L’orazione ufficiale del 70° anniversario del rastrellamento del Grappa

OLYMPUS DIGITAL CAMERAQuesta è l’orazione ufficiale della Dott.ssa Sonia Residori, storica e componente del direttivo dell’ISTREVI “Ettore Gallo”, nel giorno del 70° anniversario del rastrellamento del Grappa. Una relazione che ha fatto dimenticare per un momento, le tante assenze di una ricorrenza che dovrebbe essere per l’Anpi e per la popolazione della pedemontana una giornata dedicata alla memoria del sacrificio dei tanti partigiani trucidati. Il sindaco di Crespano, Rampin Annalisa (non vuole essere chiamata “sindaca”) ha sottolineato anche lei la delusione per una giornata che avrebbe dovuto essere ben diversa da come è stata. Per finire il quadro deludente c’era perfino un banchetto di una sezione dell’Anpi che vendeva libri, facendo della memoria semplice mercimonio. E la memoria dei nostri partigiani non merita queste giornate.

Buongiorno a tutti, alle cittadine e ai cittadini presenti, ai rappresentanti delle associazioni partigiane e dei reduci, ai signori Sindaci e alle autorità di tutti i comuni oggi qui intervenuti.
Ringrazio prima di tutto il prof. Vittorio Andolfato, presidente dell’Associazione 26 settembre per avermi invitata a ricordare, in questa celebrazione, quello che è stato uno dei momenti più terribili della Resistenza vicentina e italiana, il rastrellamento del Grappa.
Nell’estate del 1944, il massiccio del Grappa, il “Monte sacro” degli italiani, rappresentava una specie di lembo di terra liberata, una sorta di zona franca, per antifascisti, renitenti e disertori, per i giovani che non intendevano aderire alla Rsi e collaborare con l’occupante tedesco.
Anche per gli ex prigionieri alleati, fuggiti dai campi di concentramento italiani dopo l’8 settembre, il Grappa rappresentava il territorio della salvezza vuoi per la presenza delle brigate partigiane nelle quali in molti si arruolarono, vuoi perché costituiva una tappa importante nel loro lungo viaggio verso la Svizzera.
Tra il 20 e il 21 settembre 1944, ingenti forze militari tedesche portarono l’attacco alle formazioni partigiane che presidiavano il massiccio del Grappa. Le forze della Resistenza ebbero un numero esiguo di perdite, ma non disponendo di armi adeguate e neppure di munizioni sufficienti, dopo un breve tentativo per contrastare il nemico, dovettero abbandonare il terreno. Alle ore 13 del 21 settembre 1944 il Comando partigiano diramò alle formazioni l’inevitabile “si salvi chi può”.
Gli altri giorni, quelli che vanno dal 22 fino alle prime ore del 29 settembre, furono caratterizzati dalla distruzione del territorio e delle case da parte dei rastrellatori, ma soprattutto dalla caccia all’uomo condotta con ogni mezzo. La maggior parte dei partigiani, infatti, era riuscita a sganciarsi e, superando i posti di blocco disposti da centinaia di fascisti italiani attorno al massiccio, a trovare un nascondiglio o a tornare a casa.
Con un piano diabolico il Comando tedesco indusse i genitori, gli amici e i parenti a far presentare i ragazzi partigiani promettendo loro salva la vita. Purtroppo, come cinicamente ebbe a dire l’ex federale Passuello, «in tempo di guerra la parola d’onore non vale nulla», e la promessa era in realtà un inganno.
Per alcuni giorni tutti i paesi della fascia pedemontana del Grappa divennero un grande patibolo, nel quale si susseguirono fucilazioni ai lati delle strade e all’interno della caserma Reatto e impiccagioni di giovani uomini ai pali della luce, agli alberi, ai poggioli delle case.
Il massacro terminò nella notte tra il 28 e il 29 settembre 1944, con l’eccidio avvenuto al quadrivio di Caselle d’Asolo, con l’uccisione degli ultimi partigiani condannati a morte, i 51 uomini ai quali il vescovo, mons. Zinato, credeva di aver salvato la vita con il suo intervento personale e dei quali non è mai stato trovato il corpo.
I reparti che portarono l’attacco al massiccio del Grappa, scontrandosi con i partigiani, erano esclusivamente tedeschi perché ai fascisti italiani collaboratori era riservata in genere una funzione di supporto. Solo la 1a legione d’assalto Tagliamento ebbe il “privilegio” di combattere al loro fianco: si trattava di un reparto di italiani che avevano giurato fedeltà a Hitler e che erano agli ordini esclusivi del Comando SS in Italia, una delle «migliori unità» naziste del gen. Wolff.
Di tale reparto, che si distinse per crudeltà anche in altre zone del Paese, fecero parte alcuni personaggi che divennero poi famosi in varia misura nell’Italia democratica. Giorgio Albertazzi, celebrato e applaudito attore di teatro; Augusto Ceracchini, considerato il «padre delle arti marziali» in Italia; Carlo Mazzantini, padre della più conosciuta Margaret, ma scrittore di successo egli stesso; Giose Rimanelli romanziere, professore emerito d’Italiano e letteratura comparata negli Stati Uniti. Tutti e quattro hanno lasciato le loro memorie ai posteri raccontando diffusamente della loro esperienza di volontari di Salò, ma facendo scendere un pesante silenzio su ciò che successe nel Vicentino, in particolare sul Grappa come se la legione Tagliamento non fosse mai stata nel nostro territorio. Dal momento che i documenti del reparto erano stati distrutti, queste loro memorie sono state storia per diversi anni.
