Quelli che non condannano il nazismo

Neonazisti ucraini
Neonazisti ucraini

Una commissione delle Nazioni Unite ha esaminato recentemente un documento di condanna della glorificazione del nazismo. Il documento esprime “profonda preoccupazione per la glorificazione in qualsiasi forma del movimento nazista, neo-nazista e degli ex membri dell’organizzazione “Waffen SS”, anche attraverso la costruzione di monumenti e memoriali e l’organizzazione di manifestazioni pubbliche”.

Il voto finale ha prodotto questo risultato: 115 voti a favore, 55 astenuti, 3 voti contrari. I tre voti contrari sono stati quelli di Ucraina, Stati Uniti e Canada. L’Italia – nella sua qualità di presidente di turno dell’Unione Europea – ha dichiarato la propria astensione, trascinandosi dietro tutti i paesi europei.

La dichiarazione di voto italiana merita di essere qui riportata in base al resoconto sintetico che ne ha fatto lo stesso ufficio stampa dell’ONU:

“Spiegando il voto, ad avvenuta votazione, il rappresentante dell’Italia, che parlava a nome dell’Unione Europea, ha detto che l’Unione è impegnata a combattere il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e le correlate intolleranze, mediante sforzi generali a livelli nazionali, regionali e internazionali. I singoli stati sono stati liberi di decidere il contenuto del testo della risoluzione, tuttavia l’Unione ha avuto dubbi circa la sincerità del testo, visto che il sostenitore principale della risoluzione ha violato i diritti umani”.

Si noti che il rappresentante italiano ha evitato accuratamente di nominare il nazismo. E si capisce bene perché, avendo l’Unione Europea stretti rapporti con un governo – quello ucraino – che include forze apertamente inneggianti al nazismo. L’argomentazione usata è, del resto, non solo puerile, ma completamente ridicola perfino sul piano diplomatico. Se il voto di una qualsivoglia risoluzione fosse subordinato all’accertamento della buona fede del proponente, con ogni evidenza, non vi sarebbe nessun voto possibile in nessun consesso internazionale. In questo caso il proponente era, evidentemente, la Russia, non la potenza che tiene aperto il campo di prigionia di Guantánamo.

Impressionante lo schieramento dei tre voti contrari, con Stati Uniti e Canada principali e unici sponsor dell’Ucraina.
E particolarmente pregnante la dichiarazione di voto del rappresentante ucraino. Il quale ha dichiarato il voto contrario in questo modo:

“Lo stalinismo (sic) ha ucciso molte persone nei Gulag, e ha condannato Stalin e Hitler come criminali internazionali. Ha invitato la Federazione Russa a smetterla di glorificare e di incrementare lo stalinismo. Per queste ragioni ha detto di non poter appoggiare il documento. Ogni intolleranza va affrontata in modo equilibrato e appropriato. E’ errato manipolare la storia in favore della propria agenda politica. La Federazione Russa sta sostenendo gruppi neo-nazisti e nazionalisti in Crimea. Annuncia il voto contrario dicendo che la risoluzione contiene un messaggio errato.”

Chiunque può trarre le sue conclusioni da queste dichiarazioni che coprono di vergogna, almeno storicamente parlando, l’Occidente.
Ma, per provare vergogna, occorre conoscere i fatti. E i fatti resteranno sconosciuti ai più. Infatti questa notizia, insieme ai particolari che qui abbiamo fornito, è stata ignorata da tutti i quotidiani italiani e da tutte le televisioni italiane.

