Negoziare, negoziare, negoziare. Su tutto. Anche nelle condizioni più difficili e sui temi più intrattabili posti dalla Russia.

il link per collegarsi zoom con Anpi Mirano dalle 18.30  https://us02web.zoom.us/j/86900049802?pwd=b1VlM2RhRjhmZERzb1BBV3VaY3JhUT09

il link per collegarsi zoom con Centro Pace Mirano dalle 19 in poi
https://meet.google.com/tko-cxvf-hud

In queste ore di angoscia e preoccupazione, facciamo nostro l’appello di Papa Francesco a partecipare tutti, credenti e non credenti, alla Giornata di digiuno per la pace del prossimo 2 marzo. Per i credenti sarà “una giornata intensa di preghiera e di digiuno”. Per tutti sia un giorno di intensa riflessione e impegno di pace.



Negoziare, negoziare, negoziare. Su tutto. Anche nelle condizioni più difficili e sui temi più intrattabili posti dalla Russia. L’alternativa è una catastrofica guerra globale che devasterà l’Europa e non avrà vincitori. Questa è la supplica che rivolgiamo all’Italia, all’Unione Europea, all’Onu e a tutti responsabili della politica internazionale.

Siate realisti! Queste sono le ore in cui dobbiamo spezzare le leggi della guerra e la logica dello scontro. Non possiamo aspettare che sia il governo russo a fare il primo passo.

Negoziare non vuol dire cedere alla guerra e alla legge della forza ma fermare la sua pericolosa escalation militare.

Dobbiamo uscire dalla politica delle sanzioni, dalla logica del colpo su colpo, per ricostruire lo spazio per il dialogo e il negoziato politico con la Russia. Lo si è fatto durante la guerra fredda con la Conferenza e gli Accordi di Helsinki. E lo si deve fare ora che rischiamo la catastrofe più grande.

Negoziare vuol dire essere disponibili a modificare le proprie posizioni per costruirne una comune. Fare un passo indietro per fare un passo avanti sulla via della pace. Ripetiamo: con la guerra tutto è perduto. Con la pace tutto è possibile!

“Bisogna assicurare il dominio incontrastato del diritto e l’infaticabile ricorso al negoziato, ai buoni uffici e all’arbitrato, come proposto dalla Carta delle Nazioni Unite, vera norma giuridica fondamentale” (Papa Francesco, Fratelli Tutti). Il Diritto nato dalla consapevolezza acquisita con gli anni e i danni colossali della II guerra mondiale vieta la minaccia e l’uso della forza per la risoluzione delle controversie internazionali e pone la dignità umana a fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo. E’ proprio in questi momenti di alta tensione che questo diritto deve essere applicato con saggezza, intelligenza e lungimiranza.Tutti saremo giudicati dai risultati delle nostre azioni.

Attenzione! C’è una responsabilità per tutti! Se davvero vogliamo la pace smettiamo tutte le guerre e incominciamo a prenderci cura di ciascun essere umano e della natura che ci nutre e ci accoglie.

Tavola della pace
Centro Diritti Umani “Antonio Papisca” – Università di Padova

Commento del Sindaco di Hiroshima sul Primo Anniversario del TPNW-Proibizione delle Armi Nucleari

Il 22 gennaio ricorre il primo anniversario del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari

(TPNW). Tuttavia, la situazione internazionale resta tesa: abbiamo assistito a una diffidenza reciproca che

si approfondire sempre più tra Stati Uniti, Russia e Nazioni europee per quanto riguarda l’Ucraina,

e una lotta per la supremazia tra Stati Uniti e Cina su argomenti come Taiwan.

Inoltre, gli stati con armi nucleari, utilizzando queste  situazioni internazionali di contrapposizione, Trattato di non proliferazione nucleare (NPT), hanno rilasciato una dichiarazione congiunta

in cui affermavano, per la prima volta, l’”aforisma”di Reagan-Gorbachev del 1985, secondo cui

“la guerra nucleare non può essere vinta e non deve mai essere combattuta”. Proprio come allora i leader degli Stati Uniti e

La Russia una volta hanno costruito un rapporto di fiducia e hanno tenuto discussioni che hanno portato a sostanziali

 riduzioni dei loro arsenali nucleari, così oggi ci si incammini passo dopo passo verso l’abolizione del nucleare.  Questo sentimento deve essere dominante  affinchè i leader mondiali di queste cinque Nazioni

circostanze usate come scusa, hanno versato enormi somme di denaro per migliorare la loro

capacità nucleari e modernizzare le loro armi nucleari in concorrenza l’ una con l’altra.

È profondamente allarmante che la situazione attuale non rifletta la fervente volontà degli

l’hibakusha, i superstiti di Hiroshima e Nagasaki. La loro presenza e determinazione  fungevano da forza trainante per il TPNW.

In queste circostanze, il 3 gennaio di quest’anno, i leader degli cinque Stati nucleari riconosciuti dal

intraprendino azioni concrete in linea con la loro dichiarazione. Questo forte sentimento di tutti i cittadini e di tutti gli hibakusha che condividono la Volontà di

Hiroshima,  spinge verso la realizzazione di un mondo senza armi nucleari, come l’adozione

di politiche di non primo utilizzo (First Strike) e la discussione di politiche a scopo unico pet Riunione di Stati parti del TPNW.