Eppure secondo le denunce delle vittime, recuperate fortunosamente, i legionari della Tagliamento devastarono il Grappa ovunque: razziarono e bruciarono le casere della zona, si impossessarono di centinaia di capi di bestiame, arrestarono tutti i civili incontrati sul cammino stuprando le ragazze, uccidendo con indifferenza.
La presenza dei legionari è confermata sul luogo dove si consumò il dramma a Bassano il 26 settembre 1944, quando 31 giovani tra partigiani e civili, furono appesi agli alberi delle vie cittadine, con il cartello “Bandito” sul petto. L’esecuzione, allestita su tre vie alberate della cittadina trasformate in improvvisati patiboli, venne eseguita, tra gli altri, anche da legionari della Tagliamento.
Così come i legionari fecero parte altresì dei plotoni di esecuzione all’interno della caserma Reatto.
Nelle loro memorie Albertazzi, Mazzantini, Rimanelli e Ceracchini non nominano mai, neppure per errore, nessuna località del Vicentino.
Giorgio Albertazzi ha minimizzato tutta la sua partecipazione di ufficiale volontario alla repubblica di Salò, con una frase, ormai molto nota: «Io i partigiani li ho sempre visti scappare, le poche volte che li ho visti». Nel suo romanzo autobiografico, quando si tratta di raccontare il soggiorno vicentino della legione Tagliamento, il filo della memoria s’interrompe con un blak-out, e sposta direttamente il reparto da Pesaro Urbino alla Val Camonica, come se avere il comando di uno dei tre plotoni di cui era composta la 3a Compagnia, e aver partecipato al massacro del Grappa, fosse stato un fatto del tutto accidentale.
Lo scontro in cui fu ucciso l’eroico comandante Vico Todesco, il cap. Giorgi, assieme a Giuseppe Andriolo, Giampaolo Arsié, Antonio Cadorin e Giuseppe Dalla Zanna, avvenne nei pressi di Monte Oro, a Busa delle Càvare, tra i partigiani della Brigata “Italia Libera Campo Croce” e i legionari della 3a Compagnia della Legione “Tagliamento” nella quale era inquadrato con il grado di sottotenente anche Giorgio Albertazzi, allora comandante del 2° Plotone Fucilieri.
Eppure “Ah, sia chiaro: io sul monte Grappa non c’ero proprio” così rispondeva Albertazzi al giornalista del Giornale di Vicenza, Stefano Ghirlanda, che lo intervistava il 7 febbraio 2007.
Questa “dimenticanza” unita alla distruzione di tutta la documentazione attuata dal reparto al momento della resa, ricorda il comportamento delle truppe SS che quando si ritiravano dai campi di concentramento, distruggevano il più possibile, proprio per uccidere la memoria, sostenendo che tanto nessuno avrebbe creduto…
Lo storico francese Jacques Le Goff osserva come la commemorazione del passato abbia conosciuto un vertice nella Germania nazista e nell’Italia fascista in quanto «la memoria collettiva ha costituito un’importante posta in gioco nella lotta per il potere condotta dalle forze sociali. Impadronirsi della memoria e dell’oblìo è una delle massime preoccupazioni delle classi, dei gruppi, degl’individui che hanno dominato e dominano le società storiche. Gli oblii, i silenzi della storia sono rivelatori di questi meccanismi di manipolazione della memoria collettiva».
Offende il mio senso civico ed etico il sapere che Albertazzi, Ceracchini, Mazzantini e Rimanelli hanno vissuto a lungo e indisturbati, senza mai assumersi la responsabilità delle loro azioni, anzi talora sventolando spavaldi la militanza in un reparto assassino, tal altra protestando indignati per la propria buona fede e ancora affermando la validità della propria idea nonostante abbia ridotto l’Europa intera ad un gran cimitero.
Come possiamo costruire una società civile e democratica se nessuno è mai responsabile di niente? Distruggere ma anche solo intaccare la memoria di un individuo o di un gruppo umano, significa attentare alle sue radici e mettere a repentaglio la sua stessa identità pregiudicando la capacità di progettare il futuro.
Il recupero della memoria, la sistemazione e l’interpretazione del passato possono contribuire tanto alla costituzione dell’identità, individuale o collettiva, quanto alla formazione dei nostri valori.
Nel dopoguerra nessuno pagò per un massacro costato circa 300 vite umane e l’assenza di giustizia ha reso il dolore ancora più straziante. Lo storico non è un giudice, non ha il compito di stabilire chi è colpevole e chi è innocente, ma stabilisce lo svolgimento dei fatti, a volte con lacune perché è impossibile riparare alla distruzione dei documenti, in ogni caso contribuisce, se fa bene il suo mestiere, alla ricostituzione più corretta della memoria collettiva e, parzialmente, al risarcimento per l’assenza di giustizia, individuando le responsabilità e riconoscendo le vittime.
Io credo che siamo debitori, per dirla con le parole del filosofo Ricoeur, nei confronti di coloro che ci hanno preceduto di una parte di ciò che siamo e nella misura in cui il passato contribuisce a fare di noi ciò che siamo, dobbiamo rispondere del passato. Se oggi noi viviamo in un Paese con molte storture sulle quali possiamo lavorare, ma democratico e libero, lo dobbiamo alle vittime del massacro del Grappa, al sacrificio di questi giovani resistenti verso i quali deve andare tutta la nostra gratitudine. E queste mie parole vogliono essere un piccolo tributo di riconoscenza. Grazie.