Giulietto Chiesa

Il rastrellamento di Schio

Schio, funerali dei partigiani uccisi
Schio, funerali dei partigiani uccisi

Nella seconda decade del novembre 1944 dodici antifascisti scledensi dellla Btg Fratelli Bandiera caddero nella trappola delle delazioni e finirono nel campo di concentramento di Mauthausen. Solo uno fece ritorno nell’estate del ’45, William Pierdicchi. Fu lui a testimoniare l’orrore dei campi di sterminio e a scatenare in città la reazione di una popolazione ignara. L’eccidio del 7 luglio (54 morti, di cui 14 donne) nelle carceri mandamentali ne fu la più tragica conseguenza.
A 70 anni da quei drammatici avvenimenti, lo studioso della Resistenza Ugo De Grandis, li ricostruirà in una serata aperta al pubblico e voluta dal centro studi Igino Piva “Romero”, venerdì 28 novembre alle 20.45 a palazzo Toaldi Capra a Schio.
Dall’archivio della Corte d’Assise Straordinaria di Vicenza sono emersi documenti che indicherebbero le responsabilità della retata del novembre 1944.
A FINE NOVEMBRE. Fu una vasta operazione di polizia voluta dal fascismo scledense per riscattare la propria immagine nei confronti del Comando tedesco, dopo gli insuccessi collezionati nei mesi precedenti nel mantenimento dell’ ordne pubblico e nella repressione della guerriglia.
Come si rileva dalle testimonianze dei sopravvissuti e dalle denunce dei familiari delle vittime, l’operazione, condotta dal 18 al 30 novembre, condusse al fermo di una trentina di partigiani e collaboratori. Dopo la consegna ai tedeschi del  primo antifascista tratto in arresto, Bruno Zordan, da parte del commissario prefettizio Giulio Vescovi, gli altri furono catturati in casa dagli agenti della Polizia ausiliaria passati al servizio della Feldgendarmerie delle scuole Marconi, Anselmo Dal Zotto, Cirillo Zalunardo, Ivo Contaldi, Firmino Gasparini e Ferdinando Sartori.
LO SCIOPERO. A seguito del ritrovamento all’interno del Lanificio Rossi, di un volantino incitante allo sciopero, il primo a cadere in sospetto fu Bruno Zordan, invalido di guerra, che aveva già subito un processo per offese al capo dell’Ufficio Politico Investigativo di Schio, Savino Bassi. Riuscito in un primo tempo a sottrarsi all’arresto, Bruno fu poi indotto da Vescovi a ripresentarsi a lui, che lo accompagnò personalmente al Comando tedesco di via Maraschin. La stessa sera del 19 novembre furono arrestati Pierfranco Pozzer, 19 anni, residente in via Pasini, e Italo Galvan, 39 anni, che aveva casa e bottega di calzolaio in via don Francesco Faccin. Più tardi si scopri che a denunciare i due, secondo i documenti recuperati da De Grandis, era stato Anselmo Dal Zotto, amico d’infanzia di Pozzer, che l’estate precedente aveva fatto da tramite tra i due per il passaggio di una pistola e di alcuni caricatori.
In autunno Dal Zotto si era arruolato nella Polizia ausiliaria di Vicenza e, dietro la promessa di un aumento di stipendio. aveva accettato di tornare a Schio per collaborare alle indagini.
LE TORTURE. Bruno Zordan e Pierfranco Pozzer furono sottoposti a lunghe e pesanti torture alle scuole “Marconi” e alle carceri mandamentali di via Baratto, così pesanti che il giovanissimo Pierfranco tentò il suicidio; sopraffatti dalle violenze, ai due sfuggirono alcuni nomi degli altri componenti il battaglione, ma fortunatamente Elisabetta Spiller, moglie del capocarceriere Pezzin, udì la confessione attraverso i muri e, tramite una conoscente che sapeva in contatto con la Resistenza, riuscì a dare l’allarme. Molti antifascisti riuscirono a portarsi in salvo, ma altri, non avvisati o forse ritenendosi al sicuro, caddero nei giorni successivi nelle mani dei tedeschi della Feldgendarmerie.
Agli inizi di dicembre alcuni antifascisti meno compromessi furono rilasciati: Vincenzo Bonato, Carlo Mazzon, Pietro Tradigo, Oreste Garuzzi e i familiari di Pierfranco Pozzer, ma nelle mani dei fascisti rimaneva ancora una quindicina di partigiani, tra i quali Antonio Canova “Tuoni” che, in qualita di comandante del Btg. “F.lli Bandiera”, era a conoscenza dell’intera struttura organizzativa. Se “Tuoni” avesse ceduto alle violenze, con la sua confessione avrebbe potuto compromettere poco meno di duecento collaboratori: era un rischio  che non si poteva correre.
IL COMMANDO. Dopo il secondo interrogatorio, durante il quale era stato bastonato e torturato con un ferro da stiro rovente, “Tuoni” fu ricoverato privo di sensi all’ospedale Baratto e guardato a vista da due militi della Brigata Nera, in attesa di riprendere le torture. La sera del 6 dicembre 1944 un commando di una quindicina di partigiani, guidati da Valerio Caroti “Giulio”, comandante della Brigata “Martiri della Val Leogra”, con un’azione ardita e incruenta liberò Antonio Canova.
La ritorsione partì nei confronti dei partigiani ancora trattenuti, che, la mattina dell’11 dicembre, furono tradotti al carcere di San Biagio e consegnati ai tedeschi accompagnati da gravissime accuse. Dieci giorni più tardi, il 21 dicembre, un camion scoperto e un torpedone partirono dal capoluogo e, dopo una breve sosta per panne al ponte della Gogna, portarono una settantina di prigionieri al lager di Bolzano.
I NOMI. Tra i prigionieri vi erano quindici scledensi: tre donne catturate nel corso di un’operazione di polizia a Magrè (Caterina Baron, Fosca Lovato e Irene Rossato) e dodici antifascisti arrestati nella retata di novembre: Giovanni Bortoloso (32 anni), titolare dell’omonima cartolibreria in piazza Rossi; Andrea Bozzo (48 anni), che gestiva una tipografia in via Baratto; Livio Cracco (33 anni), commesso di drogheria, residente in via Pilastro 2; Anselmo Thiella (37 anni), operaio da Bozzo, abitante a Magrè in via Riolo; Vittorio Tradigo (27 anni) contabile presso la Banca Nazionale del Lavoro e residente in via Maraschin; Giuseppe Vidale (49 anni), capo elettricista al Lanificio Rossi, residente in via Pasubio; Andrea Zanon (46 anni), che aveva un officina di calderaio in via Castello; William Pierdicchi (23 anni), studente, residente in via Porta di Sotto, e infine Roberto Calearo (19 anni), di Vicenza, che in quei giorni si trovava a Schio ospite di Pierfranco Pozzer, suo compagno di studi.
IL BLOCCO E. Durante la sosta ai Lager di Bolzano, nell’attesa che fosse formato il convoglio ferroviario per la deportazione fu scoperto un tentativo di fuga dal Blocco E, quello dei “pericolosi”, dove erano segregati gh antifascisti scledensi e ciò aggravò ulteriormente la loro situazione. L’8 gennaio 1945 un gruppo di quasi 500 prigionieri, tra i quali i dodici scledensi, fu condotto a Mauthausen che, assieme al suo sottocampo principale, Gusen, era l’unico classificato nel “Grado III”, ossia per “detenuti con gravi pendenze penali, non rieducabili.
LE MORTI. Le durissime condizioni di vita cui furono sottoposti i detenuti nell’inverno 1944-45 causarono, nell’arco di tempo di poche settimane, la morte di quasi tutti gli antifascisti scledensi: Giuseppe Vidale, Pierfranco Pozzer, Roberto Calearo, Livio Cracco, Andrea Bozzo, Italo Galvan, Anselmo Thiella, Andrea Zanon.
Il 22 aprile, sotto l’incalzare dell’avanzata angloamericana a Mauthausen avvenne una gassazione di massa per eliminare i prigionieri che versavano in peggiori condizioni e, tra i molti, furono assassinati anche Bruno Zordan e Giovanni Bortoloso. Alla liberazione del campo, avvenuta il 5 maggio ad opera degli americani. risultavano ancora in vita William Pierdicchi e Vittorio Tradigo: quest’ultimo, tuttavia spirò nell’ospedale da campo americano cinque giorni più tardi.
IL SOPRAVVISSUTO.  L’unico degli antifascisti scledensi che riuscì a rientrare in città, il pomeriggio del 27 giugno 1945, fu William Pierdicchi ridotto a 38 kg di peso, nonostante fosse stato un giovane robusto.
Dopo una breve sosta a Schio, necessaria per riprendere le forze, William si trasferì per completare la convalescenza dai suoi parenti a Jesi. Fu l’unico a sopravvivere, peso che l’avrebbe accompagnato per tutta la sua vita, conclusasi a Vicenza il 20 luglio 2004.