Ricordiamo che è stato l’ardente desiderio dell’hibakusha che ha facilitato l’entrata in vigore del

il TPNW, dellla città di Hiroshima, insieme alle città membri di Mayors for Peace.     Lavorare e

creare consenso nella società civile sul fatto che un mondo libero dalle armi nucleari è l’unico mondo

per cui l’umanità dovrebbe lottare e creare così un ambiente che incoraggi i responsabili politici ad assumere cambiamenti radicali nella politica per l’abolizione nucleare, e liberarsi così dalla teoria

della deterrenza nucleare

21 gennaio 2022

MATSUI Kazumi

Sindaco della città di Hiroshi

La Segreteria nazionale ANPI: “CONDANNIAMO FERMAMENTE L’INVASIONE DELL’UCRAINA”

24 Febbraio 2022

Comunicato della Segreteria nazionale ANPI. “Un atto di guerra che nega il principio dell’autodeterminazione dei popoli e fa precipitare l’Europa sull’orlo di un conflitto globale“. Gli eventi ANPI in tutta Italia, in continuo aggiornamento, su https://www.anpi.it/eventi/ Manifestazione nazionale a Roma il 26 febbraio

La Segreteria Nazionale dell’ANPI condanna fermamente l’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa. È un atto di guerra che nega il principio dell’autodeterminazione dei popoli, fa precipitare l’Europa sull’orlo di un conflitto globale, impone una logica imperiale che contrasta col nuovo mondo multipolare, porta lutti e devastazioni.

La Segreteria Nazionale dell’ANPI auspica che non si avvii una ulteriore escalation militare come reazione all’invasione, che si lavori per l’immediato cessate il fuoco riaprendo un canale diplomatico, che l’Italia rimanga fuori da ogni operazione bellica nel pieno rispetto dell’art. 11 della Costituzione, che l’Unione Europea, la Russia, gli Stati Uniti d’America e la Nato ripensino criticamente ad una politica che negli ultimi 15 anni ha determinato crescenti tensioni e incomprensioni.

La Segreteria Nazionale dell’ANPI fa appello alle forze sociali e politiche e a tutti i cittadini per una immediata e grande mobilitazione unitaria per il ritiro delle forze armate russe dall’Ucraina e per la pace, a cominciare dalla manifestazione nazionale che si svolgerà a Roma sabato 26 febbraio.

Roma, 24 febbraio 2022

24 Febbraio 20

“Ucraina: TORNI UN GRANDE MOVIMENTO PER LA PACE”

22 Febbraio 2022

Appello della Segreteria nazionale ANPI. Gli eventi in tutta Italia, in continuo aggiornamento, su www.anpi.it/eventi/

L’UMANITÀ AL POTERE

Siamo a un passo dal baratro. A chi governa la Russia, gli Stati Uniti, l’Ucraina, i Paesi dell’Unione Europea, il nostro stesso Paese, chiediamo un atto di responsabilità e di saggezza. Prima che sia troppo tardi. Il delirio bellicista va sconfitto dalla forza tranquilla di Paesi e popoli che sanno che la guerra, oltre a lacrime, sangue e devastazioni, oggi porta solo alla sconfitta di tutti; basti pensare all’Iraq, alla Libia, all’Afghanistan.

LANCIAMO UN APPELLO PERCHE’ IN TUTTA ITALIA AL PIU’ PRESTO SI DIA VITA A INIZIATIVE, PRESIDI, MANIFESTAZIONI UNITARIE PER LA PACE. TORNI UN GRANDE E DIFFUSO MOVIMENTO PER LA PACE, OGGI TIMIDO, E CONTRO L’IRRESPONSABILE CORSA AL RIARMO.

Il riconoscimento dell’indipendenza del Donbass da parte della Russia può portare il mondo a un passo dalla guerra ed è l’ultimo, drammatico atto di una sequenza di eventi innescata dal continuo allargamento della NATO ad est vissuto legittimamente da Mosca come una crescente minaccia.

Auspichiamo che si avvii perciò una trattativa generale sotto l’egida dell’ONU per ottenere questi obiettivi:

• Contestualmente, l’Ucraina riconosca l’autonomia del Donbass prevista dagli accordi di Minsk, ma mai attuata dal governo di Kiev, rispetti la sua popolazione russofona, cessi i bombardamenti in Donbass confermati dalla fuga di decine di migliaia di civili di quella regione in Russia, sciolga le milizie naziste, oggi in prima fila nell’attacco al Donbass, e Putin revochi il riconoscimento dell’indipendenza del Donbass, perché viola l’integrità territoriale di un Paese sovrano e scatena una serie di reazioni e controreazioni che possono portare in brevissimo tempo alla guerra.

• L’Unione Europea, nel condannare il riconoscimento dell’indipendenza del Donbass da parte della Russia, avanzi una proposta di composizione pacifica del conflitto al fine dell’attuazione integrale degli accordi di Minsk e avvii finalmente una politica di cooperazione e non di continua ostilità nei confronti della Russia. La vera forza dell’Europa unita è nella sua capacità di proporsi come messaggero di amicizia fra i popoli.

• Biden cessi immediatamente sia le clamorose ingerenze nella vita interna dell’Ucraina iniziate fin dai tempi di Maidan, quando nel governo ucraino entrò la statunitense Natalia Jaresco, sia le sue dichiarazioni belliciste e le sue ininterrotte minacce nei confronti della Russia.

• La NATO non può e non deve intervenire in caso di precipitazione bellica, perché ciò avverrebbe in violazione dei suoi compiti, che sono limitati alla difesa dei soli Paesi membri dell’Alleanza. In sostanza va profondamente ridiscusso il ruolo della NATO, che non può essere al servizio di una politica di potenza, e vanno avviate trattative per un sistema di reciproca sicurezza che garantisca sia l’UE che la Federazione russa.

Auspichiamo in particolare che il governo italiano rispetti un inviolabile obbligo costituzionale: l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.

L’Italia può svolgere un ruolo di raffreddamento delle tensioni e di pacificazione attraverso gli strumenti della diplomazia e del negoziato. Così rafforza il suo prestigio internazionale e il suo ruolo di ambasciatrice di pace nel mondo.

