Osservatorio sulle riforme costituzionale

costituzione_italianaIl 10 dicembre, a Roma, nella sede nazionale dell’ANPI si è costituito un “Osservatorio” sulle riforme costituzionali, sulla legge elettorale e sul problema della rappresentanza dei cittadini, con la presenza di numerosi rappresentanti di Associazioni e di diversi soggetti, partecipanti a titolo personale.
La proposta di istituire l’”Osservatorio” presso l’ANPI, era venuta da numerose Associazioni che avevano visto nell’ANPI la sede più idonea a realizzare un punto di incontro, di confronto e di riflessione su temi così rilevanti. La proposta è stata accolta dall’ANPI che ha manifestato la sua disponibilità, a condizione del più rigoroso pluralismo ed ha promosso il primo incontro tra promotori ed aderenti. In quella sede è stata chiarita, prima di tutto, la ragione della scelta della sede presso l’ANPI, nel senso che tutti hanno concordato sul valore anche simbolico di incontrarsi in un luogo in cui i valori e i princìpi costituzionali sono al primo posto, non solo per la tradizione storica dell’Associazione, ma anche perché essi fanno parte degli stessi indirizzi statutari dell’ANPI, che naturalmente non pretende di avere l’esclusiva in materia, ma la considera tra le più rilevanti delle proprie finalità ed è perciò idonea a costituire un punto di incontro per tutti coloro che assumono come bussola i valori della Costituzione. In secondo luogo, si è cercato di precisare i contenuti, le finalità e le modalità di azione dell’”Osservatorio”, concordando che gli aspetti “organizzativi” saranno meglio definiti in prosieguo, anche in via sperimentale, partendo per altro dal presupposto dalla necessità di disporre, per quanti credono nei valori della Costituzione, di una sede di ricerca, di confronto, di riflessione e, all’occorrenza, di iniziative, che attualmente manca, con la conseguenza che ciascuno assume le posizione che ritiene giusta e opportuna, ma senza un valido e continuo confronto e coordinamento. Pubblicheremo, in seguito, il Comunicato finale della riunione e indicheremo le principali adesioni, singole e di Associazioni. Fin d’ora, desidero rimarcare il carattere pluralista dell’iniziativa, il rifiuto di qualsiasi collocazione politica dell’Osservatorio e la piena concordanza sull’esigenza di tutelare, non solo i valori di fondo della Costituzione, ma gli stessi princìpi basilari della partecipazione, della rappresentanza e, in definitiva, della democrazia. Un’iniziativa importante, dunque, e necessaria. In una fase molto delicata della nostra stessa politica e istituzionale, il richiamo ai valori della Costituzione e della democrazia può costituire un riferimento importante per tutti coloro che ritengono che il fondamento della convivenza civile del nostro Paese non può essere costituita da altro se non dai princìpi su cui si basa la Costituzione, nata dalla Resistenza e dell’antifascismo.
Naturalmente, l’”Osservatorio” è aperto all’adesione di quanti si riconoscono nei suoi obiettivi e nei valori di fondo cui si ispira.

Carlo Smuraglia, Presidente dell’Anpi

Manifestazione ANPI del 29 aprile sulle riforme Costituzionali

anpi Care amiche e cari amici, care Associazioni,

  come ormai saprete, l’ANPI ha indetto un manifestazione nazionale, al Teatro Eliseo di Roma, per martedì 29 aprile, alle ore 16,30, sui temi e con le posizioni che rileverete agevolmente dall’allegato, che esprime quanto deliberato, dopo ampia e proficua discussione, dal Comitato Nazionale dell’ANPI, nella riunione del 1 aprile scorso.

