Parte 2 art.di A. Pascolini

Da oggi le armi nucleari diventano illegali

Scenari di escalation nucleare Sebbene sembri che le ultime minacce nucleari della Russia siano dirette contro l’Ucraina, se la minaccia russa nei confronti dell’Ucraina fosse stata seria, sicuramente il raid sul deposito 4 di petrolio di Belgorod, l’attacco alla base aerea di Saky in Crimea o il bombardamento del ponte di Kerch, oltre ai significativi progressi dell’esercito ucraino lungo le linee del fronte, sarebbero stati sufficienti a scatenare una rappresaglia nucleare. Invece le risposte russe sono state un’escalation militare convenzionale, con attacchi a obiettivi civili e la mobilitazione “parziale” di riservisti. Gli analisti ritengono che il messaggio di Putin sia invece inteso a spingere l’Occidente a costringere l’Ucraina a negoziare alle sue condizioni e a congelare il campo di battaglia così com’è ora, il che darebbe alla Russia il tempo e lo spazio per ricostituire le sue forze d’invasione. Per utilizzare armi nucleari a livello tattico in un conflitto si dovrebbe preventivamente rispondere a quattro domande: 1) qual’è l’obiettivo previsto di un attacco nucleare? 2) qual’è l’effetto previsto sull’obiettivo? 3) quale tipo di arma nucleare creerebbe l’effetto desiderato con la massima efficienza? 4) cosa succede dopo? Nel bilancio delle conseguenze, va considerato che ogni esplosione nucleare non sotterranea viola sia una precisa legge universale formale (il trattato per il bando parziale dei test nucleari del 1963) che la norma morale non scritta, ma ugualmente potente come vincolo sociale, del tabù nucleare, parte della profonda consapevolezza universale. La Russia e lo stesso Putin andrebbero incontro a un obbrobrio generale, anche da parte degli stati attualmente neutrali o addirittura favorevoli allo sforzo bellico, con il rischio di ritorsioni politiche, economiche e forse anche militari. Ci sono tre tipi di un potenziale uso di armi nucleari russe nella guerra in corso: 1) un attacco dimostrativo contro un’area non popolata; 2) un attacco di controforza sul campo di battaglia; e 3) un attacco di controvalore contro un centro abitato per cercare una cessazione politica della guerra, o eventualmente per decapitare il governo ucraino. Fra gli obiettivi non cruenti sono stati considerati il poligono russo di Novaya Zemlya, dove il 30 ottobre 1961 è stata fatta esplodere la RDS-220, la più potente bomba nucleare di tutti i tempi (circa 58000 kt), la zona di esclusione di Cernobyl, evacuata dopo l’incidente del 28 aprile 1986, l’isola dei serpenti al largo della foce del Danubio, il mar Nero o un’esplosione ad alta quota. Va osservato che un test nucleare sul mar Nero violerebbe lo spirito e la lettera della Carta della Black Sea Economic Cooperation (BSEC) e creerebbe alla Russia problemi diplomatici con gli altri 12 paesi membri dell’organizzazione, in particolare la Turchia, un cruciale interlocutore della Russia. Lo scenario 1 non appare credibile, in quanto non avrebbe probabilmente alcun effetto sulla volontà dell’Ucraina di combattere o sul sostegno occidentale all’Ucraina, ma darebbe luogo a un enorme danno politico globale. Lo scopo di una dimostrazione nucleare è quello di mostrare risolutezza e intenzione. Tali iniziative sono state prese in considerazione dai responsabili politici in più occasioni (ricordiamo la proposta di scienziati coinvolti nel Progetto Manhattan per appunto una dimostrazionee come alternativa al bombardamento delle città giapponesi) ma sono sempre state respinte: le stesse restrizioni imposte all’azione, come la lontananza e il numero limitato di vittime, la renderebbero inefficace, trasmettendo esitazione quanto determinazione. C’è inoltre il rischio (paventato anche nel 1945) di malfunzionamento dell’ordigno, il che renderebbe l’azione assolutamente controproducente; mentre infatti la Russia verifica costantemente l’affidabilità dei vettori (aerei e missili), l’ultimo test russo di un ordigno nucleare risale al 24 ottobre 1990. È successo più volte che altre armi prelevate dai depositi, 5 non sottoposte a una continua