Ecco come l’Italia viola il Trattato di non proliferazione nucleare

Polish-F-16-SN14Per la seconda volta consecutiva si è svolta in Italia la Steadfast Noon (Mezzogiorno risoluto), l’esercitazione Nato di guerra nucleare: nel 2013 ad Aviano (Pordenone), quest’anno a Ghedi-Torre (Brescia), dove si celebra il 50° anniversario dello schieramento di armi nucleari statunitensi in questa base.
Alla Steadfast Noon 2014, svoltasi nell’ultima decade di ottobre, hanno preso parte Stati uniti, Italia, Polonia, Germania, Belgio, Olanda e Turchia. L’elemento di novità è stata la partecipazione, per la prima volta a una esercitazione nucleare, di cacciabombardieri F-16 polacchi.
Sotto comando Usa, i cacciabombardieri si sono esercitati all’attacco con le B61, le bombe nucleari statunitensi stoccate a Ghedi e ad Aviano in un numero stimato in 70-90. Quante ve ne siano effettivamente è segreto militare. Quello che ufficialmente si sa è che le B61 saranno trasformate da bombe a caduta libera in bombe «intelligenti» B61-12, che potranno essere sganciate a grande distanza dall’obiettivo.
La B61-12 a guida di precisione, il cui costo è previsto in 8-12 miliardi di dollari per 400-500 bombe, si configura come un’arma polivalente, con una potenza media di 50 kiloton (circa quattro volte la bomba di Hiroshima). Essa svolgerà la funzione di più bombe, comprese quelle progettate per «decapitare» il paese nemico, distruggendo i bunker dei centri di comando e altre strutture sotterranee in un «first strike» nucleare. A tale scopo la B61-12 «sarà integrata col caccia F-35 Joint Strike Fighter».
I cacciabombardieri polacchi, che hanno preso parte in Italia all’esercitazione di guerra nucleare, sono stati trasferiti a Ghedi dalla base aerea di Lask in Polonia, dove la U.S. Air Force ha schierato un distaccamento dalla base aerea di Spangdahlem in Germania. A Spangdahlem ha sede anche il 52° Munitions Maintenance Group, incaricato della manutenzione delle circa 200 bombe nucleari statunitensi stoccate in Germania, Italia, Belgio, Olanda e Turchia.
Decollando dalla base di Lask, un caccia statunitense F-16, armato di bombe nucleari, può raggiungere l’exclave russa di Kaliningrad in 12 minuti e Mosca in meno di un’ora.
Gli F-16 che la Polonia ha acquistato dalla statunitense Lockheed, spendendo 5 miliardi di dollari, vengono ora armati con missili da crociera Agm-158 della stessa Lockheed, in grado di distruggere con le loro testate penetranti posti di comando sotterranei a 400 km di distanza. E i piloti polacchi degli F-16 vengono contemponeamente addestrati all’attacco nucleare.
Mosca non sta a guardare: alla fine di ottobre, circa 25 caccia e bombardieri russi hanno sorvolato il Mar Baltico, il Mare del Nord e l’Atlantico per dimostrare la loro capacità di colpire obiettivi in Polo­nia e in altri paesi della Nato.
L’Italia, ospitando armi nucleari statunitensi ed esercitazioni di guerra nucleare, viola il Trattato di non-proliferazione delle armi nucleari ratificato nel 1975.
Esso viene violato da tutti gli altri partecipanti alla Steadfast Noon, che hanno ratificato il Tnp. Gli Stati uniti, quale Stato in possesso di armi nucleari, sono obbligati dal Trattato a non trasferirle ad altri (Art. 1).
Italia, Polonia, Germania, Belgio, Olanda e Turchia, quali stati non-nucleari, hanno secondo il Trattato l’obbligo di non riceverle da chicchessia (Art. 2).
Il 29 ottobre, mentre gli F-16 polacchi partecipavano in Italia all’esercitazione di guerra nucleare, il presidente Napolitano riceveva al Quirinale il presidente polacco Komorowski, dichiarando che «la Polonia condivide con noi le forti spinte ideali del primigenio progetto europeo basato sulla pace».

Manlio Dinucci, Il Manifesto del 4 novembre 2014

Anche un sardo fra i giovani partigiani caduti nella Battaglia del Parauro

v2nb0c9Briana di Noale (VE), domenica 12 ottobre 2014. Al diradarsi della nebbia mattutina nella pianura veneta, dopo la rievocazione del Fatto d’Arme avvenuto 70 anni orsono e degli aspetti più cruenti che lo caratterizzarono, la commozione si fa palpabile e la Presidente dell’Associazione Culturale “Un ponte fra Sardegna e Veneto”, Dr.ssa Elisa Sodde, chiamata a ricevere temporaneamente in consegna l’Onorificenza tributata al giovane Eroe originario della sua Terra, è visibilmente emozionata nel portare i ringraziamenti a nome dei familiari e dell’Amministrazione Comunale di Tonara, piccolo centro della Barbagia, in Provincia di Nuoro, che diede i natali al Partigiano Antonio Zucca, caduto l’11 ottobre 1944 nelle campagne di Briana di Noale, in quella che viene ricordata come la “Battaglia di Briana o del Parauro”, durante la Guerra di Liberazione.

