“A Osoppo e a Gemona le campane suonavano a festa, perché erano arrivati gli Alleati; ad Avasinis ha invece suonato per mezza giornata solo la campana a morto… ” – così un’anziana donna di Avasinis, ricorda la palese contraddizione della contemporanea presenza di un Friuli liberato, all’inizio di maggio 1945, contrapposto al dramma di un eccidio perpetrato ad Avasinis, piccola frazione del Comune di Trasaghis.
La strage di Avasinis costò la vita a 51 persone, in massima parte donne, vecchi e bambini ed ebbe luogo il 2 maggio 1945, proprio nella giornata in cui entrava in vigore in Italia l’atto di cessazione delle ostilità. Un reparto delle SS era giunto a Trasaghis nel pomeriggio del 1° maggio e al mattino del giorno successivo si diresse verso Avasinis. Uno sparuto gruppo di partigiani tentò di sbarrare la strada ma fu rapidamente messo in fuga dai mortai e dalle mitragliatrici pesanti di cui disponeva il reparto.
I tedeschi, appena giunti in paese, si sparsero per le vie e iniziarono una sistematica perquisizione ed il saccheggio delle case uccidendone spesso gli occupanti, donne o bambini o anziani inermi che fossero, apparentemente senza una logica preordinata: a volte uccisero tutti gli occupanti di una casa, a volte una sola persona, secondo il capriccio o la casualità delle scelte di ogni singolo soldato.
Relativamente alle motivazioni dell’episodio, di fronte alla discussione storico – politica che si trascina da decenni, un ricercatore come Diego Carpenedo ritiene che appaia verosimile “un’unica spiegazione: la volontà di trasmettere un messaggio sinistro e minaccioso, in grado di far comprendere che non sarebbe stato tollerato il minimo intralcio ai movimenti delle SS in ritirata verso l’Austria”.
Anche se sono passati sessantaquattro anni da quei fatti, un limite temporale capace di diradare inesorabilmente il numero dei testimoni diretti di quelle vicende, l’Amministrazione comunale di Trasaghis continua a proporre una occasione per mantenere vivo il senso della memoria, per trasmettere anche a quanti non hanno vissuto direttamente quei giorni la conoscenza del dramma e del sacrificio della popolazione. La periodica commemorazione si lega infatti a un piano articolato che ha previsto la effettuazione di ricerche e la presentazione di libri (come la pubblicazione del diario del parroco dell’epoca, don Zossi, a cura di Pieri Stefanutti) e filmati (“Avasinis luogo della memoria” di Dino Ariis) che hanno consentito di ricostruire nei dettagli le circostanze dell’episodio e la drammaticità di quello che è stato definito il maggiore eccidio di civili in Friuli nel corso della seconda guerra mondiale.
Autore: Roberto
1° maggio, Festa dei Lavoratori, Festa del Lavoro
Quest’anno, in modo particolare, sarà un 1° Maggio di riflessione e di lotta in difesa del diritto ad un lavoro giusto e garantito per tutti i cittadini così come è sancito dalla Costituzione, nata dalla Lotta di Liberazione.
Un’occasione che deve servire ai lavoratori per prendere coscienza della loro forza, dei loro diritti ma anche del dramma che in questi anni sta attraversando il mondo del lavoro, colpito da una profonda crisi frutto di un sistema economico-finanziario globalizzato, dominato dalla speculazione e dallo sfruttamento smisurato, di uomini e risorse, in particolare nei paesi in via di sviluppo.
E’ di questi giorni l’immane tragedia di Dacca, in Bangladesch, dove trecento operai, in gran parte giovani donne, sono morti nel crollo dell’edificio abusivo dove era ospitata la loro fabbrica tessile.
Nel Nord del mondo disoccupazione, recessione con licenziamenti e chiusura di attività produttive, nei paesi emergenti, sfruttamento selvaggio dei lavoratori e negazione dei più elementari diritti sindacali.
Due realtà che tra loro sembrano contrapporsi ma che in realtà sono due facce della stessa medaglia: usare la crisi per ricattare il mondo del lavoro, riportarlo ad una condizione di subalternità rispetto alle logiche di mercato che non conoscono regole da rispettare, ma solo la realizzazione di un profitto senza limiti, al di fuori di ogni forma di controllo e giustizia sociale.