CONTRO IL POTERE DELLA GUERRA E CONTRO OGNI LOGICA IMPERIALE, DIAMO VOCE ALLA PACE PER L’UMANITÀ AL POTERE!

LA SEGRETERIA NAZIONALE ANPI

22 febbraio 2022

Addio al Partigiano Alessandro

Ci ha lasciato Alessandro Furlan antifascista e giovane partigiano  durante la lotta al nazifascismo negli anni 43’-45.

L’Anpi Mirano porge le più sentite condoglianze ai familiari.

L’ultimo saluto, domani venerdì 18 febbraio alle ore 15.15 nel

Duomo di Mirano.                                    Bruno Tonolo 

La Guerra alle porte https://mail1.libero.it/appsuite/api/image/mail/picture?folder=default0%2Foutbox&id=5840&uid=c1c0ccd04a304a91859669200055d5cd%40open-xchange.com

I cinque cerchi spezzati

Manlio Dinucci

Le Olimpiadi invernali del 2014 – che si aprirono a Sochi in Russia il 7 febbraio alla vigilia dell’esplosione della crisi ucraina con il putsch di Piazza Maidan (18-20 febbraio) – furono definite nella campagna mediatica anti-russa le «Olimpiadi dello zar Putin».  Il presidente Obama e il vice Biden, seguiti da altri, le boicottarono accusando la Russia di violare i diritti umani degli Lgbt. Stesso scenario oggi con le Olimpiadi invernali di Pechino, definite nella campagna mediatica anti-cinese «i Giochi di potere di Xi, il Grande timoniere olimpico» (La Repubblica, 3 febbraio). Il presidente Biden le ha boicottate, accusando la Cina di violare i diritti umani degli Uiguri. Al seguito degli Stati uniti, la Gran Bretagna, il Canada, l’Australia, la Lituania, l’Estonia e il Kosovo (noto difensore dei diritti umani, inquisito per traffico di esseri e organi umani) hanno dichiarato il «boicottaggio diplomatico» delle Olimpiadi di Pechino.

Il boicottaggio fa parte della strategia di Washington di «contenimento» della Cina. Essa non è rimasta semplicemente la «fabbrica del mondo» in cui le multinazionali statunitensi ed europee hanno delocalizzato da decenni gran parte delle loro produzioni, ricavandone colossali profitti. La Cina ha realizzato un proprio sviluppo produttivo e tecnologico e, su tale base, progetti come la Nuova Via della Seta: una rete terrestre (viaria e ferroviaria) e marittima tra la Cina e l’Europa attraverso l’Asia Centrale, il Medio Oriente e la Russia. In tale quadro, le relazioni economiche tra Cina e Russia si sono rafforzate, soprattutto dopo le sanzioni imposte da Stati uniti e UE alla Russia. L’interscambio tra Stati uniti e Cina resta maggiore, ma, dato che molti prodotti sul mercato statunitense sono fabbricati in Cina da multinazionali Usa o forniti da società cinesi, gli Stati uniti registrano nel commercio bilaterale un deficit di oltre 300 miliardi di dollari annui. La Cina ha inoltre fortemente ridotto i propri investimenti negli Usa. Ancora più grave per Washington è il fatto che la quota in dollari delle riserve valutarie cinesi è sensibilmente calata e che la Cina cerca monete alternative a quella statunitense da usare nel commercio internazionale, mettendo in pericolo l’egemonia del dollaro.

Non potendo arrestare tale processo che può mettere fine al predominio economico degli Stati uniti, Washington getta la spada sul piatto della bilancia. Il «contenimento» economico diventa «contenimento» militare. L’ammiraglio Davidson, capo del Comando dell’Indo-Pacifico – la regione che nella geopolitica di Washington si estende dalla costa occidentale degli Usa a quella dell’India – ha richiesto al Congresso 27 miliardi di dollari per costruire attorno alla Cina una cortina di basi missilistiche e sistemi satellitari. «Dobbiamo cominciare ad affrontare la Cina da una posizione di forza», ha dichiarato il segretario di Stato Antony Blinken.

In tale quadro rientra l’Aukus, il partenariato strategico-militare costituito da Stati uniti, Gran Bretagna e Australia con «l’imperativo di assicurare la pace e stabilità nell’Indo-Pacifico». Stati Uniti e Gran Bretagna aiuteranno l’Australia ad acquisire sottomarini a propulsione nucleare, armati di missili sicuramente anche a testata nucleare, tipo il Trident D5 Usa che può trasportare fino a 14 testate termonucleari indipendenti. Questi sottomarini di fatto sotto comando Usa, avvicinandosi alle coste della Cina e della Russia, potrebbero colpire in pochi minuti i principali obiettivi in questi paesi con una capacità distruttiva pari a oltre 20 mila bombe di Hiroshima.

Cina e Russia rafforzano di conseguenza non solo la loro cooperazione economica, ma anche quella politica e militare.  Nella dichiarazione congiunta a Pechino, i presidenti Xi Jinping e Vladimir Putin hanno sottolineato che «Russia e Cina si oppongono ai tentativi di forze esterne di minare la sicurezza e stabilità nelle loro regioni adiacenti» e che «si oppongono all’ulteriore allargamento della Nato». La strategia Usa-Nato della tensione e della guerra, che riporta al confronto tra blocchi contrapposti, spezza i cinque cerchi intrecciati, simbolo olimpico dei cinque continenti uniti per «un mondo migliore e pacifico».