 

“Radiosa Aurora” ricorda la sua Resistenza fra Venezia e Belluno

“Radiosa Aurora” ricorda la sua Resistenza fra Venezia e Belluno: Intervista con Mario Bernardo, classe 1919, uno dei protagonisti della Resistenza, in particolare nel Bellunese ma anche a Venezie e nel Trentino orientale. La sua esperienza in proposito è narrata nel volume “Il momento buono” del 1969.

Di origini veneziane, classe 1919, Mario Bernardo è stato fra i protagonisti della Resistenza nelle vicine montagne bellunesi, come comandante delle formazioni garibaldine nelle quali erano inquadrate anche le due giovanissime martiri del Tesino, Clorinda Menguzzato «Veglia», seviziata e poi fucilata dai nazisti (nell’ottobre 1944, a Castello), e la sua amica Ancilla Marighetto «Ora», freddata con un colpo alla testa dopo essere finita nelle mani di una pattuglia del Corpo di sicurezza Trentino, Cst (nel febbraio 1945 al passo Broccon). Mario Bernardo, che dopo la guerra è diventato una figura di primo piano del mondo del cinema (direttore della fotografia per molti grandi maestri nonché regista a sua volta), era ufficiale alpino di stanza in Alto Adige quando arrivò l’8 settembre. Riuscì con alcuni commilitoni a sfuggire ai nazisti, supportati da forze locali, e riparò in una casa di montagna che la famiglia (padre veneziano, madre bellunese) aveva a Bieno, nel Tesino (dove Radiosa vive tuttora). Qui animò un primo tentativo di dar vita alla guerriglia ma non c’erano le condizioni per un successo e quindi si aggregò alle forze garibaldine del Bellunese. Ebbe ruoli di comando dapprima nella brigata Gramsci sulle Vette Feltrine, dove nacque l’operazione che condusse al varo del battaglione Gherlenda in Tesino, e poi con la divisione Belluno proprio sui monti che sovrastano il capoluogo della vicina provincia dolomitica. Radiosa Aurora si distinse in numerose azioni e, data la sua competenza specifica, diede un contributo importante alle azioni armate, specie in relazione all’utilizzo dell’artiglieria e degli esplosivi. Nel settembre 1944 riuscì con alcuni compagni a mettersi miracolosamente in salvo durante il tragico rastrellamento sul monte Grappa, quando ingenti reparti nazifascisti circondarono il massiccio e massacrarono anche civili in un’operazione che rappresentò un colpo durissimo per la Resistenza (più di 500 morti e 400 deportati).  Dopo la Liberazione, Bernardo fu inviato a Trento per guidare la polizia partigiana, ma in breve tempo prese atto della impossibilità di procedere realmente nei riguardi dei numerosi e zelanti collaborazionisti. Una delusione che indusse amaramente Radiosa Aurora a lasciare l’incarico anzitempo.