Mauro Sartori, Il Giornale di Vicenza

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Rifiuti nazi a Milano

26storie-concerto-lunikoff-tLa Skinhouse di Bollate ha preannunciato per sabato 29 novembre a Milano l’Hammerfest 2014, un raduno a livello europeo di band neonaziste. Sono attese almeno mille persone provenienti da tutta Europa. Già tre sono gli alberghi prenotati. Il posto del concerto è ancora tenuto rigorosamente segreto. Si scoprirà all’ultimo.
L’Hammerskin Nation, o Fratellanza Hammerskin, è un’organizzazione internazionale che dichiara di perseguire <<lo stile di vita White Power>> i cui obiettivi si possono riassumere nella frase di 14 parole coniata appositamente dal razzista americano David Lane (condannato negli Usa a 190 anni di carcere per assassinio e cospirazione): <<Dobbiamo assicurare l’esistenza del nostro popolo e un futuro per i bambini bianchi>>.
L’Hammerskin Nation, che preconizza la <<supremazia bianca>>, è stata fondata verso la metà degli anni ’80 negli USA da membri fuoriusciti dal Ku Klux Klan. Nel simbolo due martelli incrociati che marciano a passo dell’oca per abbattere implacabilmente i muri dietro i quali si nascondono le minoranze. Negli Usa hanno vandalizzato sinagoghe e compiuto innumerevoli aggressioni contro persone di colore. Sono considerati alla stregua di un’organizzazione criminale. Il nazionalsocialismo, per loro, è stato il primo tentativo di costruzione di un Nuovo Ordine.
Quali siano i loro riferimenti ideologici e politici, d’altronde, è facilissimo capirlo esaminando alcune band che dovrebbero esibirsi all’Hammerfest. Prima di tutto i Lunikoff, dalla storia emblematica. In origine si chiamava Endlösung (<<Soluzione finale>>) ed era formata da elementi provenienti dal gruppo neonazista Ariogermanische Kampfgemeinschaft (Associazione di Combattimento ariogermanica). Poi hanno preso il nome di Landser, gruppo disciolto nel 2003 perché giudicato in Germania <<un’associazione criminale>>, in quanto incitava alla discriminazione razziale. Il leader, Michael “Lunikoff” Regener è stato per questi reati arrestato e condannato. Si è quindi formata la band Die Lunikoff Verschwörung (<<Il complotto Lunikoff>>) nel cui logo compare una L con una spada, ossia le insegne della divisione di cavalleria SS Lützow, formata direttamente da Himmler nel 1945, negli ultimi mesi di guerra. Il loro primo album si intitolava Das Reich kommt wieder (<<Il Reich verrà di nuovo>>). I nemici indicati nella loro musica sono i neri, i turchi, gli extracomunitari, gli ebrei, gli omosessuali.
I Vérszerzodé sono invece una band ungherese appartenente al circuito Rac (Rock against communism) e di Blood and Honour. Il nome, letteralmente <<Giuramento di sangue>>, allude al patto stipulato, secondo la mitologia nazionalsocialista, dalle prime sette tribù fondatrici dell’identità magiara. Questa band ha suonato in occasione della ricorrenza annuale della battaglia di Budapest in cui all’inizio del 1945 la Wehrmacht e i suoi alleati ungheresi avevano tentato di contrastare l’avanzata dell’Armata Rossa: uno dei meeting più importanti della scena neonazista europea. Titolo e ritornello di una loro canzone dice: <<Ein Volk, ein Reich, ein Führer>>.
In Svizzera è stato negato loro per ben due volte l’ingresso, come banda xenofoba, mentre in Slovacchia i componenti sono stati addirittura arrestati. Il cantante Geri, in un’intervista, ha dichiarato che il suo obiettivo è la <<difesa delle nazioni bianche d’Europa>> e di essere a favore di una religione chiamata Odinismo, dal nome del dio teutonico Wotan. Anche i Kommando skin, di Stoccarda, sono impegnati nella lotta contro l’immigrazione e la religione ebraico-cristiana.
Diversi in cartellone i gruppi musicali della scena nazi-rock italiana. In primis i Gesta Bellica, una band di Verona formatisi nell’ambito del Veneto fronte skinhead. In passato, tra i loro membri, ha suonato anche Andrea Miglioranzi, condannato nel 1995 e nel ’96 per due aggressioni oltre che per istigazione all’odio razziale. Aderente al Movimento sociale fiamma tricolore, era stato eletto nelle liste del leghista Flavio Tosi, che nel 2007 lo aveva provocatoriamente nominato rappresentante del Comune nel locale Istituto per la Storia della Resistenza, incarico da cui aveva dovuto dimettersi per le proteste della città. I temi e le parole delle canzoni dei Gesta Bellica sono particolarmente significative.
Una è dedicata a Il Capitano, ossia al comandante delle SS Erich Priebke, condannato all’ergastolo per l’eccidio delle Fosse Ardeatine, presentato come un perseguitato (<<Un uomo solo contro il mondo e tutto il mondo è contro di lui>>), fedele agli ideali che loro stessi condividono (<<Lui non risponde alle vostre menzogne, lui non si piega e non lo farà mai. / La fedeltà è più forte del fuoco e quel fuoco brucia dentro di noi>>), fino a lanciarsi nel ritornello ossessivamente ripetuto: <<Liberate il Capitano!>>. In un’altra canzone, Giovane patriota, si esaltano le divisioni delle Waffen-SS che nel 1945 a Berlino si arroccarono disperatamente a difesa del bunker di Hitler giurando di continuare la loro battaglia: <<Giovane patriota, ormai non sei più solo! / L’enorme orda rossa ormai sta dilagando, / ma non mi arrenderò, sarò fedele al giuramento!>>. I nemici sono la società multirazziale, gli immigrati, il mondialismo, i pedofili (<<Nessuna pietà per chi non ha pietà! / Pedofilo bastardo giustizia ci sarà! / Pena di morte, pena capitale! / Pedofilo maiale tu devi morire!>>. Si cantano i <<martiri delle foibe>> e si inneggia all’irredentismo italiano: <<In Italia tornerà la Dalmazia, Fiume ed Istria!>>.
Seguono i Malnatt, di Milano, che declamano: <<Soldati di una guerra che feriti non farà / giovani rasati, sguardi affilati /scolpiti nella fede e senza pietà! / Il mondo ci appartiene, noi non avremo pietà! / Il giorno sta arrivando per noi della croce celtica! >>. In un’altra canzone Resistenza bianca: <<Con il braccio teso ti saluterò! /Sono della Resistenza bianca!>>.
Ci fermiamo qui. Non crediamo ci sia bisogno di aggiungere altro. Hammerfest 2014, organizzato dalla Skinhouse, come il meeting dello stesso tenore promosso più di un anno fa, il 15 giugno 2013 a Rogoredo, sarà un’esibizione sfacciata di neonazismo, razzismo e xenofobia. Milano sta ormai diventando la capitale europea dei raduni neonazisti. Solo il 1° Novembre scorso si è tenuto un con¬certo di Black metal di ispirazione nazionalsocialista in una discoteca di via Corelli, l’ex Factory, con oltre 400 partecipanti giunti dall’Austria, dalla Germania e dalla Finlandia.
Qui grazie alla compiacenza del Prefetto e del Questore di Milano, la benevolenza di alcune istit-uzioni locali, la Regione, in primo luogo, l’apologia di fascismo, l’incitamento al razzismo e alla xenofobia, non consentiti in altri paesi, stanno diventando di casa. Il sindaco Giuliano Pisapia questa volta ha battuto un colpo. <<Abbiamo posto la questione a tutti i livelli, anche istituzionali>>, ha pubblicamente dichiarato, <<per impedire un ulteriore sfregio ai valori della Costituzione>>. Vedremo.

