Felice Porro, uno della Banda Tom

Felice Porro, a destra in basso

Dopo la pubblicazione dell’articolo http://anpimirano.it/2013/i-tredici-della-banda-tom abbiamo ricevuto questa testimonianza dal nipote di uno dei partigiani della Banda Tom scampati al rastrellamento:

Dai pochissimi racconti del nonno (è sempre stato molto difficile farlo parlare della guerra) che ora è un arzillo 88enne ma con qualche problema di memoria, lui si unì alla Banda Tom nel 1944. Qualche mese dopo il papà lo mandò a chiamare perché la mamma stava male e lui lasciò momentaneamente la banda che poi sarebbe stata catturata di lì a qualche mese. Purtroppo non conosco le date con precisione e anche quando la memoria non gli difettava faticava a inquadrare cronologicamente i vari periodi. Ho più volte cercato informazioni perché sono sempre andato orgogliosissimo del nonno e del suo contributo alla guerra partigiana (lui stesso mi ha cresciuto nel sacro rispetto dei principi e dei valori della Resistenza e dell’antifascismo) ma purtroppo si trovano solo sporadici riferimenti negli archivi riguardo alla sua militanza nelle file di Giustizia e Libertà negli ultimi mesi che hanno preceduto la Liberazione.
Le allego una foto in cui è ritratto insieme ad alcuni compagni d’arme (ma non so se si riferisca al periodo della Banda Tom) lui è quello accovacciato a destra nella foto.
Cordiali Saluti.
Alessandro Porro

Belluno 10 marzo 1945: Bosco delle Castagne

“Cari compagni mandatemi del veleno non resisto più. Montagna”

Il 10 marzo 1945, furono dieci i partigiani impiccati al Bosco delle Castagne: Mario Pasi “Montagna”, Giuseppe Santomaso “Franco”, Francesco Bortot “Carnera”, Marcello Boni “Nino”, Pietro Speranza “Portos”, Giuseppe Como “Penna”, Ruggero Fiabane “Rampa”, Giovanni Cibien “Mino”, Giovanni Candeago “Fiore” e Ioseph, un soldato francese. In memoria di quei fatti, domenica alle 10, si svolgerà la cerimonia commemorativa presso la stele al Bosco delle Castagne.

Questo il ricordo del fatto nelle parole di Giovanna Zangrandi nel libro “I giorni veri. Diario della Resistenza”:

Belluno, marzo 1945
Nella cucina del recapito 67 c’era traffico stamane, anche una certa euforia, c’erano diversi comandanti che parlavano di faccende, Carlo, Gianni e degli altri. C’era Burrasca che raccontava con enfasi il colpo fatto da Radiosa Aurora: l’altra notte andarono nel Bosco delle Castagne a mettere delle mine legate a cartelli con su «abbasso Hitler» e abbasso altre cose del genere là dove i tedeschi fanno i tiri. Eccoli infatti al mattino, arrivarono ben marciando e videro, tentarono di cavare gli indegni cartelli: kaputt un po’ di loro.
Ma adesso qualcuno è salito di corsa al 67, ha fiato in gola; dice che sta arrivando una colonna tedesca e che sta parandosi avanti dieci ostaggi dei nostri prelevati nelle carceri. Uno lo trascinano inerte su di una scala, forse è Montagna. Dieci dei nostri li portano al Bosco delle Castagne e non c’è bisogno di dirsi di più.
Montagna è un medico di Ravenna, arrivò qui con i primi organizzatori, lo presero e l’hanno torturato e torturato perché non parlava. Dopo il colpo grosso alle carceri nella scorsa primavera, dopo l’altra evasione rocambolesca di Attilio Tissi, un terzo colpo a Baldenich era impossibile. Hanno torturato Montagna fin che le piaghe delle botte gli hanno fatto marcio e cancrena; dentro un pezzo di pane è riuscito a mandar fuori un biglietto: «Compagni; mandatemi del veleno, non posso più…»; l’ho visto quel biglietto, scritto storto a matita, se vivrò ricorderò fino all’ultimo barlume quella riga e mezza a matita.
E adesso lui e gli altri nove per rappresaglia. I nostri comandanti e alcuni ragazzi corrono come matti, ma è impossibile far niente: se danno battaglia, se sparano, i tedeschi si mettono davanti i nostri e li sparano.
Questo greto sassoso di fiume bruciato e si corre tra i sassi, si corre come bestie impazzite, si vorrebbe far qualcosa e si corre.
La colonna verdognola avanti, tra gli alberi ancora spogli: si sono sentiti dei comandi rapidi, lontano tra gli alberi.
Si sono visti i nostri alzarsi, tirati su, a due a tre per albero, sulla collina; non sappiamo quale sia Montagna e i nomi esatti degli altri, dieci sono, dai tronchi sbuca un piede, una testa torta, uno con una maglietta a righe; in quell’albero che ne porta tre forse c’è anche il ragazzo dell’Ada, non conta chi sia, sono dieci e adesso sono ormai fermi come i tronchi che li portano.
Uno ha detto: «Far fesserie non serve. Ormai…». Un altro: «Andarsene noi vivi, pochi e quasi disarmati, restar vivi per ucciderli bene, quelli».