(il manifesto, 8 febbraio 2022)

SCONGIURARE LA GUERRA IN UCRAINA

https://www.peacelink.it/conflitti/a/48956.html

Un forum per promuovere un appello contro la guerra

Il conflitto in Ucraina e il ruolo del movimento per la pace

In questa pagina web riportiamo le voci di tutti coloro che stanno partecipando ai webinar di PeaceLink con lo scopo di definire una piattaforma comune di obiettivi finalizzati a evitare una degenerazione dell’aspro confronto in atto fra la Russia e la Nato22 gennaio 2022Redazione PeaceLink

No alla guerra in Ucraina

Il 19 gennaio 2022 si è svolto il primo seminario online finalizzato a comprendere il conflitto in Ucraina.

Qui raccogliamo i materiali prodotti fino a ora. Tutti coloro che vorranno inviare o segnalare qualcosa di utile troveranno in questa pagina web un punto di raccolta e prima organizzazione dell’informazione relativa a questo complesso conflitto.

La relazione introduttiva di Alessandro Marescotti si è basata su alcune slides (cliccare qui) mentre la relazione di Domenico Gallo ha portato all’attenzione questioni di grande rilievo che sono state poi sistematizzate in un intervento scritto (cliccare qui).

Di particolare interesse è stata la relazione di padre Alex Zanotelli (dal minuto 22 del video incluso in questa pagina web) che ha messo in evidenza come il nodo di fondo della tensione in atto risieda nella richiesta dell’Ucraina di entrare nella Nato.

I materiali sull’Ucraina sono stati raccolti in un apposito dossier (cliccare qui).

Mercoledì 26 gennaio alle ore 21 vi sarà un nuovo appuntamento del forum con un webinar a più voci. Chi vuole prenotarsi può scrivere a questa email: [email protected]

Il link per connettersi online mercoledì prossimo è www.peacelink.it/riunione

27 GENNAIO 2022 GIORNATA DELLA MEMORIA

Legge 20 luglio 2000, n. 211

“Istituzione del “Giorno della Memoria” in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti”

pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 177 del 31 luglio 2000

Art. 1.

1. La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonchè coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.

Art. 2.

1. In occasione del “Giorno della Memoria” di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinchè simili eventi non possano mai più accadere.

Nella legge sul giorno della memoria manca la responsabilità dei fascisti

\u00A9Publifoto/Archivio Storico Lapresse 26-01-2005 Milano, Italia Interni Nella foto d'archivio: BENITO MUSSOLINI passa in rivista le grandi unit\u02C6. Busta 3008/1
©Publifoto/Archivio Storico Lapresse 26-01-2005 Milano, Italia Interni Nella foto d’archivio: BENITO MUSSOLINI passa in rivista le grandi unitˆ. Busta 3008/1

MICHELE SARFATTI15 gennaio 2022 • 11:00Aggiornato, 17 gennaio 2022 • 14:29

  • Dal luglio 2000 la legge sul Giorno della memoria invita gli italiani a ricordare, ogni 27 gennaio, la Shoah e le «leggi razziali», i deportati politici, i militari internati, coloro che si opposero allo sterminio a rischio della vita.
  • La legge del 27 gennaio ha una singolare lacuna: il suo titolo e il suo testo menzionano i «campi nazisti», ma non contengono i vocaboli fascismo, fascisti.
  • Concerne l’insieme della Shoah, la persecuzione antiebraica avvenuta in Italia, tutti i perseguitati italiani, i soccorritori. Né essa, né altre leggi della nostra Repubblica hanno per oggetto la violenza omicida italiana fascista nelle terre colonizzate o occupate e le sue vittime.

COME POTETE VEDERE “NELLA LEGGE SUL GIORNO DELLA MEMORIA MANCA LA RESPONSABILITA’ FASCISTA”. Questo è il titolo dell’articolo del Prof. Michele Sarfatti, storico della persecuzione degli ebrei nel XX secolo, apparso il 15 Gennaio 2022 nel quotidiano Domani .

https://www.michelesarfatti.it/

“NELLA LEGGE. Si parla dei campi nazisti ma non del ruolo del fascismo e di Mussolini

https://campifascisti.it/

PENSARE ED ESSERE IN PACE: ma è proprio così ?

Il piano Usa di un Afghanistan dentro l’Europa

Manlio Dinucci dal Manifesto

Soldati in assetto di guerra e veicoli corazzati da combattimento sono stati schierati dalla Svezia su Gotland, l’isola nel Mar Baltico a 90 km dalle sue coste orientali. Il ministero della Difesa dichiara che lo ha fatto per difendere l’isola da minacciose navi da sbarco russe che incrociano nel Mar Baltico. Così anche la Svezia contribuisce, in veste di partner, alla frenetica campagna Usa-Nato che, rovesciando la realtà, presenta la Russia quale potenza aggressiva che si prepara a invadere l’Europa.  

A 130 km a est di Gotland, la Lettonia è in stato di allerta, insieme a Lituania ed Estonia, contro il nemico inventato che starebbe per invaderla. Quale «difesa contro la minaccia russa», la Nato la schierato nelle tre repubbliche baltiche e in Polonia quattro battaglioni multinazionali. A quello in Lettonia partecipa l’Italia, con centinaia di soldati e mezzi corazzati.

L’Italia è inoltre l’unico paese che ha partecipato a tutte le missioni di «polizia aerea» della Nato, da basi in Lituania ed Estonia, e il primo che ha usato caccia F-35 per intercettare aerei russi in volo nel corridoio aereo internazionale sul Baltico. Gli F-35 e altri caccia, schierati in questa regione a ridosso del territorio russo, sono aerei a duplice capacità convenzionale e nucleare.