Saverio Ferrari, Marinella Mandelli, 25.11.2014, Il Manifesto

Oggi e sempre Resistenza

 

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“No, non dite di essere scoraggiati, di non volerne più sapere, pensate che tutto è successo  perchè non ne avete voluto più sapere” (Giacomo Ulivi, studente, 19 anni, fucilato dai fascisti)

Dice così la targa del monumento in piazza Martiri, centro della cittadina di Mirano. La piazza, il cimitero, Villa Errera, la vecchia casa del Fascio… di luoghi che parlano di memoria ce ne sono, e non sono pochi. Per questo piccolo comune della provincia di Venezia la memoria di quegli anni rimane una questione importante. Oggi in particolare, 1 novembre 2014, ANPI e cittadinanza si sono riuniti per commemorare dopo 70 anni la fucilazione di uno dei partigiani del miranese, il primo di questa citta a essere ucciso.
Doveva essere una mattina simile a questa, quando le Brigate Nere portarono al cimitero Oreste Licori, anni 23, comandante della Brigata “Volga”: lo ricorda bene Renzo Tonolo, vice-presidente della sezione ANPI e testimone diretto di quei giorni.
“Lo ammirai quando l’ho visto passare avanti a me, a testa alta e con passo deciso, in mezzo agli scherani, per andare verso l’esito violento della propria breve esistenza, con grande dignità.
Lo ammirai quando seppi che non ha voluto subire passivo la programmata cerimonia fascista della sua fucilazione, ha scelto lui il posto dove dovevano ucciderlo: non avanti il muro ma qui, sulla strada. Fu questo il suo ultimo atto di rifiuto alla sottomissione. Lo ammirarono i suoi carnefici che espressero profondo rispetto per il coraggio con cui affrontò il plotone, urlando prima della fine la propria fede”.
Ancora viene ricordato infatti come mori quel ragazzo, con il pugno alzato e l’ultimo grido “Viva Stalin!”, riaffermando il sogno e l’ideale che l’avevano spinto a scegliere la lotta, a sacrificare infine anche la propria vita. Quelle furono le sue ultime parole, estremo schiaffo contro i suoi assassini, con il nome di Stalin visto come simbolo di libertà (oggi molti storcono il naso a tale affermazione, ma è da contestualizzare e capire secondo i tempi e la situazione).
Oreste è stato il primo, ma non certo l’ultimo. L’undici dicembre ogni anno il comune celebra la sua personale giornata della memoria, ricordando in particolare quei sei ragazzi che torturati e fucilati vennero esposti agli angoli della piazza durante la mattina di mercato.
Proprio a quel ragazzo di 23 anni è stato dedicato l’intervento di apertura all’incontro con Gaetano Alessi, la sera del 30 ottobre. In questa occasione è sembrato legittimo ricordare quei fatti, ricordare la Resistenza di allora per tracciare un invisibile filo che conduce al nostro presente. Gaetano si occupa da anni di giornalismo, antimafia e antifascismo. Di questo abbiamo parlato, lasciando che ci raccontasse una storia di resistenza a noi contemporanea, quella di un piccolo paesino della Sicilia caduto nelle mani della mafia. Ancora oggi esistono persone che rischiano ogni giorno la propria esistenza per un ideale, per un semplice desiderio di combattere quello che non va nella nostra società. Gaetano, come molti altri che si sono messi in prima linea nella lotta contro il sistema delle mafie, è stato piu volte minacciato. Ancora oggi il suo lavoro si dimostra difficile e incerto, ma non per questo smetterà mai di scrivere. Il suo ultimo libro parla della grande amicizia con Vittoria Giunti, donna che ha lasciato al nostro paese una piccola grande eredità con la sua vita trascorsa all’insegna della lotta in tutte le sue forme. La sua è un’altra storia di Resistenza, a partire dal suo ruolo di partigiana fino all’elezione come primo sindaco donna della Sicilia.
Tutte queste storie si legano tra di loro, forti di una costante comune, in tempi di pace come in quelli di guerra. Rimangono certo solo parole, solo storie e ricordi che un giorno potrebbero svanire. Ma agli studenti, ai giovani di oggi, serve ora più che mai il ricordo di queste figure. Serve sentirne le parole, serve capirle e ricordare che sono esistite, che certe cose sono accadute e ancora continuano ad accadere. Serve per combattere l’indifferenza che aleggia sopra la nostra generazione e che potrebbe diventare la peggiore rovina per la nostra società.