buona manutenzione, non abbiano funzionato come previsto. Un attacco contro un centro abitato, anche con armi di limitata potenza, avrebbe di fatto un carattere strategico e non tattico, non possedendo alcun valore militare diretto, ma mirando a piegare la volontà di resistenza degli ucraini, mettendoli di fronte all’orrore della morte nucleare di un’intera comunità. Tuttavia, è altamente improbabile che un tale attacco costringa l’Ucraina o l’occidente ad arrendersi e rappresenterebbero un enorme azzardo del tipo che Putin si è storicamente rifiutato di fare. È difficile immaginare che la notizia venga accolta con serenità in Russia e una tale azione potrebbe intensificare l’opposizione interna a Putin: fra le due popolazioni esistono legami e rapporti anche familiari che rendono difficile far accettare una rappresaglia nucleare contro civili ucraini. Nel profondo della concezione comune, le armi nucleari sono riservate per un nemico estremo, che appaia antropologicamente “diverso” (come erano nel 1945 i giapponesi per gli amricani). Lo stesso nuovo comandante delle operazioni, il generale Sergey Surovikin esprime questo fondamentale comune sentire col dichiarare alla TV russa: “Noi e gli ucraini siamo un unico popolo.” Analogamente uno dei “duri”, Igor Strelkov, un comandante della milizia che ha operato nel Donbas dopo l’annessione della Crimea, ha recentemente dichiarato che l’uso di armi nucleari tattiche in Ucraina sarebbe un errore: anche la “zombificata” popolazione ucraina, ha detto, è “il nostro popolo” e attaccarla con armi nucleari sarebbe un crimine. Lo scenario 3 quasi certamente aumenterebbe la volontà dell’Ucraina di combattere e anche il sostegno globale alla sua lotta. La campagna russa ha visto il ripetuto superamento di soglie di violenza inusitate: oltre a sistematici attacchi a obiettivi civili, ci sono stati crimini scoperti dopo la partenza delle forze di occupazione, come torture, omicidi, stupri, rapimenti e saccheggi, forse anche per rendere gli ucraini pronti a cedere. In pratica, l’effetto è stato l’opposto: ha indurito la loro determinazione e li ha resi ancora più decisi a liberare il loro paese, dimostrando straordinari livelli di resilienza, unità e determinazione. Non stupirebbe che anche l’essere vittime di un attacco nucleare avesse lo stesso effetto. Esplosione nucleare ad alta quota Mentre esplosioni al suolo e nella bassa atmosfera generano una nube radioattiva a forma di “fungo”, esplosioni negli stati superiori dell’atmosfera producono una palla di fuoco sferica, che poi si modifica nell’interazione con il campo magnetico terrestre. Per la rarefazione dell’atmosfera, i raggi X prodotti possono percorrere grandi distanze e quindi la palla di fuoco diviene enorme e rimane altamente luminosa per lungo tempo (qualche minuto); l’evento può essere osservato a molte centinaia di km di distanza dall’epicentro. Il maggiore impatto di tali esplosioni è la creazione di un fortissimo impulso elettromagnetico (EMP), ossia una radiazione elettromagnetica con uno spettro di frequenze molto vasto (soprattutto radiofrequenze) che cresce di intensità molto rapidamente e decade lentamente. I raggi gamma generati dall’esplosione diretti verso il basso vengono assorbiti dagli strati più densi creando una zona circolare molto spessa e vasta centinaia di km ove le molecole atmosferiche vengono ionizzate rilasciando elettroni che spiralizzano nel campo geomagnetico producendo appunto un intenso EMP diretto verso terra; questo EMP può interessare vaste regioni, interferendo con i sistemi di comunicazione, ma anche distruggendo apparati elettrici ed elettronici. 