Le tre repubbliche baltiche non si sentono però abbastanza «protette dalla presenza avanzata rafforzata della Nato». Il ministro lettone della Difesa, Artis Pabriks, ha richiesto una presenza militare Usa permanente nel suo paese: le forze Usa – spiegano gli esperti in base a uno scenario da film hollywoodiano – non farebbero in tempo ad arrivare dalla Germania per fermare le forze corazzate russe che, dopo aver travolto le tre repubbliche baltiche, le taglierebbero fuori dall’Unione europea e dalla Nato, occupando il corridoio di Suwalki tra Polonia e Lituania.

L’Ucraina, partner ma di fatto già membro della Nato, ha il ruolo di primo attore quale paese aggredito. Il governo denuncia, in base alla sua parola d’onore, di essere stato colpito da un cyberattacco, attribuito ovviamente alla Russia, e la Nato si precipita, insieme alla Ue, ad aiutare l’Ucraina a combattere la guerra cibernetica. Washington denuncia che l’Ucraina è ormai circondata da tre lati dalle forze russe e, in previsione del blocco delle forniture di gas russo all’Europa, si prepara generosamente a sostituirle con massicce forniture di gas naturale liquefatto statunitense.

L’attacco russo – informa la Casa Bianca sulla base di notizie la cui veridicità è garantita dalla CIA – sarebbe preparato da una operazione false flag: agenti russi, infiltrati in Ucraina orientale, compirebbero sanguinosi attentati contro gli abitanti russi del Donbass, attribuendone la responsabilità a Kiev quale pretesto dell’invasione. Non ricorda la Casa Bianca che in dicembre il ministro russo della Difesa, Sergei Shoigu, aveva denunciato la presenza in Ucraina orientale di mercenari Usa con armi chimiche.

Gli Stati uniti – riporta il New York Times – hanno comunicato agli Alleati che «qualsiasi rapida vittoria russa in Ucraina sarebbe seguita da una sanguinosa insurrezione simile a quella che costrinse l’Unione Sovietica a ritirarsi dall’Afghanistan» e che «la CIA (segretamente) e il Pentagono (apertamente) la sosterrebbero». Gli Stati uniti – ricorda James Stavridis, già Comandante Supremo Alleato in Europa – sanno come farlo: alla fine degli anni Settanta e negli anni Ottanta armarono e addestrarono i mujahidin contro le truppe sovietiche in Afghanistan, ma «il livello di sostegno militare Usa a una insurrezione ucraina farebbe apparire come un’inezia quello che demmo in Afghanistan contro l’Unione Sovietica».

Quale sia il disegno strategico di Washington è evidente: far precipitare la crisi ucraina, volutamente provocata nel 2014, per costringere la Russia a intervenire militarmente in difesa dei russi del Donbass, finendo in una situazione analoga a quella afghana in cui si impantanò l’Urss.  Un Afghanistan dentro l’Europa, che provocherebbe uno stato di crisi permanente, a tutto vantaggio degli Usa che rafforzerebbero la loro influenza e presenza nella regione.

(il manifesto, \8 gennaio 2021)

da Sputnik

Esce a maggio la Bomba per l’Italia

Manlio Dinucci

Fra quattro mesi, in maggio, inizia negli Usa la produzione su larga scala della nuova bomba nucleare B61-12: lo annuncia la U.S. Department of Energy’s National Nuclear Security Administration (L’Amministrazione per la sicurezza nucleare nazionale, NNSA, facente parte del Dipartimento Usa dell’Energia). Man mano che usciranno di fabbrica, le nuove bombe nucleari saranno consegnate alla US Air Force, che le installerà nelle basi in Italia e altri paesi europei al posto delle B61.

La B61-12 è una nuova arma nucleare polivalente che sostituisce tre delle varianti dell’attuale B61 (3, 4 e 7).  Ha una testata nucleare con quattro opzioni di potenza, selezionabili a seconda dell’obiettivo da distruggere.  Non viene sganciata in verticale come la B61, ma a distanza dall’obiettivo su cui si dirige guidata da un sistema satellitare. Può penetrare nel sottosuolo, esplodendo in profondità per distruggere i bunker dei centri di comando così da «decapitare» il paese nemico in un first strike nucleare. Per tale attacco la US Air Force dispone anche della quarta variante della B61, la B61-11 penetrante, ammodernata nel 2001. La B61-12, conferma la NNSA, può essere lanciata sia dal bombardiere stealth B-2A e dal futuro B-21, sia da caccia a duplice capacità convenzionale e nucleare. Tra questi vi sono gli F-16C/D statunitensi schierati ad Aviano e i Tornado italiani PA-200 schierati a Ghedi. Ancora più idonei all’attacco nucleare con le B61-12 sono gli F-35A, già operativi anche nell’Aeronautica italiana.

La NNSA comunica che «tutta la produzione necessaria di B61-12» sarà completata nell’anno fiscale 2026. Il programma prevede la costruzione di 500 bombe, con un costo di circa 10 miliardi di dollari (per cui ciascuna viene a costare il doppio di quanto costerebbe se fosse costruita interamente in oro). Il loro numero effettivo resta però segreto, come resta in gran parte segreta la loro dislocazione geografica. Essa costituisce il fattore determinante della capacità offensiva delle bombe nucleari B61-12. Se fossero dislocate tutte in territorio statunitense, pronte ad essere trasportate con i bombardieri strategici, ciò non costituirebbe una sostanziale modifica degli attuali assetti strategici. Le B61-12 saranno invece dislocate in altri paesi a ridosso soprattutto della Russia, pronte ad essere trasportate e lanciate con gli F-35 e altri caccia.  