Alice Solari, coordinatrice della Rete degli Studenti Medi di Mirano (da “Il Mancino” )

“RICOSTRUZIONI”: Volti e luoghi della sofferenza a cento anni dalla guerra 1914/1918

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La mostra, organizzata dal Comune di Mirano, raccoglie una settantina di opere tra disegni e fotografie inedite e sarà inaugurata sabato 22 novembre 2014 alle ore 17.30, presso la barchessa di villa Giustinian Morosini, “XXV Aprile”, a Mirano. L’esposizione si inserisce nel quadro delle manifestazioni promosse dall’Amministrazione Comunale per ricordare la Prima Guerra Mondiale a cento anni dal suo inizio.
I tre autori hanno scelto di operare nella direzione di non rappresentare la guerra nel suo compiersi: le gesta delle parti contrapposte, i campi di battaglia ma ricostruire le tracce evocatrici di quella immane tragedia nei volti stravolti, nei corpi mutilati o nelle pietre bianche squadrate di un paesaggio che ricorda“ i grandi cimiteri sotto la luna” così chiamati da Georges Bernanos.
Con i linguaggi propri dell’arte, da quelli più tradizionali, come il disegno, attraverso la fotografia su pellicola sino al digitale, si è costruita una sequenza di soggetti dove la dimensione visionaria è chiamata a confrontarsi con la concretezza del manufatto architettonico commemorativo, immerso in un paesaggio che, nel tempo, ha in parte annullato le devastazioni infertegli dalle vicende della storia.
I segni neri, forti e tormentati di Bruno Tonolo, si aprono alla stagione dell’ espressionismo e alla rappresentazione di una umanità sofferente e dolorosamente segnata dalle guerre e dai conflitti sociali del xx° secolo; le rielaborazioni fotografiche di Pier Paolo Fassetta, che simulano le ferite di una nuova scienza della morte, fanno parte di un processo di manipolazione teso a ridefinire l’identità dell’immagine collocandola in una dimensione “altra” rispetto al suo stato originale. Queste fughe da una realtà certa e misurabile, sono chiamate a confrontarsi con le fotografie di Matteo Chinellato, impostate su inquadrature rigorose che, in un viaggio nella memoria, ci restituiscono la fredda contabilità di una tragedia, pietrificata nella retorica celebrativa.
Modi diversi di esprimere l’orrore per eventi che è nostro dovere riconsiderare e meditare anche alla luce delle vicende internazionali di questi ultimi mesi che ci prefigurano scenari da terza guerra mondiale, senza vincitori ne vinti, per quel “sonno della ragione che genera mostri” dal quale l’umanità sembra dipendere per riaffermare la sua follia distruttrice.

La presentazione della mostra di Diego Collovini

Note biografiche:

Matteo Chinellato, fotografo per le agenzie Getty Images New York, Corbis Images Londra e PhotoShot di Londra inizia nel 2007 a fotografare nel settore professionale dopo vari anni di amatoriale. Specializzato nella micro-macro fotografia mineralogica per editoria, amplia il settore fotografico nella cronaca, natura, paesaggio e urbano, sopratutto della città di Venezia.Nel gennaio 2014 inaugura la sua prima mostra personale, curata dal prof. Italo Zannier, ” AL VOLO ” presso il Centro Culturale Candiani di Mestre con immagini riguardanti Venezia, nel settembre 2014 la sua seconda mostra personale, curata da Fausto Raschiatore, ” Ciak…Azione ! ” presso il Festival delle Arti della Giudecca. Diverse sue immagini sono pubblicate in vari libri, riviste, quotidiani e nel 2014 quattro immagini sono state esposte presso la billboard della Broadway e 46th st. a Times Square, New York mentre nel 2015 parteciperà alla Biennale d’arte di Palermo, curata da Vittorio Sgarbi e Philippe Daverio.

Pier Paolo Fassetta, nato a Venezia, partecipa nel 1969 e nel ‘70, a due edizioni della rassegna San Fedele, a Milano. Nel 1978 e nel 1979 due personali: alla galleria Tommaseo, di Trieste e a Venezia alla Galleria del Cavallino. Per le Edizioni del Cavallino nel 1980, “Presenze”, cartella fotografica in trenta esemplari. Nello stesso anno “Nuovi Media” alla Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia. Nel 2007, “Una Generazione Intermedia”, al Centro Candiani di Mestre curata da R.Caldura e nel 2009, Lienz,“Unbound territories” presso la “Nineninezerozero” di Christina Winkler-Darby. A Venezia e a Roma,”ATTESA” a cura di F. Raschiatore. Maggio 2010, mostra alla Fondazione Luigi Di Sarro a cura di A Madesani. Nel settembre 2011, al Manege di S. Pietroburgo, terza edizione di “Photo Vernissage 2011”. Nel 2012, personale presso la galleria Sikanie di Catania. Sempre nello stesso anno inizia la collaborazione con la Bugno Art Gallery di Venezia. Nel 2014, “Incontri”, con Manfredo Manfroi, al Kunstraum Cafe Mitterhofer di S.Candido. e “Photissima” a Torino.