6 Il fenomeno è molto complesso e dipende da una varietà di fattori geografici e atmosferici, oltre dalle caratteristiche dell’esplosione, e diventa estremamente difficile pianificare gli effetti. L’evento è quindi molto rischioso, come anche emerso nei test nucleari eseguiti da americani e sovietici fra il 1958 e il 1962 a diverse quote fra 22 e 540 km e di varia potenza: la fascia di radiazioni gamma diretta verso l’alto in un test americano distrusse satelliti (americani) in orbita; l’EMP prodotto da un test sovietico sul Kazakistan fuse 290 km di linee telefoniche, bruciò una centrale elettrica e distrusse 1000 km di cavo elettrico interrato. L’EMP da un’esplosione sull’Ucraina generebbe imprevedibili effetti su una zona difficilmente delimitabile, che potrebbe estendersi anche su territori russi o su paesi afferenti alla NATO; potenzialmente anche le forze russe impegnate nel conflitto potrebbero venir danneggiate. L’esplosione potrebbe inoltre creare problemi all’International Space Station e alla cinese Tiangong Space Station e ai loro equipaggi, oltre ai numerosi satelliti nelle orbite basse; va ricordato che secondo l’attuale Nuclear Posture Review il danneggiamento di satelliti militari americani potrebbe essere una causa sufficiente per una reazione nucleare. Un vero impegno nucleare tattico Fra le opzioni nucleari russe rimane lo scenario 2, un attacco sul campo di battaglia. Ma in Ucraina non ci sono obiettivi militari interessanti per le armi nucleari russe. Impieghi tipici per armi nucleari di piccole dimensioni in combattimento sono l’affondamento di una portaerei in mare, la distruzione di una grande formazione di carri armati o il blocco di un passaggio cruciale attraverso le montagne. Un obiettivo credibile avrebbe potuto essere il complesso industriale Azovmash della resistenza ucraina a Mariupol. Ora l’Ucraina non opera con una concentrazione di forze sufficientemente ampia da giustificare un’esplosione di qualche decina di kt, ma impiega unità relativamente piccole che combattono a distanza ravvicinata su un territorio che la Russia rivendica come proprio. Armi nucleari più piccole sarebbero ancora meno utili, poiché, secondo gli esperti, i loro effetti operativi presentano in combattimento livelli analoghi di efficacia di quelli dell’impiego massiccio di artiglieria di precisione, soprattutto se utilizzano testate termobariche, senza violare il tabù nucleare, rischiare l’obbrobrio globale, scatenare pericolose ricadute radioattive o demoralizzare i propri soldati. Il punto cruciale è che una singola esplosione nucleare controvalore non modifica in alcun modo l’andamento del conflitto sul campo ed è priva di senso militare: risultati significativi impongono l’impiego sistematico di numerose armi nucleari in una vera operazione tattica nucleare, specificatamente pianificata e condotta da forze speciali con l’equipaggiamento, l’addestramento e il morale necessari per condurre operazioni offensive dopo le esplosioni nucleari, forze ben diverse dalle truppe oggi impegnate al fronte. La complessa e articolata dottrina operativa delle forze russe (https://www.armyupress.army.mil/portals/7/hot%20spots/documents/russia/2017-07- the-russian-way-of-war-grau-bartles.pdf) prevede l’integrazione di operazioni convenzionali con attacchi nucleari, come si evince anche dalle manovre che vengono usualmente condotte. L’uso nucleare non strategico in un conflitto a livello di teatro mira a impedire all’avversario di intensificare l’escalation a livelli superiori o a costringerlo a capitolare. Certamente i comandi militari russi hanno condotto molte simulazioni di guerra nucleare a livello tattico, ma, fortunatamente, una tale operazione non è mai stata eseguita, e quindi non esiste un riferimento operativo concreto della possibile evoluzione degli eventi 7 sul campo, per cui comunque sarebbe un’impresa ad alto rischio, in terra incognita. Uno studio statunitense declassificato prevedeva l’uso di 136 attacchi nucleari per ottenere un risultato decisivo su un fronte lungo 60 miglia – e le linee del fronte tra Ucraina e Russia si estendono oggi per una distanza circa 7 volte maggiore. Un numero così elevato di esplosioni potrebbe comportare effetti psicologici sugli stessi soldati russi esposti a una distruzione di tale portata, riducendo la loro efficacia in combattimento e la loro capacità di sfruttare le falle create nelle linee difensive ucraine. Verrebbero prodotte enormi quantità di radiazioni, con effetti immediati su tutti i soldati in campo aperto, e la diffusione del fallout sull’Ucraina, in