiovanni Alleva Prof. Avv. Vittorio Angiolini Prof. Avv. Franco Focareta Prof. Avv. Antonio Di Stasi Avv. Alberto Piccinini Avv. Elena Poli Avv. Emilia Recchi Avv. Pier Luigi Panici Avv. Enzo Martino Avv. Lello Ferrara Avv. Amos Andreonil

 

 

Mercanti di armi: l’industria italiana fa affari con la guerra in Siria

Energia, armamenti e telecomunicazioni. Nonostante il conflitto in atto e le misure di embargo, il business italiano in Siria esiste. È composto in buona parte da aziende di Stato come Eni e Finmeccanica. Più qualche nome minore che offre apparati di intelligence come Area spa. Le piccole e medie imprese del Made in Italy (dalla moda all’artigianato) che prima del 2011 esistevano in Siria, sono state spazzate via dalla guerra perché di mercato per loro non ce n’è più. Scavare negli affari siriani non è cosa facile: l’Eni, per esempio, non li cita in bilancio. Ma poi il gruppo guidato da Paolo Scaroni, recentemente indagato per la vicenda delle tangenti algerine della controllata Saipem, non può fare a meno di fornire dettagli alla Securities Exchange Commission, l’autorità di vigilanza dei mercati statunitensi.
Nel documento, depositato lo scorso aprile, il cane a sei zampe spiega ciò che in Italia non si dice: “Le nostre operazioni in Siria sono principalmente state limitate a transazioni realizzate nel segmento di raffinazione e marketing con la Syrian Petrol Co., società controllata dal governo siriano per l’acquisto di petrolio grezzo”. Il gruppo precisa poi che nel 2010 e nel 2011 è stato acquistato greggio per un totale di 338 milioni di dollari e ammette poi di aver “acquistato piccoli ammontare di greggio da trader internazionali, che sulla base della documentazione di trasporto fornitaci, ci lascia pensare si riforniscano da compagnie siriane”. Trasporto che per lo più avviene via mare attraverso grandi gruppi leader mondiali del settore come l’olandese Maersk o il gruppo svizzero-partenopeo Msc shipping della famiglia Aponte.
Nomi noti nel panorama internazionale del business delle aree più a rischio come Africa e Medio Oriente. Come del resto lo è quello di Finmeccanica, che, secondo quanto rivelato da file segreti di Wiki-Leaks nel gennaio 2012, ha fornito, attraverso la controllata Selex Elsag, il sistema di comunicazioni Tetra al regime del presidente Bashar Al-Assad impegnato nella repressione. Per il gruppo di viale Monte-grappa l’apparato, venduto nel 2008 “era destinato all’impiego da parte di organizzazioni per le emergenze ed il soccorso” e così “qualsiasi altro utilizzo che ne sia stato fatto è fuori dal controllo della società”. Non la pensano così però alla Procura di Firenze che il 6 marzo scorso ha notificato alla sede fiorentina della Selex Elsag un provvedimento per la richiesta di consegna del server contenente uno specifico software da cui si è appreso “che risultano indagati l’ex presidente, cessato dalla carica in data 31 dicembre 2012, l’ex amministratore delegato dell’allora Selex Elsag, cessato dalla carica in data 30 settembre 2012, e due dipendenti della società” nell’ambito di un procedimento penale per “l’attività svolta dalla suddetta società in Siria con riferimento alla realizzazione della rete di comunicazione tecnologica Tetra”.
Un brutto affare, insomma, come quello legato all’attività della società di Varese, Area spa, che vendeva alla Syrian Telecommunication Establishment prodotti come lo storage del gruppo californiano NetApp per archiviare grandi quantità di email, i software della società francese Qosmos e i dispositivi della tedesca Ultimaco Safeware. Secondo quanto riferito dall’agenzia Bloomberg, con una partita dal valore di 13 milioni di euro per la sola Area (di cui solo 7,7 poi realmente incassati), i rifornimenti servivano al regime siriano a monitorare tutto il traffico Internet del Paese con controllo puntuale della popolazione. Area ha in più occasioni dichiarato che i contratti siriani avevano data antecedente il blocco commerciale. Ma non si può trascurare che NetApp sia nel mirino delle autorità statunitensi per aver aggirato l’embargo stabilito negli Usa nel 2004 e la francese Qosmos è accusata dai magistrati francesi “di complicità in atti di tortura”.
Sarà difficile anche per i giudici delineare i contorni degli affari siriani che spesso transitano attraverso i confini di Paesi vicini che sostengono, a seconda delle opportunità, il regime o i ribelli. Ma non si può far finta di non vedere che gli affari italiani degli armamenti in Medio Oriente registrino un miglioramento: se si guarda al rapporto del-l’ex presidente del Consiglio, Mario Monti, su “lineamenti di politica del governo in materia di esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento” relativo al 2011, di 2,6 miliardi di esportazioni di armi autorizzate dall’Italia, il 15,67 per cento è partito alla volta dell’Africa settentrionale e nel Vicino e Medio Oriente con un fatturato complessivo da 417 milioni di euro (contro 1,23 miliardi in Europa e 537 milioni in Asia). (di Costanza Iotti da “Il Fatto”)

