4 maggio 1944: Strage di Sant’Angelo di Arcevia

Con la firma dell’armistizio e la fuga dei vertici politici dello stato italiano, salgono ad Arcevia antifascisti noti e meno noti, giovani e non, che vogliono combattere. Nascono le prime formazioni partigiane, nella maggior parte dei casi guidate da antifascisti e perseguitati politici dell’anconetano. A questi gruppi si uniscono anche degli slavi che, scappati dal campo di concetramento di Arezzo, stanno marciando verso Ancona per imbarcarsi e tornare a casa. Il loro percorso, però, si ferma sugli appennini dove viene detto loro che imbarcarsi ad Ancona è impossibile e pericoloso vista la forte presenza fascista. Così, restano sull’appennino marchigiano e combattono con i partigiani locali per la Liberazione di un paese non loro.
Il 20 gennaio 1944 il comando Monte Sant’Angelo fa il primo attacco ad una caserma fascista, vicina ad Arcevia, per recuperare armi. Da quel giorno le azioni si fanno più frequenti fino ad aprile. Con due azioni ravvicinate e di successo, il 17 e il 27 aprile 1944, il gruppo libera tutta l’area comunale di Arcevia. E, liberate, le persone possono tornare a festeggiare il 1 Maggio.
Il successo dei partigiani allarmò i repubblichini e i tedeschi che prepararono un rastrellamento dalle proporzioni spaventose. Il gruppo aveva previsto la reazione nazista e decise di dividersi in sotto-nuclei per mettersi al salvo in zone diverse e lontane da Arcevia. Solo un gruppo rimase sul Monte Sant’Angelo, insieme ai prigionieri.
La notte tra il 3 e il 4 maggio, 2.000 soldati salirono ad Arcevia e arrivarono fino al Monte Sant’Angelo dove, nella casa della famiglia Mazzarini, stavano passando la notte i partigiani rimasti insieme ai prigionieri fascisti. La rappresaglia nazifascista non risparmiò nessuno, neanche la piccola Palmina che aveva 6 anni.
Poi, proseguirono alla ricerca degli altri partigiani, sparpagliati verso l’Appennino. Furono giustiziati, evirati, torturati.
Sono passati 69 anni, ma questo è un giorno triste per ognuno di noi. In queste stesse ore del 4 maggio 1944, i cittadini di Arcevia erano stati radunati tutti in piazza, senza possibilità di tornare a casa o andare via. Perché la punizione, la paura e la rappresaglia dovevano colpire tutti. Dalla piazza, le persone sentivano i colpi dei fucili, le esplosioni delle bombe a mano e vedevano le camionette salire verso le montagne alla ricerca di altra carne da macellare.
Chi nega il valore della Resistenza, nega tutto questo. Sputa sulle vittime. Io ricordo. Ho il privilegio e il dovere di ricordare. E l’obbligo di contrastare chiunque osi dire oggi che i partigiani siano da mettere sullo stesso piano dei repubblichini di Salò. Non fu così e non sarà mai così.
Goliarda Sapienza ha scritto che “I morti hanno torto se non c’è qualcuno che li difende”. Abbiamo tutti il dovere, in questo momento storico, di difendere senza reticenze coloro che morirono nel giusto, coloro che combatterono nel giusto, coloro che innocenti furono ammazzati dai fascisti e dai nazisti. (da http://aprilemaggio.blogspot.it)
Ecco una canzone dei Gang dedicata al 4 maggio 1944:

Mirano 3 maggio 2013: Ruolo dei media audio-visivi ieri e oggi

Sofia Gobbo
Venerdì 3 maggio 2013 ore 20.45 a Mirano nella sala conferenze di villa Errera si terrà la conferenzaRuolo dei media audio-visivi ieri e oggi” con documenti video elaborati dall’ ANPI di Mirano e con l’intervento della Partigiana  Sofia Gobbo.
Da una intervista di Laura Fiorillo del 23 aprile 2011 su “La Nuova Venezia”:
Sofia Gobbo la Resistenza l’ha fatta e gira per le scuole medie e superiori affinché la sua esperienza sia un monito alle nuove generazioni. Di scuole se ne intende Sofia Gobbo, 90 anni portati in maniera splendida, insegnante, ex preside. Ancora studentessa, dall’aprile de ’44 all’aprile del ’45 con la sua bicicletta ha girato il Veneto facendo la staffetta per la Resistenza. «Dopo l’armistizio – racconta – moltissimi soldati italiani sono scappati dalle caserme. I tedeschi li inseguivano per catturarli e deportarli in Germania. In quel periodo mi recavo da un professore che mi preparava agli esami da privatista al liceo classico, perché col diploma della scuola magistrale non potevo entrare all’università. Un giorno mi ha chiesto se mi fidavo di lui e gli ho detto di sì. Così mi ha confidato di essere il presidente del Cln, il Comitato di liberazione nazionale, di Vittorio Veneto e mi ha offerto di diventare il collegamento tra Vittorio e Cordignano, il Cansiglio, Treviso e Padova. Ogni tanto dovevo passare per certi posti, chiedere di certe persone, lasciare dei pacchi e prenderne altri. A Sarmede, un paesino vicino al Cansiglio, dovevo entrare in un osteria e chiedere di Pietro. A Padova andavo a prendere i giornali clandestini, quelli dei partiti come il comunista o quello d’azione. Quando entravo in questi posti dovevo inserivo sempre nella frase una parola d’ordine. All’epoca c’era chi ospitava in casa i partigiani o gli alleati, chi cucinava, chi cuciva le divise, ma era bene conoscersi il meno possibile. La cosa fondamentale era non sapere mai nulla delle persone con cui si aveva a che fare. Non chiedere mai, non interessarsi. Si trattava solo di fare quello che ti dicevano di fare. Se i fascisti ti avessero arrestato e torturato, non avresti avuto nomi o informazioni da dare».  È stata mai fermata per un controllo? «Per fortuna no, però una volta ho avuto molta paura. Era il ’44, tornavo dal Cansiglio con la mia bicicletta e mi sono trovata in mezzo a un rastrellamento per l’assassinio di un soldato tedesco. Cercavano un partigiano e quando mi hanno vista mi hanno detto di andarmene e che il ponte era chiuso. Così ho guadato il fiume e sull’altra sponda ho trovato una coppia appena scampata alla fucilazione fingendosi morta con le vittime, tra cui un ragazzo di 15 anni».  Che ne pensa della polemica di questi giorni, che sia leggittimo o meno cantare «Bella Ciao» il giorno della Liberazione? «Davvero hanno il coraggio di fare questo? “Bella ciao” era la canzone delle mondine, la cantavano contro il padrone. Io trovo questa polemica una cosa assurda. Credo che, a meno che non si cantino cose oscene, in democrazia ognuno sia libero di cantare quello che vuole. Se invece non gli va, nessuno gli impedisce di stare zitto. Oggi manca totalmente il senso della storia. Quando correvo lungo il Piave con la mia bicicletta mi imbattevo spesso in scritte sui muri come “Razza piave, purissima razza italiana, razza anche e soprattutto fascista”. Oggi vedo che c’è una lista per la provincia di Treviso che si chiama proprio “Razza Piave”. Mi auguro soltanto che non abbiano mai conosciuto quelle scritte…» (Nuova Venezia 23 aprile 2011 Laura Fiorillo )

2 maggio 1945: Strage di Avasinis

Il Memoriale di Avasinis

“A Osoppo e a Gemona le campane suonavano a festa, perché erano arrivati gli Alleati; ad Avasinis ha invece suonato per mezza giornata solo la campana a morto… ” – così un’anziana donna di Avasinis, ricorda la palese contraddizione della contemporanea presenza di un Friuli liberato, all’inizio di maggio 1945, contrapposto al dramma di un eccidio perpetrato ad Avasinis, piccola frazione del Comune di Trasaghis.
La strage di Avasinis costò la vita a 51 persone, in massima parte donne, vecchi e bambini ed ebbe luogo il 2 maggio 1945, proprio nella giornata in cui entrava in vigore in Italia l’atto di cessazione delle ostilità. Un reparto delle SS era giunto a Trasaghis nel pomeriggio del 1° maggio e al mattino del giorno successivo si diresse verso Avasinis. Uno sparuto gruppo di partigiani tentò di sbarrare la strada ma fu rapidamente messo in fuga dai mortai e dalle mitragliatrici pesanti di cui disponeva il reparto.
I tedeschi, appena giunti in paese, si sparsero per le vie e iniziarono una sistematica perquisizione ed il saccheggio delle case uccidendone spesso gli occupanti, donne o bambini o anziani inermi che fossero, apparentemente senza una logica preordinata: a volte uccisero tutti gli occupanti di una casa, a volte una sola persona, secondo il capriccio o la casualità delle scelte di ogni singolo soldato.
Relativamente alle motivazioni dell’episodio, di fronte alla discussione storico – politica che si trascina da decenni, un ricercatore come Diego Carpenedo ritiene che appaia verosimile “un’unica spiegazione: la volontà di trasmettere un messaggio sinistro e minaccioso, in grado di far comprendere che non sarebbe stato tollerato il minimo intralcio ai movimenti delle SS in ritirata verso l’Austria”.
Anche se sono passati sessantaquattro anni da quei fatti, un limite temporale capace di diradare inesorabilmente il numero dei testimoni diretti di quelle vicende, l’Amministrazione comunale di Trasaghis continua a proporre una occasione per mantenere vivo il senso della memoria, per trasmettere anche a quanti non hanno vissuto direttamente quei giorni la conoscenza del dramma e del sacrificio della popolazione. La periodica commemorazione si lega infatti a un piano articolato che ha previsto la effettuazione di ricerche e la presentazione di libri (come la pubblicazione del diario del parroco dell’epoca, don Zossi, a cura di Pieri Stefanutti) e filmati (“Avasinis luogo della memoria” di Dino Ariis) che hanno consentito di ricostruire nei dettagli le circostanze dell’episodio e la drammaticità di quello che è stato definito il maggiore eccidio di civili in Friuli nel corso della seconda guerra mondiale.