Bruno Tonolo, è nato a Mirano dove tuttora vive. Ha frequentato lo “Spazio arti figurative Lorenzo Lotto “ di Mirano diretto dal Maestro Gianfranco Quaresimin. Per questa realtà ha collaborato all’allestimento di numerose mostre esponendo anche sue opere. E’ stato invitato ad eventi sia collettivi che personali in Italia, Mestre, Palermo,Cavarzere,Mirano e all’estero alla Generator Gallery a Loughborough, Inghilterra. Ha collaborato alla realizzazione del murales all’ istituto scolastico “8 Marzo” di Mirano. È stato coordinatore e diretto esecutore del murales “Memoria Miranese” decorazione parietale posta nella Sala Consiliare di Villa Errera di Mirano. Si ricordano inoltre le seguenti iniziative: “Ritratti in piazza” promossa dall’Associazione Acrag e Spazio Arti Figurative “L. Lotto” nell’ambito della festa organizzata in Piazza Vittorino da Feltre a Chirignago nel 2008 e 2009. Settimana Europea della Mobilità, performance artistica dal vivo ed esposizione presso la Barchessa di villa Giustinian Morosini di Mirano.

Verso la terza guerra mondiale: Fermiamola!

assemblea_mestre_1Ieri, sabato 15 novembre, si è svolto a Mestre un incontro – dibattito dal titolo “Verso la terza guerra mondiale: fermiamola”, organizzato dal Partito dei Comunisti Italiani, Pandora TV, Rete dei Comunisti, Comitato veneto di solidarietà con il DONBASS Antinazista, Associazione MARX XXI e a cui hanno partecipato GIULIETTO CHIESA (giornalista, “Pandora TV”), MANLIO DINUCCI (giornalista de “il Manifesto”), FRANCESCO MARINGIÒ (vice responsabile esteri PdCI), SERGEY DIACHUK (giornalista di Odessa, Ucraina), SERGIO CARARO (Rete dei Comunisti, direttore di Contropiano) e ANTONIO MAZZEO (portavoce NO MUOS). L’intervento di Giulietto Chiesa è stato interrotto più volte dalle numerose donne ucraine presenti ed è dovuta intervenire la polizia per calmare la situazione. Questi sono tre degli interventi della conferenza:

Antonio Mazzeo Mestre 15 novembre 2014 by Roberto Solari on Mixcloud

Manlio Dinucci Mestre 15 novembre 2014 by Roberto Solari on Mixcloud

Giulietto Chiesa Mestre 15 novembre 2014 by Roberto Solari on Mixcloud

Le bufale (e le manipolazioni) di Wikipedia

BoKEHNeIEAEg-x-.jpg largeWikipedia non è mai stata una fonte attendibile: lo dimostra questo articolo che svela manipolazioni fatte ad arte, invenzioni, falsificazioni, strategie per sviare l’attenzione da queste falsificazioni. E guarda caso i più attivi in queste operazioni sono utenti chiaramente di destra e neofascisti, che intervengono sulle voci “sensibili” alla loro ideologia: Porzus, foibe, partigiani, storici e studiosi come Claudia Cernigoi (la cui voce su Wikipedia è stata “bannata” proprio per l’intervento di questi individui). Riportiamo qui la parte dell’articolo che parla di Franco Basaglia, antifascista e incarcerato per la sua attività contro il regime il 4 dicembre del 1944 e fatto passare su Wikipedia per repubblichino. Questo l’articolo di Nicoletta Bourbaki, quello completo lo potete leggere su     http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=19327 .