A questa difficile situazione di attacco ai diritti acquisiti in anni di sacrifici e di dura lotta, in un quadro politico nazionale confuso e caratterizzato da uno scivolamento verso forme di unanimismo difficili da immaginare solo pochi mesi fa, il mondo del lavoro deve rispondere con fermezza e lungimiranza, forte nella consapevolezza che le attuali difficoltà potranno essere affrontate e superate solo con l’unità delle forze progressiste, politiche e sindacali.
E’ necessario un rinnovato impegno di lotta per il lavoro, a difesa delle fasce più deboli, esposte alla povertà e alla deriva sociale, partendo proprio dai principi sanciti dalla Costituzione, pensati per dare forma ad una società più giusta, aperta alle sfide di un mondo in continua, anche se contraddittoria, trasformazione.
23 aprile 2013: Expo dei Diritti Umani
Martedì 23 aprile 2013, presso la piazzetta di Villa Errera a Mirano, si è svolta l’“Expo dei diritti umani”, la manifestazione conclusiva del progetto “Diritti dell’uomo, doveri di cittadinanza”, realizzato dall’ITIS “Levi” e dai Licei “Majorana – Corner” di Mirano e dalla Fondazione di Comunità Riviera Miranese.
Al progetto hanno prestato la loro collaborazione e dato il loro contributo la Provincia di Venezia, i Comuni di Mirano e di Campolongo Maggiore, il Ministero per i beni e le attività culturali, l’Anpi Mirano, l’associazione Esodo, Save Venice Inc, Gruppo Adulti Progetto Auschwitz, l’associazione Bandiera Florida, il Centro per la pace e la legalità Sonja Slavik, il presidio del Miranese di Libera, Emergency, Amnesty International.
Queste le foto dello stand dell’Anpi di Mirano: http://imgur.com/a/3A1Iq
30 aprile 1944: strage di Lipa (Fiume)
Non serve molto per capire cosa è stato fatto quel giorno, a meno di un’ora, a qualche decina di chilometri da Trieste, in questo piccolo villaggio vicino a Rupa, sulla strada tra Fiume e Trieste.
Quelle due cifre, 87 abitazioni e 85 tra stalle e altri edifici, ad appena 21 km da Fiume.
Era una domenica pomeriggio; i maschi adulti o giovani impegnati quasi tutti con i partigiani erano da tempo via dal villaggio. Un monumento nel centro del paese, quasi di fronte alla lapide della foto, ricorda i 17 partigiani di Lipa caduti durante la guerra di liberazione jugoslava. Nei pascoli intorno qualche ragazzo o ragazza, 4 o 5 in tutto, attenti al bestiame. La neve se ne era andata da poco. E una famiglia giù a Fiume, in città. Sarebbe ritornata il giorno dopo, sorpresa dai militari addetti alla “bonifica” e sterminata per impedire scomode testimonianze.
Al mattino era stata attaccata da una brigata partigiana la caserma di Rupa, un paese un po’ più grosso, dove la stazione dei carabinieri fascisti serviva da presidio per il controllo della strada che collegava Fiume a Trieste. Da Fiume sta sopraggiungendo una colonna di una trentina di soldati tedeschi che vengono chiamati in soccorso e mentre stanno ancora decidendo il da farsi una granata li colpisce; 4 soldati tedeschi muoiono. Questo episodio fa scattare la rappresaglia. Vengono chiamati rinforzi da Ilirska Bistrica, un reparto speciale guida l’azione che dovrà essere “esemplare”. Viene chiesto ai carabinieri da quale villaggio intorno a Rupa fossero originari con certezza i partigiani. E i carabinieri li accompagnano a Lipa…
Madri, bambini e anziani vengono condotti e stipati nell’ultima casa di Lipa e bruciati vivi. Le bombe a mano gettate dentro per distruggere completamente la casa e rendere impossibile un riconoscimento delle vittime. I morti furono 269, fra cui tre bambine che non avevano neanche un anno.