  Non chiediamo adesioni, né facciamo raccolta di firme, perché pensiamo che – oltre ad indirizzi che a buon diritto possiamo considerare comuni – ci possono essere molte variazioni, essenziali o sfumature, ben comprensibili data la delicatezza dei temi affrontati. Riteniamo, peraltro, che su alcuni punti di carattere generale (la necessità di cambiamento, ma nella coerenza costituzionale e nel rispetto dei princìpi di rappresentanza e di democrazia) ci possa essere, come auspichiamo, un sentire comune. Ed è per questo che Vi rivolgo, a nome della mia Associazione, un caldo invito a partecipare alla manifestazione, sia pure nella libertà di ciascuno di mantenere posizioni diverse sugli aspetti particolari.

  Noi crediamo che sarebbe interesse di tutti che la manifestazione fosse partecipata anche da  forze e persone diverse, oltre ai nostri iscritti, perché c’è una necessità reale di impedire che – troppo  in fretta e senza opportune riflessioni – si metta mano sia alla legge elettorale che alla riforma del Senato, proponendo invece una riflessione  serena e costruttiva, nei tempi necessari, per cambiare, con coerenza e con rispetto dei diritti dei cittadini e dei princìpi Costituzionali.

  Spero, quindi, di vedervi con noi il 29 aprile. Se poi riterrete di inviarci anche il vostro saluto e la vostra adesione di fondo alle tematiche in discussione, ne saremo particolarmente felici e ne daremo pubblicamente atto.

  La battaglia sarà lunga, con ogni probabilità e richiederà un serio impegno da parte di tutti. Se riusciremo a condurla unitariamente, almeno negli aspetti fondamentali e fatte salve le opinioni di ciascuno sulle specifiche soluzioni, ne trarrà vantaggio l’intera collettività, oggi forse un po’ distratta rispetto a questi temi, ma che cercheremo di informare adeguatamente perché ognuno conosca e possa poi esprimere consapevolmente la propria volontà.

  Con i più cordiali saluti e nella sincera speranza di ritrovare il terreno per un cammino comune.

                                                                                                 Carlo Smuraglia

Milano 15 aprile 2014

Politica nuova?

anpiE’ ben difficile parlare di “nuova politica” di fronte al rapidissimo mutamento di situazione che si è verificato nel giro di una settimana, col Governo Letta “indotto” alle dimissioni e il “trionfo” del nuovo Segretario del PD, che si avvia alla conquista di gran carriera del posto di Presidente del Consiglio, sulla base semplicemente delle decisioni adottate dal suo partito.

Intanto, è difficile compiacersi e considerare “buona politica” l’improvviso mutamento nelle parole e nelle decisioni del futuro premier. Non lo faccio io, ma l’ha fatto lo stesso quotidiano del suo partito, l’elenco delle cose che da più di un mese andava dicendo (solo per esemplificare: mai più governi di larghe intese, mai accesso alla guida di Palazzo Chigi senza un voto popolare, mai prendere il posto di Letta prima del compimento del semestre europeo, mai rinnovare i riti della vecchia politica); ed ora nel giro di pochi giorni, addirittura di poche ore, tutto è stato cancellato e smentito.

Si va al Governo con Alfano, si costringe Letta alle dimissioni, si cambia quasi tutto il Governo (ma Alfano resta, a quanto pare) con un metodo a dir poco discutibile (pur di dimostrare una pretesa discontinuità, si mandano a casa anche Ministri, come quelli dell’Istruzione che avevano ben meritato), non si fa un pur rapido passaggio in Parlamento, mentre si continua ad ignorare il vero e reale programma del nuovo esecutivo. Non c’è male, come rinnovamento della politica. E non c’è male anche sotto il profilo strettamente istituzionale; il cambio avviene sulla base di rapide e scontate consultazioni, al Parlamento spetterà un voto complessivo, di avallo di un lavoro già compiuto. Che ci siano dei precedenti in termini (un governo “eletto” senza un passaggio parlamentare, con un premier non eletto da nessuno, ma solo indicato dal suo partito), ne dubito. Comunque, conterebbero ben poco, visto che si afferma che si vuole rinnovare la politica.