Il biglietto menzionato dalla Zangrandi è quello riprodotto in apertura: è di Mario Pasi, antifascista, medico e dirigente partigiano,  delle formazioni operanti nel bellunese. Catturato dalle SS alla fine del 1944, fu torturato e seviziato per quattro mesi e ridotto in fin di vita dal famigerato tenente Georg Karl, comandante della Gestapo di Belluno, ma rifiutò sempre di fornire informazioni. Fu fatto trasportare dai suoi stessi compagni perché non camminava nemmeno più, con le gambe fracassate dalla bastonate, una già divorata dalla cancrena. Questa è una poesia di Mario Tobino, anche lui partigiano combattente, dedicata a “Montagna”:

Il Pasi era un giovanotto
veniva dalla Romagna,
insieme eravamo giovani,
si camminava muovendo le spalle,
le donne avean per noi debolezza.
Lui lo impiccarono i tedeschi
dopo sevizie che non ho piacere si sappiano,
io ho un cappotto di anni,
ma, o Pasi, sei stato
il piu bell’italiano di mezzo secolo.

Il programma della celebrazione

Le foto della celebrazione del 10 marzo 2013

L’esercito italiano va a scuola dal fascista Merlino

Ve lo ricordate Mario Merlino?
Il suo nome è sinonimo del tentativo di infiltrazione nei movimenti del 1968 da parte di questo neofascista ,che dopo essersi addestrato in Grecia, presso i colonnelli greci,  insieme ad altri suoi camerati , i cui nomi li ritrovammo nella  stagione delle stragi fasciste, si infiltrò quel gruppo anarchico 22 marzo che si ritrovò sotto accusa, con Valpreda di essere autore della strage di Piazza Fontana e di tanti altri attentati.
Grazie alla  controinformazione in quel meraviglioso libro “La strage di Stato” il suo ruolo al servizio dei servizi segreti italiani e USA fu svelato.
Nonostante diversi iter processuali continua ad essere amico e frequentatore di ex nazisti, neofascisti del vecchio e nuovo millennio, ma…il colmo è che apprendiamo dal Messaggero di oggi 5 marzo 2013,  che il “nero” Merlino,  è salito in cattedra presso la prestigiosa scuola di fanteria di Cesano di Roma, ricevendo applausi a scena aperta da sottufficiali ed ufficiali con un suo intervento quale “esperto di storia”  denigrando i partigiani ed esaltando i combattenti fascisti della Repubblica Sociale Italiana di Mussolini.
Un fatto di una gravità inaudita a cui si aggiunge come scrive il Messaggero:”-… era presente Gina R. con camicia nera e basco del S.A.F. , il servizio femminile della Repubblica Sociale Italiana che presentata dal Merlino come  martire  e simbolo delle angherie subite dai combattenti fascisti dopo la Liberazione dei partigiani … è stata  accolta con lungo e caloroso, sincero applauso  ed ha ricevuto un mazzo di fiori gialli direttamente dal Generale comandante”…-
Siamo di fronte non ad un episodio di revisionismo storico  marginale ma di fronte  ad un vero e proprio attacco all’immagine delle nostre Forze Armate quali garanti e poste a difesa delle nostre istituzioni e della Costituzione repubblicana ed antifascista e di un gravissimo segnale, in momento particolare del nostro paese, in attesa di un governo che lo porti fuori da una crisi che rischia di mettere in pericolo non solo la nostra economia, ma la nostra stessa democrazia.
Guai se l’immagine delle forze armate italiane corra il rischio di essere associata alla negazione della democrazia, come fu il fascismo!
Quegli ufficiali e sottufficiali che hanno applaudito il fascista e provocatore Merlino e una fascista in divisa  ,  e che frequentano quella scuola, come insegnanti e come allievi, sono il futuro del nostro Esercito,  che con questo episodio si tinge di un solo colore , il NERO, quello delle camicie nere che uccisero la libertà nel nostro paese e furono causa di lutti e rovine per tutto il popolo italiano.
Fa bene l’ANPI di Roma a chiedere immediatamente la punizione dei  responsabili e la rimozione dal loro incarico e che fa appello per una manifestazione di protesta dinanzi alla caserma di Cesano.
Come soci dell’ANPI di Brindisi  siamo solidali in questa protesta e ricordiamo  la funzione che i neofascisti brindisini ebbero nella logistica di appoggio per i viaggi di istruzione “alla provocazione e alle stragi” di  Merlino e camerati, nel 68 e anni successivi, presso i colonnelli della dittatura greca. Quei neofascisti che accolsero in seguito a braccia aperte il neonazista Freda, durante la sua detenzione e poi il suo “esilio dorato” a Brindisi.
Ricordiamo ancora come, qui  a Brindisi, nella sicurezza  e nella protezione datagli dai “neri” brindisini , Freda abbia continuato a tramare contro la democrazia italiana  e sia stato  condannato in maniera definitiva per questo. Oggi si cerca di cancellare tutto ciò, anche con vergognosi episodi come quello di Cesano,  ma noi, eredi dei Partigiani che sconfissero il Nazifascismo, non dimentichiamo!

