-4 : 6 agosto 2015 Programma sul territorio del Miranese

Comune di Mirano :Commemorazione 6 agosto 2015                                                  Hiroshima                            Nagasaki    
Giovedì 6 agosto 1945, alle ore 8.15, fu sganciata la prima bomba atomica sul nostro pianeta. I morti furono 140 mila, ma i colpiti dalle radiazioni furono molti di più.

In occasione del settantesimo anniversario di quel tragico evento il Comune di Mirano, nel quadro delle iniziative mondiali dell’associazione “Mayors for Peace – Sindaci per la Pace” di cui fa parte, promuove una giornata commemorativa in collaborazione con il Centro per la pace e la legalità “Sonja Slavik”.

Programma di giovedì 6 agosto 2015:

ore 8.00-12.00 nel porticato accanto all’ingresso del Municipio raccolta firme per “un mondo di pace libero dalle armi nucleari entro l’anno 2020”

ore 8.15, 52 rintocchi di campane ricorderanno i secondi impiegati dalla bomba per cadere dall’aereo da cui fu sganciata sulla città di Hiroshima.

ore 9.00 cerimonia di commemorazione nel Municipio. Interverrà il prof. Alessandro Pascolini del Centro diritti umani dell’università di Padova. Sono invitati i sindaci del Miranese e i consiglieri regionali

ore 18.30-21.00 gazebo in piazza Errera, raccolta firme per “un mondo di pace libero dalle armi nucleari entro l’anno 2020”

ore 21.00 posizionamento di lanterne simboliche nella fontana della Pace e conclusione della manifestazione.

Tutti gli eventi sono aperti alla cittadinanza.

La commemorazione quest’anno è particolarmente significativa perché coinvolge anche altri comuni del Miranese. In particolare il 6 agosto a Noale alle ore 18:00 presso la Torre dell’Orologio verrà inaugurata la mostra “The Atomic Bombings of Hiroshima and Nagasaki Poster Exhibition”, già allestita lo scorso anno a Mirano. La mostra, ad ingresso gratuito, resterà aperta tutti i week end di agosto dalle ore 18.00 alle ore 22.00. Attraverso 18 poster informativi racconta gli effetti delle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki utilizzando il materiale fornito da Mayors for Peace, l’organizzazione internazionale nata dai sindaci delle due città giapponesi che chiede l’abolizione delle armi nucleari nel mondo, alla quale Mirano ha aderito dal 2014.

 
Comune di Mirano
Piazza Martiri 1, 30035 Mirano (Ve)
Newsletter n. 5
del 31 luglio 2015
Servizio di invio periodico di un messaggio con informazioni
sulle iniziative comunali e le novità inserite nel sito internet www.comune.mirano.ve.it

 

 

Gli immigrati in prima fila nella liberazione di Parigi e della Francia dal nazismo

missak-manouchian-portrait Mémorial_de_l'affiche_rouge wiki

 

 

 

 

 

 

 

 

