Venerdì 11 aprile alle ore 20.45 in sala conferenze di Villa Errera a Mirano, ci sarà la proiezione del film “L’Agnese va a morire” di Giuliano Montaldo, tratto dall’omonimo libro di Renata Viganò. L’autrice con il marito, Antonio Meluschi, e il figlio, partecipò alla lotta partigiana (“la cosa più importante nelle azioni della mia vita”, com’ebbe a dire) nelle valli di Comacchio e in Romagna, facendo, sino alla Liberazione, di volta in volta l’infermiera, la staffetta garibaldina e la collaboratrice della stampa clandestina. Da queste sue esperienze pubblicò nel 1949, da Einaudi, “L’Agnese va a morire” da cui nel 1976 Giuliano Montaldo ne trasse il film che proiettiamo venerdì sera.
È appena passato l’8 settembre e Agnese, donna grassa e quasi anziana, a seguito di una retata dei tedeschi, si trova senza il marito, portato via dai soldati (che si scoprirà ucciso). Inizia così a maturare nella donna un odio, profondo, viscerale, verso i tedeschi oppressori e i fascisti loro leccapiedi. Ma Agnese è una signora introversa, semplice, una lavandaia che del mondo non sa nulla, attaccata al ricordo del marito che spesso gli appare in sogno. Palita, il marito appunto, è il volto riconoscibile della coscienza di Agnese; rappresenta un desiderio di rassicurazione che contrasta con la glacialità apparente della moglie. Nei sogni, nell’interpretazione ingenua che ne dà Agnese, infatti, ritroviamo la sua semplicità. Eppure la vendetta ha la capacità di smuovere ogni cosa. E Agnese si lascia spingere da un senso muto di rivalsa, senza motivazioni ideologiche, e decide di aiutare i partigiani, compagni di suo marito, cominciando a fare la staffetta tra una campagna e un’altra. Contribuisce, nel suo piccolo, con un’aria asservita che raramente perderà, a vendicare il sopruso subito. Poi, in pagine dense e abbacinanti, la svolta, la rivoluzione interiore. Dopo l’uccisione insensata della sua gatta nera da parte di un tedesco ubriaco, fredda, carica di odio, Agnese, senza pensarci troppo, con rigido e disorientante distacco, uccide il tedesco che le aveva mitragliato la gatta. Scappa dal paese, mentre dietro di lei la casa si infiamma al fuoco appiccato dai tedeschi. La fuga quindi, l’unione con i partigiani, la barca sotto una luna di manzoniana memoria…. Poi la monotonia dell’attesa in un campo nascosto tra le canne; l’estate con i suoi disagi e con le sue contraddittorie seduzioni. Ma la guerra, nonostante brevi parentesi di quiete, non è solo ozio. E presto si ritorna all’azione. Arriva l’inverno, quello freddo del ’45, l’inazione forzata e i tentativi anche tragici di organizzarsi per l’attacco finale. Agnese piano piano lascia spazio al racconto degli uomini, dei partigiani, delle loro difficoltà, del loro modo di resistere, spesso senza riuscirvi, alla morte. Solo verso la fine del romanzo la sua figura ritorna prepotente, drammatica, e si legge, come ci annuncia già il titolo del romanzo, della sua morte.