Come l’antifascista Franco Basaglia divenne repubblichino su it.wikipedia

È capitato anche che Presbite, dall’alto del suo ruolo di “esperto”, si sia prestato a “coprire” operazioni sporche di altri utenti. Per capire in che modo il futuro psichiatra Franco Basaglia (1924 – 1980), incarcerato per antifascismo già all’età di 19 anni, su it.wikipedia sia diventato… repubblichino grazie all’utente Theirrules e con l’imprimatur di Presbite, ecco la storia dell’inserimento in it.wiki della “notizia”.
«Franco Basaglia nasce a Venezia l’11 marzo 1924, da una famiglia agiata. Secondogenito di tre figli, trascorre un’infanzia e un’adolescenza serene nel caratteristico quartiere veneziano di San Polo. Conclusi gli studi classici, nel 1943 si iscrive alla Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università di Padova. Qui entra in contatto con un gruppo di studenti antifascisti e, a seguito del tradimento di un compagno, viene arrestato e detenuto per sei mesi, fino alla fine della guerra. Esperienza che lo segna profondamente e che rievocherà anni dopo parlando del suo ingresso in un’altra istituzione chiusa: il manicomio.» (Mario Colucci – Pierangelo Di Vittorio, Franco Basaglia, Bruno Mondadori Editore, Milano 2001, pag.1)
6 agosto 2011: nella talk di Presbite Sandro_bt chiede se si può “chiudere” sulla voce “Eccidio di Vercelli”, alla quale una nutrita compagnia – coordinata da chi? Da Presbite, naturalmente – sta lavorando da molto tempo.
Theirrules chiede qualche giorno di tempo dicendo di avere una notiziola interessante da inserire.
11 agosto 2011: Theirrules annuncia nella talk della voce di aver trovato una fonte che indica Basaglia come repubblichino della colonna Morsero. La fonte è un libro di Bruno Vespa,Vincitori e vinti (2005).
4 novembre 2011: l’utente Jose Antonio inserisce nella voce “Franco Basaglia” la “notizia” su Basaglia repubblichino, indicando come fonti Bruno Vespa e il defunto “foibologo” di estrema destra Marco Pirina. L’inserimento viene subito perfezionato da Theirrules.
Bruno Vespa. In un suo libro del 2005 la notizia falsa su Basaglia repubblichino, poi ripresa dai wikinazionalisti. Ecco la citazione: «Al termine della guerra, i militi dei reparti Pontida e Montebello si arresero e vennero trasferiti al campo sportivo di Novara (tra essi, il giovane Franco Basaglia, che sarebbe divenuto negli anni Settanta il capostipite della psichiatria progressista.» La fonte di Vespa (o chi per lui) sembra proprio essere il “foibologo” Marco Pirina, oggi scomparso. Conoscendo il lavoro di Pirina, quest’ennesimo esempio di storiografia “creativa” è ben lontano dal sorprenderci.
5 novembre 2011: l’amministratore Piero Montesacro smonta la bufala portando in talk come fonte autorevole una monografia su Basaglia di Colucci e Di Vittorio. Provvede anche a rimuovere dalla voce “Franco Basaglia” la falsa notizia su Basaglia repubblichino.
1 maggio 2012: Theirrules inserisce la falsa notizia su Basaglia repubblichino nella voce sull’eccidio di Vercelli, asserendo falsamente che tale notizia è già presente nella voce su Basaglia.
21 luglio 2012: Presbite propone di avviare la procedura per il riconoscimento della voce sull’eccidio di Vercelli come voce di qualità.
20 agosto 2012: la voce sull’eccidio di Vercelli viene riconosciuta voce di qualità col voto favorevole del proponente Presbite, di Jose Antonio, di Arturolorioli e del “referee” Adert.
E così diventa “di qualità” anche la bufala sul passato repubblichino di Basaglia. Un’autentica calunnia che verrà rimossa solo nel 2014 dopo una segnalazione avvenuta su Giap.
@Wu_Ming_Foundt @footymac matricola carcere S.M. Maggiore Venezia del noto “fascista” Basaglia arrestato 4/12/1944 pic.twitter.com/5McHEa0SQn ( Iveser Venezia (@IveserVenezia) May 21, 2014).

Franco Giustolisi, la penna che spalancò «L’Armadio della vergogna»

varie-letizia-2443La scomparsa di Franco Giustolisi, storico collaboratore del manifesto, priva di una personalità forte e dal carattere senz’altro deciso non solo i molti suoi lettori ma anche i tanti tra storici, studiosi e magistrati che, nel loro campo distinto, si sono avvalsi della sua voce critica.
Dopo aver attraversato un trentennio da «inviato speciale» su politica, carceri e lotta armata nell’Italia degli anni ’60-’70, dalla metà degli anni Novanta, in piena transizione post-’89, Giustolisi si incaricò di fare i conti con le radici storiche e le aporie memoriali italiane che proprio dalla Guerra Fredda erano derivate. La sua inchiesta più nota ha finito per comporre una semantica che ha resti­tuito un’immagine diretta e irriducibilmente conflittuale alla storia delle stragi nazifasciste.
È infatti grazie all’immagine figurativa de L’Armadio della Vergogna, titolo del suo celebre volume che racconta l’occultamento della documentazione sulle stragi nazifasciste in Italia, che l’opinione pubblica nazionale, ha iniziato ad elaborare una vicenda che richiamava tutte insieme le ragioni della Guerra Fredda e quelle di Stato; l’impunità dei colpevoli e le ragioni mortificate delle vittime fino alle contronarrazioni antipartigiane usate per «dare un senso» e «spiegare» l’indicibile. Se oggi chiunque si avvicini alla materia può utilizzare quello strumento come sintesi di una dialettica com­plessa lo deve proprio alla sua capacità di rendere intellegibile una questione tanto complessa quanto fondamentale.
Lo Stato italiano mentì, occultando le carte e la documentazione delle stragi di civili, la classe diri­gente del paese concertò un silenzio politico «costiutente», prodromico ad ogni rifondazione di istit­uzioni travolte dalla frattura della guerra civile, l’opinione pubblica dell’epoca, infine, preferì dimen­ticare quelle tragedie e con esse le sue responsabilità rispetto al consenso al fascismo.
L’impronta ed il nome dati a quel lavoro di denuncia acquisirono all’epoca, era il 1994, e mante­ngono oggi una loro unicità di significato come accade solo a quel giornalismo d’inchiesta capace di sottrarsi al circuito della «disinformazione quantitativa» che oggi sembra rendere fatti ed eventi di qualsivoglia natura del tutto indistinguibili sul piano della rilevanza pubblica e valoriale.
Il metodo usato ed il senso attribuito agli eventi che Franco Giustolisi, cittadino onorario di Sant’Anna di Stazzema, ha raccontato nel corso della sua battaglia per la verità e la giustizia sulle stragi hanno permesso al suo lavoro di collocarsi in una misura disciplinare trasversale tra storia, diritto e politica, ricollocando l’inchiesta nella sua dimensione pubblica di rapporto tra diritto e dovere all’informazione nella società contemporanea di «rete». L’armadio della vergogna non ha «solo» ridato voce a chi venne travolto dalle logiche militari della guerra ai civili ma rappresenta quel profilo d’indipendenza dell’informazione che, necessario in natura, in epoca di «consensocrazia» diventa indispensabile.

