6 Agosto 2016, Mulini di sopra, Mirano: “SIMBIOSI FIUME MUSON – FIUME OTA”

6 Agosto 2016, Mulini di sopra, Mirano: “SIMBIOSI FIUME MUSON – FIUME OTA”

Hiroshima Mon Amour

La sera del 6 Agosto 2016, alle ore 21 ai “Mulini di sopra” di Mirano, avrà luogo “Simbiosi fiume Muson – fiume Ota”

Dal film “Hiroshima Mon Amour”:

La filosofia di Gunter Anders su “Hiroshima” voce di Valter Zanardi e lettura prefazione di Robert Jungk:

Caro nemico ti scrivo

Akihiro Takahashi prima del bombardamento di Hiroshima

La lettera dall’altra sponda della fine del mondo impiegò trentacinque anni per essere scritta. Fu il tempo necessario perché un ragazzo quattordicenne con la pelle penzolante dal braccio come una fodera strappata trovasse il coraggio di diventare vecchio e di non odiare più.
Akihiro Takahashi stava andando verso il suo ginnasio, alle 8 e 15 del 6 agosto 1944, quando un uomo di cui ignorava l’esistenza, ai comandi di un aereo che nessuno a Hiroshima aveva mai visto, fece volare da nove mila metri di altezza la prima bomba atomica usata in guerra sopra la sua testa, e sopra quella di altri duecentocinquantamila esseri umani.
Quando finalmente, ormai vicino ai cinquant’anni, le mani sfigurate dalle orrende cicatrici da radiazioni — i cheloidi — le orecchie dissolte nella città altoforno, gli organi interni consumati dal tenace lavoro dell’atomo, Akihiro poté finalmente guardare negli occhi colui che credeva fosse un demonio, il pilota dell’Enola Gay Paul Tibbets, vedette spuntare qualche lacrima. E pensò che fosse un uomo anche lui, al quale poter scrivere, con il quale parlare. Fu da quell’incontro diretto nel 1980, a Washington, che il ragazzo di Hiroshima e il cavaliere dell’Apocalisse cominciarono a scriversi.
Quel carteggio è improvvisamente affiorato dall’immenso serbatoio di rottami, di pezzi di vite umane, di cose e di dolore che ancora giace sotto la crosta della nuova Hiroshima. Fu il giapponese, che sarebbe divenuto direttore del Museo della Pace, costruito a pochi passi dal ponte a «T» che il bombardieredell’EnolaGayusòcome bersaglio, a impugnare il pennino buono, quello per la grafia elegante del kanji, degli ideogrammi, e a scrivere per primo.
Akihiro e Paul si erano conosciuti a Washington, nel giardino dietro al Russell Building, uno dei palazzi per gli uffici dei parlamentari, dove nel giugno del 1980 era stata organizzata una mostra sul bombardamento di Hiroshima e di Nagasaki. La tv di Hiroshima, la RCC, aveva pagato il viaggio ad Akihiro, uno degli hibakusha, i superstiti, e aveva chiesto al colonnello pilota del B-29 Enola Gay di incontrare il giapponese. Tibbets aveva accettato, molto a fatica, e sei mesi dopo, in novembre, Akihiro Takahashi trova il coraggio di spedire la sua prima lettera. Comincia, con esemplare timidezza ed educata evasività nipponica a parlare del tempo. «È quasi inverno e qui comincia a fare freddo». Ma non è del clima che vuol parlare al bombardiere. In quel novembre, l’America ha eletto Ronald Reagan presidente e la fama, ingiusta, di “cowboy nucleare” terrorizza Akihiro. «Si ricorda che cosa ci dicemmo mentre lei stringeva le mia mani e sentiva con le dita le mie cicatrici? Ci dicemmo che quando la guerra comincia, va avanti secondo i piani e le dinamiche della guerra e per questo non bisogna mai cominciarla. Io le dissi che non provavo più odio verso l’America neppure mentre ogni giorno devo combattere con le sofferenze fisiche lasciate da quel giorno e certamente non verso di lei, che eseguiva gli ordini e faceva il suo dovere… soprattutto ora che ho visto le lacrime di un cuore umano scivolarle dagli occhi». Ma, e qui viene al punto, «sono profondamente preoccupato per la politica estera del presidente Reagan… temo che si possa ancora intensificare la corsa agli armamenti nucleari. Spero che lei voglia sentire il cuore di Hiroshima e unirsi a noi nel cercare di impedire che quello che avvenne nel 1945 possa ripetersi. Dobbiamo, lei e io, tornare esseri umani, tornare al punto di partenza, dimenticare quello sfortunato evento».