     Alla presenza delle numerose Autorità locali – fra le quali il Sindaco del Comune di Noale, Prof.ssa Patrizia Andreotti; i Sindaci dei Comuni di Mirano, Dr.ssa Maria Rosa Pavanello, di Santa Maria di Sala, Sig. Nicola Fragomeni, di Massanzago, l’Assessore Jessica Costa in rappresentanza del Sindaco Prof. Stefano Scattolin; il Comandante della Stazione dei Carabinieri di Noale Lgt Lino Pavanetto e il Comandante della Polizia locale, Michela Bovo – il 12 ottobre scorso, dinnanzi al Monumento ai Caduti Partigiani di Via Parauro in Noale, si è svolta la solenne Cerimonia di Commemorazione del 70° Anniversario della “Battaglia del Parauro”, promossa dalla Sezione noalese dell’A.N.P.I. (Associazione Nazionale Partigiani Italiani), guidata dal Presiedente Ing. Giancarlo Rossi, con l’Amministrazione Comunale di Noale (che ha presenziato alla cerimonia con numerosi Assessori e Consiglieri delegati), in concorso con le Associazioni Patriottiche e d’Arma del territorio e la C.I.A. (Confederazione Italiana Agricoltori) di Mirano.

     Intervenuti alla celebrazione anche diversi esponenti delle Associazioni Combattentistiche e Partigiane della zona: il Presidente Provinciale A.N.P.I. di Venezia, Dr. Diego Collovini, che ha accompagnato il Labaro sul quale spiccavano le Medaglie concesse al V.M.; il Segretario Provinciale, Dr. Tullio Cacco; il Presidente della Sezione di Martellago, Dr. Cosimo Moretti; il Segretario A.N.P.I. del Miranese, Dr. Bruno Tonolo; e, con le loro Bandiere, i Rappresentanti delle Sezioni A.N.P.I. di Santa Maria di Sala, Mirano, Camponogara, Fiesso d’Artico, Spinea, e della Sezione A.N.C.R. (Associazione Nazionale Combattenti e Reduci) di Noale, accompagnata dal novantaduenne Presidente, Cav. Gordiano Garavello.

    Erano altresì presenti le Bandiere e i Labari delle locali Sezioni dell’Associazione Nazionale del Fante, dell’Associazione Nazionale Bersaglieri, dell’Associazione Nazionale Marinai d’Italia, dell’Associazione Nazionale Carabinieri, dell’Associazione Nazionale Partigiani Cristiani.

 Il Miranese è il territorio pianeggiante che si estende a nord della Riviera del Brenta, nell’area centro-occidentale della provincia di Venezia, comprendente, attualmente, i Comuni di Mirano, Santa Maria di Sala, Salzano, Noale, Scorzè, Martellago, Spinea, e confinante ad Ovest con la Provincia di Padova, ad Est col Comune di Venezia e a Nord con la Provincia di Treviso.

All’epoca dei fatti, fu una delle aree in cui la lotta divampò con maggiore durezza, per la considerevole presenza nella zona di formazioni partigiane coordinate dal C.L.N. (Comitato di Liberazione Nazionale) e per la rabbiosa azione repressiva intrapresa dalle forze nazi-fasciste (reparti tedeschi e Guardia Nazionale Repubblicana della R.S.I.) per schiacciare le iniziative apertamente insurrezionali della lotta clandestina che, nel Veneto in particolare, hanno caratterizzato la Resistenza Italiana.

     L’11 ottobre del 1944, nelle campagne fra Noale (VE), Santa Maria di Sala (VE) e Massanzago (PD), in località Parauro – Zeminiana, si combatté quella che è passata alla storia come la “Battaglia del Parauro” o “Battaglia di Zeminiana”, definita dal Presidente Giancarlo Rossi nella sua rievocazione storica come ‹‹uno dei fatti d’arme più eclatanti della Lotta di Liberazione nel Veneto››.

     I combattimenti si accesero violenti nel primo pomeriggio, intorno alle ore 13, quando una ventina di partigiani locali confluiti nella Compagnia BIS del VI Btg “Sparviero” della Brigata Garibaldi d’Assalto “Padova”, capeggiati dal Comandante Eugenio Bruno Ballan, attendati nelle campagne di Noale, udirono il rumore di camion, auto e motociclette che si fermavano nelle vicinanze del loro accampamento. I nazi-fascisti (circa 250 uomini tra soldati tedeschi e miliziani italiani delle “Brigate Nere”), probabilmente informati da qualche delatore, avevano individuato la presenza dei partigiani e si accingevano ad un rastrellamento. Il Comandante Ballan (detto il “Barba”) diede immediatamente disposizione ai suoi uomini di armarsi, suddividendoli per gruppi e assegnando loro i settori d’azione e i compiti per fronteggiare la situazione di pericolo che aveva intuito, e che di lì a poco si sarebbe palesata.

