L’arte della guerra
Botti di fine anno Manlio Dinucci
Per la sicurezza delle persone e degli animali, si proibiscono in vari casi i fuochi d’artificio per l’ultimo dell’anno, soprattutto i potenti botti. La notizia viene riportata in evidenza dai media. Gli stessi nascondono però altre notizie che, se si diffondessero, farebbero scoppiare la bolla della realtà virtuale in cui siamo imprigionati. Un esempio: la National Archives and Records Administration (Nara), l’archivio del governo Usa, ha pubblicato il 22 dicembre un dossier di 800 pagine, finora top secret, con una lista di migliaia di obiettivi in Urss, Europa Orientale e Cina che gli Usa si preparavano a distruggere con armi nucleari durante la guerra fredda. Nel 1959, l’anno a cui si riferisce la «target list» redatta nel 1956, gli Usa avevano oltre 12mila testate nucleari con una potenza di 20mila megaton, equivalente a un milione e mezzo di bombe di Hiroshima, mentre l’Urss ne possedeva circa mille e la Cina non aveva ancora armi nucleari. Essendo superiore anche come vettori (bombardieri e missili), il Pentagono riteneva attuabile un attacco nucleare. Il piano prevedeva la «distruzione sistematica» di 1100 campi d’aviazione e 1200 città. Mosca sarebbe stata distrutta da 180 bombe termonucleari; Leningrado, da 145; Pechino, da 23. Molte «aree popolate» sarebbero state distrutte da «esplosioni nucleari al livello del suolo per accrescere la ricaduta radioattiva». Tra queste Berlino Est, il cui bombardamento nucleare avrebbe comportato «disastrose implicazioni per Berlino Ovest». Il piano non venne attuato perché l’Urss, che aveva effettuato il suo primo esperimento nucleare nel 1949 quando gli Usa avevano già accumulato dal 1945 circa 230 bombe, acquisì rapidamente la capacità di colpire gli Usa. Perché la Nara ha deciso di pubblicare oggi «la più ampia e dettagliata lista di obiettivi nucleari che sia mai stata declassificata»? La scelta non è casuale, dato che l’archivista capo della Nara è nominato dal presidente degli Stati uniti. La pubblicazione della «target list» è un chiaro monito a Russia e Cina, che vengono avvertite in modo trasversale di quale potenza nucleare abbiano gli Usa. Essi hanno varato un piano, del costo di 1000 miliardi di dollari, per potenziare le forze nucleari con altri 12 sottomarini da attacco, armato ciascuno di 200 testate nucleari, e 100 nuovi bombardieri strategici, ciascuno armato di oltre 20 testate nucleari. E mentre stanno per schierare in Italia e altri paesi Nato le nuove bombe B61-12 per il first strike nucleare, gli Usa sviluppano lo «scudo antimissili» che dovrebbe «difendere» l’Europa. Il 12 dicembre è stata attivata, nella base di Deveselu in Romania, la prima batteria missilistica terrestre Usa della «difesa» Nato, che sarà seguita da una analoga in Polonia, composta da 24 missili Aegis, già installati a bordo di 4 navi da guerra Usa dislocate nel Mediterraneo e Mar Nero. Mosca ha avvertito il 25 dicembre che queste batterie, essendo in grado di lanciare anche missili nucleari Tomahawk a medio raggio, costituiscono una chiara violazione del Trattato Inf, che proibisce lo schieramento in Europa di missili nucleari a medio raggio con base a terra. La Russia annuncia contromisure, tra cui nuovi missili intercontinentali mobili su autoveicoli e treni in costante movimento per evitare un first strike nucleare. E, per colpire obiettivi Isis in Siria, usa bombardieri strategici che si addestrano così anche all’attacco nucleare. Non si sa quale sia oggi la «target list» nucleare degli Usa. È però certo che nella «target list» russa ci sono anche le basi Usa/Nato in Italia. I media tacciono, mentre lanciano l’allarme sui fuochi d’artificio. (il manifesto, 29 dicembre 2015)