Il colonnello Tibbets, divenuto nel frattempo generale e poi presidente di una società di aviazione civile impiegherà ben otto mesi per rispondergli. Scriverà a macchina, sulla carta intestata della società Aviation Jet, prendendo subito le distanze. «Chiedo scusa per il ritardo, ma molte cose sono accadute. Ho visto un bel documentario della BBC sulla mia missione e mi ha fatto piacere che abbiano rispettato i fatti, senza interpretazioni». Come per dire quello che Tibbets dirà fino alla morte, che lui aveva semplicemente eseguito, e alla perfezione, la mission, il trasporto e lo sganciamento di Little Boy, la Bomba A. Ma non fa passare la tirata su Reagan, anzi. «Sono contento che il signor Reagan sia succeduto al signor Carter. Penso che sarà un leader migliore per il mio Paese. Stia bene e in buono spirito».
La controrisposta arriva a stretto giro, appena tre settimane dopo, il 23 giugno 1982. Akihiro non molla: «Capisco che abbiamo opinioni diverse, ma mi permetta, dopo avere espresso la mia ammirazione per gli Stati Uniti, di dirle che la pace che a Hiroshima e Nagasaki sogniamo non può essere una pace costruita sulla potenza militare e sulla forza…». E qui, sempre con puntiglioso pudore giapponese, annota: «Ora devo andare tutti i giorni all’ospedale, per problemi al fegato, effetto della bomba atomica». Non lo dice, ma non ce n’è bisogno: quella bomba che tu,
Paul Tibbets, mi hai sganciato sulla testa, mentre andavo a scuola una mattina di agosto. Tibbets, il comandante di quell’aereo battezzato col nome della madre, Enola (che è lo spelling alla rovescia di Alone, sola, tratto da romanzo) non abbocca. È ancora più secco. «Le auguro che il suo nuovo incarico di direttore del Museo della Pace le dia grandi soddisfazioni e contribuisca a raggiungere quel traguardo al quale lei aspira».
Ci vuol altro per scoraggiare un uomo che camminò per ore verso il fiume sul quale galleggiavano cadaveri e dove si buttavano zombie in cerca di un impossibile refrigerio allo strazio delle ustioni. Il 5 ottobre 1982 gli scrive sei fogli fitti di ideogrammi, più disordinati, meno calligrafici, per invitare Tibbets ad apparire con lui in uno speciale della NHK, la autorevolissima tv pubblica giapponese. Gli illustra le bellezze della antiche città imperiali, Kyoto e Nara, cerca di convincerlo a vedere quella nazione nella quale Tibbets non mise mai piede dopo aver visto il fungo alzarsi fino a dodicimila
metri. Appena cinque righe: «Dopo lunga riflessione, purtroppo non posso accettare».
Paul Tibbets non risponderà mai più ad Akihiro Takahashi, che gli riscriverà quattro anni dopo, il 7 settembre del 1987, con un pretesto, una richiesta di dettagli tecnici sulla preparazione della bomba e la missione, tutte cose già notissime. È un modo per cercare di riattaccare discorso. Non funziona. Sedici anni passeranno ancora perché il ragazzo di Hiroshima, ormai ultrasettantenne riprenda calamaio, pennino e carta, nel 2003. «Sono passati vent’anni da quando ci stringemmo le mani e fui pieno di felicità e di speranza… ho lasciato il mio lavoro per il Comune di Hiroshima e mi dedico a raccontare ai bambini che cosa accadde e che cosa fare perché non accada più. Ormai ho 72 anni e non credo vivrò ancora molto. Mi farebbe felice sapere che anche lei, che deve averne ormai 90, dedicasse i suoi ultimi anni a costruire la pace». Silenzio.
L’ultima lettera di Akihiro Takahashi è del 28 agosto 2003, un altro agosto. Gli ha mosso la mano, una notizia che l’ha sconvolto. Dopo anni di abbandono, l’Enola Gay era stato recuperato, restaurato, esibito, in un hangar-museo in Virginia. La vista di quel gigante di alluminio, tornato lucido e nuovo come brillava nel sole del 6 agosto 1945, trafigge il cuore del superstite. «Fummo usati come cavie, noi abitanti di Hiroshima e Nagasaki. Quell’aereo è la testimonianza di quello che un pastore americano venuto a trovarmi a Hiroshima chiamò il “peccato mortale” degli Stati Uniti, chiedendomi di perdonare. Lei avrebbe il coraggio di dirmi la stessa cosa? Restaurare ed esibire l’Enola Gay è soltanto ostentazione, glielo ripeto, la
scongiuro, quell’aereo va distrutto». Silenzio.
Paul Tibbets morirà quattro anni dopo avere ricevuto l’ultima lettera, il primo novembre 2007. Akihiro Takahashi era stato pessimista: avrebbe vissuto ancora a lungo, dopo l’ultima lettera, perché il destino che aveva fatto di lui uno dei soli quindici sopravvissuti su settanta compagni di scuola lo avrebbe tenuto vivo fino agli ottant’anni. Morì nel 2011, il primo di novembre. Come Tibbets.