Le basi di Aviano e Ghedi sono state ristrutturate per accogliere i caccia F-35A armati delle nuove bombe nucleari. A Ghedi possono essere schierati 30 caccia italiani F-35A, pronti all’attacco sotto comando Usa con 60 bombe nucleari B61-12.  Non è escluso che esse vengano dislocate anche in altre basi sul territorio italiano.  Non è escluso che, oltre ad essere dislocate in Germania, Belgio e Olanda, siano schierate anche in Polonia, le cui forze aeree partecipano da anni alle esercitazioni Nato di guerra nucleare, e in altri paesi dell’Est. I caccia Nato dislocati nelle repubbliche baltiche, a ridosso della Russia, possono essere anch’essi armati delle B61-12. Non è escluso che le nuove bombe nucleari possano essere schierate anche in Asia e Medioriente contro Cina e Iran. Nonostante siano classificate come «armi nucleari non-strategiche», le B61-12, avvicinate agli obiettivi, hanno capacità offensive analoghe a quelle delle armi strategiche (come le testate nucleari dei missili balistici intercontinentali). Sono quindi armi destabilizzanti, che provocheranno una reazione a catena accelerando la corsa agli armamenti nucleari.                                                                                                                                                            

Le 5 potenze nucleari membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Regno Unito – affermano, in una dichiarazione congiunta (3 gennaio), che «una guerra nucleare non può essere vinta e non deve mai essere combattuta» e che «rimaniamo impegnati a portare avanti negoziati in buona fede su misure efficaci relative alla cessazione della corsa agli armamenti nucleari e al disarmo nucleare». Si impegnino allora gli Usa a non schierare in altri paesi, ancora meglio a non produrre, le nuove bombe nucleari B61-12. 

(il manifesto, 11 gennaio 2022) 

17 Gennaio 1945 Fucilazione al Cimitero di Mirano di sette Partigiani.


I GIORNI DELLA MEMORIA. 17 gennaio 1945

mirano

Eccidio di Mirano. Il 17 gennaio 1945, presso il cimitero di Mirano, sette partigiani miranesi furono fucilati dai nazifascisti. I loro nomi erano Luigi Bassi, Ivone Boschin, Dario Camilot, Michele Cosmai, Primo Garbin, Aldo Vescovo e Gianmatteo Zamatteo. Erano stati arrestati assieme ad altri partigiani all’inizio del gennaio 1945 per rispondere alle accuse di una spia e, in seguito ad un processo pubblico, erano stati condannati a morte.

Link del filmato che ricorda la violenza nazifascista:

https://www.youtube.com/watch?v=6Olf_wMt1gQ&list=PLpTV25oYTJZfnWWw_4rtdNaTzbBuoEk95&index=21&t=10s

PACE LAVORO SCIENZA SONO I PRINCIPI COSTITUTIVI PER IL PRESENTE E PER IL FUTURO

“Si è svolto questa mattina, in video conferenza con il Mise, l’incontro per la Speedline alla presenza del CEO della Ronal Group, multinazionale svizzera.
Il motivo che ha portato il CDA a decidere la chiusura dello stabilimento di Tabina a Santa Maria di Sala in Provincia di Venezia, e delocalizzare la produzione, sembra essere dovuto all’andamento negativo del mercato, in particolare nella fase della pandemia, e all’eccesso dell’offerta di ruote anche collegato alla concorrenza cinese. Nel 2021 Speedline ha perso 23 milioni di euro. Ronal Group produce 15 milioni di ruote in tutto il Mondo e 800mila ruote nello stabilimento di Speedline.

La chiusura dello stabilimento, nel quale sono impiegati oltre 620 lavoratrici e lavoratrici diretti, oltre a circa 200 dell’indotto sarebbe un disastro per le prospettive industriali e occupazionali del territorio e un duro colpo alla filiera del “Made in Italy” in particolare quella dell’extra lusso che peraltro è tutt’altro che in crisi.

E’ necessario quindi richiamare alle proprie responsabilità le aziende a cui forniscono i cerchioni per le auto, a partire da Lamborghini, Ferrari e Maserati, che stanno predisponendo, tra l’altro, nuovi modelli per il futuro.

La Fiom e la Cgil hanno chiesto di dare avvio all’apertura del confronto ma senza pregiudiziali con l’obiettivo del mantenimento delle produzioni e della tutela occupazionale delle lavoratrici e dei lavoratori, richieste sostenute da parte di tutte le Istituzioni nazionali e territoriali presenti al tavolo. L’azienda ha annunciato la sospensione della decisione per il periodo del confronto, tempo che deve servire a trovare la soluzione per mantenere la produzione e l’occupazione. Ora è necessario che tutti i soggetti, a partire dal Mise alla Regione Veneto, mettano a disposizione del tavolo tutti gli strumenti utili a garantire l’occupazione e il rilancio dell’azienda.

Questa vicenda è l’ennesimo segnale che nel settore sono in atto cambiamenti, tecnologici e organizzativi che mettono a rischio 50 mila posti di lavoro. E’ per tali ragioni che chiediamo un tavolo sul settore con il Governo e le imprese per predisporre gli strumenti utili a prevenire il proliferare di nuove crisi industriali. E’ necessario un piano straordinario per il settore automotive e per tutta la filiera, perchè è a rischio un intero settore strategico per l’industria del nostro Paese.

Domenica 19 dicembre saremo alla manifestazione indetta dalle segreterie di Fiom e Fim di Venezia alle ore 11 a Villa Farsetti di Santa Maria di Sala, con il corteo che partirà alle ore 10 dallo stabilimento di Speedline”.

Lo dichiarano in una nota congiunta Simone Marinelli, coordinatore nazionale automotive per la Fiom-Cgil e Silvia Spera, Area Politiche Industriali per la Cgil nazionale, Manuela Musolla Segretaria della Fiom-Cgil di Venezia e Ugo Agiollo, segretario generale della Cgil di Venezia.