E non ci si venga a dire che il passaggio parlamentare  non era utile perché le dimissioni di Letta erano irrevocabili e dunque non c’era la possibilità che cambiasse idea. Serissimi costituzionalisti hanno già dimostrato che non è così, perché il Parlamento deve essere chiamato in causa, non già per prendere atto delle dimissioni oppure decidere di mantenere in vita il vecchio Governo, ma – essenzialmente – perché tutto avvenga alla luce del sole e con un pubblico dibattito dal quale i cittadini apprendano le ragioni per cui il “passaggio” sta avvenendo, con quelle modalità, con un Governo che non ha avuto la sfiducia, con dimissioni non spiegate, se non da una riunione di partito (peraltro assai ambigua, sul punto), con la scelta di un Presidente del Consiglio estraneo al Parlamento, con un programma tutto da conoscere, prima ancora che da verificare.

Questo dibattito non ci sarà, a quanto apprendiamo.

Anche questa, a tutto concedere, non è proprio una novità e questo è davvero singolare quando si parla continuamente di innovazione e cambiamenti nello stesso modo di far politica.

Con questo, non intendo affatto “difendere” il Governo Letta, che ha le sue responsabilità e le sue colpe, sempre denunciate da queste colonne. Del resto, che ci sia stato e che ci sia qualcosa che non funziona, lo si deduce da quello che sta avvenendo in Parlamento, dove si sta profilando un pauroso ingorgo di decreti in scadenza (5 a febbraio e 3 a marzo); e quali decreti! Basti ricordare che c’è il cosiddetto “mille proroghe”, già carico di una montagna di emendamenti; c’è il finanziamento pubblico dei partiti e c’è il famosissimo decreto “salvaRoma”; e, ancora, lo “svuotamento carceri”, il “destinazione Italia”; il decreto che proroga le missioni all’estero, e così via. Una massa di provvedimenti urgenti e in scadenza, che ingolosiscono le opposizioni, che faranno di tutto per ostacolarli. Un calendario come questo rappresenta di per sé un giudizio negativo, prima che sul Parlamento, sul Governo, che non è stato capace di procedere oculatamente e nelle forme ordinarie.

Ma, detto questo, “non si uccidono così i cavalli”; insomma, anche per cambiare di passo (e di esecutivo) ci vorrebbe un po’ più di garbo (e non parlo solo di “educazione”, ormai smarrito da tempo, ma soprattutto di garbo istituzionale).

In mezzo a tutto questo, guardo ancora – con malcelata nostalgia – alla mia “agenda” della settimana scorsa e mi accorgo che al mio elenco di priorità politiche e soprattutto sociali, non viene contrapposto, allo stato, praticamente nulla che sia noto e conoscibile; eppure, parlavo di “pianificazione degli interventi “(addio ai decreti-legge), di provvedimenti urgentissimi per risolvere la gravissima emergenza  sociale, della creazione di un piano organico e mirato per reperire le risorse necessarie ad un rilancio delle attività produttive e alla creazione di posti di lavoro “veri”, di riforma della politica, di forte impegno contro la criminalità organizzata e contro la corruzione; e parlavo anche di riforme istituzionali basate sulla conoscenza, sulla riflessione e sul confronto reale attorno ai modelli possibili per realizzare una concreta differenziazione del lavoro delle due Camere.

Un vero libro di sogni: a Roma si sta parlando, al solito, di posti, di nomi, di caselle da occupare e da destinare, ma gli obiettivi restano nel vago: si parla sempre di riforma della legge elettorale; ma se poi la si fa in un modo da molti giudicato pessimo, e se essa finisce in mezzo all’ingorgo dei decreti, anche su questo c’è poco da sperare, soprattutto se si pensa che bisognerebbe ancora approfondire, confrontarsi, riflettere e non improvvisare.

