Università di Padova. Negli ultimi giorni, in particolare dopo il messaggio televisivo del 21 settembre e il discorso del 30 settembre del presidente russo, è cresciuta la preoccupazione di analisti e opinionisti che Vladimir Putin possa usare armi nucleari “tattiche” nella sua guerra contro l’Ucraina. Il rischio nucleare è stato amplificato dal presidente americano Joe Biden, che in un discorso del 6 ottobre ha descritto l’attuale situazione di stallo in Ucraina, con Putin che minaccia di usare tutti i mezzi a sua disposizione per difendere la Russia e il territorio che ha conquistato, come il momento nucleare più pericoloso dalla crisi dei missili di Cuba, avvenuta 60 anni fa, proprio in questo mese. In realtà le armi nucleari sono state al centro dell’invasione russa dell’Ucraina fin dall’inizio, essendo la Russia la maggiore potenza nucleare mondiale e per il coinvolgimento dei paesi nucleari occidentali e della NATO. Nelle prime dieci settimane della campagna militare, Mosca ha emesso circa 20 segnali nucleari: Putin già il 24 febbraio fece riferimento a “conseguenze mai viste nella storia” per chi avesse inteso “interferire” e, nell’apparizione televisiva del 27 febbraio, dispose l’innalzamento del livello di allerta dell’arsenale russo; le forze russe hanno condotto esercitazioni di sottomarini con armamento nucleare e disperso in Siberia lanciatori mobili di missili nucleari; inoltre stanno impiegando contro l’Ucraina missili abilitati anche per testate nucleari. Infine occorre anche considerare la presenza sul territorio di centrali e depositi di scorie nucleari, da subito coinvolti nel conflitto (https://ilbolive.unipd.it/it/news/impianti-nuclearicivili-guerra-norme). Eppure, una lettura attenta dei documenti e l’esame razionale degli avvenimenti e dei possibili scenari, rendono, a mio avviso, remota la possibilità di un effettivo impiego di armi nucleari nel breve termine, e comunque lontana l’urgenza che caratterizzò la crisi dei missili di Cuba. Armi nucleari “tattiche” Il continuo riferimento ad armi nucleari tattiche suggerisce l’idea che esista una differenza sostanziale rispetto a quelle “strategiche”: in realtà si tratta di ordigni basati sugli stessi principi fisici, in grado di produrre disastrosi effetti a seconda della loro potenza, modalità d’impiego e delle condizioni ambientali: una “palla di fuoco”, onde d’urto distruttive, un impulso elettromagnetico e radiazioni nucleari che causerebbero danni a lungo termine alla salute dei sopravvissuti; la ricaduta (fallout) radioattiva contaminerebbe l’aria, il suolo, l’acqua e le scorte alimentari potenzialmente di vaste zone. Il termine “arma nucleare tattica” non esiste nel glossario concordato dalle potenze nucleari membri del trattato di non proliferazione, né nell’ultima edizione del dizionario dei termini militari del ministero della difesa americano. Nei documenti ufficiali americani e russi si usa la distinzione “strategico” per i sistemi considerati nell’accordo New START e “non strategico” per tutti gli altri. In pratica le armi non strategiche sono intese per un impiego tattico, ossia da parte di forze terrestri, marittime o aeree contro forze avversarie, installazioni o strutture di supporto, a sostegno di operazioni che contribuiscono al compimento di una missione 2 militare di portata limitata, o a sostegno dello schema di manovra del comandante militare, solitamente limitate all’area delle operazioni militari. Una missione strategica è invece diretta contro uno o più obiettivi nemici selezionati con lo scopo di distruggere e disintegrare progressivamente la capacità e la volontà belliche del nemico. Gli obiettivi includono sistemi chiave di produzione, fonti di materie prime, materiali critici, scorte, impianti energetici, sistemi di trasporto, strutture di comunicazione e altri obiettivi simili. A differenza delle operazioni tattiche, le operazioni strategiche sono progettate per avere un effetto a lungo raggio piuttosto che immediato sul nemico e sulle sue forze militari. I sistemi strategici si avvalgono di vettori di gittata intercontinentale, mentre l’impiego tattico è ristretto in un campo di qualche centinaio di km. Per non sconvolgere in modo irrimediabile il campo di battaglia, la potenza delle armi di impiego tattico è mantenuta limitata, sotto i 100 kt. Ricordiamo che la resa di 1 kt corrisponde all’energia prodotta dall’esplosione di 1 milione di kg di tritolo e che la bomba su Hiroshima fu di 16 kt; per confronto, la più potente arma non nucleare (la BU-43 MOAB) ha la resa di 0,011 kt. Ad esempio, l’arma non strategica americana B61-12 può avere 4 possibili rese preselezionabili: 0,3 kt, 1,5 kt, 10 kt o 50 kt. Attualmente gli USA dispongono di circa 200 bombe aeree B61, di cui 100 in basi europee, mentre si stima che la Russia abbia circa 2000 armi non strategiche con una varietà di sistemi vettore. Una “scommessa per la resurrezione” di Putin? La motivazione principale del ricorso russo ad armi nucleari secondo molti osservatori e commentatori internazionali è l’inattesa prestazione sul campo di battaglia dell’esercito ucraino sostenuto dalla NATO, che potrebbe mettere alle strette Putin e indurlo a iniziative estreme. Più volte nella storia leader di paesi in gravissime difficoltà militari sono stati tentati di “scommettere per la