     Attraverso le memorie del Comandante Ballan e le diverse testimonianze raccolte nel dopoguerra dagli storici locali, si è potuto ricostruire(*) lo svolgimento dei fatti. Dopo circa un’ora di durissimi scontri a fuoco, le perdite da parte delle milizie fasciste ammontavano ad una ventina di morti e numerosi feriti, mentre tra le fila dei partigiani furono catturati quattro uomini dei nuclei avanzati del dispositivo di difesa predisposto dal “Barba”: De Cesaro Silvio, da Castelfranco Veneto (TV); Aiello Cosimo, da Palermo; Bordani Amleto, da Bologna; Zucca Antonio, da Tonara (NU).

     Nello scontro col nutrito contingente di forze nazi-fasciste, il giovane partigiano sardo rimase ferito ad una coscia. Perdeva molto sangue e, disteso per terra, implorava il miliziano che lo aveva catturato di fasciargli la ferita per arrestare la forte emorragia. Questi rispose di dover aspettare il suo capo, dal quale solo avrebbe preso ordini e disposizioni in merito. Giunto sul posto il comandante –  tale Alfredo Allegro, appartenente alle “Brigate Nere” – raccontano i testimoni, che questi lo colpì ripetutamente sulla testa con il calcio del moschetto, fracassando il cranio del ferito, che rimaneva a terra esanime sul ciglio della strada, dove era stato trascinato. Qualche ora dopo, constatato che  dava ancora segni di vita, il povero Antonio Zucca veniva brutalmente “finito” con una pugnalata al petto.

     Anche per gli altri tre partigiani catturati, De Cesaro Silvio, Aiello Cosimo e Bordani Amleto di soli 17 anni,  non ci fu scampo, né sentimenti di umana pietà: furono tutti e tre giustiziati con un colpo di pistola alla nuca.

     Per non dimenticare l’eroico sacrificio dei quattro giovani Caduti nella Guerra di Liberazione, in occasione del 70° Anniversario dei “Combattimenti del Parauro”, il Comune di Noale, di concerto con la locale Sezione dell’A.N.P.I., congiuntamente con le Associazioni Patriottiche e d’Arma del territorio e la C.I.A. di Mirano (Locale Sezione della Confederazione Italiana Agricoltori – organizzazione nella quale ha successivamente operato per lungo tempo, Bruno Ballan, salvatosi fortunosamente dai tragici fatti del Parauro, nonostante la brutta ferita riportata nello scontro a fuoco), ha voluto conferire loro una Medaglia Commemorativa, da consegnare alle loro famiglie o, in loro vece, alle amministrazioni dei Comuni d’origine dei Caduti ed altresì ricordare con una targa di riconoscimento il Comandante Ballan a dieci anni dalla sua morte.

     In rappresentanza dei congiunti del Caduto Antonio Zucca e del Comune di Tonara (NU), ha preso in consegna la Medaglia la Presidente dell’Associazione Culturale “Un ponte fra Sardegna e Veneto”, che visibilmente commossa, ha così ringraziato:

‹‹…A nome dei familiari del giovane Caduto, dell’Amministrazione Comunale di Tonara (NU), facendomi interprete dei sentimenti della Gente di Sardegna, Ringrazio per questa Onorificenza tributata ad un Figlio della nostra Isola, che 70 anni or sono ha sacrificato la sua giovane vita per la Libertà e la Redenzione di queste Sacre Terre.

     Sarà mia cura consegnare la Medaglia concessa alla memoria del Soldato Antonio Zucca nelle mani dei suoi familiari e del Sindaco di Tonara, Sig. Pierpaolo Sau, alla presenza delle Associazioni Combattentistiche e Partigiane Sarde, con le quali l’Associazione Culturale “Un ponte fra Sardegna e Veneto” – che mi onoro di presiedere – sta portando avanti  importanti progetti di recupero dei luoghi della memoria legati agli eventi della Prima e della Seconda Guerra Mondiale, nel segno dei sacri vincoli storici che uniscono le nostre due Regioni. L’occasione giusta potrebbe essere la giornata del 25 Aprile 2015, data nella quale sarà celebrato il 70° Anniversario della Guerra di Liberazione…››

     Ancora una volta, l’Associazione Culturale “Un ponte fra Sardegna e Veneto” si pone come anello di congiunzione fra due Regioni che, seppur geograficamente distanti, sono accomunate dall’inscindibile nodo della storia che il Sodalizio sardo-veneto intende sempre più portare avanti con grande impegno e dedizione, attraverso la promozione di rilevanti iniziative culturali, nel segno del comune ricordo di quanti sacrificarono la loro giovane esistenza per l’Unità e la Libertà del nostro Paese.

     Nei suoi ricordi di bambino, il Sig. Nello Roncato – Segretario della Sezione A.N.P.I. di Noale – ha presente sua madre, la Signora Maria Vallotto, che si recava a deporre un fiore sulla tomba del Caduto Sardo, Antonio Zucca, “…poiché diceva: Quel poro fiol qua no ‘l  ga nissun parente che ‘l possa recitar na orassion davanti la sò tonba e ricordar el sò ato da eroe che ghe ga costà la vita”

ZUCCA Antonio,

nato il 2 maggio 1920 a Tonara (NU),

Soldato del 23° Reggimento di Artiglieria per Divisione di Fanteria,

Combattente della 2^ Guerra Mondiale,

sbandatosi con il suo reparto nei giorni seguenti l’Armistizio dell’8 settembre 1943,

confluito nella Brigata Partigiana Garibaldi d’Assalto “Padova”

Caduto l’11 ottobre 1944 a Briana di Noale (VE)

per la Libertà dell’Italia.