Roma, 17 dicembre 2021

Comunicato congiunto Fim Cisl e Fiom Cgil

Santa Maria di Sala 20 dicembre 2021

Oggi grandissima e partecipatissima manifestazione per la Speedline di Tabina. Più di 1500 persone. Oltre a tutte le lavoratrici e i lavoratori di Speedline, hanno aderito anche i cittadini del territorio salese, le istituzioni e le rappresentanze politiche venete. Un sentito grazie alla Regione Veneto e alla città metropolitana di Venezia per il contributo a questa iniziativa e un ringraziamento al patriarca di Venezia e ai vescovi presenti.
È stata l’occasione per dimostrare la compattezza delle segreterie nazionali e di tutto il sindacato nel seguire da vicino questa vicenda. Abbiamo accolto con positività il messaggio del ministro Federcio D’Incà che sta seguendo da vicino questa vertenza.
Per le segreterie di Fim e Fiom Venezia e per la RSU, quella di oggi rappresenta un grande e importante messaggio alla Ronal e con questa iniziativa trasversale dimostriamo al gruppo che la comunità, non solo sindacale, è stretta intorno a questa fabbrica e insieme sosterremo questa vertenza.
Adesso è importante accelerare e iniziare un percorso di confronto con l’impresa, saltando i consulenti che rischiano di chiudere il numero di possibilità anziché aumentarle. 
Chiediamo, come fatto oggi, a tutte le istituzioni e alla politica di accompagnare questo processo di convincimento della multinazionale. Tutti insieme dobbiamo fare in modo che le scelte di chiudere dichiarate da Ronal siano davvero sospese e si inizi a lavorare ad un rilancio per la Speedline.
Come organizzazioni sindacali, metteremo in campo altre iniziative nelle prossime settimane e nel prossimo mese, per evitare che possa diminuire l’attenzione su questa vertenza.
Sappiamo che al Ministero dello Sviluppo Economico e al Ministero del Lavoro, c’è molta attenzione su Speedline e sul tema delle delocalizzazioni. 
Va costruita una proposta per riuscire a ridare dignità e futuro a questa impresa.
Grazie a tutti quelli che hanno partecipato e sostenuto l’iniziativa di oggi.
SEGRETERIE FIM-CISL E FIOM-CGIL VENEZIA

dove ci può portare il “patriottismo” di Georgia Meloni e del centro-destra

Il pericoloso “patriottismo” di Giorgia Meloni

Gianfranco Pagliarulo

Torna all’attacco della Costituzione del 1948, la numero uno di FdI per riscriverla a suo uso e consumo, come non aveva osato neppure la Lega. Nella sua proposta: la derubricazione dei poteri, già compromessi, del parlamento, la relega in soffitta di ogni partecipazione popolare, e l’elezione a suffragio universale e diretto del presidente della repubblica

Costituzione Democrazia Politica

Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale Anpi

L’enfasi e la retorica da un lato e la accurata rimozione dall’altro sembrano alle volte la cifra di tanta parte della politica italiana. A proposto di rimozione è semplicemente stupefacente il grande silenzio sulle dichiarazioni di Giorgia Meloni a proposito del parlamento, della repubblica presidenziale con l’elezione del capo dello Stato a suffragio universale e diretto, dell’Assemblea costituente. Intendiamoci: Matteo Salvini e Silvio Berlusconi hanno immediatamente ed entusiasticamente aderito alle proposte della leader di Fratelli d’Italia; ma, per il resto, silenzio.

Di che cosa stiamo parlando? Ha detto Giorgia Meloni recentemente a Roma: “Vogliamo lavorare per la madre di tutte le riforme: uscire dal pantano della repubblica parlamentare ed entrare nella repubblica presidenziale”. Ha aggiunto su La Stampa: “dovremo ragionare intorno all’istituzione di una Assemblea costituente da eleggere contestualmente alle prossime elezioni politiche”. Infine, a proposito dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, ha affermato: “Vogliamo un patriota!”.

Andiamo per ordine (di importanza). Si propone l’Assemblea costituente. Per definizione tale Assemblea ha un potere assoluto, appunto, costituente, cioè che instaura un nuovo ordinamento costituzionale che sostituisce quello precedente. Storicamente si tratta di un passaggio traumatico fra un vecchio e un nuovo ordine. In parole povere l’Assemblea riscrive la Costituzione. Siamo perciò davanti a una proposta che, dopo più di settant’anni di attacchi alla Costituzione del 1948, vedrebbe finalmente realizzati i sogni di tutti coloro che hanno operato per demolire – non riuscendoci – il più grande risultato della Resistenza e della lotta di Liberazione nazionale.

Per Giorgia Meloni la repubblica parlamentare è un pantano. I poteri del parlamento italiano, già svuotati da una compagine di deputati e senatori sempre meno corrispondente alle scelte dei cittadini, perché prevalentemente nominati anziché scelti dai cittadini  attraverso leggi elettorali che, in base a un presunto principio di governabilità, hanno progressivamente demolito il principio della rappresentanza, umiliati da un uso dei decreti legge abnorme e profondamente irrispettoso dell’art. 77 della Costituzione, stravolti dalla recente riforma che ha dimezzato il numero dei parlamentari, questi poteri – dunque – verrebbero definitivamente e formalmente ridotti al lumicino dall’elezione a suffragio universale diretto del Presidente della Repubblica, che presiede il Consiglio dei Ministri.

