“Roma città aperta” è considerato il manifesto del neorealismo e uno dei capolavori assoluti del cinema mondiale e, secondo molti critici, il miglior film italiano sulla resistenza: fu girato nel gennaio del 1945, a guerra appena finita, con pellicole scadute ed un set di fortuna, visto che Cinecittà era stata spogliata di tutte le attrezzature tecniche e gli studi venivano utilizzati da numerosi sfollati che non potevano essere accolti altrove. Per chi non ricordasse la trama rimandiamo a questo articolo pubblicato nel nostro sito. Per quanto riguarda le figure principali del film, Rossellini e il gruppo dei suoi sceneggiatori (Sergio Amidei, Federico Fellini e Celeste Negarville) si ispirarono a persone realmente esistite:
– Il personaggio di don Pietro (Aldo Fabrizi) riassume le figure di don Giuseppe Morosini e di don Pietro Pappagallo
– Il personaggio di Pina (Anna Magnani) è ispirato a Teresa Gullace, una donna italiana uccisa dai soldati nazisti mentre tentava di parlare al marito prigioniero dei tedeschi: episodio che ispirò la famosa scena del film.
“Su in collina”
Francesco Guccini nel 2007 scrisse una canzone tratta da una poesia in dialetto. Questa poesia parlava di un episodio della Resistenza avvenuto sulla Linea Gotica, vicino a Bologna. Adesso l’ha incisa nell’ultimo suo disco “L’ultima Thule”.
“Ogni tanto capita di scrivere una canzone nuova, e ho scritto una canzone nuova. O meglio, ho trovato una poesia scritta in dialetto bolognese e l’ho tradotta in italiano. Flaco ha musicato questa poesia in modo molto emozionante; Flaco ha musicato questi bellissimi versi, ed è una poesia che parlava della guerra partigiana, con dei personaggi che si chiamavano con dei nomi di battaglia: ‘Pedro’, ‘Cassio’, ‘il figlio del Biondo’, ‘il Brutto’…siamo in un curioso periodo di revisionismo, e siamo in un periodo in cui qualcuno cerca di equiparare i combattenti della repubblica di Salò ai partigiani. Io dico che, con tutti i distinguo, con tutta la retorica che c’è stata, lasciamo stare, lasciatemi stare la Resistenza. La canzone si chiama ‘Su in collina’, e parla appunto di Pedro, di Cassio, il figlio del Biondo, il Brutto”
(Francesco Guccini, presentazione dal vivo della canzone nel tour del 2007)
Pedro, Cassio e poi me, quella mattina
Sotto una neve che imbiancava tutto
Dovevamo incontrare su in collina
L’altro compagno, figlio al Biondo, il Brutto
Il vento era ghiacciato e per la schiena
Sentivamo un gran gelo da tremare
C’era un freddo compagni su in collina
Che non riuscivi neanche a respirare
Andavamo via piano, “E te cammina!”
Perché veloci non si poteva andare
Ma in mano tenevam la carabina
Ci fossero dei togni a cui sparare
Era della brigata il Brutto, e su in collina
Ad un incrocio forse c’era già
E insieme all’altra stampa clandestina
Doveva consegnarci “l’Unità”
Ma Pedro si è fermato e stralunato
Gridò “Compagni mi si gela il cuore
Legato a tutto quel filo spinato
Guardate là che c’è il Brutto, è la che muore”
Non capimmo più niente e di volata
Tutti corremmo su a quella stradina
Là c’era il Brutto tutto sfigurato
Dai pugni e i calci di quegl’assassini
Era scalzo, né giacca né camicia
Lungo un filo alla vita e tra le mani
Teneva un’asse di legno e con la scritta
“Questa è la fine di tutti i partigiani”
Dopo avere maledetto e avere pianto
L’abbiamo tolto dal filo spinato
Sotto la neve, compagni, abbiam giurato,
Che avrebbero pagato tutto quanto.