“PRESENTE!”

(*): “La battaglia del Parauro ed il Patrigiano E. B. Ballan”, a cura di A. Serpellon e M. Citton per l’ANPI di Santa Maria di Sala (VE), pagg. 35 ss. Saggio presentato il 12 ottobre 2014 presso la Sala Riunioni del Municipio di Santa Maria di Sala.

Di Elisa Sodde da http://tottusinpari.blog.tiscali.it/

“Le eredità di Vittoria Giunti” di Gaetano Gato Alessi

alessi

Venerdì 31 ottobre alle ore 20.45 nella Sala Conferenze di Villa Errera, in Via Bastia Fuori 58 a Mirano (VE), l’, Anpi “Martiri di Mirano” in collaborazione con Libera Miranese, presenterà il libro di Gaetano Gato Alessi “Le eredità di Vittoria Giunti”.

Pochi conoscono la storia e l’identità della prima donna sindaco di Sicilia. Vittoria Giunti, siciliana di adozione, per scelta d’amore, comunista e partigiana, fu la prima donna a ricoprire la carica di sindaco in Sicilia, tra i primi sindaci d’Italia, dopo il fascismo. La Costituzione, approvata nel ’48, conferiva alle donne la sola capacità elettorale attiva, ma poco più tardi venne corretta, attribuendo anche alle donne il diritto di essere elette. Grazie a Gaetano Alessi, giovane militante e dirigente di sinistra, sindacalista, attivista antimafia con l’Arci, giornalista freelance, editorialista di Articolo 21 e Liberainformazione, oggi viene restituita memoria storica a questa donna straordinaria, che rischiava l’oblio. Le eredità di Vittoria Giunti, edito dalla Rivista Ad est, da Alessi fondata nel 2003, della quale Giunti è la madre spirituale, fa conoscere al mondo la prima sindaca siciliana. Per ironia della sorte, dopo anni di carteggi, solo il 29 ottobre il Tribunale di Agrigento riconosce e iscrive la testata al Registro dei giornali, riviste e periodici col n.° 290.

Vittoria Giunti, classe 1917, fiorentina di origine, di famiglia antifascista, di tradizione ottocentesca per la libertà e il rispetto della persona, vive a Firenze e poi si trasferisce a Roma, dove studia all’Istituto di alta Matematica, frequentando la via Panisperna, la via dei “ragazzi”, il gruppo di Fermi. Si laurea in matematica. Prima del conflitto è assistente all’Università di Firenze. Per indole e per formazione combatte il fascismo, ma fa una scelta di impegno, necessaria e sentita: diventa partigiana e lotta per la liberazione e la libertà. Partecipa a tutte le fasi che portano l’Italia alla Costituzione della Repubblica, facendo parte di diverse commissioni della Costituente, tra cui quella per il voto alle donne, di cui andrà sempre fiera. Dirige la casa della Cultura di Milano, è tra le fondatrici e direttrice della rivista Noi donne. Durante la Resistenza incontra il partigiano Salvatore Di Benedetto, più tardi sindaco di Raffadali, Deputato e Senatore della Repubblica che nelle fasi della Liberazione di Milano riporta gravi ferite. Si innamorano e dopo il 25 Aprile decidono di costruire il loro futuro insieme, in Sicilia. Di Benedetto la porta con sé a Raffadali, dove vivrà fino alla morte, avvenuta il 3 giugno del 2006, il giorno dopo una data a lei cara, la nascita della Repubblica. In Sicilia trova un’altra Resistenza che in quegli anni i contadini combattono contro i padroni e la mafia che li fiancheggia. Sono gli anni dell’occupazione delle terre, della presa di coscienza dei contadini della loro forza e del loro sfruttamento. Le donne sono protagoniste delle lotte. Con umiltà si integra, parla agli uomini e alle donne, lotta al loro fianco in quegli anni di riscatto sociale e umano, rappresentati dalla Riforma agraria. Il suo essere forestiera presto non sarà più un pregiudizio perché lei si pone con discrezione, senza superbia, alla pari. Vittoria riflette sulla fortuna che ha avuto nel nascere a Firenze, ad avere avuto una famiglia agiata, ad avere studiato e frequentato persone libere e rispettose della libertà altrui. Tutto quello che lei aveva avuto altri non lo avevano avuto in dono dalla vita. Perciò non si potevano colpevolizzare. Con la sua umiltà e il rispetto profondo per i siciliani conquista la loro stima e l’affetto. La sua concezione della politica è alta, antica. Politica per lei è servire il popolo, il debole, lavorare per loro. Vittoria Giunti è una figura di grande attualità, un esempio di cui la memoria collettiva abbisogna per il significato storico, sociale e politico, in questi tempi bui e indifferenti al significato originario e antico del fare politica. Nel racconto-intervista, Alessi ricostruisce le fasi della scelta dell’accettazione della candidatura a sindaco di Sant’Elisabetta, piccolo comune dell’entroterra siciliano, divenuto autonomo nel 1955. In un’epoca di povertà e arretratezza, Vittoria, donna fiorentina, scienziata e umanista, libera per indole e formazione, senza mai parlare di sé e della sua storia, conquista i siciliani, che la scelgono e per lei avranno parole di stima e affetto perchè le riconoscono l’onestà intellettuale, l’amore per gli ideali, veri e universali, rappresentati fortemente dal Partito Comunista, per il quale milita e agisce rispondendo al sogno di una cosa che aveva visto realizzare nell’Italia liberata del 1945.