Ma la caratteristica straordinaria di questa strage sono le fotografie originali, scattate da qualche soldato addetto alla documentazione delle azioni di guerra (immagino), stampate di nascosto nel laboratorio fotografico di Ilirska Bistrica e ancor oggi conservate e solo parzialmente riprodotte nel piccolo Museo di Lipa; la cui visita è un vero “pugno nello stomaco” per chi non sa cosa abbiamo combinato – noi brava gente – in quei luoghi. (da http://fiumetrieste.blogspot.it)
mt
Ho inviato una lettera a “Il Fatto” esprimendo le mie perplessità su quello che aveva scritto Marco Travaglio in un articolo su Giuseppe Saragat, in cui descriveva Francesco Moranino come “un criminale della guerra partigiana”. Questa la sua risposta (non pubblicata sul giornale):
Caro Roberto,
Moranino era un feroce aguzzino, colpevole di fatti che ben travalicavano la guerra. Cordiali saluti
mt
come potete leggere sono parole che non ammettono replica e che, Marco Travaglio (d’ora in poi mt), sicuramente afferma sapendo di dire una cosa sbagliata, vista la notevole documentazione esistente e il libro di Massimo Recchioni appena uscito. Forse le sue fonti sono i libri di Pansa e allora si capisce la diffamazione di una figura simbolo della Resistenza (da leggere come viene descritto nel sito dell’Anpi nazionale) che mt prende ad esempio per denigrare una lotta di popolo che ha permesso di riscattare tutti gli italiani (compreso mt). Forse imparerebbe qualcosa di diverso e per lui sconosciuto, dalle parole di una ragazza di terza media che ha scritto questo: “Il popolo sotto oppressione di una dittatura terribile e insensata ha combattuto per la libertà, la fine della guerra, i propri diritti che venivano violati. È stato un movimento soprattutto di giovani di diverse età e classe sociale, anche di vari partiti.
E molti di quei giovani sono morti, ma ancora oggi è importante ricordarli poiché nei luoghi dove hanno combattuto e dato la vita si sono scritte le prime pagine della nostra Costituzione, quella della Repubblica Italiana, libera dalla dittatura e che ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli.”
Penso che mt dovrebbe vergognarsi per aver descritto il comandante “Gemisto” con quelle parole. Cordiali saluti (non a mt)
Roberto (Anpi Mirano)
27 aprile 2013: commemorazione di Antonio Gramsci
Nell’anniversario della morte di Antonio Gramsci, avvenuta a Roma il 27 aprile 1937 dopo dieci anni di carcere fascista, il Centro Gramsci, in collaborazione con l’Anpi di Mirano, del Partito Democratico, del Partito della Rifondazione Comunista, il Partito dei Comunisti Italiani, Sinistra Ecologia e Libertà e l’Italia dei Valori organizza il convegno: “Partigiani prima del 1943” nella sala conferenze di Villa Errera alle ore 17.00.
Qualcosa tipo una liberazione
Nell’esporre la sua netta contrarietà all’esecuzione di «Fischia il vento e infuria la bufera» durante le celebrazioni del 25 aprile, il commissario prefettizio di Alassio ha spiegato agli ultimi, stupefatti partigiani che la festa della Liberazione è apolitica. Non me ne voglia Sua Eccellenza, ma fatico a trovare una festa più politica dell’abbattimento di una dittatura. Politica in senso nobile e bello, al netto degli orrori reciproci che purtroppo fanno parte di ogni guerra civile.
Oggi il modo più diffuso per commemorare la Liberazione consiste nel rimuoverla, annegandola in un mare di ignoranza. Un signore ha scritto scandalizzato dopo avere udito all’uscita da una scuola la seguente conversazione tra ragazzi: «La prof dice che giovedì non c’è lezione». «Vero, c’è qualcosa tipo… una liberazione». Ma anche i pochi che sanno ancora di che cosa si tratta preferiscono non diffondere troppo la voce «per non offendere i reduci di Salò», come si è premurato di precisare il commissario di Alassio. Una sensibilità meritoria, se non fosse che a furia di attutire il senso del 25 aprile si è finito per ribaltarlo, riducendo la Resistenza alla componente filosovietica e trasformando le ferocie partigiane che pure ci sono state nella prova che fra chi combatteva a fianco degli Alleati e chi stava con i nazisti non esisteva alcuna differenza. La differenza invece c’era, ed era appunto politica. Se avessero vinto i reduci di Salò saremmo diventati una colonia di Hitler. Avendo vinto i partigiani, siamo una democrazia. Nonostante tutto, a 68 anni di distanza, il secondo scenario mi sembra ancora preferibile. Grazie, partigiani.