Bielorussia e in Russia, suscitando panico tra le popolazioni, che hanno ancora viva l’esperienza del disastro di Chernobyl. Qualunque uso di armi nucleari russe, in ogni possibile scenario, appare quindi un azzardo enorme per guadagni limitati che non raggiungerebbero gli obiettivi bellici dichiarati da Putin, mentre rafforzerebbe la volontà dell’Ucraina e la determinazione dell’occidente a sostenerla, con la prospettiva che l’infrazione del tabù sull’uso del nucleare in guerra, consolidato in 77 anni finisca col coinvolgere altri paesi nel sostegno della causa ucraina e maggiormente isolare la Russia. Questi motivi mi convincono che un impiego di armi nucleari nel presente conflitto non sia un’opzione razionale per il governo o i responsabili militari russi. La ragione non è tutto, ma è l’unico strumento affidabile per guidare i nostri pensieri e azioni. Il superamento del rischio nucleare potrebbe semplificare la situazione diplomatica per la soluzione del conflitto eliminando dal tavolo un fattore gravemente destabilizzante. Dobbiamo restare comunque estremamente attenti al rischio nucleare globale, data la gravissima ostilità fra le potenze nucleari e i focolai di conflitto. Sarebbe necessario che venissero ripresi i negoziati strategici russo-americani sospesi nel 2021 e riconsiderate le proposte russe per la rimozione e moratoria di forze nucleari di gittata intermedia, possibilmente coinvolgendo sul tema anche la Cina. Ciò non risolve il problema ucraino, ma servirebbe ad abbassare la temperatura della presente grave febbre nucleare. Padova 19 ottobre 2022

Escalation nucleare in Ucraina: di A. Pascolini parte 1

L'autunno nucleare dell'Europa - Il Grand Continent

Università di Padova. Negli ultimi giorni, in particolare dopo il messaggio televisivo del 21 settembre e il discorso del 30 settembre del presidente russo, è cresciuta la preoccupazione di analisti e opinionisti che Vladimir Putin possa usare armi nucleari “tattiche” nella sua guerra contro l’Ucraina. Il rischio nucleare è stato amplificato dal presidente americano Joe Biden, che in un discorso del 6 ottobre ha descritto l’attuale situazione di stallo in Ucraina, con Putin che minaccia di usare tutti i mezzi a sua disposizione per difendere la Russia e il territorio che ha conquistato, come il momento nucleare più pericoloso dalla crisi dei missili di Cuba, avvenuta 60 anni fa, proprio in questo mese. In realtà le armi nucleari sono state al centro dell’invasione russa dell’Ucraina fin dall’inizio, essendo la Russia la maggiore potenza nucleare mondiale e per il coinvolgimento dei paesi nucleari occidentali e della NATO. Nelle prime dieci settimane della campagna militare, Mosca ha emesso circa 20 segnali nucleari: Putin già il 24 febbraio fece riferimento a “conseguenze mai viste nella storia” per chi avesse inteso “interferire” e, nell’apparizione televisiva del 27 febbraio, dispose l’innalzamento del livello di allerta dell’arsenale russo; le forze russe hanno condotto esercitazioni di sottomarini con armamento nucleare e disperso in Siberia lanciatori mobili di missili nucleari; inoltre stanno impiegando contro l’Ucraina missili abilitati anche per testate nucleari. Infine occorre anche considerare la presenza sul territorio di centrali e depositi di scorie nucleari, da subito coinvolti nel conflitto (https://ilbolive.unipd.it/it/news/impianti-nuclearicivili-guerra-norme). Eppure, una lettura attenta dei documenti e l’esame razionale degli avvenimenti e dei possibili scenari, rendono, a mio avviso, remota la possibilità di un effettivo impiego di armi nucleari nel breve termine, e comunque lontana l’urgenza che caratterizzò la crisi dei missili di Cuba. Armi nucleari “tattiche” Il continuo riferimento ad armi nucleari tattiche suggerisce l’idea che esista una differenza sostanziale rispetto a quelle “strategiche”: in realtà si tratta di ordigni basati sugli stessi principi fisici, in grado di produrre disastrosi effetti a seconda della loro potenza, modalità d’impiego e delle condizioni ambientali: una “palla di fuoco”, onde d’urto distruttive, un impulso elettromagnetico e