L’Anpi “Martiri di Mirano” aderisce alla manifestazione del 25 ottobre

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La sezione Anpi “Martiri di Mirano” aderisce e partecipa, alla manifestazione nazionale della CGIL del 25 ottobre 2014 a Roma, in difesa degli spazi di democrazia, al fine di contrastare gli attacchi alla Costituzione nata dalla resistenza al fascismo e per contrastare ogni forma di possibile regime autoritario.

Il lavoro non si crea cancellando i diritti conquistati con anni e anni di sacrifici e di lotte, ma allargando le tutele universali. Si vuole abolire definitivamente l’Articolo 18 della legge 300, in realtà per cancellare lo statuto dei lavoratori e per aprire sempre più le porte all’arbitrio senza regole nei rapporti di lavoro (ricordiamo tra l’altro, cosa sta accadendo con la riforma del Senato).
Si deve invece combattere la precarietà cancellando la giungla dei 46 tipi di contratti esistenti, che rendono un inferno non solo il lavoro ma anche la vita di tante persone.

Sempre più è necessario che tutte le forze che hanno a cuore i diritti sociali e i principi di libertà istituzionali si mobilitino, perché l’attacco al movimento dei lavoratori e il conseguente suo indebolimento, potrebbe essere veramente un grave pericolo per la democrazia nel nostro Paese.

Partecipiamo in massa a questa grande manifestazione per difendere le nostre conquiste ma anche indicando sentieri di lotta democratica ai nostri giovani.

ANPI sez. “Martiri di Mirano”

Perché dobbiamo eliminare le armi nucleari e sottoscrivere la mozione del sindaco di Hiroshima che prevede la loro distruzione entro il 2020

the_day_afterUna guerra nucleare. Fu quello che si sfiorò nel 1983, ma che è rimasto all’oscuro. Fino ad oggi. Nel novembre del 1983, gli Usa e i loro alleati della Nato condussero una serie di esercitazioni militari, denominate “Operation Able Archer”, talmente realistiche dal convincere i russi della possibilità di un attacco nucleare sul loro territorio. Quando l’allora governo conservatore britannico venne informato del rischio dai servizi segreti, il premier Margaret Thatcher ordinò ai suoi funzionari di fare pressione sugli americani affinché un simile errore non si ripetesse.

Tutto questo è stato rivelato grazie a una serie di documenti top secret, ora desecretati, ottenuti da Peter Burt, direttore del Nuclear Information Service (Nis), un’organizzazione impegnata contro la proliferazione delle armi nucleari. “Questi documenti testimoniano un momento di svolta nella storia moderna, il punto nel quale un allarmato governo Thatcher si rende conto che bisogna mettere fine alla Guerra Fredda e inizia a convincere gli alleati americani a fare altrettanto”, spiega Burt al quotidiano britannico Guardian.

Able Archer, che prevedeva lo spostamento di 40mila militari Usa e della Nato attraverso l’Europa occidentale ed era coordinato da un sistema criptato di comunicazioni, immaginava uno scenario nel quale le Forze Blu (Nato) intervenivano a difesa dei loro alleati dopo che le Forze Arancioni (Patto di Varsavia) avevano invaso la Jugoslavia a seguito di sommovimenti politici interni. Le Forze Arancioni, secondo lo scenario ipotizzato nell’esercitazione, avevano poi anche invaso la Finlandia, la Norvegia e la Grecia. In breve, il conflitto immaginario subiva un’escalation che prevedeva l’uso di armi chimiche e nucleari.

A quanto riporta l’Adnkronos, secondo Paul Dibb, che in passato è stato direttore della Joint Intelligence Organisation (Jio), gli ex servizi di intelligence australiani, l’esercitazione militare Nato del 1983 costituì per la pace nel mondo una minaccia ancora più grave di quella della crisi dei missili di Cuba del 1962. “Able Archer avrebbe potuto dare il via alla catastrofe definitiva”.

Ad aumentare il rischio di una fatale incomprensione tra i due schieramenti era soprattutto il contesto storico nel quale avvenne l’esercitazione. Due mesi prima, nel settembre del 1983, i russi avevano abbattuto un Boeing 747 delle linee aeree coreane, uccidendo le 269 persone a bordo, credendo che l’aereo fosse un velivolo spia americano. In precedenza, il presidente Usa Ronald Reagan aveva pronunciato il famoso discorso nel quale definiva l’Unione Sovietica “l’impero del male”, annunciando i suoi piani di “Guerre Stellari” per la realizzazione di un sistema di difesa strategico.