Oggi ricorre il 70° anniversario della liberazione di Parigi dal nazismo e dal vichysmo. Non mancheranno le grandi commemorazioni e già si può visitare la video-mostra all’Hotel de Ville e un’altra al Musée Carnevalet con foto e diversi materiali della mostra che fu realizzata subito dopo la Liberazione grazie all’allora direttore del museo che era stato partigiano.
Ma ecco l’amara sorpresa per chi conosce un minimo la storia della Resistenza a Parigi e in Francia: invano troverà qualche ricordo delle migliaia e migliaia di immigrati che si batterono in prima fila per questa causa. Lo sciovinismo francese (di destra e di sinistra) sembra inossidabile, grottesco e quanto mai miserabile. Con il massimo rispetto per i quasi trecentomila (secondo alcuni forse cinquecentomila) francesi che parteciparono alla Resistenza, ricordiamo che sono comunque noti i documenti di archivio riguardanti l’importanza a volte decisiva che ha avuto l’impegno combattente degli immigrati stranieri: italiani, spagnoli, ebrei, polacchi, belgi e di quasi tutte le nazionalità (spesso nella competizione sciovinista fra gaullisti e comunisti francesi i loro nomi furono anche francesizzati). Purtroppo, questa pagina di storia è alquanto ignorata anche nei Paesi di origine. Numerosi fra questi resistenti erano prima andati a combattere in Spagna contro il franchismo e dopo la sconfitta erano passati in Francia. L’arrivo del fascismo al potere in Italia aveva provocato la fuga in Francia di circa un milione di persone, fenomeno che continuò sino al 1939 e anche durante la guerra. La guerra antifascista era continuata dappertutto: i fascisti perseguitavano i fuorusciti, uccisero i fratelli Rosselli, trasformarono le missioni cattoliche bonomelliane in Francia, create per gli emigrati italiani, in case del fascio sostenendo ovviamente i preti che inneggiavano ai “santi manganelli del 1922”.
Non è esagerato dire che però la stragrande maggioranza degli italiani in Francia era antifascista e che i militanti socialisti, comunisti, anarchici e “popolari” erano assai numerosi: in particolare a Parigi, nella banlieue, oltre che a Marsiglia e in altre città.
Sino al 1939 la polizia francese aveva concesso loro un récépissé valido come documento d’identità e come permesso di soggiorno rinnovato ogni mese (il che lasciava queste persone in balia delle minacce d’espulsione se non collaboravano con gli sbirri e se si ostinavano a rifiutare l’arruolamento nella Legione straniera). Ma nell’aprile 1940 il ministro della Giustizia socialista Serol firmava il decreto che condannava a morte tutti i responsabili (o solo sospetti) della ricostruzione delle organizzazioni comuniste e di sinistra sciolte già prima.
I Francs Tireurs et Partisan de la Main d’Oeuvre Immigrée (Ftp-Moi) fu la organizzazione che già negli anni trenta aveva cominciato a inquadrare gli immigrati militanti i quali sin dal 1940 passarono alla lotta armata contro il nazismo e i vichysti collaborazionisti. E’ vero che la maggioranza erano comunisti, ma è sbagliato dire che erano comandati dal Partito comunista francese il quale “brillava” per il suo stalinismo mentre la maggioranza degli immigrati combattenti non sembra proprio che fossero forgiati per le vie nazionali al socialismo e l’obbedienza cieca all’Urss. Prova ne è che in diversi casi combatterono anche con anarchici, socialisti, cattolici e “senza partito”. L’adesione ai Ftp-Moi era quasi sempre dovuta al caso, a incontri amichevoli e soprattutto grazie alle relazioni fra immigrati originari della stessa zona o comunque dello stesso Paese o anche di Paesi diversi proprio perché i francesi in maggioranza erano sciovinisti e spesso razzisti. Nella regione parigina, il gruppo Ftp-Moi che diventerà più famoso sia per le sue azioni temerarie e particolarmente efficaci sia perché i nazisti ne fecero il principale bersaglio della loro controffensiva, fu il gruppo “Manouchian” creato nel 1942 (dal cognome del capo che era un armeno). Questo è l’unico gruppo che resta attivo poiché tutte le altre formazioni partigiane erano state sterminate dalla Gestapo grazie alla collaborazione di quasi tutta la polizia francese e dei “cittadini collaborazionisti”. Del gruppo fanno parte 65 combattenti fra i quali alcuni avevano acquisto la nazionalità francese prima dell’occupazione nazista e dell’arrivo al potere di Pétain – governo di Vichy – o perché nati in Francia (la più vecchia immigrazione era quella di ebrei provenienti da diversi Paesi, polacchi, armeni, italiani e spagnoli; gli italiani erano la maggioranza degli immigrati rimasti con nazionalità straniera). 200 sbirri della Brigata speciale della Préfecture de Police di Parigi insieme alla Gestapo si misero a caccia di questi tenacissimi resistenti. Secondo alcuni il numero di combattenti e loro affiliati era molto più grande se si pensa a quanti li aiutavano per il trasporto di armi ed esplosivi, per i nascondigli, per tutte le diverse necessità di cui abbisogna un gruppo armato che si spostava in una grande città e riusciva a fare attentati nelle caserme dei nazisti, negli hotel dove stavano gli ufficiali e anche a distribuire volantini un po’ ovunque. Fra il 1942 e la fine del ‘43, il gruppo compie 229 azioni denunciate dai nazisti (ma non tutte venivano registrate, tanto meno quelle in cui i nazisti erano stati messi in ridicolo). Secondo alcune fonti riescono a realizzare un attentato ogni due giorni, senza contare i piccoli sabotaggi che in realtà sono opera anche di semplici simpatizzanti. Fra le azioni più spettacolari si ricorda l’eliminazione fisica in rue Pétrarque di Parigi, del generale delle SS Julius Ritter, responsabile della deportazione di circa 500 mila francesi in Germania per il Servizio del Lavoro Obbligatorio (di quest’azione sono accusati Celestino Alfonso, Spartaco Fontano, Léo Kneler e Marcel Rayman).
All’inizio del 1944 i nazisti, con la tortura, riescono a far parlare alcuni fermati e quindi arrestano 23 del gruppo che il 21 febbraio 1944 sono messi a morte alle porte di Parigi (Mont Valérien).
Volendo screditare tutta la Resistenza, i nazisti pubblicizzano il processo contro il gruppo Manouchian attaccando in tutte le strade della città la famosa “affiche rouge”, ossia un manifesto con le facce e i nomi di alcuni arrestati del gruppo, per far leva sullo sciovinismo razzista francese mostrando che i cosiddetti liberatori non erano altro che stranieri, “disoccupati” (“parassiti”) e terroristi che mettevano a rischio la vita della pacifica e buona popolazione parigina: “un’armata del crimine contro la Francia”. Oltre all’affiche furono diffuse in tutta la città decine di migliaia di volantini con un testo che dettagliava l’accusa ai criminali stranieri che avevano cercato di farsi passare per “liberatori”. Ecco i loro nomi, in maggioranza sono giovanissimi: Joseph Boczov (ebreo ungherese, 38 anni, 20 attentati e capo dei deragliatori), Thomas Elek (ebreo ungherese, 18 anni, accusato di 8 deragliamenti di treni), Maurice Fingercwajg (ebreo polacco, 19 anni, 3 attentati e 5 deragliamenti), Szlama Grzywacz (ebreo polacco, 34 anni, accusato di 2 attentati), Missak Manouchian (il capo, armeno, 37 anni, accusato di 56 attentati, 150 morti, 600 feriti), Marcel Rayman (ebreo polacco, 21 anni, 13 attentati), Wolf Wajsbrot (ebreo polacco, 18 anni, 1 attentato e 3 deragliamenti), Robert Witchitz (ebreo polacco, 19 anni, accusato di 15 attentati).
Ed ecco gli altri condannati a morte: Celestino Alfonso (spagnolo, 27 anni), Olga Bancic (rumena, 32 anni, uccisa a Strasburgo), Georges Cloarec (francese, 20 anni), Rino Della Negra (italiano, 19 anni), Spartaco Fontanot (italiano nato a Monfalcone, 22 anni), Jonas Geduldig (polacco, 26 anni), Emeric Glasz (ungherese, 42 anni), Léon Goldberg (polacco, 19 anni), Stanislas Kubacki (polacco, 36 anni), Césare Luccarini (italiano, 22 anni), Armenak Arpen Manoukian (armeno, 44 anni), Roger Rouxel (francese, 18 anni), Antonio Salvadori (italiano, 24 anni), Willy Schapiro (polacco, 29 anni), Amédéo Usséglio (italiano, 32 anni).
Si noterà che sull’affiche sono messi solo gli ebrei di origine straniera, anche se hanno la nazionalità francese, e il capo del gruppo, Missak Manouchian, accusato di una quantità enorme di attentati.
Sull’“affiche rouge” Frank Cassenti ha girato il film con tale nome nel 1976.

