In Libia la barbarie non il trionfo


In Libia la barbarie non il trionfo

Il sole di Agosto acceca ogni cosa .

 

Gli aerei da guerra della Nato (compresi quelli italiani in barba alla nostra Costituzione ) stanno seminando morte e distruzione: 40 raid aerei in 2 giorni “per spianare la strada all’avanzata dei ribelli” dicono le TV e scrivono i giornali

Gli attacchi durano da quattro mesi con 4000 bombardamenti che hanno colpito ben 1600 obiettivi civili, facendo oltre 2000 morti .

52 miliardi di euro il costo di due mesi di guerra pari alla manovra economica italiana
che colpirà in primis lavoratori giovani pensionati. Contemporaneamente gioiscono
le borse europee che vanno in rialzo per le notizie che vengono da Tripoli.

Cento anni fa l’Italia di Giolitti invase la Libia e fu un genocidio: oggi come allora si vuol ridisegnare il Medio Oriente e il nostro paese ulteriormente sarà coinvolto in guerre imperialiste che non risolveranno certo le crisi dovute al sistema capitalistico.

Sono esterrefatto che ancora non ci sia una richiesta compatta , autorevole per il cessate il fuoco immediato per la risoluzione pacifica della crisi e per l’auto determinazione del popolo Libico . Di già il sonno della ragione ha generato mostri.

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Bruno Tonolo segretario Anpi del Miranese

Una «vittoria» timbrata dagli aerei Nato

Una «vittoria» timbrata dagli aerei Nato

Manlio Dinucci

Una foto pubblicata dal New York Times racconta, più di
tante parole, ciò che sta avvenendo in Libia: mostra il corpo
carbonizzato di un soldato dell’esercito governativo, accanto
ai resti di un veicolo bruciato, con attorno tre giovani ribelli
che lo guardano incuriositi. Sono loro a testimoniare che il
soldato è stato ucciso da un raid Nato.
In meno di cinque mesi, documenta il Comando congiunto
alleato di Napoli, la Nato ha effettuato oltre 20mila raid aerei,
di cui circa 8mila di attacco con bombe e missili. Questa
azione, dichiarano al New York Times alti funzionari Usa
e Nato, è stata decisiva per stringere il cerchio attorno a
Tripoli. Senza questa «pressione» quotidiana su obiettivi
fissi, forze in movimento, colonne di automezzi di incerta
identificazione, i «bengasiani» non sarebbero mai arrivati in
Tripolitania.
Gli attacchi sono divenuti sempre più precisi, distruggendo
le infrastrutture libiche e impedendo così al comando
di Tripoli di controllare e rifornire le proprie forze. Ai
cacciabombardieri che sganciano bombe a guida laser da
una tonnellata, le cui testate penetranti a uranio impoverito e
tungsteno possono distruggere edifici rinforzati, si sono uniti
gli elicotteri da attacco, dotati dei più moderni armamenti.
Tra questi il missile a guida laser Hellfire, che viene lanciato
a 8 km dall’obiettivo, impiegato in Libia anche dagli aerei
telecomandati Usa Predator/Reaper.
Gli obiettivi vengono individuati non solo dagli aerei radar
Awacs, che decollano da Trapani, e dai Predator italiani che
decollano da Amendola (Foggia), volteggiando sulla Libia
ventiquattr’ore su ventiquattro. Essi vengono segnalati –
riferiscono al New York Times i funzionari Nato – anche
dai ribelli. Pur essendo «mal addestrati e organizzati», sono
in grado, «per mezzo delle tecnologie fornite da singoli
paesi Nato», di trasmettere importanti informazioni al «team

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Nato in Italia che sceglie gli obiettivi da colpire». Per di
più, riferiscono i funzionari, «Gran Bretagna, Francia e altri
paesi hanno dispiegato forze speciali sul terreno in Libia».
Ufficialmente per addestrare e armare i ribelli, in realtà
soprattutto per compiti operativi.
Emerge così il quadro reale. Se i ribelli sono arrivati a
Tripoli, ciò è dovuto non alla loro capacità di combattimento,
ma al fatto che i cacciabombardieri, gli elicotteri e i Predator
della Nato spianano loro la strada, facendo terra bruciata.
Nel senso letterale della parola, come dimostra il corpo del
soldato libico carbonizzato dal raid Nato.
In altre parole, si è creata ad uso dei media l’immagine di
una «resistenza» con una forza tale da battere un esercito
professionale. Anche se ovviamente muoiono dei ribelli negli
scontri, non sono loro che stanno espugnando Tripoli.
E’ la Nato che, forte di una risoluzione del Consiglio
di sicurezza dell’Onu, sta demolendo uno stato con la
motivazione di difendere i civili. Evidentemente, da quando
un secolo fa le truppe italiane sbarcarono a Tripoli, ha fatto
grandi passi in avanti l’arte della guerra coloniale.