La diffidenza reciproca tra i due blocchi era quindi ai massimi livelli. Dopo l’avvio dell’esercitazione della Nato, il Cremlino diede l’ordine di decollo a una decina di bombardieri nucleari dislocati in Germania est e Polonia. Circa 70 rampe di lancio dei missili SS-20 vennero poste in stato di allerta, mentre i sottomarini sovietici armati con missili nucleari vennero inviati sotto i ghiacci dell’Artico, per sfuggire ai sistemi di rilevamento della Nato. All’inizio, i comandanti della Nato pensarono che le mosse sovietiche fossero a loro volta una esercitazione militare ordinata da Mosca.

I documenti ottenuti da Peter Burt indicano invece quanto fatale potesse rivelarsi quell’equivoco. In un rapporto desecretato del Joint Intelligence Commitee (Jic) britannico si legge: “Non possiamo escludere la possibilità che almeno alcuni funzionari e ufficiali sovietici possano avere male interpretato Able Archer 83 e considerino altre esercitazioni nucleari come una reale minaccia”.
L’allora segretario di Downing Street, Sir Robert Armstrong, in un briefing alla Thatcher spiegò che la risposta sovietica non aveva le caratteristiche di un’esercitazione perchè “avveniva durante un’importante festività sovietica, aveva la forma di una reale attività militare e di allerta, non solo di un’esercitazione ed era limitata geograficamente in un’area, l’Europa centrale, coperta dall’esercitazione della Nato”.

In sintesi, l’Unione Sovietica temeva un attacco della Nato mascherato da esercitazione militare. Gran parte delle informazioni di intelligence contenute nel briefing per il primo ministro, inoltre, provenivano da Oleg Gordievskij, l’ex doppio agente segreto al servizio dell’intelligence britannica. La Thatcher, rivelano ancora i documenti, prese talmente sul serio la minaccia derivante da un catastrofico malinteso, che ordinò ai suoi funzionari di “considerare quanto può essere fatto per impedire il rischio che l’Unione Sovietica reagisca in maniera spropositata a causa di una interpretazione sbagliata delle intenzioni occidentali”. Il premier chiese quindi di “prendere urgentemente” misure per convincere gli americani del rischio.

Il ministero della Difesa e quello degli Esteri stesero allora una bozza di documento da sottoporre all’attenzione di Washington, nella quale si proponeva che d’ora in avanti “la Nato dovrebbe informare regolarmente l’Unione Sovietica sulle previste attività di esercitazioni militari che comprendono simulazioni nucleari”. Il briefing che tanto allarmò la Thatcher finì anche sulla scrivania di Reagan, che volle incontrare personalmente la spia Gordievskij. Secondo le ricostruzioni, il presidente Usa rimase talmente colpito dagli argomenti presentatigli, che si convinse della necessità di un approccio diverso con l’Unione Sovietica.

da http://www.huffingtonpost.it

http://it.wikipedia.org/wiki/Able_Archer_83

Roma 12 ottobre 2013: La via maestra

OLYMPUS DIGITAL CAMERAIl 12 ottobre 2013 alla manifestazione “La via maestra”, l’Anpi di Mirano era a Roma insieme a tante altre Anpi per difendere la nostra Costituzione, i diritti che da essa discendono, e il dovere di difenderne i principi straordinariamente avanzati che, nonostante le rovine della guerra, i padri costituenti seppero indicare in modo netto e chiaro. Perchè, come diceva il documento ufficiale della manifestazione “la difesa della Costituzione non è uno stanco richiamo a un testo scritto tanti anni fa. Non è un assurdo atteggiamento conservatore, superato dai tempi. Non abbiamo forse, oggi più che mai, nella vita d’ogni giorno di tante persone, bisogno di dignità, legalità, giustizia, libertà? Non abbiamo bisogno di politica orientata alla Costituzione? Non abbiamo bisogno d’una profonda rigenerazione bonificante nel nome dei principi e della partecipazione democratica ch’essa sancisce?”.
Le mani sulla nostra Carta fondamentale le hanno purtroppo messe e anche in maniera pesante, ma noi, come tanti altri, cercheremo di opporci e di ribadire in ogni luogo che “la difesa della Costituzione è dunque innanzitutto la promozione di un’idea di società, divergente da quella di coloro che hanno operato finora tacitamente per svuotarla e, ora, operano per manometterla formalmente. È un impegno, al tempo stesso, culturale e politico che richiede sia messa in chiaro la natura della posta in gioco e che si riuniscano quante più forze è possibile raggiungere e mobilitare. Non è la difesa d’un passato che non può ritornare, ma un programma per un futuro da costruire in Italia e in Europa.”

Le foto di quel giorno: http://imgur.com/a/rnvSG

Decennale della scomparsa di Eugenio Bruno Ballan “Barba”

Intitolazione Ballan e altri_LOCANDINA_luoghi

Tre giorni dedicati a quattro amministratori che hanno contribuito a costruire la Mirano di oggi con il suo patrimonio sociale e storico culturale:

venerdì 10 ottobre ore 20.30 a Mirano, presso la Sala Conferenze di villa Errera: convegno “Per non dimenticare”
sabato 11 ottobre ore 9.30: deposizione targhe

domenica 12 ottobre ore 9.30: commemorazione battaglia del Parauro e alle ore 11.30 commemorazione Bruno Ballan a Santa Maria di Sala.