(dal blog http://danielebarbieri.wordpress.com)

L’ultima lettera di Manouchian

http://quotidien-parisiens-sous-occupation.paris.fr/index.php

Le foto di Robert Capa sulla liberazione di Parigi

VIA TASSO DAI GRANDI MURI PIENI DI COSI’ TANTO …

1131a698e46Pubblichiamo il testo del bellissimo e commovente testo recitato da Mario Soldaini, 13 anni, studente romano, alla prima festa dell’ANPI Provinciale di Roma, il 4 giugno alla Città dell’Altra Economia, davanti ai partigiani che avevano appena raccontato la loro liberazione. Grazie Mario.

VIA TASSO DAI GRANDI MURI PIENI DI COSI’ TANTO …
Orrore e  Onore parole che si contrappongono tra gli spazi angusti delle celle di Via Tasso 145 .
Manifesti di amore e di perdono verso quelli che avevano voluto guadagnare sulla pelle di uomini che ora definiamo collaborazionisti che criminali ,dei manifesti scavati con unghie di UOMINI  carichi del  senso del dovere ed amore per la Patria che Molto spesso non ricordiamo, nomi come SIMONI O MONTEZEMOLO, volti duri, forti che non potevano dar spazio ad una lacrima!!!
Che sapevano … capivano ed erano tra quelli che Roma, capitale delle capitali non ricorda, tranne una volta all’anno allora si ,poniamo tutti una corona di fiori a simboleggiare il nostro orgoglio, UNA corona che dovremmo ‘’porre’’ ogni giorno nel nostro cuore e nella nostra mente. Al museo della Liberazione o quello che ne rimane perché in parte venduto e dannatamente abitato, ho ritrovato quelle lacrime che non scendevano da tempo ,quel brivido paralizzante su tutta la spina dorsale.
Quella cella n°12 orribilmente piccola e soffocante senza luce per vedere il tempo passare e sperare finalmente  nella fine della guerra.NO! La luce non poteva passare ogni giorno durava un mese, ogni secondo un anno. Un anno di dolore e di torture che stremavano  ma non facevano arrendere quegli uomini che pur di non parlare, morivano nel silenzio più profondo!!! Avendo prima scritto alla madre un ‘’Sii forte‘’ su di un muro.
Allora io mi chiedo ,con la coscienza che riflette ancora a quei locali pieni di onore ed infamie, con il cuore a uomini e donne, anziani e ragazzi, cittadini di ogni classe e ceto dai quali Kappler e suoi aiutanti tentavano di estorcere informazioni in un modo così vile che definirei logorante per la nostra specie Umana, mi chiedo come sia potuto succedere che questi Bastardi siano riusciti a farla franca scappando dentro  delle valigie e come sia possibile che c’era gente che per guadagnare  soldi vendeva uomini, bambini, ragazzi della mia età, donne e ne traeva profitto me lo chiedo ma risposte non ne trovo non riesco a pensare che sia potuto accadere o non voglio pensarci per un brivido da non provare; allora continuo con il solo ricordarmi che circa 9000 DICO 9000 uomini e donne di tutte le età vennero messi su dei treni del non ritorno spariti tra la nebbia ed il fumo. Persone che potevano essere i miei nonni senza i quali io non sarei potuto nascere! E’pensando a questo ed a quello che i miei occhi hanno visto ed il mio sentimento pensato ,che ricordo così, come posso la tragicità della guerra e di quel malato fanatismo militare che non deve permettere e mi auguro non permetterà, un’altra VIA TASSO!!!
Mario Soldaini

Per un Italia libera e onesta: ripartiamo dalla Costituzione

Microsoft Word - ANPINEWS N.122A Modena con il Patrocinio del Comune, in occasione della Festa della Repubblica, in Piazza XX settembre alle ore 14.00 si terrà la manifestazione “Per un Italia libera e onesta: ripartiamo dalla Costituzione”. Interverranno Gustavo Zagrebelsky, Sandra Bonsanti, Stefano Rodotà, Lorenza Carlassare, Carlo Smuraglia, Marco Travaglio, Giancarlo Caselli, Alberto Vannucci, Elisabetta Rubini, Paul Ginsborg, Roberta De Monticelli, Gaetano Azzariti.
Fabrizio Gifuni leggerà e reciterà pagine della nostra storia storia e Maurizio Landini invierà una video testimonianza.

Aderiscono alla manifestazione:

ANPI Nazionale
Rete per la Costituzione
Giustizia e Libertà con il suo Presidente Antonio Caputo
Associazione nazionale Liberacittadinanza
Comitato di Parma “Salviamo la Costituzione”
Scuola di Formazione Politica “Antonino Caponnetto”
Centro Documentazione don Tonino Bello (Faenza)
Viva la Costituzione – Rovigo
Comitato per la Costituzione di Rovigo
DIECIeVENTICINQUE
Comitato di Faenza per la valorizzazione e la difesa della Costituzione
Libera-Uscita Sezione Modenese
Democrazia Atea
Associazione dei familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili
Associazione Culturale PARTECIPAZIONE
ASSOCIAZIONE REGGIANA PER LA COSTITUZIONE
Iniziativa Laica e “Giornate della laicità”
Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford
Associazione per la democrazia costituzionale
Associazione reggiana per la Costituzione
Comitato per la Costituzione di Grosseto
Lista Civica Italiana
Associazione PrendiParte
Carovana per la Costituzione SEMPRE
Comitato Pistoiese per la difesa della Costituzione
Articolo21
Coordinamento per la difesa della Costituzione di Modena

“Siamo favorevoli al cambiamento, ma nel solco della Costituzione e nel quadro di una democrazia che si rafforza anziché ridurre gli spazi della rappresentanza. Non ci considereremo soddisfatti, dunque, se non quando il Paese non si sarà dotato di una legge elettorale veramente democratica; tra rappresentanza e governabilità si privilegerà la prima, pur cogliendo anche le esigenze di stabilità; la Costituzione sarà rispettata ed attuata nei suoi fondamenti e nelle sue linee di coerenza, apportando gli aggiustamenti necessari alla stessa struttura parlamentare, ma senza togliere alcunché agli equilibri ed alle garanzie che la Costituzione ci offre e che restano il fondamento della vita consociata. In questa direzione  intendiamo lavorare, col contributo di quanti credono nella Costituzione e nella democrazia e con un’informazione adeguata ai cittadini sulla reale posta in gioco e sul loro interesse a soluzioni chiare, trasparenti e ponderate. Comincia qui un cammino, che può anche essere lungo.
Ma questa forte presenza, questo calore e questa giornata magnifica di incontro mi induce a pensare che se ci impegneremo come dobbiamo, ce la faremo, nell’interesse del Paese e della democrazia”
Carlo Smuraglia – Presidente Nazionale ANPI – Teatro Eliseo, 29 aprile 2014