Ma almeno, a prescindere dalla velocità (anzi, dalla fretta) che è realmente e fin troppo innovativa, qualche “novità” c’è? Certo, ce n’é almeno una, a cui non pensavamo più: la soglia del Quirinale, una volta preclusa a chi aveva anche solo un avviso di garanzia, è stata varcata, a quanto pare, da un condannato, provvisoriamente e incredibilmente libero di circolare, solo perché un Tribunale di sorveglianza sta tardando a decidere se assegnarlo agli arresti domiciliari oppure ai servizi sociali. Questa è davvero un’innovazione, la seconda peraltro, dopo lo “storico” incontro al Nazareno tra due leader entrambi estranei al Parlamento, di cui peraltro uno perché non ha ancora avuto modo di farsi eleggere e l’altro perché dal Senato è stato escluso per decadenza.

Ci sarebbe da sorridere, se non ci fosse da piangere. Ma noi, vecchi combattenti, non sorridiamo e non piangiamo: stringiamo i denti, aspettando che si torni davvero ai valori ed alle regole della Costituzione, che prenda il sopravvento la politica “buona”, che insomma qualcosa cambi davvero, nel nostro Paese. Noi non abbiamo mai disperato ed anche di fronte a prove terribili, continuiamo a pensare e sperare che all’Italia arrida un futuro migliore, all’insegna della nuova politica, dell’antifascismo, della democrazia (parole, quest’ultime, che ci piacerebbe sentire, almeno ogni tanto, nei discorsi e ragionamenti politici, ed invece non si sentono praticamente mai).

Naturalmente, limitarsi a sperare sarebbe troppo poco. Non lo abbiamo mai fatto e non lo faremo neppure adesso, anche se i tempi sono difficili e complessi. Ma noi – la nostra Associazione – siamo portatori di valori che vengono da lontano e ci parlano di donne e uomini che, per quei valori, hanno lottato e sofferto, non scoraggiandosi mai, ma sempre operando perché essi trionfassero. Se avessimo solo “sperato”, non ci sarebbe stata la Resistenza ed avremmo finito per aspettare l’arrivo degli Alleati. Invece, c’è stato un impegno forte e deciso anche quando tutto sembrava perduto, a fronte di una barbarie incalzante e dotata di uomini e mezzi soverchianti. Quell’impegno ha pagato, alla fine, come pagherà anche oggi se non ci arrenderemo allo sconforto, alla delusione, allo smarrimento e cercheremo di fare sentire, con forza, la voce della Costituzione, la voce, mai incrinata, dei tanti che hanno combattuto per la nostra libertà e per il futuro del Paese.

Carlo Smuraglia – Presidente Nazionale ANPI

Roma, 18/02/2014

 

Il nuovo dizionario di Matteo: c’è “Paese” e non “Berlusconi”. Spariscono destra e sinistra (di Filippo Ceccarelli da “Repubblica”)

Le parole, al giorno d’oggi, si misurano e si pesano. Ieri Renzi si è rivolto molto più al grande pubblico che ai senatori, che pure ha cercato di coinvolgere, a tratti anche divertendoli, per il resto sforzandosi di stupirli senza troppo preoccuparsi che alcuni si sarebbero disorientati. La novità comunque c’è. Così parlò Renzi in quelle che un tempo si sarebbero definite «dichiarazioni programmatiche» e ieri lui stesso ha suggestivamente assimilato a una specie di «Truman show».

Io, noi. Pronomi interscambiabili. «Apprezzo », «ci avviciniamo», «non vorrei», «abbiamo svolto». Il protagonismo egocentrato convive con una dimensione collettiva, ma nell’economia generale del discorso non è chiaro il motore e la funzione del loro alternarsi. L’effetto suona talvolta come un singolarissimo
plurale majestatis.

Età, la mia età. Segnale di auto-distinzione anagrafica con prezioso richiamo d’esordio al brano della «pur bravissima» Gigliola Cinquetti, che con Renzi, del resto, condivise ai tempi la militanza nei comitati per l’Ulivo. Su un piano storico-oggettivo il tempo presente è indicato come: passaggio. Ma la tentazione della Generazione Erasmus è sempre in agguato.