E’ possibile consultare Il programma dettagliato nella locandina allegata.

Hong Kong, sotto l’ombrello

Di fronte alla «Umbrella Revolution» (definizione made in Usa), il governo britannico si dice «preoccupato» che a Hong Kong siano garantiti «i fondamentali diritti e le fondamentali libertà». Londra su questo può dare lezione.

Nell’Ottocento  gli inglesi, per penetrare in Cina, ricorrono allo smercio di oppio che portano dall’India, provocando enormi danni economici e sociali. Quando le autorità cinesi confiscano e bruciano a Canton l’oppio immagazzinato, intervengono le truppe inglesi costringendo il governo a firmare nel 1842 il Trattato di Nanchino, che impone tra l’altro la cessione di Hong Kong alla Gran Bretagna. Da allora fino al 1997 Hong Kong è colonia britannica, sotto un governatore inviato da Londra. I cinesi sono sfruttati dai monopoli britannici e segregati, esclusi anche dai quartieri abitati da britannici. Scioperi e ribellioni vengono duramente repressi.

Dopo la nascita della Repubblica popolare nel 1949, Pechino, pur rivendicando la sovranità su Hong Kong, la usa  come porta commerciale, favorendone lo sviluppo. La Hong Kong riannessa alla Cina quale regione amministrativa speciale, con 7,3 milioni di abitanti su  quasi 1,4 miliardi della Cina, ha oggi un reddito procapite di 38420 dollari annui, più alto di quello italiano, quasi il sestuplo di quello della Cina.

Ciò perché Hong Kong, quale porta commerciale della Cina, è il 10° esportatore mondiale di merci e l’11° di servizi commerciali. Inoltre, essa viene visitata ogni anno da oltre 50 milioni di turisti, dei quali 35 milioni cinesi.

La crescita economica, pur inegualmenrte distribuita (vedi il sottoproletariato locale e straniero che campa con «l’arte di arrangiarsi»), ha portato a un generale miglioramento delle condizioni di vita, confermato dal fatto che la durata media della vita è salita a 84 anni (rispetto a 75 nell’intera Cina).

Il movimento studentesco nato a Hong Kong per chiedere che l’elezione del capo di governo sia diretta e non condizionata da Pechino, è formato da giovani appartenenti in genere agli strati sociali avvantaggiati dalla crescita economica.

Su questo sfondo si pone la domanda: perché, mentre si ignorano centinaia di milioni di persone che in tutto il mondo lottano ogni giorno per i più elementari diritti umani in condizioni ben peggiori, si trasformano alcune migliaia di studenti di Hong Kong, al di là delle loro stesse rivendicazioni, in icona globale di lotta per la democrazia?

La risposta va cercata a Washington. Gli ispiratori e i capi di quello che viene definito «un movimento senza leader» – dimostra un’ampia documentazione –  sono collegati al Dipartimento di stato e a sue emanazioni sotto forma di «organizzazioni non-governative», in particolare la «Donazione nazionale per la democrazia» (Ned) e l’«Istituto democratico nazionale» (Ndi) che, dotate di ingenti fondi, sostengono «gruppi democratici non-governativi» in un centinaio di paesi.

Due esempi fra i tanti. Benny Tai, il docente di Hong Kong che ha lanciato il movimento «Occupy Central»  (v. il South China Morning Post del 27 settembre), è divenuto influente grazie a una serie di forum finanziati da queste «ong». Martin Lee, fondatore del «Partito democratico» di Hong Kong, è stato invitato a Washington dalla Ned e, dopo un briefing teletrasmesso (2 aprile), è stato ricevuto alla Casa Bianca il 7 aprile dal vice-presidente Biden.

Da questi e altri fatti emerge una strategia, analoga a quella delle «rivoluzioni colorate» nell’Est europeo, che, strumentalizzando il movimento studentesco, mira a rendere Hong Kong ingovernabile e a creare movimenti analoghi in altre zone della Cina abitate da minoranze nazionali.

Manlio Dinucci, il manifesto, 7 ottobre 2014

“Assalto al Monte Grappa”: i video della serata

http://youtu.be/6xUaKdSqUrA?list=UUkACoSwDssj_XxMTkX3K0IA http://youtu.be/5Pm-1bN-hmM?list=UUkACoSwDssj_XxMTkX3K0IA http://youtu.be/Qf0V0DES8FQ?list=UUkACoSwDssj_XxMTkX3K0IA http://youtu.be/Ne6m60M6EN4?list=UUkACoSwDssj_XxMTkX3K0IA