“Senza diritti, scienza e lavoro il progresso del nostro Paese è a rischio”

elena-cattaneo-2-770x580Discorso di Elena Cattaneo, Docente della Statale di Milano e Senatore a vita, alla celebrazione del 25 aprile in Piazza Duomo a Milano:

Prima di riuscire a salire su questo palco ho trascorso giornate a cercare nei libri sui quali sono solita studiare, di genetica, di biologia, di neuroscienze per trovare spunti, meccanismi che mi aiutassero a capire come presentarmi qui oggi, in questa piazza, in una giornata così significativa.
Inutile dire che non ho trovato niente. E che non è facile per una persona come me abituata a lavorare su ciò che è infinitamente piccolo e invisibile anche solo sollevare lo sguardo verso questa piazza e indirizzarlo verso momenti che non ho vissuto ma che ho studiato. Posso quindi solo presentarmi a voi per quello che sono. Sono una scienziata, un professore universitario, qui alla Statale di Milano, sono una donna, una mamma, una cittadina di questo Paese.
E sento che questo Paese e chi lo ha abitato per anni prima di me ha consegnato a me e a molti più o meno giovani di me una grande fortuna: quella di svegliarci ogni mattina nella parte più bella del mondo. Ma anche la garanzia che non sapremo mai cosa significa lo scoppio di una bomba a pochi metri o che non vedremo mai nessuno dei nostri figli salire su una zattera per affrontare un mare immenso in cerca della liberazione. A noi questa fortuna è stata data. Ci è stata data insieme a una seconda grande fortuna, che è la possibilità di leggere, di studiare, di impadronirci di pezzi di conoscenza nel Paese che vanta più cultura al mondo. Senza però dimenticarci che con la cultura e lo studio viene anche il privilegio (oltre all’onere) di sottoporre le proprie idee alla verifica delle fonti e dei risultati dimostrabili.
Ecco io comincio ogni mattina conscia di queste due fortune e con un senso di gratitudine perché il mio bicchiere è già mezzo pieno senza che io abbia fatto nulla per meritarlo. È anche per questo motivo che credo che il mondo sia prima di tutto degli altri e poi mio e che impegnarsi sia un dovere.
Nel passato le cose stavano diversamente. Per insegnare dovevi giurare fedeltà. Al Re prima e al fascismo poi. Nel 1931 fu imposto a tutti i professori universitari di giurare fedeltà anche al regime fascista e a Mussolini. Erano state aggiunte solo tre parole rispetto al giuramento che comunque già bisognava fare al Re: Per due volte era ripetuto “Al Regime fascista”.
Dodici professori su 1225 rifiutarono palesemente di prestare questo giuramento e persero la cattedra. Perdere l’insegnamento significa perdere il rapporto con gli studenti. È come strapparti il cuore. Alcuni altri non giurarono sottraendosi con modalità diverse. Un certo numero si era già defilato prima dall’Italia.
Questi i loro nomi: Mario Carrara, Lionello Venturi, Gaetano De Sanctis, Piero Martinetti, Bartolo Nigrisoli, Ernesto Buonaiuti, Giorgio Errera, Vito Volterra, Giorgio Levi della Vida, Fabio Luzzatto, Francesco Ruffini e suo figlio Edoardo, il più giovane di tutti. Aveva 30 anni ed era all’inizio della sua carriera universitaria, insegnava storia del diritto.
E’ un dovere ricordare chi ha contribuito, con le sue azioni, a lasciarci un’Italia libera e democratica. Loro hanno combattuto senza armi. Lo hanno fatto con il modo che conoscevano meglio: tenendo accesa la fiaccola della conoscenza che non poteva essere piegata a nessun totalitarismo.
E’ dalla storia di un Paese che si deve partire per costruire il futuro. E’ la storia da cui partire per ricordare le emozioni, le conquiste, gli errori da non fare più, per trovare ispirazione, moniti, coraggio.
Tra gli oltre mille che giurarono vi furono alcuni nomi capitali della nostra storia che lo fecero «per continuare il filo dell’insegnamento secondo l’idea di libertà», per impedire che le loro cattedre – secondo l’espressione di Luigi Einaudi – cadessero «in mano ai più pronti ad avvelenare l’animo degli studenti».
Altri accademici vicini al comunismo giurarono con la giustificazione che il prestare giuramento permettesse loro di svolgere “un’opera estremamente utile per il partito e per la causa dell’ antifascismo”. Analogamente, la maggior parte dei cattolici, su suggerimento di Papa Pio XI, prestò giuramento «con riserva interiore».
Quel Giuramento di fedeltà al fascismo fu imposto anche nella Pubblica Amministrazione e nelle industrie più importanti: a chi si rifiutava veniva spedita una lettera di “licenziamento in tronco”.
Come molti storici mi insegnano non bisogna guardare alla storia come a qualcosa fatta da soli eroi, anche se questi esistono. È più autentico e aderente al reale vedere come le varie categorie di persone hanno opposto resistenza al Fascismo lungo un continuum , che va dal non partecipare ad alcuna attività politica fascista sino all’opposizione e al carcere, come Vittorio Foa, Leone Ginzburg, Eugenio Colorni, Sandro Pertini, la cui storia di resistenza, lotta, carcere in opposizione al nazifascismo fu ovviamente enorme.
Queste persone rimangono figure abbaglianti. Sono esempi di puro fulgore morale.