Ora e sempre Resistenza!

Il Comitato Provinciale dell’ANPI di Brindisi
[email protected]

Brindisi , 5 marzo 2013

http://www.ilmessaggero.it/primopiano/cronaca/merliono_cattedra_lezione_touad_barnera_reazioni/notizie/256106.shtml

http://www.militariassodipro.org/news.php?item.945.17

È morta Olema Righi, la partigiana in bicicletta

Olema Righi

È morta ieri mattina nella sua abitazione di Carpi, in Provincia di Modena, Olema Righi. Staffetta partigiana, per molti emiliani rappresentava il simbolo stesso della Resistenza, insieme a tante altre compagne come Ibes Pioli o Tina Anselmi.
Celebre la foto che la ritrae in sella alla sua bicicletta, nei giorni della Liberazione, con il fucile ancora in spalla e la bandiera dell’Italia libera sullo sfondo. Chi l’ha conosciuta ricorderà per sempre il suo sguardo determinato – lo stesso di quella vecchia fotografia – ed il sorriso inscritto nel viso di una bellezza severa che si era addolcita col passare degli anni.
Riportiamo il racconto del suo arresto e della tragica morte del fratello (partigiano anche lui), tratto dal sito dell’Associazione Nazionale Partigiana – Emilia Romagna:

