La Ue, gli Usa e la Nato dirottata in Cina da
“patria indipendente”rivista dell’Anpi Nazionale
Premessa, quantomeno temporale, dell’incontro Biden-Putin è stato nel G7 il rilancio del Patto atlantico, ridisegnato dal Presidente americano nello scenario e nell’ambito di intervento. Nel futuro commercio globale, armato, Europa e Italia seppelliranno ogni progetto di indipendenza all’altare degli interessi economici d’oltreoceano?
Le linee di politica estera dell’attuale governo italiano sono caratterizzate dalla “tradizionale fedeltà all’Unione Europea e alla Nato”, si sottolinea da parte di politologi e notisti di varie tendenze. E la scelta “europeista e atlantista” è stata ribadita dal presidente Draghi nelle recenti riunioni del G7 e della Nato. Ma deve essere ancora una volta un acuto osservatore di cultura liberale – l’ex ambasciatore Sergio Romano – a sottolineare l’evidente discrasia tra la fedeltà alla Ue e alla Nato? Se si è fedeli alla Ue, se si è convinti della necessità di un suo ruolo indipendente in un mondo multipolare, questo non è compatibile con l’appartenenza a una alleanza militare sostanzialmente eterodiretta dagli Stati Uniti.
Alle continue richieste da parte americana ai governi dei Paesi aderenti di aumentare il contributo finanziario per le spese dell’Alleanza, l’Unione Europea potrebbe ben dare risposta di carattere alternativo con la costituzione di un apparato comune di difesa anche per affrontare i problemi attuali del clima, della biodiversità, delle pandemie inevitabili anche nel futuro. In sostanza non è fattibile un “ritorno al multilateralismo”, come viene sostenuto, senza porsi il problema del superamento della Nato a cui aderisce la maggior parte dei membri della Ue.
La Nato resta quindi la questione delle questioni. Contro chi è diretta oggi, nel mutato contesto? Contro la Cina? Ancora contro la Russia? Contro il mondo arabo? Si chiedeva Andreotti.
In questo suo primo viaggio internazionale da presidente, Biden ha già ridisegnato il ruolo-guida degli Usa e i nuovi obiettivi dell’Alleanza atlantica, tra cui quello di estendere l’articolo 5 del patto – che impegna a una difesa comune – anche in caso di cyber-attacchi, ovviamente da parte russa e cinese, per cui un attacco a un membro del patto sarà considerato un attacco diretto contro tutti.
Com’è noto, l’articolo 5 prevede anche l’impiego della forza armata, ma per “stabilire e garantire la sicurezza nella zona dell’Atlantico del Nord”!
Ci sono già stati invece casi di intervento della Nato “fuori area” (Jugoslavia, Afghanistan, Libia, etc.), ma stavolta l’obiettivo Usa è quello di allargare ulteriormente l’attività della Nato sempre più a est sino al Pacifico.
Per gli Usa costituiscono problemi legati alla sicurezza anche le tecnologie cinesi – Huawei, 5G e la Belt on the Road: la nuova via della seta –, considerati veri e propri cavalli di Troia della Cina per penetrare in Occidente e creare fratture all’interno dell’Alleanza.
Non è stata mai nascosta anche la contrarietà americana alla costruzione del Nord Stream 2, frutto degli accordi conclusi tra la Russia e la Germania. In sostanza da parte di Biden viene ribadito un orientamento volto a “contrastare le minacce” e la politica portata avanti da Cina e Russia.
Ma è possibile accettare che l’insieme di “questo pacchetto” sia stato discusso e addirittura accolto senza che i parlamenti nazionali abbiano avuto voce in capitolo per la ratifica, come purtroppo già avvenuto in precedenza con il Nuovo concetto strategico?