Si deve cercare nella storia delle persone esempi, cioè scelte a cui guardare e da cui imparare. Io cerco di farlo, senza nemmeno lontanamente pensare di potere rivivere la forza morale di coloro che hanno fatto la Resistenza, che è cosa alta e d’altri tempi. Però sono curiosa per i ragionamenti di chi va oltre la contingenza personale, e in essi cerco la coerenza e la dirittura morale. Cerco di capire quale coraggio abbia spinto, sollecitato, sorretto quelle persone. Come hanno potuto e saputo organizzarsi proprio nella nostra città, Milano, nell’aprile del 1945, quelle persone per insorgere e liberarla. Mi interessa capire come hanno potuto immaginare e saputo credere di potere cambiare la storia di questo Paese in meglio. Ciascuno di loro era uno solo. Ma erano uniti da un senso di appartenenza a questo Paese che non potevano vedere trattato in quel modo.
Quegli esempi animano in modo analogo il mio lavoro, perché vorrei anch’io, come tanti altri colleghi, tenere accesa, idealmente, la stessa fiaccola che i docenti universitari che rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo e tutti i cittadini che lo sconfissero non hanno lasciato spegnere più di 70 anni fa.
Mi occupo di scienza e del suo insegnamento. Ho il compito, con i miei colleghi, di costruire la conoscenza, quella che non è ancora scritta nei libri di oggi e che sarà rifinita su quelli di domani. Ho il compito di promuovere i saperi, di contribuire a dare speranze. Anche di fare da sentinella rispetto a tutte le situazioni che mirano a manipolare e piegare i fatti a interessi di parte e che, così facendo, mettono a rischio la libertà, prima di tutto il resto.
Amo il mio lavoro. E penso che possa insegnare un comportamento di vita salutare. Perché insegna che l’onestà nella vita di una persona è tutto, che ogni lavoro fatto onestamente è fondamentale; che impegnarsi è un dovere. Questo lavoro mi ha insegnato ogni mattina a partire come se stessi andando sulla luna, tante volte senza nemmeno sapere dove sia la luna. Mi ha fatto capire che le mie idee, quelle che ho più fortemente amato, possono essere sbagliate.
E quindi mi ha insegnato un metodo per verificare se sono giuste o sbagliate. Il metodo consiste nel mettere alla prova le idee facendo degli esperimenti. Cioè nel portare quelle idee al bancone del laboratorio, dove devo mettere in fila tutti gli esperimenti che riesco a immaginarmi, per capire quali tra le mie aspettative sono sbagliate. E quali rimangono temporaneamente in piedi.
Il mio lavoro mi ha insegnato cosa significhi fallire. Ma anche a esplorare luoghi dove nessuno era mai stato prima. E dove hai due possibilità. Scappare o resistere. Nei nostri laboratori noi impariamo a resistere sperando in un traguardo per poi magari vederlo svanire e infine raggiungendolo proprio per non avere mai rinunciato a cercarlo.
Parlo di un lavoro che insegna a costruire con altre persone, ovunque siano nel mondo, e con loro a coltivare il battito della speranza che non dà tregua, ma anche l’orgoglio di una professione che ogni giorno sembra capace di risvegliare una delle parti più pure e passionali degli uomini.
Dobbiamo parlare di più di scienza, di speranza, di cultura nel nostro Paese. Dobbiamo riuscire a mettere politica, scienza, cultura nelle stesse aule. Penso sia importante per il Paese. Perché la scienza insegna il rispetto per l’oggettività dei fatti, la tolleranza verso punti di vista diversi, il rifiuto dell’autoritarismo. La scienza può insegnare a diventare cittadini migliori perché insegna a rispettare le prove, ad amare ciò che uno conquista e tutti poi possono usare, a rifiutare le menzogne, a resistere ai compromessi che riducono la libertà, a combattere gli abusi.
Un tempo pensavo che fare lo scienziato significasse “solo” stare in laboratorio e invece ho capito che la parte più importante della scienza è la sua dimensione pubblica, e questa piazza lo dimostra. Lo scopo è uno: conoscere per dare ad altri.
Si deve discutere di tutto. Non puoi rinunciare a percorrere nuove strade quando ti trovi alla frontiera. Quindi impari a dissentire ogni volta che qualcuno vuole impedirti di studiare o di andare in una direzione ignota, sentendone quasi fisicamente la necessità, quando serve e tutte le volte che i fatti vengono manipolati.
Ecco la fiaccola che tutti noi dobbiamo tenere acceso. È la fiaccola dei fatti accertati e accertabili. C’è la realtà, e poi basta. Non è solo un fatto di scienza ma anche di civiltà.
Tra gli esempi di vita del nostro passato, guardo anche a quella degli scienziati che hanno scoperto per tutti e contro tutti. E oggi voglio ricordare anche la vita non facile di uno scienziato che ha visto coronata la sua lunga carriera con il massimo riconoscimento possibile, sia in ambito scientifico sia in ambito politico.
Era uno scienziato ebreo in un Paese totalitario governato da razzisti; aveva deciso di rifiutare la vita classica fatta di casa e famiglia per dedicarsi alla vita di laboratorio; aveva combattuto contro il padre per avere ciò che le spettava, la possibilità di studiare. Questo scienziato, lo avrete capito, era una ebrea nell’Italia fascista delle leggi antirazziali; era una donna nell’Italia maschilista degli anni 30, dove alle donne era preclusa la vita accademica.