L’abbiam sepolto là sulla collina
E sulla fossa ci ho messo un bastone
Cassio ha sparato con la carabina
Un saluto da tutto il battaglione
Col cuore stretto siam tornati indietro
Sotto la neve andando, piano piano
Piano sul ghiaccio che sembrava vetro
Piano tenendo stretta l’asse in mano
Quando siamo arrivati su al comando
Ci hanno chiesto: la stampa clandestina
Cassio mostra il cartello in una mano
E Pedro indica un punto su in collina
Il cartello passò di mano in mano
Sotto la neve che cadeva fina
In gran silenzio ogni partigiano
Guardava quel bastone su in collina
La Costituzione Italiana
La prima funzione del linguaggio è la funzione comunicativa: è anzitutto il mezzo di relazione sociale, il mezzo di comprensione reciproca tra gli uomini, il mezzo di trasmissione intenzionale del pensiero e delle esperienze vissute.
La parola, unità fondamentale della “lingua”, è lo strumento che ha permesso all’uomo di acquisire la capacità di impadronirsi di mezzi psichici, volontà, attenzione, memoria, fondamentali per la padronanza del comportamento. Ma non basta: la parola è anche la cellula fondamentale della coscienza che rispecchia il mondo esterno.
“L’uomo che lavora – dice “Nino” Antonio Gramsci – opera praticamente, ma non ha una chiara coscienza teorica di questo suo operare che pure è un conoscere il mondo in quanto lo trasforma. La sua coscienza teorica anzi può essere storicamente in contrasto col suo operare. Si può quasi dire che egli ha due coscienze teoriche (o una coscienza contraddittoria), una implicita nel suo operare e che realmente lo unisce a tutti i suoi colleghi operai impiegati nella trasformazione pratica della realtà e una meno corporea, superficialmente esplicita, verbale, che ha ereditato dal passato senza critica.
Tuttavia questa concezione “verbale” non è senza conseguenze: essa riannoda ad un gruppo sociale determinato (egemonia culturale della classe dominante), influisce nella condotta morale, nell’indirizzo della volontà, in modo più o meno energico, che può giungere fino al punto che la sua contraddittorietà della coscienza non permette nessuna azione, nessuna decisione, nessuna scelta e produce uno stato di passività morale e politica. La comprensione critica di se stessi avviene quindi attraverso una lotta di egemonie politiche di direzioni contrastanti, prima nel campo dell’etica, poi della politica per giungere ad una elaborazione superiore della propria concezione del reale che ha superato il senso comune ed è diventata sia pure entro certi limiti ancora ristretti, critica .”
Questa è la Coscienza Critica – costruita durante gli anni della dittatura mussoliniana e negli anni 1943-1945 – degli uomini e delle donne che hanno combattuto il nazifascismo e che hanno votato definitivamente la Costituzione Italiana al Parlamento il 27 Dicembre 1947. Leggi tutto “La Costituzione Italiana”
Torino: intitolata una via a Ludovico Geymonat
Venerdì 30 novembre 2012, alle ore 11.00, la via tra corso Unione Sovietica e via San Michele del Carso, già dedicata a Gaetano Scirea, è stata intitolata a Ludovico Geymonat, studioso torinese scomparso a Rho (Milano) il 29 novembre del 1991.
Geymonat, nato a Torino nel 1908 è stato allievo del matematico Giuseppe Peano e si è laureato in filosofia all’Università di Torino nel 1930. E’ stato antifascista e partigiano, ha insegnato all’università di Milano dal 1956 al 1978 ed è stato titolare della prima cattedra italiana di filosofia della scienza. Autore di una monumentale “Storia del pensiero filosofico e scientifico”, oltre che di un gran numero di opere sistematiche e di studi, ha introdotto il positivismo e l’empirismo logico in Italia in un contesto dominato dalla filosofia idealista di Benedetto Croce e Giovanni Gentile. Eletto Consigliere comunale di Torino nella prima tornata amministrativa del dopoguerra, nelle liste del Partito Comunista Italiano, è stato Assessore dal 1946 al 1951.