radiazioni nucleari che causerebbero danni a lungo termine alla salute dei sopravvissuti; la ricaduta (fallout) radioattiva contaminerebbe l’aria, il suolo, l’acqua e le scorte alimentari potenzialmente di vaste zone. Il termine “arma nucleare tattica” non esiste nel glossario concordato dalle potenze nucleari membri del trattato di non proliferazione, né nell’ultima edizione del dizionario dei termini militari del ministero della difesa americano. Nei documenti ufficiali americani e russi si usa la distinzione “strategico” per i sistemi considerati nell’accordo New START e “non strategico” per tutti gli altri. In pratica le armi non strategiche sono intese per un impiego tattico, ossia da parte di forze terrestri, marittime o aeree contro forze avversarie, installazioni o strutture di supporto, a sostegno di operazioni che contribuiscono al compimento di una missione 2 militare di portata limitata, o a sostegno dello schema di manovra del comandante militare, solitamente limitate all’area delle operazioni militari. Una missione strategica è invece diretta contro uno o più obiettivi nemici selezionati con lo scopo di distruggere e disintegrare progressivamente la capacità e la volontà belliche del nemico. Gli obiettivi includono sistemi chiave di produzione, fonti di materie prime, materiali critici, scorte, impianti energetici, sistemi di trasporto, strutture di comunicazione e altri obiettivi simili. A differenza delle operazioni tattiche, le operazioni strategiche sono progettate per avere un effetto a lungo raggio piuttosto che immediato sul nemico e sulle sue forze militari. I sistemi strategici si avvalgono di vettori di gittata intercontinentale, mentre l’impiego tattico è ristretto in un campo di qualche centinaio di km. Per non sconvolgere in modo irrimediabile il campo di battaglia, la potenza delle armi di impiego tattico è mantenuta limitata, sotto i 100 kt. Ricordiamo che la resa di 1 kt corrisponde all’energia prodotta dall’esplosione di 1 milione di kg di tritolo e che la bomba su Hiroshima fu di 16 kt; per confronto, la più potente arma non nucleare (la BU-43 MOAB) ha la resa di 0,011 kt. Ad esempio, l’arma non strategica americana B61-12 può avere 4 possibili rese preselezionabili: 0,3 kt, 1,5 kt, 10 kt o 50 kt. Attualmente gli USA dispongono di circa 200 bombe aeree B61, di cui 100 in basi europee, mentre si stima che la Russia abbia circa 2000 armi non strategiche con una varietà di sistemi vettore. Una “scommessa per la resurrezione” di Putin? La motivazione principale del ricorso russo ad armi nucleari secondo molti osservatori e commentatori internazionali è l’inattesa prestazione sul campo di battaglia dell’esercito ucraino sostenuto dalla NATO, che potrebbe mettere alle strette Putin e indurlo a iniziative estreme. Più volte nella storia leader di paesi in gravissime difficoltà militari sono stati tentati di “scommettere per la resurrezione”, di continuare cioè a portare avanti una guerra già persa con un’intensità sempre maggiore, perché qualsiasi risultato al di sotto della vittoria avrebbe potuto significare la loro fine politica (o la loro morte). Così nel 1917, la Germania, non avendo alcuna speranza di vittoria, scatenò la sua arma segreta, gli U-Boot, per condurre operazioni illimitate in alto mare, in una strategia ad alto rischio, che poteva portare a una grande ricompensa (bloccare la Gran Bretagna) o a una grande calamità (far entrare in guerra gli Stati Uniti). Alla fine gli Stati Uniti entrarono in guerra, la Germania fu sconfitta e il kaiser rimosso dal potere. Analogamente, nel 1944 i nazisti iniziarono l’impiego massiccio di attacchi con i missili balistici V2 e i giapponesi ricorsero alle disperate imprese dei kamikaze, Wunderwaffen che non evitarono la disastrosa sconfitta di entrambi. Nel 1972, dal 18 al 28 dicembre, Richard Nixon ricorse alla campagna “natalizia” di bombardamenti su Hanoi e Haiphong, con l’impiego di 207 bombardieri B-52 e 2000 aerei tattici, la più distruttiva campagna aerea dai tempi della seconda guerra mondiale, salvo poi doversi ritirare dal Viet Nam e accettare l’unificazione