Vicenza: la nuova caserma intitolata a un partigiano

Oggi, 2 luglio 2013 la nuova caserma di Vicenza che sarà una sede del comando americano Africom che sovraintende alle operazioni in Africa, è stata inaugurata ed è stata intitolata a Renato Del Din, partigiano bellunese al comando della 1ª banda di montagna del Gruppo Divisioni d’assalto Osoppo-Friuli,  medaglia d’oro al valor militare, morto il 26 aprile 1944 durante un assalto a un distaccamento di repubblichini a Tolmezzo (Udine). Questa è stata l’ultima decisione presa dal ministro della Difesa  Ignazio La Russa due giorni prima delle dimissioni del governo Berlusconi. Cinzia Bottene, consigliere comunale in prima fila nella protesta contro la base americana: «È l’ennesima presa in giro. Molti partigiani hanno lottato contro la base continuando a credere nei valori in cui credevano quando lottavano contro il nazifascismo. Il nome storico di quell’area è Dal Molin, il resto è solo propaganda» aggiungendo che «il 25 aprile la Liberazione sarà festeggiata al Parco della pace, a pochi metri dalla futura base, per ricordare che quella è un’usurpazione».
La scelta di La Russa esplode come una bomba a scoppio ritardato. Per la città medaglia d’oro per la Resistenza suona come una beffa a pochi giorni dal 25 aprile: Vicenza già ospita tremila soldati Usa, dal 2013 ne accoglierà altri duemila che dalla Germania si trasferiranno al Dal Molin, ed è sede di Africom, che sovrintende alle operazioni nel continente nero, alle dirette dipendenze del Pentagono. I primi a rivoltarsi comunque sono gli stessi partigiani. La voce grintosa di Renzo Ghiotto, uno dei «Piccoli maestri» protagonisti del romanzo capolavoro di Luigi Meneghello, è indignata: «È un’offesa, un ulteriore oltraggio alla città – spiega – Tutti i partigiani d’Italia sono contro questo tipo di violenze. Se credono di comprarci mettendo quel nome, si sbagliano. Vogliono come sempre smussare gli angoli facendo finta di celebrare un eroe della Resistenza, ma sono finte miserabili, da repubblichini. Raccoglieremo delle firme, faremo di tutto per impedirlo». Per Mario Faggion, segretario provinciale dell’Anpi, è «una scelta impropria. L’intitolazione suona strana: quasi parlassimo di una base che serve alla difesa del nostro paese, quel paese che Dal Din stava difendendo quando morì in modo eroico. La base, per come è stata concepita, realizzata e concessa, serve soprattutto agli Stati Uniti». Questo il comunicato ufficiale dell’Anpi di Vicenza approvato all’unanimità il 21 aprile:

Il Comitato Provinciale dell’A.N.P.I. di Vicenza, riunito il 21 aprile 2012, appresa la notizia che l’ex Ministro della Difesa La Russa, con uno dei suoi ultimi atti, ha stabilito che la caserma americana sorta nell’ex aeroporto Dal Molin sia intitolata al partigiano bellunese Renato Del Din, caduto a Tolmezzo nella notte tra il 24 e 25 aprile 1944, Medaglia d’Oro, esprime grandi perplessità e vivo disappunto nei riguardi di tale scelta per i seguenti motivi:

1. Perché il nome di un partigiano, medaglia d’oro, caduto battendosi per la libertà e l’indipendenza dallo straniero, non dovrebbe essere associato ad alcuna caserma straniera in Italia, anche se di uno Stato amico.

2. Perché il nome di un partigiano che ha dato la sua vita per i principi e i valori contenuti nella Costituzione non dovrebbe essere usato per una istallazione militare che, come abbiamo sempre sostenuto, è sorta in contrasto con la Costituzione stessa, in particolare con l’articolo 11. Esso, infatti, testualmente stabilisce che l’Italia «consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni: promuove e favorisce organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo». In questo caso siamo in presenza di una cessione di sovranità non a “organizzazioni internazionali” e nemmeno per scopi di pace e di giustizia fra le  Nazioni. La nuova base non è infatti né ONU né NATO, ma è utilizzata esclusivamente per scopi e interessi propri ed inconfutabili di un solo Stato estero, rispetto al quale non si è nemmeno agito in condizioni di parità.

3. Perché in questo caso la scelta operata presenta, a nostro avviso, anche risvolti strumentali e provocatori. Infatti, fermo restando la nostra contrarietà alla intitolazione della base ad un partigiano, rileviamo che la storia di Renato Del Din, fulgida ed esemplare, non ha però mai avuto come riferimento il territorio vicentino, nel quale invece numerosi sono stati i partigiani caduti valorosamente e ugualmente decorati di Medaglia d’Oro.

4. Perché la scelta di questa intitolazione è ispirata a criteri di dubbia democrazia, in quanto operata senza consultare nessuna organizzazione o istituzione del territorio interessato.

Pertanto chiede al Coordinamento Regionale Veneto e al Comitato Nazionale dell’ANPI di farsi interpreti presso il Ministro della Difesa Di Paola affinché, tenendo conto di quanto sopra, addivenga ad un ripensamento sulla decisione del predecessore, presa ancora una volta con modalità impositive nei riguardi della comunità vicentina e senza tener conto delle sue specificità storiche, sociali e politiche.
Mario Faggion, Presidente dell’Anpi di Vicenza

Altro che Repubblica, è un Paese privato. Intervista a Gino Strada

Ascoltare Gino Strada, fondatore con la moglie Teresa Sarti di Emergency presieduta dalla figlia Cecilia, è come immergersi in un mondo smarrito in cui le parole riacquistano la loro umanità. Con quell’aria apparentemente stanca, quasi assente, scapigliato, quando parla cattura l’attenzione perchè il suo dire è passione e pratica di vita. Apostrofato dai giornali berlusconiani come “visionario, venditore di fumo, comunista”. È Amato da migliaia di volontarie e volontari e da quella sinistra in cerca di casa. E indicato dal popolo web di Grillo come candidato per il Quirinale. Strada è a Livorno per il XII Incontro di Emergency: “Diritti o Privilegi”.

Punto di domanda volutamente assente nel titolo?

Ovvio. Non dovremmo più chiamarci Repubblica italiana ma Paese privato. La messa in dubbio della sostenibilità della sanità, dell’acqua, della scuola pubblica. Ormai è al di fuori della politica. La Costituzione sta diventando la più grottesca del mondo, non siamo più una Repubblica fondata sul lavoro, ma sui licenziamenti.

Deluso da Grillo?