resurrezione”, di continuare cioè a portare avanti una guerra già persa con un’intensità sempre maggiore, perché qualsiasi risultato al di sotto della vittoria avrebbe potuto significare la loro fine politica (o la loro morte). Così nel 1917, la Germania, non avendo alcuna speranza di vittoria, scatenò la sua arma segreta, gli U-Boot, per condurre operazioni illimitate in alto mare, in una strategia ad alto rischio, che poteva portare a una grande ricompensa (bloccare la Gran Bretagna) o a una grande calamità (far entrare in guerra gli Stati Uniti). Alla fine gli Stati Uniti entrarono in guerra, la Germania fu sconfitta e il kaiser rimosso dal potere. Analogamente, nel 1944 i nazisti iniziarono l’impiego massiccio di attacchi con i missili balistici V2 e i giapponesi ricorsero alle disperate imprese dei kamikaze, Wunderwaffen che non evitarono la disastrosa sconfitta di entrambi. Nel 1972, dal 18 al 28 dicembre, Richard Nixon ricorse alla campagna “natalizia” di bombardamenti su Hanoi e Haiphong, con l’impiego di 207 bombardieri B-52 e 2000 aerei tattici, la più distruttiva campagna aerea dai tempi della seconda guerra mondiale, salvo poi doversi ritirare dal Viet Nam e accettare l’unificazione del paese sotto il regime comunista. Ma la situazione attuale della Russia non è assolutamente confrontabile con quelle della Germania del ’17 o del ’45 o del Giappone: non ci sono città russe distrutte o minacciate e la vita quotidiana in Russia non è praticamente mutata, se non per le restrizioni ai diritti civili. L'”operazione militare speciale” non procede come era nelle aspettative di Putin, gli obiettivi iniziali sono stati ridimensionati e l’Ucraina sta liberando territori inizialmente occupati, 3 mentre continua il sostegno militare, politico ed economico dei paesi della NATO al governo di Kiev. Certamente l’operazione sta costando caro alla Russia in termini di caduti, mezzi, risorse umane ed economiche, nonché del prestigio militare, ma ha portato all’occupazione di una frazione significativa di territorio ucraino (territorio che può costituire una forte testa di ponte per riprendere l’attacco a Kiev con nuove forze), ha privato l’Ucraina dell’accesso al mare d’Azov e a gran parte del mar Nero, oltre aver prodotto pesanti distruzioni delle città, infrastrutture e risorse economiche e umane ucraine. Appare comunque certo che nel presente conflitto non vi sono gli estremi previsti per l’impiego di armi nucleari, sulla base del decreto 355 sui “fondamenti della politica statale della Federazione russa nell’area della deterrenza nucleare” approvato da Putin il 2 giugno 2020 (https://ilbolive.unipd.it/it/news/putin-svela-politica-nucleare-russa). Ricordiamo che il documento dichiara che “la Federazione russa considera le armi nucleari esclusivamente come un mezzo di dissuasione, il cui uso è una misura estrema e forzata dalle condizioni”. Le “condizioni che rendono possibile l’impiego di armi nucleari includono: (a) la ricezione di informazioni affidabili sul lancio di missili balistici contro il territorio della Federazione russa e (o) dei suoi alleati; (b) l’uso da parte di un avversario di armi nucleari o altre armi di distruzione di massa sui territori della Federazione russa e (o) dei suoi alleati; (c) azioni avversarie contro apparati statali o militari di importanza critica per la Russia, la cui disabilitazione potrebbe comportare l’impedimento delle azioni di ritorsione con forze nucleari; (d) aggressione contro la Federazione russa con armi convenzionali quando l’esistenza stessa dello stato sia posta a rischio”. Naturalmente la verifica delle condizioni del decreto è aperta a interpretazioni, ma le prime tre sono oggettivamente assenti e sarebbe un’estrema forzatura (e forse anche ridicolo) ritenere che le azioni sul campo in Ucraina possano porre a rischio “l’esistenza stessa dello stato” russo. Anche se il presidente russo ritenesse di ricorrere ad armi nucleari, dovrebbe, secondo quanto sembra sicuro, ottenere l’adesione del ministro della difesa o del capo di stato maggiore delle forze armate; quest’ultimo dovrebbe comunque verificare la validità dell’ordine a fronte della dottrina militare prima di renderlo operativo. Il necessario coinvolgimento dei militari è un possibile elemento di stabilità e ragionevolezza: essi conoscono bene gli effetti delle esplosioni nucleari e le caratteristiche e i rischi di una possibile guerra nucleare tattica. Inoltre, dal 1° marzo il dipartimento della difesa americano e il ministero della difesa russo sono collegati da una linea diretta di comunicazione (deconfliction line) allo scopo di prevenire errori di calcolo, incidenti militari e rischi di escalation in emergenziali situazioni critiche di sicurezza. Questo canale e i numerosi contatti diplomatici e politici, oltre che dei massimi esponenti militari, occorsi fra Russia e Stati Uniti fanno escludere l’eventualità di un attacco nucleare russo diretto contro obiettivi nell’Europa occidentale (pure considerato da alcuni analisti), come i centri focali di rifornimento di armi e mezzi situati in Polonia e Romania. Un tale atto provocherebbe l’immediato ricorso del paese colpito all’articolo V del trattato di Washington e la Russia si troverebbe a dover subire la reazione armata della NATO e il rischio di una guerra globale continua parte2