Massimo Gramellini “La Stampa” 24.4.2013
Mirano: 25 aprile 2013 Festa della Liberazione
Noi siamo un paese senza memoria. Il che equivale a dire senza storia. L’Italia rimuove il suo passato prossimo, lo perde nell’oblio dell’etere televisivo, ne tiene solo i ricordi, i frammenti che potrebbero farle comodo per le sue contorsioni, per le sue conversioni. Ma l’Italia è un paese circolare, gattopardesco, in cui tutto cambia per restare com’è.In cui tutto scorre per non passare davvero. Se l’Italia avesse cura della sua storia, della sua memoria, si accorgerebbe che i regimi non nascono dal nulla, sono il portato di veleni antichi, di metastasi invincibili, imparerebbe che questo Paese speciale nel vivere alla grande, ma con le pezze al culo, che i suoi vizi sono ciclici, si ripetono incarnati da uomini diversi con lo stesso cinismo, la medesima indifferenza per l’etica, con l’identica allergia alla coerenza, a una tensione morale. (P. P. Pasolini “Scritti Corsari” 1975)
Per commemorare, per ricordare, perchè la memoria non sia una cosa astratta, troviamoci tutti (iscritti, simpatizzanti, antifascisti) questa mattina davanti alla Casa del Combattente a Mirano alle 9.30.
ORA E SEMPRE RESISTENZA!
Antonio Boschieri “D’Artagnan”
Antonio ”Ragazzo” Boschieri nato a Biadene nel 1921, partigiano sul Monte Grappa col nome di battaglia “D’Artagnan”. Combattè nella Brigata G. Matteotti come comandante del battaglione Zecchinel. Combattente freddo e deciso, amato e stimato dai compagni di lotta, partecipò a moltissime e pericolose missioni e azioni culminate nei tragici combattimenti del settembre 1944 durante il rastrellamento del Grappa da parte dei nazi-fascisti. Catturato, fu a lungo torturato ma non rinnegò le sue idee nè tradì i suoi compagni. Fu impiccato ad Arten di Feltre il 27 settembre del 1944. Aveva 23 anni…
Per tutta la giornata del 25 aprile, Antonio sarà ”presente” a Villa Pisani di Montebelluna con ricordi, foto, testimonianze e documenti nello spazio ANPI.
Come arrivare a Villa Pisani
Le foto della mostra di Biadene: http://imgur.com/a/3lYN0
20 aprile 1945: i 20 bambini di Bullenhuser Damm
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Questi sono i bambini di Bullenhuser Damm o almeno sono le foto di 12 dei 20 bambini impiccati dalle SS nella cantina di questa scuola di Amburgo trasformata dai nazisti in un luogo di supplizio. Degli altri otto non si conoscono i visi ma questi sono i loro nomi: Goldinger Surcis (11 anni), Junglieb W. (12 anni), Klygermann Lea (8 anni), Mekler Bluma (11 anni), Reichenbaum Eduard (10 anni), Steinbaum Marek (10 anni), Witónska Eleonora (5 anni) e Georges-André Kohn (13 anni). Questa è la loro storia:
Nell’aprile del 1945 gli Alleati stanno avanzando rapidamente nella Germania nazista. La guerra è ormai decisa e l’8 maggio sarà firmata la resa incondizionata. Intanto coloro che sanno quali crimini hanno commesso distruggono tutte le prove possibili. In quel periodo nel campo di concentramento di Neuengamme si trovano anche 20 bambini ebrei di età compresa tra i cinque e i dodici anni. Sono dieci femmine e dieci maschi, tra cui due coppie di fratelli e sorelle. Per mesi il medico delle SS Dr. Kurt Heißmeyer si è servito di loro come cavie per esperimenti medici. Ha immesso con sonde nei polmoni dei bambini bacilli tubercolotici vivi. Ha asportato le ghiandole linfatiche. Durante l’interrogatorio nel 1964 Heißmeyer ha dichiarato “per me non esiste alcuna differenza tra ebrei e cavie”. Il 20 aprile 1945 i bambini assieme a quattro detenuti adulti che li avevano assistiti nel campo di concentramento vengono portati in una scuola di Amburgo. Arrivano verso la mezzanotte. Gli adulti sono i medici francesi Gabriel Florence e René Quenouille, gli olandesi Dirk Deutekom e Anton Hölzel. È la scuola di Bullenhuser Damm, campo esterno del campo di concentramento di Neuengamme. Tutto il gruppo viene portato nello scantinato. Gli adulti vengono impiccati ai tubi di riscaldamento sotto il soffitto. Ai bambini fanno una iniezione di morfina per farli dormire. Li impiccano ad un gancio sulla parete. Johann Framm, uomo delle SS, si appende con tutto il peso del suo corpo al corpo del bambino per stringere il cappio.