E’ la scienziata Premio Nobel e Senatrice a vita che scoprì l’esistenza delle neurotrofine, Rita Levi Montalcini. Un esempio per tutti noi, un esempio degli inestricabili rapporti tra libertà politica e libertà della ricerca scientifica. Rita fu allieva del grande anatomista Giuseppe Levi, all’Università di Torino. Insieme a lei, Levi fu maestro anche degli scienziati Renato Dulbecco e Salvador Luria, anche loro riconosciuti nel loro lavoro con il Premio Nobel. Un maestro, tre premi Nobel. Una storia unica al mondo e che probabilmente resterà unica per i secoli a venire.
E allora penso a questo. Penso che a volte capita di essere un po’ pessimisti e di considerare il nostro Paese senza speranza e quindi chiudersi in se stessi. Ma è questa nostra storia di cittadini, di uomini di cultura, di instancabili partigiani della ragione a dirci che non possiamo. Perché la terra che calpestiamo è stata la terra di grandi scienziati e illuminati pensatori, in tutte le discipline. E anche io voglio partecipare a questo Paese, con ciò che so meglio fare, che è lo studio delle cellule del cervello e di una specifica malattia, per sperare di poter contribuire a vincerla. L’entusiasmo è ancora tutto qui, ti fa aprire la porta del laboratorio di ricerca ogni mattina come se avessi 20 anni e come se volessi cambiare il mondo. Che è poi quello che cerchiamo di fare ogni giorno nei nostri laboratori. Vincere sfide di conoscenza e malattie.
Ecco perché non posso accettare limitazioni della libertà e dei diritti sullo sviluppo della società.
Cosa significa dunque festeggiare la Liberazione per una porzione importante della società che è il suo sviluppo scientifico e tecnologico, per una porzione di società che vuole assicurarne il cammino verso il progresso?
Significa in primo luogo ricordarsi che Diritti, Progresso e Libertà non arrivano da soli ma bisogna costruirli: cioè progettarli e poi convincere la politica che si possono realizzare. In secondo luogo che Diritti, Progresso e Libertà, una volta acquisiti, vanno anche difesi.
In questi otto mesi in cui ho fatto anche la Senatrice a vita, accettando con tutta l’umiltà possibile, con tutta la devozione e l’impegno possibile, senza mai trascurare il laboratorio, mi sono più volte chiesta come potevo promuovere la ricerca dei fatti, la verifica e l’attendibilità delle proposte scientifico-tecnologiche disponibili sul campo, e quali erano quelle utili al Paese.
La risposta che mi sono data è che queste cose diventavano raggiungibili solo “liberando ogni possibilità di indagine” e facendo si che i diritti non fossero calpestati.  Ci sono tante battaglie da fare. Una è già stata quasi vinta, contro la legge 40. Una legge basata su limitazioni ideologiche e cieche, che tanto male ha fatto a tante coppie. Ma le battaglie non sono finite. Sentiamo da più parti insensati attacchi contro la vaccinazione. Alcune regioni vorrebbero uscire dal programma nazionale delle vaccinazioni infantili. Non c’è un solo dato che provi la nocività dei vaccini. Tutto dice il contrario, e se oggi l’umanità è libera dalle pandemie che l’hanno falcidiata come il vaiolo, la difterite e la poliomielite, lo dobbiamo ai vaccini. In questo paese non si può quasi parlare, discutere e cercare le prove scientifiche su un altro tema importante, quello degli ogm. I divieti stanno creando gravi problemi al settore agroalimentare, in drammatico deficit da decenni. Rinunciare pregiudizialmente all’ogm è un atteggiamento miope.
Certo, noi non siamo tedeschi, neppure inglesi o francesi e spesso agiamo spinti dai sentimenti prima che dalla razionalità. Ci spinge un sentimento di umanità, non per niente siamo la patria dell’Umanesimo. Spesso è un bene e una nostra forza. Ma non siamo tedeschi, francesi o inglesi nemmeno quando dovremmo reagire contro chi ne approfitta. Per questo gli italiani hanno bisogno, più di altri, che ci siano delle sentinelle, per loro, nei luoghi della politica.
Mi avete permesso e dato l’onore di dire molte cose. Vorrei quindi concludere. Mi sono riferita al nazifascismo e alla fiera opposizione che la migliore Italia ha saputo manifestare. Ho parlato di quello che conosco meglio, della scienza, di storie di scienziati, di diritti come esempio emblematico della responsabilità che ha la cittadinanza, che abbiamo noi, anche noi qui in questa piazza, di difendere il progresso nostro e delle future generazioni.
Ma il progresso passa soprattutto attraverso il lavoro. Senza diritti, scienza e lavoro il progresso del nostro Paese è a rischio. Tra le varie libertà c’è anche quella di avere un lavoro, e fare ricerca è un lavoro. Questo è qualcosa che come scienziata sento molto: le nuove generazioni non devono essere obbligate a espatriare per fare della buona ricerca. L’estero deve essere una grande possibilità formativa, non un destino per la sopravvivenza.
In laboratorio e in Senato lavorerò per un Paese più libero da oscurantismi antiscientifici, per un Paese che abbia più libertà e lavoro, per un Paese che torni ad avere la speranza per il futuro che il suo passato merita. E con me, in quel Parlamento e fuori, so, perché vi vedo ora, che ci sono tante altre sentinelle pronte a scongiurare il rischio di tornare a quel passato buio da cui i nostri nonni e genitori ci hanno liberato.