Un articolo di Felice Burdino che descrive l’azione nella lotta partigiana di Ludovico Geymonat: https://docs.google.com/open?id=0B2Fig3cDXuVMUmFxeHlDMWI0c0k
28 dicembre 2012: 69° anniversario della fucilazione dei Fratelli Cervi
Ricorre quest’anno il 69° anniversario del sacrificio dei Sette Fratelli Cervi e di Quarto Camurri fucilati per mano dei fascisti all’alba del 28 dicembre 1943. Diventata nel tempo una vera e propria ricorrenza del calendario cosiddetto civile, una data simbolo della nostra storia contemporanea, alla stregua del 25 aprile, del 25 luglio, dell’8 settembre, Leggi tutto “28 dicembre 2012: 69° anniversario della fucilazione dei Fratelli Cervi”
Amare considerazioni
Negli anni della Giunta Cappelletto, attorno alle iniziative promosse dall’ANPI di Mirano, spesso organizzate in collaborazione con l’ANPI Provinciale, con quello Nazionale, i partiti, i sindacati le associazioni che si richiamano ai valori dell’antifascismo, si era consolidato un clima di coesione ideale e di mobilitazione tra i cittadini, da far sperare in una stagione nuova della politica, all’insegna del superamento delle vecchie pregiudiziali ideologiche, in grado di favorire la costituzione, a Mirano, di un fronte unitario democratico antifascista, contro ogni forma di razzismo e di discriminazione.
Purtroppo nel corso di quest’ultimo anno si sta constatando che questo spirito unitario sembra essersi smarrito, forse perché è stata superata la fase di “emergenza democratica” che aveva segnato la vita sociale e politica della nostra città per le performance inqualificabili dei suoi amministratori di centro destra.
Oggi, fortunatamente, siamo rientrati in una fase di “normalità democratica” dove a ciascuno è chiesto di lavorare per il consolidamento di valori ispirati alla Resistenza.
Dalle più recenti iniziative, come la mostra sui crimini di guerra dell’esercito italiano nella ex Iugoslavia, sino alla due manifestazioni di martedì 11 dicembre 2012, organizzate con l’Amministrazione Comunale in ricordo dei Martiri trucidati in piazza, abbiamo avuto la conferma di questa sensazione, in modo più evidente per l’incontro svolto in serata quando ci siamo trovati in dieci compreso il Presidente Provinciale, Diego Collovini.
Non vorremmo che questi, ormai frequenti segnali di disaffezione e disattenzione nei confronti dell’ANPI e dei suoi interventi, rientrassero in quella tendenza, oggi molto diffusa, di allontanamento dei cittadini dai partiti e dalla vita politica grazie ad una sapiente regia che si esprime alimentando uno scetticismo qualunquista e populista, mediante una denigrazione generalizzata nei confronti di tutto ciò che sa di “vecchio”.
Che gli stili di “vita” dei partiti, e più in generale di chi è chiamato a gestire la cosa pubblica, debbano essere profondamente criticati e rivisti, questo è fuori dubbio, anche alla luce dei recenti fatti di cronaca, ma non dimentichiamoci che la Democrazia e la Libertà sono beni da conquistare e difendere ogni giorno, in particolare in questi tempi quando i punti di riferimento ideali e morali, che dopo la Liberazione sono stati posti a fondamento della vita dello Stato, sembrano dissolversi nella banalità e nella indifferenza dell’informazione quotidiana.
E’ sufficiente ricordare come sia praticamente passato sotto silenzio l’anniversario della strage di Piazza Fontana, tappa fondamentale della strategia della tensione golpista in Italia.
Quindi sembra superfluo e un po’ retorico ricordare che la tessera in tasca serve a poco, è necessario partecipare, come diceva G.Gaber, per discutere tutti assieme, chiarirci le idee, anche dissentire animatamente ma alla fine giungere a definire le linee programmatiche di un lavoro condiviso e fatto proprio da ciascun iscritto sulle molte questioni che interessano la nostra storia presente.