Era una mattina di novembre quando, senza neanche poter dire a mia madre che andavo via, sono stata presa e caricata su un camion, dove c’erano altri giovani che dicevano di essere stati arrestati.
Da Limidi, i camion dei repubblichini sono passati per Carpi, dove hanno caricato altra gente, poi si sono diretti a Modena. Dai loro discorsi, si capiva che i repubblichini erano orgogliosi delle loro scelleratezze, della loro “azione”.
A causa delle lunghe soste siamo arrivati all’Accademia (ora Accademia Militare) che era già sera. La mattina seguente il capitano mi ha fatto andare nel suo ufficio per interrogarmi. Stava seduta alla sua scrivania e teneva davanti a se un foglio scritto a mano. Ha cominciato a leggerlo: vi era scritto che io ero una staffetta partigiana, che mio fratello, mia sorella e mio padre erano antifascisti. Quest’ultimo poi era anche in prigione per questo.
C’era scritto proprio tutto in quel maledetto foglio. Avevano saputo tutto della nostra famiglia, anche che noi avevamo un terreno nei prati di Cortile sul quale mio fratello Sarno, insieme ai suoi compagni, aveva costruito un rifugio dove andavano a nascondersi e a dormire.
In seguito, sono stata tenuta per lunghe ore in una stanza di isolamento. Isolamento reso ancora più duro e imprevedibile dalla guardia, un omettino basso e dalla voce rauca, che mi sorvegliava e mi prospettava tutte le cose più brutte, compreso che mi avrebbero mandato in Germania e che mi avrebbero ammazzato. Dopo sette giorni di interrogatori e minacce, il 20 novembre ci fu lo scambio: le vite di 60 partigiani furono scambiate con quelle di 6 tedeschi, così anche noi fummo rilasciati.
Mentre uscivo dal portone dell’Accademia, il capitano che mi aveva interrogato mi prese da parte, per un attimo ebbi paura che mi tenesse ancora là, invece mi fece la predica e tra le altre cose mi disse di non prendere più parte alla guerra. Ricordo ancora le sue parole: “la guerra è per gli uomini e dì a tuo padre che non faccia più attività contro di noi perché, se non lo sa, il coltello dalla parte del manico l’abbiamo noi”. Poi aggiunse: “va a divertirti a casa troverai delle novità”.
Salutai e raggiunsi Stefanina e le altre per andare a casa. Avevamo tanta strada da fare a piedi, ma scherzavamo e ridevamo perché eravamo libere. Finalmente libere da un incubo, ancora tremanti per quegli interrogatori in cui avevamo sempre negato tutto, che ci avevano fatto capire che c’era una spia molto vicina a noi. Una spia amica di quegli scellerati che si vantavano di aver portato via i partigiani, saccheggiato il caseificio e bruciate le case…
A Ganaceto ho incontrato una staffetta, Ione, che si è offerta di accompagnarmi a casa sulla bicicletta. Lungo quel breve tragitto non parlammo molto e io pensavo ad alta voce a chi avrei trovato a casa. Quasi certamente mia madre, mia sorella e mio fratello piccolo. Chissà se mio padre era ancora nascosto a Panzano. Chissà dov’era mio fratello Sarno. L’avevo visto per l’ultima volta il giorno prima del rastrellamento. L’avevo chiamato da lontano e lui si era girato a salutarmi. Fu proprio mentre me lo ricordavo così che Ione mi disse “hanno ucciso tuo fratello”.
Non ricordo più niente di preciso di quello che seguì, ricordo solo che ho ricominciato la mia vita di staffetta con un motivo in più: onorare il sacrificio di mio fratello con una fede ancora più forte nell’antifascismo e nella memoria.

Olema Righi.

Altresì…(che vergogna)

Il distintivo della Guerra di Liberazione

Art.5 DPR n.1590 del 17 novembre 1948:

Il distintivo della guerra di liberazione è concesso:
ai militari e militarizzati delle Forze Armate dello Stato,
agli appartenenti alla Guardia di Finanza,
al personale della Croce Rossa Italiana e del Sovrano Militare Ordine di Malta,
agli assimilati ed ai civili,
che durante la guerra di liberazione siano caduti in combattimento ovvero si siano trovati in una delle seguenti condizioni:
a) abbiano prestato servizio dal 9 settembre 1943 in poi, per un periodo di almeno tre mesi, anche non consecutivi, alle dipendenze di enti delle Forze armate dello Stato, mobilitati dai rispettivi Stati Maggiori, o, se civili o assimilati, al seguito delle Forze armate operanti;
b) abbiano riportato ferite o mutilazioni o contratto infermità riconosciute dipendenti da cause specificamente derivanti da azioni di guerra;
c) abbiano onorevolmente partecipato ad un importante fatto d’arme;
d) abbiano ottenuto, in dipendenza dell’attività bellica nella guerra di liberazione o in azioni contro i tedeschi prima della dichiarazione di guerra alla Germania, una ricompensa al valor militare o la croce al merito di guerra.

Il distintivo suddetto è altresì concesso a coloro cui sia stata attribuita la qualifica di partigiano combattente.

Sondaggio sul 25 aprile

Al Comune di Cornate d’Adda si preoccupano delle opinioni dei propri cittadini e così hanno pensato bene di fare un sondaggio sul 25 Aprile, Festa della Liberazione: che questo sondaggio sia stato fatto con intento provocatorio non è dato sapere, vorremmo soltanto ricordare che non ci possiamo dimenticare di chi ha lottato contro il fascismo e il nazismo. La lotta di Liberazione non si sottopone a referendum.

Inviamo le nostre opinioni al sito del comune: https://docs.google.com/forms/d/1qyUF9DHF4dXF_bTFBgxmOmDULHY2GPTHIBtjoh5zI2s/viewform?pli=1