(il manifesto, 23 agosto 2011)

TRIPOLI – Decisivo anche il ruolo delle truppe del Qatar (articolo da “il Manifesto”)

TRIPOLI – Decisivo anche il ruolo delle truppe del Qatar

Ecco le forze Nato impegnate a terra

Manlio Dinucci

L’ambasciata del Qatar a Tripoli – mostra un video (http:/
/www.youtube.com/user/ZZ7L?ob=5#p/a/u/0/PybQX__fLWQ)

è stata riaperta tre giorni fa da uomini armati che, entrati
nell’edificio danneggiato, vi hanno subito affisso la
bandiera nazionale. Viene così documentata la presenza
in Libia di forze speciali qatariane. Forze speciali di Gran
Bretagna, Francia e Qatar, scrive The New York Times (23
agosto), stanno fornendo appoggio tattico alle forze ribelli e
consiglieri della Cia stanno aiutando il governo di Bengasi
a organizzarsi. Commandos britannici e francesi, conferma
un alto ufficiale della Nato, sono sul terreno con i ribelli a
Tripoli. E, alla domanda se vi sono anche agenti della Cia,
risponde che certamente è così.
Viene in tal modo sconfessata la Nato, che solo ieri è
stata costretta ad ammettere, di fronte all’evidenza e con
un «funzionario anonimo» citato dalla Cnn, che le forze
militari dell’alleanza combattono sul campo a Tripoli.
Perché finora aveva giurato di non avere «boots on the
ground», ossia militari sul terreno in Libia. Le forze speciali
britanniche – indicano le inchieste del Guardian e del
Telegraph – hanno svolto un ruolo chiave nell’attacco
a Tripoli. Esso è stato preparato a Bengasi dal servizio
segreto britannico MI6, che ha predisposto depositi di armi e
apparecchiature di comunicazione attorno alla capitale, nella
quale ha infiltrato propri agenti per guidare gli attacchi aerei.
L’offensiva è iniziata quando, sabato notte, Tornado Gr4
della Raf decollati dall’Italia hanno attaccato, con bombe di
precisione Paveway IV, un centro di telecomunicazioni e altri
obiettivi chiave nella capitale. Secondo un’inchiesta riportata
da France Soir, operano in Libia almeno 500 commandos
britannici, cui si aggiungono centinaia di francesi. Questi
ultimi vengono trasportati in Libia dagli elicotteri della Alat
(Aviation légère de l’armée de terre), imbarcati sulla nave da
assalto anfibio Tonnerre.
Importante anche il ruolo che svolge in Libia il Qatar, uno
dei più stretti alleati degli Usa: ha speso oltre un miliardo
di dollari per potenziare la base aerea Al-Udeid secondo
le esigenze del Pentagono, che se ne serve per la guerra
in Afghanistan e come postazione avanzata del Comando
centrale. Non stupisce quindi che Washington abbia dato a
questa monarchia del Golfo l’incarico di fiducia di infiltrare
in Libia commandos che, addestrati e diretti dal Pentagono, si
possono meglio camuffare da ribelli libici grazie alla lingua e
all’aspetto. Il Qatar ha anche il compito di rifornire i ribelli:
un suo aereo è stato recentemente visto a Misurata, dove

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ha trasportato un grosso carico di armi. Da fonti attendibili
risulta che, insieme a quelle del Qatar, operino in Libia anche
forze speciali giordane e probabilmente anche di altri paesi
arabi. Va ricordato che negli Emirati arabi uniti sta nascendo
un esercito segreto che può essere impiegato anche in altri
paesi arabi del Medio Oriente e Nordafrica (v. il manifesto
del 18 maggio).
Mentre prosegue gli attacchi aerei per spianare la strada
ai ribelli, la Nato conduce sul terreno una guerra segreta
per assicurarsi che, nella Libia del dopo-Gheddafi, il potere
reale sia nelle mani delle potenze occidentali, affiancate dalle
monarchie del Golfo. In quel caso le forze speciali alzeranno
la bandiera del peacekeeping e indosseranno i caschi blu.

(il manifesto, 25 agosto 2011)