http://anpimirano.it/2014/12-settembre-2014-assalto-al-monte-grappa/

La memoria non va in cenere

indexRosario Bentivegna, medaglia d’argento al Valor Militare e comandante partigiano del Gruppo d’Azione Patriottica “Carlo Pisacane” di Roma non avrebbe voluto essere sepolto in alcun cimitero. Lo lasciò scritto nelle sue «Disposizioni in caso di mia morte» conservate ancora oggi da Patrizia Toraldo di Francia, sua compagna di vita per 38 anni. Alle persone che «mi hanno amato e che ho amato» lasciò scritto «Non mettetemi dietro una lapide». Tanto meno avrebbe pensato ad un monumento o una targa celebrativa, lui che fulminava con lo sguardo chiunque lo chiamasse “eroe”. «Io credo solo -ripeteva quasi pedagogicamente- che in alcuni momenti della storia si verificano condizioni per cui ci sono persone giuste al posto giusto». Ha sempre sentito Roma sulla pelle ed ha amato visceralmente la sua città. La dispersione delle sue ceneri nel Tevere non gli sarebbe affatto dispiaciuta.
Tuttavia la vicenda della sua «mancata sepoltura», e di quella della medaglia d’oro Carla Capponi, interroga di nuovo l’inquieto rapporto tra la città ed i suoi figli partigiani. Un passato prossimo che, fatta salva la retorica d’ufficio delle celebrazioni ufficiali, mantiene a distanza di settantanni tutto il suo carattere di irrequieto ingombro non tanto dinanzi alla storia, che ha già emesso il suo assiomatico giudizio sul valore dei partigiani, quanto di fronte ad una società civile e ad una sfera pubblica refrattarie alle scelte di campo valoriali e permanentemente protese ad alimentare la damnatio memoriae di quegli eventi della guerra partigiana che, segnando una linea di faglia in grado di definire un prima e un dopo, avrebbero dovuto impedire il perpetrarsi di persistenze conservative, continuità istituzionali e autoassoluzioni collettive dopo il fascismo.
In questo senso l’esempio del vissuto resiliente dei gappisti, che dal terrore dell’occupazione nazista seppero trarre il coraggio della lotta di Liberazione, sembra rappresentare ancora oggi un elemento eterodosso della storia recente di Roma, non assimilato, quando non addirittura contestato, nella sua legittimità da parti marginali ma non non esigue della città. Di ciò che stiamo facendo non dovremmo parlare con alcuno né oggi, né domani né dopodomani». Quando Mario Fiorentini, comandante del Gap “Antonio Gramsci”, indicava ai suoi compagni le regole essenziali della lotta armata faceva certamente riferimento alle norme di compartimentazione e segretezza necessarie alla rete clandestina del Pci ma allo stesso tempo cercava di sollecitare il pudore delle coscienze in quei giovanissimi combattenti che nonostante la nobile scelta compiuta non avrebbero dovuto mai dimenticare il peso umano di quelle azioni alle quali avrebbe reso ragione soltanto la straordinarietà del tempo della storia all’epoca della seconda guerra mondiale.                                                                                                                 Lucia Ottobrini, medaglia d’argento dei Gap romani, oggi quasi si ritrae, seppur con tutta la delicata grazia dei suoi modi, di fronte alla necessità di ricordare un’esperienza tanto dura quanto straordinaria per lei cattolica e comunista. Per i componenti dei Gap, donne e uomini che potevano restare mesi senza parlare con nessuno ed attaccare militarmente da soli soldati tedeschi e collaborazionisti fascisti, il peso della solitudine e l’unicità di quel vissuto furono resi sopportabili solo dalla convinzione assoluta della giustezza di quella scelta di vita. Alla nuova repubblica democratica sarebbe poi spettato il compito storico di «fondarsi sulla Resistenza» ovvero non celebrare in stile marziale le vicende di guerra o i loro protagonisti ma esaltare i valori universali che quelle azioni partigiane avevano significato e per cui erano state compiute.                                      I gappisti però, fin dall’immediato dopoguerra rappresentarono il convitato di pietra della riappacificazione nazionale fondata sulla rimozione del passato. Per questo hanno sempre pagato un prezzo. Il primo processo della Roma liberata del 1944 venne celebrato dagli Alleati contro Bentivegna, poi assolto, per il caso Barbarisi mentre già durante il processo Kappler del 1948 i Gap, e finanche il vertice della Giunta militare di Roma Amendola-Bauer-Pertini, furono accusati come fossero loro, e non i nazisti, i responsabili della strage delle Fosse Ardeatine. Calunniati dalla stampa neofascista e da molti «maestri del giornalismo», si difesero ottenendo sempre smentite ufficiali, scuse pubbliche e risarcimenti. Nel 1964 furono inseriti nelle liste golpiste del «Piano Solo» di De Lorenzo che disponeva la loro deportazione nei campi di Gladio a Capo Marrargiu.     Negli anni ’70 molti subirono minacce di attentati da parte di gruppi dell’estrema destra, mentre a metà anni ’90, quando solo i tumulti davanti al tribunale militare impedirono a Priebke di tornare libero in Argentina, si trovarono ancora accusati della responsabilità dell’eccidio del 24 marzo 1944. Ad una giornalista francese che gli chiedeva quale fosse il suo giudizio finale tra il dato ed il ricevuto dall’esperienza partigiana Bentivegna rispose: «È una domanda difficile. Perché mi ha tolto molto spazio ma mi ha dato l’orgoglio del dovere fatto in fondo anche a costo della vita. Perché la vita non è solo quella che si può perdere in battaglia». Quella dei Gap è una storia che «divide». Separa la libertà dalla dittatura; il progresso dalla reazione; la modernità dall’oscurantismo.

Per scegliere da che parte stare non servono lapidi.

Davide Conti, Il Manifesto del 27 settembre 2014