VITTORIO ZUCCONI, la Repubblica Domenica 18 Agosto 2013

La Dichiarazione di Pace di Nagasaki

6 agosto 1945 – 9 agosto 1945: Hiroshima e Nagasaki

L’Anpi di Mirano ricorda il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki, crimine contro l’umanità, avvenuto il 6 e 9 agosto 1945 e invita tutti i cittadini ad essere presenti, venerdì 9 agosto alle ore 11, presso la sede municipale in piazza Martiri a Mirano, alla commemorazione di questa tragedia che ha colpito non solo il popolo giapponese ma tutto il genere umano e gli esseri viventi.

Alla cerimonia sarà presente la sindaca Maria Rosa  Pavanello.

Il Centro Pace  e la Rete degli Studenti Medi del comune di Mirano aderisce e fa propria questa iniziativa.

Agli scettici, agli agnostici, a tutti coloro che: ”ci si sporca le mani ad essere partecipi delle cose del mondo” diciamo: “al nostro posto abbiamo collocato altri, anzi pochi altri, questi, attraverso un uso sofisticato delle immagini e delle parole, stanno imprimendo alla vita del mondo un corso da loro voluto, un corso da cui dipende l’essere e il non essere dell’umanità.” (Gunther Anders)

E non dite che non lo sapevate

 

Come da qualche anno a questa parte, la Città di Busto Arsizio commemora l’anniversario della tragedia di Hiroshima e Nagasaki, dove nel 1945 vennero sganciate le bombe atomiche che provocarono decine di migliaia di morti.
Alle 11.30 di martedì 6 agosto, anniversario del lancio della prima bomba su Hiroshima, il Tempio civico Sant’Anna ospiterà un momento di riflessione: l’iniziativa, che raccoglie l’insegnamento del cittadino benemerito Angioletto Castiglioni, è promossa dall’Amministrazione comunale, dal Comitato Amici del Tempio Civico, e dalla sezione varesina di JCI (Junior Chamber International).
Nel 2009 la Città è stata tra le prime in Italia a promuovere, grazie ad Angioletto Castiglioni, al Comitato e alla Jci, il ricordo della tragedia nucleare. Un impegno nato dalla visita al Tempio Civico e alla Città effettuata nel 2008 da Kentaro Harada, nel 2011 presidente internazionale della JCI, originario della Prefettura di Hiroshima.
Questa collaborazione ha portato a molteplici iniziative, tra cui seminari per l’educazione degli studenti alla pace e l’adesione della Città di Busto Arsizio alla rete internazionale dei Mayors for Peace, un’organizzazione non governativa fondata dalle città di Hiroshima e di Nagasaki con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’abolizione totale delle armi nucleari.
Un’altra iniziativa è quella dei “Beati i costruttori di pace” che dal 6 al 9 agosto, i giorni di Hiroshima e Nagasaki, organizza un percorso con gli Amici della bicicletta per sensibilizzare le popolazioni e coinvolgere gli amministratori delle Comunità locali, promuovendo anch’essa l’adesione all’ associazione mondiale Mayors for Peace. Il percorso inizia a Cormons il 5 agosto e si conclude il 9 ad Aviano, l’aereoporto militare americano dove c’è uno dei depositi degli ordigni nucleari in Italia,  con la cerimonia di commemorazione di Nagasaki alla quale tutti sono invitati a partecipare.

Apritemi sono io…
busso alla porta di tutte le scale
ma nessuno mi vede
perché i bambini morti nessuno riesce a vederli.
Sono di Hiroshima
e là sono morta
tanti anni fa.Tanti anni passeranno.
Ne avevo sette, allora: anche adesso ne ho sette
perché i bambini morti non diventano grandi.
Avevo dei lucidi capelli, il fuoco li ha strinati,
avevo dei begli occhi limpidi, il fuoco li ha fatti di vetro.
Un pugno di cenere, quella sono io
poi anche il vento ha disperso la cenere.
Apritemi, vi prego non per me
perché a me non occorre né il pane né il riso,
non chiedo neanche lo zucchero, io,
a un bambino bruciato come una foglia secca non serve.
Per piacere mettete una firma,
per favore, uomini di tutta la terra
firmate, vi prego, perché il fuoco non bruci i bambini
e possano sempre mangiare lo zucchero.

Nâzım Hikmet (Poesie, Editori Riuniti)