Ma l’atlantismo del nostro Paese può essere spinto fino alla condivisione di un ruolo Nato al di fuori dell’area euro-atlantica, sino a provocare inevitabili reazioni da parte della Cina, della Federazione russa e di altri? Questa nuova Nato non è in profondo contrasto con i nostri interessi nazionali e con quelli strategici europei, se solo si considera l’enorme mercato di sbocco, costituito da quei due Paesi, essenziale per la stessa ripresa economica dell’Europa occidentale? Esiste una complementarietà fra le economie russa e cinese e quella dei Paesi dell’Unione Europea.
La Nato non può continuare quindi a essere il “braccio armato” degli Usa nel mondo, spesso usurpando poteri dell’Onu e del Consiglio di Sicurezza. Né può continuare a costituire un “pericoloso fattore di instabilità per gli equilibri del continente”, come ha scritto recentemente sempre il prof Sergio Romano.
Ma una discrasia tuttavia si è evidenziata anche tra la vaghezza di risposte alle richieste di Biden in sede di G7 e l’atteggiamento di piena adesione degli altri Paesi Nato alla politica da seguire nei confronti della Russia, “le cui azioni aggressive costituiscono una minaccia alla sicurezza euro-atlantica”, e nei confronti della Cina, “le cui politiche internazionali possono rappresentare sfide che vanno affrontate insieme come Alleanza”, come recitano i comunicati finali.
Se non si vuole lo scontro, questa linea apre in ogni caso una fase di maggiore conflittualità come il mostrare una compattezza di tutta l’Alleanza nell’affrontare i problemi con la Russia di Putin – definito da Biden un “killer” – e con la Cina di Xi Jinping, per contrastarne la “crescente influenza in varie aree del mondo” con la nuova via della seta e con la presenza attraverso le grandi infrastrutture nel continente africano. A fronte di questo scenario la memoria del passato può fornire utili indicazioni.
In una diversa fase storica, contrassegnata dalla contrapposizione dei due blocchi e quindi precedente alla scomparsa dell’Urss, si possono distinguere diversi approcci e atteggiamenti da parte delle forze di sinistra più ostili alla firma del Patto Atlantico. Quando Pietro Nenni, ricevuto da Stalin, ebbe a dirgli: “Io mi batto contro il patto per un’Italia neutrale”, Stalin rispose: “L’Italia, per la sua storia e per la sua collocazione geografica, non può essere neutrale: l’essenziale è non essere oltranzisti nelle alleanze”.
Questo orientamento fu in sostanza fatto proprio dal Pci, che in un Comitato centrale del marzo 1956 affrontò il tema. Pur ribadendo il giudizio negativo sul Patto, sul quale tutti i parlamentari (non solo comunisti) si erano fortemente impegnati in una storica discussione, il Comitato centrale concluse così i lavori: “Non poniamo il problema del Patto Atlantico. Sarà lo sviluppo delle cose a minare alle radici il sistema dei blocchi e dei patti militari contrapposti”.
A distanza di venti anni dall’assunzione di questa posizione, nel 1976 il Pci con la “non sfiducia” verso il governo finì per votare “un documento che riconosceva come comunità europea e Patto Atlantico siano punti fondamentali della politica estera italiana”. E nel giugno di quello stesso anno una intervista concessa a Giampaolo Pansa suscitò reazioni a dir poco vivaci, sconcerto e incredulità nella base del Pci. Al punto che l’Unità omise nel riportare l’intervista le frasi del segretario: Enrico Berlinguer sostenne che una via italiana al socialismo sarebbe stata perseguibile restando nella Nato, perché uscire dalla Nato avrebbe sconvolto l’equilibrio internazionale, nel mondo dei blocchi contrapposti di allora. Insomma, la Nato come ombrello protettivo “per non subire alcun condizionamento”! Non è andata così: di blocchi ne è restato solo uno e sono rimaste segrete le clausole riguardanti anche le basi Nato e Usa in Italia.