Derby. Sta per sfida, scontro, conflitto, ma con un aperto pregiudizio di riprovazione. Vedi il «derby ideologico» sulla giustizia. Lessico calcistico, nei due interventi al Senato ridotto tuttavia al minimo.

Coraggio. Un tempo virtù che si riconosceva esclusivamente ai grandi scomparsi, oggi risorsa comunicativa ad alto impatto rivendicata in tempo reale come inconfondibile segno di leadership. Spessa abbinato, ma per negazione e sottrazione, alla paura, «non abbiamo paura», «mai paura», eccetera.

Urgenza. Così come l’accelerazione risuonata nella replica, è la premessa della velocità, dell’impeto e dell’iper-cinetismo del nuovo presidente comunque necessari ad affrontare, anzi a prestissimo risolvere i problemi sul tappeto.

Faccia, facce. Sostantivi eminentemente visivi, quindi televisivi e come tali tipici del renzismo. Il potere sollecita sguardi,trasmette indizi, addita fenomeni che tutti possono guardare, di norma sugli schermi.

Sogno, sogni. Provenienti dalla pubblicità e resi inevitabili nella retorica della Seconda Repubblica dopo l’inaugurazione, l’uso e l’abuso di Berlusconi, ma anche di altri suoi onirici imitatori. Un indubbio progresso, nel caso odierno, la mancanza della consueta citazione di Martin Luther King, «I have a dream».

Fuori. «Fuori di qui», «fuori da quest’aula ». Un modo per sottolineare la propria estraneità alla casta, termine però menzionato ieri appena di sfuggita. «Fuori», senza nemmeno il sottotitolo (Mondadori, 2011), era d’altra parte il titolo di uno dei primi e illuminanti — con il senno di poi — libri di Renzi. Un capitolo dedicato al «complesso di Silvio», l’innominato. E oggi il cognome Berlusconi non è mai risuonato.

La madre di. Fantasioso riciclaggio «giornalese» al linguaggio bellico di Saddam Hussein (1991). «La madre dei nostri problemi», ha detto Renzi, e «la madre di tutte le privatizzazioni». Questa madre non proprio un esempio di premura e bontà.

Papà. «Credo che capire cosa significa incrociare lo sguardo di un papà… « e qui Renzi si è fermato, e ricordandosi di essere fiorentino si è regalato una civetteria lessicale per così dire identitaria: «Per non dire babbo».

I nostri figli. O anche «i nostri ragazzi». La reiterata espressione, di toccante valenza famigliare, ha introdotto e rafforzato argomenti anche ragionevoli, ma «aveva pure il senso di ricercare un accordo trasversale diretto a tutti i senatori-genitori.

Struggente, devastante. Curiosa coppia di aggettivi che due volte sono comparsi nel discorso. Romantico il primo, apocalittico il secondo.

Persone. Sostantivo molto usato e mai a sproposito. Probabilmente rivelatore della cultura cattolica che sta nel background di Renzi. Si sente l’eco di Mounier e si adatta bene al tono discorsivo.

Destra, Sinistra. La prima mai citata. La seconda una sola volta, nella replica.

Slides. Anglismo esorbitante. Si poteva dire: diapositive.

Scuola, insegnanti. La parte più personale. Essendo la signora Agnese una professoressa si sentiva l’eco, e anche la vitalità, di tanti discorsi in famiglia.

Fiatone. Una dei tanti termini del sermo humilis, ovvero parla anche in Parlamento come mangi: «tirar via», «giocatevele», «le bandierine», «una pizza e una birra».

Racconto. La politica renziana persegue la tecnica e un po’ anche la filosofia della narrazione, o story-telling che dir si voglia. La bambina figlia di immigrati, le telefonate ai marò, alla signora sfigurata dal vetriolo, all’amico disoccupato. Un modo per andare alle questioni con lo slancio della prima persona.

Buon lavoro a tutti. La conclusione della replica come un saluto. Un tempo si diceva «Viva l’Italia» o anche «Iddio salvi l’Italia». La speranza che un più semplice augurio funzioni comunque.