Il M5S è stato e resta un segnale forte per i “signori della politica”. Il problema non è M5S, ma questa nuova formazione bulgara che ci governa: la messa in pratica o meglio la conclusione di un processo che dura da decenni. Destra, sinistra, al di là del codice stradale vuol dire guerra o pace, pubblico o privato e tante altre cose. Quando una parola come la sinistra viene stuprata meglio cambiar parola.

Ne ha una nuova?

No, serve a poco. Non sono ottimista sul fatto che le cose cambieranno. Il che non significa che bisogna smettere di parlare di certi valori, di promuoverli, di fare delle cose giuste che cambiano la vita delle persone. Più delle coglionate dei politici. Se siamo in tanti ci troveremo in una società migliore. In questo sono ottimista.

Pentito di non aver accettato la candidatura al Colle proposta dal popolo di Grillo?

Era una proposta-provocazione, il Presidente lo eleggono i grandi elettori e siccome lì dentro ci sono condannati, papponi, pedofili…

Però il ministro della Sanità lo avrebbe fatto…

Intanto è il premier che forma il governo ma se uno qualsiasi, non importa chi, me lo chiedesse seriamente risponderei: il mio programma è questo: fuori il profitto dalla sanità, nessun soldo pubblico deve più finire nelle tasche del privato, via le convenzioni.

Emergency dal 2006 opera anche in Italia. Chi l’avrebbe mai detto?

Stiamo mettendo in piedi ambulatori mobili. Strutture di alta qualità e gratuite come da diritto costituzionale per chi, e sono tanti, non può più permettersi di essere curato. Stiamo costruendo una sanità non profit contro quella profit. Sanità che è stata rovinata con l’introduzione del concetto di azienda che risponde alla domanda: quanto bisogna spendere? Quanto serve, non un euro in più. Qualcuno ci dice che noi spendiamo 35 miliardi meno della Germania e della Francia ottenendo risultati migliori e che abbiamo tecnologie superiori ad altri Paesi ma non le usiamo? Però ci dicono che il sistema è in crisi. E il cittadino paga un ticket superiore a quello che pagherebbe in una struttura privata. Mi chiedo dov’è l’aggettivo pubblico? Cosa vuol dire ticket? Da quando in qua bisogna pagare i propri diritti? Il sistema resiste grazie alla volontà di tanti medici e infermieri che operano contro le politiche sanitarie.

Teoria ineccepibile. In pratica?

Basterebbe non firmare piu nessuna convenzione, riesaminare quelle esistenti e tagliare quelle senza senso ma non c’è la volontà politica perchè la casta ha profondi intrecci con la cricca del settore della sanità. Perché gli ospedali comperano lo stesso prodotto di Emergency e lo pagano 3,5,10 volte di più? Perchè nel gonfiare i prezzi c’è spazio per le mazzette. Secondo l’Oms il maggior determinante della salute è la giustizia sociale. La sanità non riguarda solo ospedali e ambulatori, ha a che fare con la difesa dell’ambiente. E vogliamo parlare delle malattie costruite a tavolino?

Parliamone.

Veicolazione della malattia vuol dire assicurarsi che vengano consumati sempre più farmaci da persone sane convinte di essere malate per fare soldi. Dicono che se hai la glicemia alta hai il diabete. Se il livello di normalità della glicemia prima era 125, la abbassano a 110. Uguale per il colesterolo, l’ipertensione… Parte una nuova campagna e si vendono i farmaci. Porcherie con il coinvolgimento dei medici.

Torniamo alla politica lei è molto critico però non vota da 35 anni.

Non voterò mai chi non mi garantisce che non mi porti in guerra, non ho bisogno dell’art 11 della Costituzione mi basta la mia coscienza civile. So che fino a che ci sarà questa casta politica non sarà possibile costruire un sistema etico, un sentire comune con regole certe. Invece di una società stiamo costruendo una grande giungla. Nello statuto dei diritti umani si dice che gli uomini debbono comportarsi in spirito di fratellanza, se siamo insieme il rispetto per gli altri è il rispetto per noi. (intervista di Sandra Amurri da “Il Fatto”)