Questa la registrazione audio dell’intervista di Zenone Sovilla (Bellunopop.it): http://www.bellunopop.it/bellunopodcast/?p=episode&name=2012-04-11_o_voci-10-4-2012.mp3

Commemorazione del Rastrellamento del Grappa

Comunicato stampa “Incontro sul Grappa”

Domenica 15 settembre è stato ricordato  a cura dei comuni della Pedemontana  trevigiana e feltrina il doloroso rastrellamento del Grappa 20-26settembre  1944.
A cima Grappa  al monumento del partigiano,  opera insigne dello scultore Augusto Murer,  sono avvenute  la deposizione della corona di alloro e le testimonianze di un reduce di Russia poi prigioniero in Germania Valerio Marco Andreatta e del partigiano Mario Bernardo (Radiosa Aurora).
Il prof. Loris Capovilla, già presidente dell’Istituto storico di Treviso ha chiesto ai sindaci presenti di adoperarsi per far includere il monumento del Murer nella zona sacra del Grappa ed il prof. Giovanni Perenzin  presidente dell’ANPI Belluno ha comunicato l’iniziativa di tutte le ANPI del Veneto di indire  il giorno 12 ottobre  una fiaccolata da Vittorio Veneto a Revine-Lago come risposta alle adunanza neonazista tenutasi proprio a Revine Lago dal 12 al 15 settembre.
Succesivamente i Feltrini  si sono radunati al Forcelletto al restaurato cippo della Gramsci ad opera della ditta  Marco Riva. Qui, presenti numerosi partigiani : Umberto Tatto, Albino Santel, Giuseppe Balladori, Silvano Simeoni, Egildo Moro e Mario Bernardo,  si sono svolte alcune riflessioni sulla guerra di liberazione nel Feltrino. Sono state  altresì illustrate le esperienze dell’ANPI con le scolaresche allo scopo di tramandare una pagina di storia a fondamento della Costituzione italiana. Sul tema dei giovani oggi in difficoltà per trovare un lavoro si è soffermato in particolare il presidente del consiglio comunale di Feltre Alessandro Dalla Gasperina.
Quindi tutti sono confluiti al rifugio Bocchette dove a cura della dott. Catia Boschieri Costanzo era  stata allestita una mostra documentale e fotografica relativa alla figura del  giovane  zio partigiano Antonio Boschieri della Brigata Matteotti impiccato ad Arten. Antonio Boschieri, era nipote dell’ avv. Luigi Basso di Feltre segretario nazionale del Partito socialista all’epoca della uccisione di Matteotti. La dott. Boschieri Costanzo ha illustrato con perizia foto dell’epoca e documenti di valore storico.
Il pranzo svoltosi nella più schietta allegria è stato allietato da canti della Resistenza e popolari eseguiti dal gruppo corale  Vece Voci Feltrine.
ANPI – Associazione Nazionale Partigiani d’Italia
Sezione di Feltre

Le foto della giornata: http://imgur.com/a/PLbKw

Antonio Boschieri “D’Artagnan”

 

Antonio ”Ragazzo” Boschieri nato a Biadene nel 1921, partigiano sul Monte Grappa col nome di battaglia “D’Artagnan”. Combattè nella Brigata G. Matteotti come comandante del battaglione Zecchinel. Combattente freddo e deciso, amato e stimato dai compagni di lotta, partecipò a moltissime e pericolose missioni e azioni culminate nei tragici combattimenti del settembre 1944 durante il rastrellamento del Grappa da parte dei nazi-fascisti. Catturato, fu a lungo torturato ma non rinnegò le sue idee nè tradì i suoi compagni. Fu impiccato ad Arten di Feltre il 27 settembre del 1944. Aveva 23 anni…

Per tutta la giornata del 25 aprile, Antonio sarà ”presente” a Villa Pisani di Montebelluna con ricordi, foto, testimonianze e documenti nello spazio ANPI.

Come arrivare a Villa Pisani

Le foto della mostra di Biadene: http://imgur.com/a/3lYN0