1° maggio, Festa dei Lavoratori, Festa del Lavoro

Quest’anno, in modo particolare, sarà un 1° Maggio di riflessione e di lotta in difesa del diritto ad un  lavoro giusto e garantito per tutti i cittadini così come è sancito dalla  Costituzione, nata dalla Lotta di Liberazione.

Un’occasione che deve servire ai lavoratori per prendere coscienza della loro forza, dei loro diritti ma anche del dramma che in questi anni sta attraversando il mondo del lavoro, colpito da una profonda crisi frutto di un sistema economico-finanziario globalizzato, dominato dalla speculazione e dallo sfruttamento smisurato, di uomini e risorse, in particolare nei paesi in via di sviluppo.

E’ di questi giorni l’immane tragedia di Dacca, in Bangladesch, dove trecento operai, in gran parte giovani donne, sono morti nel crollo dell’edificio abusivo dove era ospitata la loro fabbrica tessile.
Nel Nord del mondo disoccupazione, recessione con licenziamenti e chiusura di attività produttive, nei paesi emergenti, sfruttamento selvaggio dei lavoratori e  negazione dei più elementari diritti sindacali.

Due realtà che tra loro sembrano contrapporsi ma che in realtà sono due facce della stessa medaglia: usare la crisi per ricattare il mondo del lavoro, riportarlo ad una condizione di subalternità rispetto alle logiche di mercato che non conoscono regole da rispettare, ma solo la realizzazione di un  profitto senza limiti, al di fuori di ogni forma di controllo e giustizia sociale.

A questa difficile situazione di attacco ai diritti acquisiti in anni di sacrifici e di dura lotta, in un quadro politico nazionale confuso e caratterizzato da uno scivolamento verso forme di unanimismo difficili da immaginare solo pochi mesi fa, il mondo del lavoro deve rispondere con fermezza e lungimiranza, forte nella consapevolezza che le attuali difficoltà potranno essere affrontate e superate solo con l’unità delle forze progressiste, politiche e sindacali.

E’ necessario un rinnovato impegno di lotta per il lavoro, a difesa delle fasce più deboli, esposte alla povertà e alla deriva sociale, partendo proprio dai principi sanciti dalla Costituzione, pensati per dare forma ad una società più giusta, aperta alle sfide di un mondo in continua, anche se contraddittoria, trasformazione.

23 aprile 2013: Expo dei Diritti Umani

Martedì 23 aprile 2013, presso la piazzetta di Villa Errera a Mirano, si è svolta l’“Expo dei diritti umani”, la manifestazione conclusiva del progetto “Diritti dell’uomo, doveri di cittadinanza”, realizzato dall’ITIS “Levi” e dai Licei “Majorana – Corner” di Mirano e dalla Fondazione di Comunità Riviera Miranese.
Al progetto hanno prestato la loro collaborazione e dato il loro contributo la Provincia di Venezia, i Comuni di Mirano e di Campolongo Maggiore, il Ministero per i beni e le attività culturali, l’Anpi Mirano, l’associazione Esodo, Save Venice Inc, Gruppo Adulti Progetto Auschwitz, l’associazione Bandiera Florida, il Centro per la pace e la legalità Sonja Slavik, il presidio del Miranese di Libera, Emergency, Amnesty International.

Queste le foto dello stand dell’Anpi di Mirano: http://imgur.com/a/3A1Iq