del paese sotto il regime comunista. Ma la situazione attuale della Russia non è assolutamente confrontabile con quelle della Germania del ’17 o del ’45 o del Giappone: non ci sono città russe distrutte o minacciate e la vita quotidiana in Russia non è praticamente mutata, se non per le restrizioni ai diritti civili. L'”operazione militare speciale” non procede come era nelle aspettative di Putin, gli obiettivi iniziali sono stati ridimensionati e l’Ucraina sta liberando territori inizialmente occupati, 3 mentre continua il sostegno militare, politico ed economico dei paesi della NATO al governo di Kiev. Certamente l’operazione sta costando caro alla Russia in termini di caduti, mezzi, risorse umane ed economiche, nonché del prestigio militare, ma ha portato all’occupazione di una frazione significativa di territorio ucraino (territorio che può costituire una forte testa di ponte per riprendere l’attacco a Kiev con nuove forze), ha privato l’Ucraina dell’accesso al mare d’Azov e a gran parte del mar Nero, oltre aver prodotto pesanti distruzioni delle città, infrastrutture e risorse economiche e umane ucraine. Appare comunque certo che nel presente conflitto non vi sono gli estremi previsti per l’impiego di armi nucleari, sulla base del decreto 355 sui “fondamenti della politica statale della Federazione russa nell’area della deterrenza nucleare” approvato da Putin il 2 giugno 2020 (https://ilbolive.unipd.it/it/news/putin-svela-politica-nucleare-russa). Ricordiamo che il documento dichiara che “la Federazione russa considera le armi nucleari esclusivamente come un mezzo di dissuasione, il cui uso è una misura estrema e forzata dalle condizioni”. Le “condizioni che rendono possibile l’impiego di armi nucleari includono: (a) la ricezione di informazioni affidabili sul lancio di missili balistici contro il territorio della Federazione russa e (o) dei suoi alleati; (b) l’uso da parte di un avversario di armi nucleari o altre armi di distruzione di massa sui territori della Federazione russa e (o) dei suoi alleati; (c) azioni avversarie contro apparati statali o militari di importanza critica per la Russia, la cui disabilitazione potrebbe comportare l’impedimento delle azioni di ritorsione con forze nucleari; (d) aggressione contro la Federazione russa con armi convenzionali quando l’esistenza stessa dello stato sia posta a rischio”. Naturalmente la verifica delle condizioni del decreto è aperta a interpretazioni, ma le prime tre sono oggettivamente assenti e sarebbe un’estrema forzatura (e forse anche ridicolo) ritenere che le azioni sul campo in Ucraina possano porre a rischio “l’esistenza stessa dello stato” russo. Anche se il presidente russo ritenesse di ricorrere ad armi nucleari, dovrebbe, secondo quanto sembra sicuro, ottenere l’adesione del ministro della difesa o del capo di stato maggiore delle forze armate; quest’ultimo dovrebbe comunque verificare la validità dell’ordine a fronte della dottrina militare prima di renderlo operativo. Il necessario coinvolgimento dei militari è un possibile elemento di stabilità e ragionevolezza: essi conoscono bene gli effetti delle esplosioni nucleari e le caratteristiche e i rischi di una possibile guerra nucleare tattica. Inoltre, dal 1° marzo il dipartimento della difesa americano e il ministero della difesa russo sono collegati da una linea diretta di comunicazione (deconfliction line) allo scopo di prevenire errori di calcolo, incidenti militari e rischi di escalation in emergenziali situazioni critiche di sicurezza. Questo canale e i numerosi contatti diplomatici e politici, oltre che dei massimi esponenti militari, occorsi fra Russia e Stati Uniti fanno escludere l’eventualità di un attacco nucleare russo diretto contro obiettivi nell’Europa occidentale (pure considerato da alcuni analisti), come i centri focali di rifornimento di armi e mezzi situati in Polonia e Romania. Un tale atto provocherebbe l’immediato ricorso del paese colpito all’articolo V del trattato di Washington e la Russia si troverebbe a dover subire la reazione armata della NATO e il rischio di una guerra globale continua parte2