Durante un interrogatorio nel 1946 Frahm dichiara “di aver appeso i bambini a un gancio come quadri alla parete”. Nessun bambino ha pianto.
Dopodiché vengono impiccati 24 prigionieri di guerra sovietici. Non si conoscono a tutt’oggi i loro nomi.
Nel dopoguerra, come se non fosse successo questo orribile crimine, ad Amburgo la vita riprende il suo corso. Si riapre la scuola e agli scolari non si racconta nulla di ciò che era successo nella cantina dell’edificio. Non si cercano i genitori e i parenti delle vittime, ben presto si dimenticano gli assassini. Solo alcuni ex prigionieri del campo di concentramento di Neuengamme vengono a Bullenhuser Damm tutti gli anni per deporre fiori. Gli imputati durante il processo al Curio-Haus nel 1946 hanno accusato Arnold Strippel, primo comandante responsabile del campo esterno del campo di concentramento di Neuengamme ad Amburgo, di essere stato complice al crimine di Bullenhuser Damm. Nel 1949 Strippel è stato condannato all’ergastolo per i crimini commessi a Buchenwald, ma nel 1969 viene scarcerato e riceve un risarcimento in denaro. Nel 1967 la Procura di Stato di Amburgo archivia gli atti del processo per “insufficienza di prove”. Alcuni parenti dei bambini sono sopravvissuti al ghetto e ai campi di concentramento e pur avendo fatto difficili ricerche per tanti anni, non sapevano cosa fosse successo ai bambini. Inoltre in seguito alla deportazione molti dei sopravvissuti avevano perso tutto ciò che possedevano, oggetti personali, ricordi. Erano rimaste solo poche fotografie conservate dai parenti emigrati o vissuti nascosti fino alla liberazione.
33 anni dopo questo terribile evento il giornalista Günther Schwarberg è riuscito a portare alla luce la storia dei 20 bambini. Nella rivista “Stern” ha pubblicato una serie di articoli con il titolo “Il medico delle SS e i bambini ” ed è riuscito a rintracciare i loro parenti facendo lunghissime ricerche in molti Paesi. Con il suo libro tradotto in sei lingue (non in italiano), Schwarberg ha salvato la loro storia. A tutt’oggi sono stati trovati i parenti di 16 dei 20 bambini e il 20 aprile 1979 sono venuti per la prima volta a Bullenhuser Damm per la cerimonia commemorativa. Erano presenti anche 2000 amburghesi. È stata fondata l’Associazione dei bambini di Bullenhuser Damm, per tenere vivo il ricordo delle vittime in stretto contatto con i parenti e il presidente onorario è Philippe Kohn di Parigi, fratello di Georges-André Kohn, il bambino francese ucciso. Nello stesso anno l’avvocatessa Barbara Hüsing ha denunciato Strippel per assassinio e la Procura di Stato ha riaperto il caso, ma nel 1983 sono stati di nuovo archiviati gli atti del processo. Per dimostrare il fallimento della giustizia tedesca nel caso Arnold Strippel l’Associazione dei bambini di Bullenhuser Damm ha insediato nel 1986 nella scuola di Bullenhuser Damm un “Tribunale Internazionale”: erano presenti i parenti delle vittime ed ex detenuti del campo di concentramento di Neuengamme. Dal 1980 nella cantina della scuola di Bullenhuser Damm c’è un museo e il memoriale oggi non è solo per Amburgo un importante luogo della memoria e di attività educative, ma ha importanza internazionale.
Migliaia di persone hanno piantato rose nel “giardino delle rose” per ricordare i bambini di Bullenhuser Damm . Dal 1991 nel quartiere di Amburgo Schnelsen Burgwedel ci sono le strade con i nomi dei venti bambini, un asilo, un centro giochi e un parco.
http://20bambini.proedieditore.it/html/vicenda.htm
http://www.kinder-vom-bullenhuser-damm.de/_italiano/index.html