Davide Conti (Il Manifesto del 11/11/14)

Presidio antifascista a Monselice

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Alle 10 di ieri a Monselice c’è stato un presidio antifascista organizzato dall’Anpi di Padova, contro la vergognosa proposta lanciata da un Assessore della Giunta del Comune di intitolare a Benito Mussolini una piazza della frazione di San Bortolo. Uno sfregio – anche alla memoria di tanti monselicensi – verso chi, durante il fascismo, lottò per la libertà del nostro Paese. Questo il discorso pronunciato da Stelvio Ziron, segretari dell’Anpi di Monselice, più volte minacciato dai fascisti della città:

Nel momento in cui tutta la cittadinanza si adopera per celebrare degnamente il centenario della prima guerra mondiale, quando si condannano i soprusi dei generali, quando Monselice non ha ancora sanato le ferite dell’ultimo conflitto sentiamo la proposta dell’assessore Andrea Tasinato di intitolare la piazza della Frazione di San Bortolo a Mussolini, (quanti illustri monselicensi possono essere ricordati? In primis la medaglia d’oro al V.M. Bussolin Bruno tanto per citarne uno) la notizia apparsa sui giornali provinciali e regionali ha provocato grande indignazione fra la popolazione.
Le Associazioni d’arma Combattenti e Reduci, Ex Deportati e Partigiani d’Italia particolarmente colpite da questa affermazione, vogliono ricordale che non tutti gli italiani hanno la memoria corta. Qui vicino al gazebo c’è una croce scolpita, di notte, su una pietra dai “montaricani” per ricordare Usaggi Pietro ucciso il 21.9.1921 con un pugno da un fascista perché l’Usaggi non aveva salutato il gagliardetto. Iniziava il terrore dittatoriale.
L’eccidio di Giacomo Matteotti.
L’obbligo di iscrizione al partito fascista per tutti i lavoratori o la fame.
Il confino o il carcere duro per gli oppositori.
Gramsci, Pertini, Saragat ( i nomi più noti) furono ospitati (ironicamente) in villeggiatura a Ventotene e poi sommariamente processati da giudici prezzolati.
La costituzione nell’Italia Meridionale di 43 campi di detenzione per gli oppositori al regime.
Il patto Roma – Berlino è stato di fatto l’asservimento ai tedeschi di Hitler. Successivamente il patto Roma-Berlino-Tokio.
L’uso di armi chimiche nella guerra contro l’Etiopia.
Le leggi razziali del 1938 che hanno escluso tutti gli ebrei dall’esercizio della professione statale o privata o dall’insegnamento.
Nel 1944 la cattura di tutti gli ebrei di ogni età ed inviati nei campi di sterminio.
Egli ha sempre dichiarato di avere otto milioni di baionette da mandare contro i carri armati. Aveva bisogno di 2000 morti dopo l’aggressione alla Francia nel 1941 per sedere al tavolo delle trattative.
Arriva il 25 luglio 1943 (si sveglia Casa Savoia) egli è arrestato. Con un colpo di mano tedesco viene liberato dalla prigione sul Gran Sasso divenendo succube di Hitler. L’8 settembre 1943 la nota dichiarazione di armistizio.
Le truppe italiane sono abbandonate, in tutti i presidi in tutte le caserme, anche all’estero, a se stesse preda dei tedeschi e inoltrati nei campi di lavoro in Germania.
Con la repubblica di Salò diviene il capo fantoccio della Germania nazista.
I Monselicensi ricordano le tante vittime civili – militari e i partigiani deceduti a centinaia, i reduci dai campi di annientamento a causa della ferocia nazi-fascista.
Testimonianze dei tanti internati deceduti e sopravissuti sono custodite nei tanti testi presso la Biblioteca Comunale di Monselice
Un dubbio ci rode: forse l’assessore è il mandante di quelle scritte infamanti apparse sui muri di Monselice?
In periodo di democrazia tutto è ammesso meno la diffamazione, perseguita dalla legge e la condanna a qualsiasi riferimento al disciolto partito fascista.
Non merita democrazia chi l’ha negata.

Qui tutte le foto del presidio: http://imgur.com/a/DhTeN

8 novembre: Presidio Anpi a Monselice

anpiL’ANPI di Padova e provincia invita tutte le associazioni, le forze politiche e sociali, i comitati e i movimenti che si riconoscono nei valori dell’antifascismo, nonché tutti i cittadini che hanno a cuore la Costituzione Repubblicana nata dalla Lotta di Liberazione a partecipare alla manifestazione-presidio che si terrà:

SABATO 8 NOVEMBRE dalle 10 alle 13 in Piazza Mazzini a Monselice

Con questa presenza pacifica e, ci auguriamo, numerosa, l’ANPI vuole ribadire la sua ferma opposizione alla irricevibile proposta avanzata, nei giorni scorsi, dall’Assessore Comunale di Monselice Andrea Tasinato, che vorrebbe intitolare a Benito Mussolini la piazza della frazione di San Bortolo.
L’ANPI è già intervenuta, sulla stampa locale ed in un apposito incontro con il Sindaco di Monselice, ribadendo la condanna, non suscettibile di revisione storica, sull’operato di Benito Mussolini: egli tolse con la violenza a tutti gli Italiani le libertà democratiche, promulgò nel 1938 vergognose leggi razziste, scatenò guerre imperialiste e coloniali, trascinò, infine, il nostro Paese nella guerra di aggressione più tragica, che segnò la rovina d’Italia.
L’ANPI chiede dunque al Sindaco di Monselice di assumere un atteggiamento fermo ed esplicito di dissociazione e di condanna rispetto all’operato dell’Assessore Tasinato; questo Assessore ha infatti negato, nei fatti, la sostanza dei valori della Costituzione, su cui il Sindaco di Monselice ha giurato. Né si dimentichi che l’apologia di fascismo è un reato, perseguito dalle leggi vigenti, e che ad un rappresentante delle istituzioni si richiede il rigoroso rispetto delle leggi.
L’ANPI ricorda infine che la proposta di Tasinato di riabilitare il fascismo e il suo capo si inserisce all’interno di fenomeni, italiani ed europei, di reviviscenza del neofascismo, del neonazismo, del razzismo, della xenofobia, dell’omofobia che suscitano in tutti democratici preoccupazione e che esigono vigilanza e mobilitazione democratica.

Anpi Provinciale Padova