Si compirebbe così la parabola avviata nel 2019 dalla richiesta di Matteo Salvini dell’uomo forte al potere, rilanciata qualche settimana fa da Giorgetti (“Voce dal sen sfuggita poi richiamar non vale: non si trattien lo strale, quando dall’arco uscì”: Pietro Metastasio), che auspicava un presidenzialismo di fatto; una richiesta, nello scenario della grande crisi che stiamo attraversando, sostanzialmente sostenuta da un immaginario pubblico costruito in gran parte dai media che vede in qualche modo l’attuale Presidente del Consiglio (indipendentemente da un equilibrato giudizio sui lati positivi e negativi di tale presidenza) come salvatore della Patria.

Con l’entusiastico e autorevole consenso del costituzionalista Sabino Cassese, che parla esplicitamente di “democrazia decidente” si chiude così il cerchio di una proposta che sconvolgerebbe l’assetto repubblicano relegando definitivamente nella soffitta dell’archeologia politica concetti e strumenti della partecipazione popolare, svuotando di poteri l’opposizione, riducendo il concetto stesso di democrazia alla sola ginnastica quinquennale del voto alle elezioni politiche. Più che democrazia decidente, sembra una democrazia decadente. Detto in due parole: verrebbe definitivamente messa sotto tutela la democrazia italiana, oggi ferita dal drastico calo di rappresentanza dei cittadini da parte dei partiti in quanto tali (lo stesso Cassese qualche settimana fa ricordava che oggi gli iscritti ai partiti non sono più di 700mila, mentre negli anni del secondo dopoguerra, quando la popolazione italiana contava 46 milioni di persone, erano oltre 4 milioni), dal crollo di credibilità del sistema (docet l’astensionismo alle ultime elezioni amministrative), dalla concorrenza delle cosiddette democrazie illiberali (vedi fra le tante l’Ungheria e la Polonia).

D’altra parte il modello presidenzialista non è del tutto assente nell’attuale struttura istituzionale del Paese; sindaci e presidenti di Regione sono eletti a suffragio universale e diretto con conseguenze drastiche sul piano della vita democratica: svuotamento di poteri dell’opposizione, scomparsa della partecipazione popolare, personalizzazione della politica (conta sempre meno il partito, cioè una comunità coesa attorno a un determinato bagaglio ideale e a uno specifico programma; conta sempre più la persona da eleggere a partire dalle sue caratteristiche caratteriali, dalla sua capacità oratoria e “spettacolare”, e, specialmente, dalla sua privata rete di relazioni). Si prenda ad esempio di tutto ciò la sconcertante gestione della pandemia nel 2020 nella Lombardia di Attilio Fontana, il ruolo “eccentrico” del Presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, le traversie della Regione Calabria, l’immedesimazione della Regione Veneto nella figura di Luigi Zaia. Per di più nel caso specifico delle Regioni c’è da aggiungere la spinta centrifuga che tale meccanismo ha introdotto rispetto al tema dell’unità nazionale e al disposto dell’art. 5 Cost. (Repubblica una e indivisibile) capovolgendo il principio di autonomia da solidale a concorrenziale. Per dirla in breve, oggi Comuni e Regioni vedono una concentrazione di potere sulla singola persona senza alcun significativo contrappeso e con un sovrappiù di autonomismo localistico, personalistico, competitivo e alle volte rissoso che ha aggravato le già pesanti differenze territoriali storicamente presenti nel nostro Paese, a cominciare dalla questione meridionale.

Dall’altro lato, silenzio. Un silenzio tanto più inquietante quanto più la proposta avanzata da Giorgia Meloni non è un maquillage costituzionale ma un’idea di revisione radicale, se non di riscrittura, che va letta nell’ambito di quell’orizzonte sovranista che sta mettendo in discussione i fondamenti dell’assetto istituzionale non solo dell’Italia, ma anche dell’Unione Europea. È il disegno dell’internazionale sovranista che compone una sorta di nazionalismo 2.0 con l’idea di Europa-fortezza, cioè una dimensione nazionale e continentale che vede nell’altro il nemico, il pericolo, l’inquinatore della purezza del popolo.

Si legge così la perentoria affermazione “Vogliamo un patriota!”. Che vuol dire “patriota” nel vocabolario della Meloni? Questa parola, infatti, accomuna l’intero schieramento politico e sociale ma ha un significato diverso, se non opposto, a seconda di chi la pronuncia. Nelle forze democratiche il patriottismo indica amore per la propria nazione non disgiunto dal rispetto per gli altri popoli e dalla volontà di pace. Il patriottismo per le forze di destra radicale indica supremazia della propria nazione, rivalità verso gli altri Paesi, inclusione della scelta della guerra per comporre tale rivalità, in altre parole: nazionalismo. E il nazionalismo – per chi dovesse soffrire di vuoti di memoria – è la ragione essenziale che ha portato a entrambi i conflitti mondiali. Per fare un esempio, è stato patriottismo quello dei partigiani che hanno liberato l’Italia dall’occupazione e dalla dittatura e hanno reso possibile una pace in cui il nostro Paese, pur pagando un prezzo, non è stato smembrato né ha subito un bombardamento atomico; è stato nazionalismo quello dei fascisti che, dopo aver aggredito Spagna, Libia, Etiopia, Albania, Francia, Grecia, Jugoslavia, Unione Sovietica, hanno portato alla catastrofe l’Italia. Sia chiaro che questa non è propaganda ma semplice, fredda e rigorosa registrazione del fatto storico.

Tutto così si combina; Assemblea costituente, antiparlamentarismo, presidenzialismo, apologia dell’uomo solo al comando, nazionalismo, sono i punti cardinali di una proposta politica inaccettabile e pericolosa che va denunciata senza se e senza ma, prima che titubanze o inopportuni eccessi di prudenza ci portino in un vicolo cieco. A buon intenditor, poche parole.

PUBBLICATO MERCOLEDÌ 15 DICEMBRE 2021