Appello per un’Europa democratica e antifascista

1902929_688714947858554_6567745475790193968_nQuesto il testo del discorso dell’Anpi  durante le celebrazioni della Festa di Liberazione in Piazza Martiri a Mirano:

L’ANPI, sez.“Martiri di Mirano”, esprime preoccupazione,  turbamento e indignazione per le vicende che stanno interessando l’Europa democratica e il suo futuro assetto, perché la lotta al nazifascismo è stata lotta dei popoli europei oppressi, uniti dai valori che sono stati, poi, posti a fondamento del progetto d’unione tra gli stati.
Un’onda nera, con i simboli orrendi del nazifascismo, sta infangando vaste aree d’Europa ancora segnate dal sangue del martirio di donne e uomini  perseguitati e uccisi a causa del loro amore per la libertà e per il diritto a vivere secondo i principi di  uguaglianza e di rispetto della dignità della persona.
Dalla Grecia di Alba Dorata, a Forza Nuova in Italia, all’estrema destra xenofoba francese guidata da Jean-Marie Le Pen, a quella olandese, alle formazione neonaziste, antisemite ungheresi giunte, nelle ultime elezioni, a sfiorare  il 20% , alle squadracce nere  ucraine, sino alle forme estreme di rifiuto dello straniero in Germania e nei paesi scandinavi, un vento di follia estremista sta gonfiando e strumentalizzando il profondo malessere di un continente in crisi, soprattutto, di valori .
I grandi ideali dei padri fondatori dell’Europa Unita, sorta dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale, sembrano persi tra i mille canali di una burocrazia e di una politica che fondano le loro strategie di governo su logiche di profitto e  speculazione in ossequio ai centri di potere, economici e finanziari mondiali.
Se questa EUROPA così com’è oggi, non ci piace, non bisogna commettere il grave errore di volerne la disgregazione con programmi ispirati dal più squallido populismo, proprio per le ragioni storiche che l’hanno voluta e che ancora la motivano e che oggi possono, ancora unire i popoli partendo proprio dagli ideali dell’antifascismo.
E’ necessario che si formi un fronte democratico contro l’avanzata della destra estrema e populista, per raccogliere e animare le coscienze, quelle dei giovani in particolare, attorno ai grandi valori che la storia ci ha consegnato e che è nostro compito trasmettere alle future generazioni.
L’ANPI, custode dei valori dell’Antifascismo e della Resistenza italiana, rivolge un appello a tutte le forze democratiche perché contribuiscano a costruire e sostenere una vasta azione di mobilitazione delle coscienze, in sintonia con le altre Associazioni Resistenti a livello europeo, in un ritrovato spirito internazionalista.
Dalla difesa della Costituzione e dell’Ordinamento Repubblicano potranno derivare gli insegnamenti e gli stimoli per ripensare anche una diversa Europa Unita, proiettata verso il futuro, in grado di esprimere le qualità più alte della solidarietà sociale, il dialogo con le altre culture, la difesa della pace, nel ricordo e condanna di quanto la follia umana fu in grado di progettare ed eseguire, dominando le menti e le coscienze delle masse.
Scriveva nel 2004 Stephane Hessel nel suo volume “Indignatevi”: “Ci appelliamo ai movimenti, ai partiti, alle associazioni, alle istituzioni e ai sindacati eredi della Resistenza affinché superino le poste in gioco settoriali e lavorino innanzitutto sulle cause politiche delle ingiustizie e dei conflitti sociali e non soltanto delle conseguenze, per definire insieme un nuovo “Programma della Resistenza” per il nostro secolo, consapevoli che il fascismo continua a nutrirsi di razzismo, di intolleranza e di guerra, che a loro volta si nutrono delle ingiustizie sociali”.

PER UN’EUROPA DEI LAVORATORI, DEMOCRATICA E ANTIFASCISTA,
A DIFESA DEI VALORI  DELLA COSTITUZIONE REPUBBLICANA
ORA E SEMPRE  RESISTENZA

Raduno fascista a Revine Lago

Armando Grava, uno dei martiri partigiani di Revine Lago

Dopo il raduno degli skinheads, i fascisti di casapound si ritrovano dal 12 al 15 settembre a Revine Lago, con un programma a base di incontri, concerti nazirock e dimostrazioni “muscolari” varie, il tutto trasmesso via web con il supporto di Radio Bandiera Nera, la radio del gruppo. Fascisti che fanno festa, in un luogo che ha visto nascere diverse Brigate Partigiane, che ha visto la vera natura del fascismo con uccisioni, deportazioni, case distrutte.

Il Comune ha infatti pagato un altissimo contributo di vite umane, di deportazioni, di indicibili distruzioni: 40 case di abitazione (12% del totale) e circa 60 casere e stalle incendiate nei ripetuti rastrellamenti, incursioni e rappresaglie, eseguiti dalle SS e dalle Brigate nere. Revine Lago risulta, dopo Pieve di Soligo, ed in rapporto al numero degli abitanti, il Comune più danneggiato della Provincia. Il 12 marzo del 1945, in uno degli ennesimi rastrellamenti, viene catturato Armando Grava, staffetta della Brigata Partigiana “Tollot”. Il coraggioso e sfortunato giovane viene sottoposto ad ogni sorta di torture e di sevizie. Sotto stringente interrogatorio, si addossa la responsabilità del ferimento del tedesco e, a conferma di quanto dichiarato, si fa condurre nel luogo dove ha nascosto il proprio mitra. Egli, pur conoscendo tutto della formazione partigiana, non si lascia sfuggire neppure una parola. I fascisti non desistono ed usano tutti i sistemi per farlo parlare. Dopo quattro giorni di continui interrogatori e torture, il giorno 17 marzo, mentre continua il rastrellamento, il giovane Armando viene trasferito nel paese di Lago e precisamente nella trattoria di fronte alla chiesa, dove viene sottoposto ad un nuovo terribile interrogatorio. Questa volta, anche alla presenza della madre e della sorella. Su di lui compiono le più efferate sevizie e violenze. Una ausiliaria fascista, con le forbici, gli taglia la carne degli zigomi, delle sopracciglia, dei testicoli; sulle ferite passa poi della tintura di jodio. Sono quattro giorni di inutili ,tentativi, per strappargli qualche notizia su persone e fatti che egli conosceva bene; quattro giorni di incredibili sofferenze per il povero Armando. Il 17 marzo, con il pretesto di condurlo ad una medicazione si dirigono verso Revine e al confine con Vittorio Veneto, il patriota viene ucciso con una raffica di mitra. Gli gettano sopra il capo un grosso macigno e lo abbandonano sulla strada.

Casapound, dice il sindaco, non ha chiesto permessi perchè la festa è in un luogo privato, lo stesso del raduno degli skinheads di qualche hanno fa. Belle parole, da un sindaco che rappresenta una comunità che ha provato sulla propria pelle il fascismo e quello che rappresenta. Oggi Umberto Lorenzoni “Eros”, segretario dell’Anpi di Treviso, avrà un incontro con questa persona, e ribadirà che ogni rappresentazione ispirata al fascismo in Italia è vietata dalla Costituzione Italiana. Tutti gli antifascisti dovrebbero mobilitarsi e andare dal sindaco per pretendere il rispetto della Costituzione su cui ha giurato fedeltà.