Oggi come allora si impone realismo politico e realisticamente resta in tutta la sua interezza il problema di non essere oltranzisti nelle alleanze. Non può non essere ricordato che con la caduta del muro di Berlino, la fine dell’Urss e, conseguentemente, del Patto di Varsavia si era di fatto esaurita la funzione dell’alleanza militare Nato. Malgrado la scomparsa del “nemico” da cui difendersi o da “contenere”, la Nato non solo non si è dissolta ma si è invece ulteriormente rafforzata associando progressivamente tutti i Paesi già membri del patto di Varsavia, nonché Croazia, Slovenia, Albania e altri “contro i legittimi interessi della Russia”. Nella sessione del Consiglio Atlantico del novembre 1991 e successivamente nell’aprile 1999 furono stabiliti con il Nuovo concetto strategico nuovi ruoli e compiti della Nato, che di fatto travalicano gli scopi strettamente difensivi dell’alleanza (interventi nelle crisi regionali e locali, “ingerenze umanitarie”, minacce derivanti da terrorismo, spostamenti di popolazioni, ecc.), sostituendosi così a funzioni e compiti precipui dell’Onu, come è stabilito dalla Carta delle Nazioni Unite. Malgrado le modifiche sostanziali al Trattato del 1949 richiedessero per diventare esecutive le ratifiche dei parlamenti di diversi Paesi membri, come anche l’ex Presidente del consiglio e ministro degli esteri Giulio Andreotti sosteneva, il Ncs fu approvato soltanto dai capi di Stato e di governo.
Nel 2002 a Pratica di Mare furono assunte decisioni volte ad avviare un discorso di sicurezza collettiva coinvolgendo anche la Russia. Cominciò a funzionare il Consiglio Nato-Russia e quest’ultima partecipò ai lavori dell’Assemblea Parlamentare Nato. Ma questa fase positiva si è esaurita da tempo e il discorso di Pratica di Mare è finito in “non cale”. La Nato non solo si è allargata molto oltre i confini della vecchia Urss, ma si è estesa sino a quelli della stessa Federazione russa e si prefigge di completare l’accerchiamento militare di tutti i confini occidentali dell’ex alleato nella seconda guerra mondiale. La nuova Nato ha finito per essere una sorta di “Santa Alleanza” del secolo XXI volta a imporre un “modello di civiltà” fuori dell’area geografica euro-atlantica stabilita dall’originario Trattato, il che non può non essere interpretato inevitabilmente da Mosca come una forma di prosecuzione della guerra fredda. Ad avviso degli occidentali questa in atto sarebbe invece addebitabile alle scelte di politica estera compiute dalla stessa Russia, che minaccerebbe i vicini. Ha prevalso la russofobia e la incomprensione delle altrui ragioni.
Occorre che gli USA, anche con Biden, prendano coscienza che il mondo è cambiato, non è più quello del 1945, né quello del 1989 che attribuì agli Usa un dominio mondiale. Occorre maggiore realismo politico. “I tempi in cui un piccolo gruppo di Stati prendeva decisioni per il mondo intero sono finiti”, ha ammonito Xi Jinping. Non è più tempo di subire il “suprematismo morale” statunitense, quel ritenersi superiori per intervenire militarmente ove lo si ritenga opportuno negli interessi dell’Occidente e soprattutto degli Usa.
Resistenze e cautele comunque sembrano emergere non solo nel G7, ma sebbene timidamente anche nella Nato rispetto all’unilateralismo delle scelte di politica estera degli Usa ribadite nella linea tracciata da Biden.
A fronte del tripudio di propagandisti osannanti la nuova Nato, colpisce invece il silenzio della intellighenzia europeista, democratica e progressista, ma soprattutto dei costituzionalisti e docenti di diritto internazionale che, a quanto pare, non intendono ancora pronunciarsi sulla natura giuridica e sui contenuti dei nuovi obiettivi della nuova Nato, sulla estensione sempre più a est e sino al Pacifico dell’area di intervento, il che comporta conseguenti inevitabili tensioni e ulteriori inasprimenti dei rapporti militari, ma anche economici, commerciali e culturali.
Luigi Marino, Comitato nazionale Anpi