Avendo fatto della mia vita una missione, laica e civile, dimettermi dalla missione significherebbe dare le dimissioni dalla vita. Un suicidio. Ci sono esistenze più spendibili di altre, e la mia è una di queste. Tutto sta nel spenderle per qualcosa d’impagabile, come la lotta per la giustizia, la libertà.
Nella notte tra il 14 e il 15 aprile 2011, veniva assassinato a Gaza Vittorio Arrigoni. In Palestina arrivò la prima volta nel 2002. Proprio quell’anno avvenne la sua iniziazione come scudo umano davanti a una scuola piena di bambini assediata dai carri armati israeliani. Da quel momento Vittorio affrontò molti rischi per aiutare la gente del posto e raccontare ciò che vedeva: i bombardamenti, la morte di ragazzini inermi, il dolore negli ospedali, le abitazioni distrutte. Fu anche malmenato e poi espulso dalle autorità israeliane, rimandato in Italia in camicia e ciabatte. “Tieni forza e coraggio. Opera per la pace, anche se ti e ci vien voglia di rispondere occhio per occhio alle offese. Ma, come diceva il Mahatma Gandhi, a furia di dire occhio per occhio, resteremo tutti ciechi”, gli scrisse sua madre Egidia il 20 aprile del 2004.
Ne aveva viste tante Arrigoni, gli era capitato di raccogliere pezzi dei suoi amici e teste di bambini. Del suo ultimo ritorno a casa, nel 2009, la mamma ricorda le urla notturne, l’inquietudine, gli incubi di chi aveva assistito ad atti disumani. “Noi eravamo preoccupati, ma non gli avremmo mai impedito di andare. Era la sua vita. Nonostante avesse visto tanta violenza e tante atrocità, la sua sfrenata passione per i diritti umani lo riportava sempre lì. Si sentiva amato dalla gente, accettato da tutti. Mi disse una volta che se non fosse tornato a Gaza, sarebbe andato altrove a cercare qualcuno da aiutare”.
Arrigoni ripartì per l’ultimo viaggio nel 2010. Passando dall’Egitto riuscì a rientrare a Gaza. Riprese ad aiutare “i fratelli palestinesi”, come lui li chiamava, e a raccontare ciò che vedeva attraverso il suo blog, Guerrilla Radio, e la collaborazione con PeaceReporter. Fino alla notte tra il 14 e il 15 aprile del 2011, quando venne ucciso da una cellula jihadista salafita, a quanto pare fuori controllo, con motivazioni che ancora oggi appaiono poco chiare. “La cosa che mi turba di più è non sapere la vera motivazione della sua morte – ha continuato Egidia – È il pezzo che manca. Non penso che lo conosceremo mai. Mi consola ricevere ancora oggi lettere di stima e di affetto nei confronti di Vittorio. Voglio che lui venga ricordato per quello che ha dato alla gente”. Questo è l’articolo di Alberto Puliafito pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” il giorno dopo la morte di Vik:
Non era soltanto un volontario, Vittorio Arrigoni. Era un attivista. Era un pacifista. Era un profondo conoscitore della questione palestinese. Era uno scrittore e un giornalista. Ma soprattutto, era una voce libera, un testimone di una realtà complessa, quella di Gaza, che viveva dall’interno.
Certamente, nessun giornale italiano aveva pronto un “coccodrillo” celebrativo di Vittorio Arrigoni. Non perché non fosse risaputo che vivesse in una situazione rischiosa, ma perché le voci come la sua sono voci scomode. Perché Arrigoni, che ha scritto il bel Restiamo Umani e che raccontava di Gaza su Guerrilla Radio, il suo blog, era un personaggio difficile da trattare, dall’Italia. Non si accontentava di farsi raccontare da casa la realtà: la viveva. Non si accontentava di fornire una rappresentazione binaria della realtà. Non cedeva a slogan e al facile dualismo buoni contro cattivi, ma costruiva, giorno per giorno, un racconto, un affresco di una situazione mai davvero compresa, mai davvero rappresentata.
Leggete, per esempio, come raccontava un attacco da parte delle forze di sicurezza di Hamas a una manifestazione pacifista di palestinesi, e capirete cosa vuol dire avere la capacità di racconto e di analisi, senza cedere all’istinto della banalizzazione.
Vittorio Arrigoni non si preoccupava del fatto che poi, magari, la gente a casa non capisce (uno dei più grandi problemi della comunicazione sistemica); non risparmiava critiche anche a intoccabili: destinò dure parole a Roberto Saviano (nel video qui sotto) quando lo scrittore esaltò la democrazia di Israele. Era una voce scomoda, di quelle che fa tremare i benpensanti, a destra e a sinistra; una di quelle voci che fa saltare le logiche tradizionali di una comunicazione che tende a semplificare la realtà per proporre slogan e messaggi facilmente comprensibili (una comunicazione tradizionale decisamente deleteria, che abbassa il livello del confronto e che, a scapito della presunta immediatezza, non fa che impedire la comprensione dei fatti). Vittorio Arrigoni non faceva l’eroe, raccontava senza personalismi: era un canale per un flusso di comunicazione che si poteva diffondere soltanto in maniera virale, dal basso, eccezion fatta per i suoi reportage per Il Manifesto.
La sua morte mi ha ricordato – fatte salve le specificità e le differenze – quella di Enzo Baldoni (che ricordavo proprio su questo blog).
Per questi motivi, e solo per questi, ho ritenuto di doverne scrivere, senza patetiche commiserazioni. Per fornire al lettore, che non avesse mai incrociato gli scritti di Arrigoni, la possibilità di conoscerlo attraverso le sue parole, che devono essere condivise il più possibile.
E per favore, non cediamo alla facile retorica del se l’è andata a cercare, come già sta accadendo. Sarebbe semplicemente offensivo. Non solo per lui, ma anche per noi.
Perché Vittorio Arrigoni era, più di ogni altra cosa, Umano.
Qui potete leggere un’intervista a Vik.