9 Maggio Giorno della Vittoria (день Победы)

Il 9 maggio è il Giorno della Vittoria in memoria della capitolazione della Germania nazista durante la Seconda guerra mondiale.
La resa fu firmata nella tarda sera dell’8 maggio 1945 (già il 9 maggio a Mosca), in seguito alla capitolazione concordata in precedenza con le forze alleate sul fronte occidentale. Il governo sovietico annunciò la vittoria la mattina del 9 maggio, dopo la cerimonia di firma avvenuta a Berlino. In Italia questa ricorrenza è meno sentita che nel resto dell’Europa, specialmente in quella orientale, perchè da noi la fine della Seconda Guerra Mondiale è segnata dall’insurrezione generale proclamata dal Comitato di Liberazione Nazionale il 25 aprile 1945. In poche ore i partigiani liberarono tutto il nord Italia ancora sotto occupazione nazifascista. Nel resto del continente si continuò a combattere per un altro paio di settimane, e visto che per i tedeschi si trattava del combattimento finale, le battaglie furono cruente.
La bandiera rossa sopra il Reichstag sventolò solo il 2 maggio 1945, data della fine della battaglia di Berlino (due anni e tre mesi dopo la fine della battaglia di Stalingrado, datata 2 febbraio 1943), ma Praga sarà conquistata solo una settimana più tardi.
Il 9 maggio, nelle prime ore del mattino, la radio a Mosca annunciò alla popolazione la resa incondizionata della Germania Nazista.
La popolazione si riversò immediatamente per le strade della città, commossa e provata per la fine di un grande incubo, per una vittoria pagata a carissimo prezzo (28 milioni di morti). Tra bandiere rosse e ritratti di Stalin la gioia, pur in un periodo di enormi e collettivi lutti, fu incontenibile.
Per tutti il 9 maggio è da allora ricordato come il Giorno della Vittoria (in russo: день Победы DenPobedy), celebrato ogni anno con una grande parata militare in Piazza Rossa a Mosca.
Molte nazioni d’Europa celebrano il giorno della vittoria con 24 ore di anticipo rispetto all’Unione Sovietica, poichè l’ultima firma tedesca avvenne nella tarda sera dell’8 maggio 1945, quando però a Mosca era già passata la mezzanotte.

 Galleria fotografica sui festeggiamenti nella ex-Unione Sovietica

1° maggio, Festa dei Lavoratori, Festa del Lavoro

Quest’anno, in modo particolare, sarà un 1° Maggio di riflessione e di lotta in difesa del diritto ad un  lavoro giusto e garantito per tutti i cittadini così come è sancito dalla  Costituzione, nata dalla Lotta di Liberazione.

Un’occasione che deve servire ai lavoratori per prendere coscienza della loro forza, dei loro diritti ma anche del dramma che in questi anni sta attraversando il mondo del lavoro, colpito da una profonda crisi frutto di un sistema economico-finanziario globalizzato, dominato dalla speculazione e dallo sfruttamento smisurato, di uomini e risorse, in particolare nei paesi in via di sviluppo.

E’ di questi giorni l’immane tragedia di Dacca, in Bangladesch, dove trecento operai, in gran parte giovani donne, sono morti nel crollo dell’edificio abusivo dove era ospitata la loro fabbrica tessile.
Nel Nord del mondo disoccupazione, recessione con licenziamenti e chiusura di attività produttive, nei paesi emergenti, sfruttamento selvaggio dei lavoratori e  negazione dei più elementari diritti sindacali.

Due realtà che tra loro sembrano contrapporsi ma che in realtà sono due facce della stessa medaglia: usare la crisi per ricattare il mondo del lavoro, riportarlo ad una condizione di subalternità rispetto alle logiche di mercato che non conoscono regole da rispettare, ma solo la realizzazione di un  profitto senza limiti, al di fuori di ogni forma di controllo e giustizia sociale.

A questa difficile situazione di attacco ai diritti acquisiti in anni di sacrifici e di dura lotta, in un quadro politico nazionale confuso e caratterizzato da uno scivolamento verso forme di unanimismo difficili da immaginare solo pochi mesi fa, il mondo del lavoro deve rispondere con fermezza e lungimiranza, forte nella consapevolezza che le attuali difficoltà potranno essere affrontate e superate solo con l’unità delle forze progressiste, politiche e sindacali.

E’ necessario un rinnovato impegno di lotta per il lavoro, a difesa delle fasce più deboli, esposte alla povertà e alla deriva sociale, partendo proprio dai principi sanciti dalla Costituzione, pensati per dare forma ad una società più giusta, aperta alle sfide di un mondo in continua, anche se contraddittoria, trasformazione.

Qualcosa tipo una liberazione

Nell’esporre la sua netta contrarietà all’esecuzione di «Fischia il vento e infuria la bufera» durante le celebrazioni del 25 aprile, il commissario prefettizio di Alassio ha spiegato agli ultimi, stupefatti partigiani che la festa della Liberazione è apolitica. Non me ne voglia Sua Eccellenza, ma fatico a trovare una festa più politica dell’abbattimento di una dittatura. Politica in senso nobile e bello, al netto degli orrori reciproci che purtroppo fanno parte di ogni guerra civile.
Oggi il modo più diffuso per commemorare la Liberazione consiste nel rimuoverla, annegandola in un mare di ignoranza. Un signore ha scritto scandalizzato dopo avere udito all’uscita da una scuola la seguente conversazione tra ragazzi: «La prof dice che giovedì non c’è lezione». «Vero, c’è qualcosa tipo… una liberazione». Ma anche i pochi che sanno ancora di che cosa si tratta preferiscono non diffondere troppo la voce «per non offendere i reduci di Salò», come si è premurato di precisare il commissario di Alassio. Una sensibilità meritoria, se non fosse che a furia di attutire il senso del 25 aprile si è finito per ribaltarlo, riducendo la Resistenza alla componente filosovietica e trasformando le ferocie partigiane che pure ci sono state nella prova che fra chi combatteva a fianco degli Alleati e chi stava con i nazisti non esisteva alcuna differenza. La differenza invece c’era, ed era appunto politica. Se avessero vinto i reduci di Salò saremmo diventati una colonia di Hitler. Avendo vinto i partigiani, siamo una democrazia. Nonostante tutto, a 68 anni di distanza, il secondo scenario mi sembra ancora preferibile. Grazie, partigiani.
Massimo Gramellini “La Stampa” 24.4.2013