Direttivo ANPI di Mirano e del miranese
La memoria indelebile di Lagorio e Bocca
“Era il 1944, la settimana di Natale, ero a casa mia. Mia madre non capiva gli strani giri delle visite che ricevevo: bussavano alla mia porta all’alba o quando era buio pesto, poco prima del coprifuoco, gente che lei non conosceva e non approvava, specialmente se si trattava di donne. Erano le nostre staffette che portavano in montagna gli ordini del Comitato di Liberazione, di cui io facevo parte”. Sto citando dal racconto Pirulì di Gina Lagorio, una ristampa bella e affettuosa che ogni anno le figlie Simonetta e Silvia mandano agli amici che l’hanno (l’abbiamo) ammirata e amata. Sempre, nei racconti scelti per ricordare Gina Lagorio, un punto di riferimento è la Resistenza, Leggi tutto “La memoria indelebile di Lagorio e Bocca”
Lucca, ex partigiano picchiato a sangue: “Nemmeno i nazisti mi fecero questo”
Preso a botte per una manciata di soldi. L’ex comandante partigiano di 87 anni, Lilio Giannecchini, è stato aggredito la sera del 23 dicembre a Lucca mentre stava rientrando nella casa del clero di via san Niccolao, dove vive insieme ad alcuni sacerdoti anziani e altri ospiti. Due giovani lo hanno preso a calci e pugni e poi lo hanno abbandonato sanguinante, dopo avergli strappato un marsupio che conteneva effetti personali e soldi.
Soccorso, l’ex partigiano, che per molti anni è stato anche presidente dell’Istituto storico della Resistenza della provincia di Lucca, è stato trasportato all’ospedale di Cisanello, dove gli sono state riscontrate varie escoriazioni e un ematoma cerebrale. “Quello che non sono riusciti a farmi i tedeschi, me lo hanno fatto gli italiani”, ha commentato l’anziano partigiano prima di perdere conoscenza.
Secondo quanto riportato dai giornali locali, dietro l’aggressione potrebbero esserci anche motivazioni di carattere politico. Una persona vicina all’ex partigiano racconta che negli ultimi tempi Giannecchini era stato spesso deriso e che aveva particolarmente sofferto il fatto di essere stato sollevato dall’incarico di presidente dell’Istituto della Resistenza, dopo essere stato accusato di uso inopportuno del suo ruolo. (da “Il Fatto Quotidiano” del 24/12/2012)
È morto Dino Veati “Giacomo”
E’ morto ieri nell’ospedale di Noale, Dino VEATI “GIACOMO”, partigiano e Presidente della Sezione dell’Anpi di Spinea.
Da qualche giorno, le sue condizioni si erano aggravate in seguito ad una frattura al femore.
Alla famiglia e a tutte le persone che lo conoscevano, vanno le condoglianze e il cordoglio di tutto il Direttivo e di tutti gli iscritti della Sezione ANPI di Mirano. I funerali saranno celebrati venerdì 28 dicembre alle ore 11,00 nella Chiesa dei S.S. Vito e Modesto di Spinea.
http://anpispinea.blogspot.it/2012/12/e-morto-il-partigiano-dino-veati.html
Tina Merlin
“Non so come, fra altri trent’anni, si racconterà la storia dell’olocausto del Vajont, ma so che se qualcuno lo farà, sarà anche grazie a Tina Merlin. Le storie non esistono se non c’è qualcuno che le racconta”. (Marco Paolini)
Il 22 dicembre 1991 moriva a Belluno Tina Merlin. Era nata a Trichiana (BL) il 19 agosto del 1926. Era sorella del partigiano Toni Merlin, organizzatore e comandante del battaglione “Manara”, successivamente assorbito dalla brigata partigiana “7° Alpini”. Partecipò alla resistenza come staffetta partigiana nella stessa brigata e, dopo la guerra diventò giornalista collaborando con l’ “Unità”, diventandone la corrispondente da Belluno. Nel 1951 pubblicò “Menica“, una raccolta di storie sulla guerra partigiana. In quel periodo iniziò a interessarsi alla diga del Vaiont Leggi tutto “Tina Merlin”