Davide Conti: “L’anima nera della Repubblica. Storia del MSI”

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Venerdì 18 aprile alle ore 20.45 presso la sala conferenze di Villa Errera, Davide Conti presenterà il suo ultimo lavoro “L’anima nera della Repubblica. Storia del MSI”. Introdurrà Bruno Maran.

«Il Movimento sociale italiano non rappresentò solo un’esperienza testimoniale, un approdo unicamente reducistico, ininfluente rispetto alle vicende politiche. Un «polo escluso», come definito da qualcuno. Condizionò, invece, a più riprese il quadro politico e istituzionale, consentendo, fra il 1953 e il 1960, la nascita di ben quattro governi a guida democristiana (Pella, Zoli, Segni e Tambroni), nonché l’elezione di due presidenti della Repubblica, Giovanni Gronchi nel 1955 e Giovanni Leone nel 1972, quest’ultimo grazie proprio ai voti missini. Non solo, tra i primi anni Sessanta e la metà dei Settanta, nel pieno dispiegarsi della strategia della tensione, entrò in stretta relazione con i vertici militari italiani, con gli ambienti Nato e dell’Alleanza atlantica, con settori industriali, ma anche, in campo internazionale, con la destra repubblicana di Richard Nixon. Fece parte integrante di quell’ampio schieramento anticomunista che si costituì nel nostro paese e che operò dietro tutti i piani eversivi e di messa in discussione delle istituzioni democratiche, tentando addirittura di assumerne un ruolo guida. Di questo tratta in particolare “L’anima nera della Repubblica” di Davide Conti (pp. 226, euro 20 euro, Laterza), un libro che ricostruisce la storia dell’Msi in stretta connessione con l’evolversi delle più generali vicende politiche, economiche e internazionali. Una storia non solo partitica, si potrebbe dire, ma dell’estrema destra nel suo complesso, con uno sguardo sul passato recente e il presente. Qualcuno, forse, ha già dimenticato come l’MSI, nel 1994, con il suo top elettorale di sempre (il 13.5%), ancor prima di trasformarsi in Alleanza Nazionale, riuscì, nel quadro della fine della prima Repubblica, a diventare forza di governo insieme a Forza Italia e Lega.
Indipendentemente dal carattere nostalgico, l’Msi cercò subito, nell’immediato dopoguerra (nacque il 26 dicembre 1946), di ritagliarsi uno spazio politico nell’alveo anticomunista. Dirimenti in questo senso furono le vicende internazionali. Prima la guerra di Corea del 1950, poi la rivolta antisovietica di Budapest nel 1956, portarono l’Msi a un sostegnopieno dell’Alleanza atlantica, accettata come “sistema militare anticomunista”, a favore del quale già nel 1951 il suo gruppo dirigente si era espresso, nonostante le organizzazioni giovanili missine inscenassero manifestazioni antiamericane in opposizione alla ratifica del patto. D’altro canto l’ambivalenza e la doppiezza furono tra le costanti di tutta la sua storia, sempre in bilico fra inserimento e sovversione. “Inserimento”, da un lato, negli anni Cinquanta e nei primissimi Sessanta, nell’area governativa, a destra della Democrazia cristiana, come contrappeso alle aperture nei confronti dei governi di centrosinistra, “sovversione”, dall’altro, nei termini della riproposizione di sé come “forza alternativa al sistema”, che lo spinse a coltivare un violento e sistematico squadrismo, a costituire gruppi paramilitari, ma soprattutto ad assecondare le pulsioni golpiste che in quegli anni attraversavano le forze armate, o parte di esse, progetto attorno al quale negli anni Settanta disegnò le prospettive.
I fatti del luglio Sessanta con la sconfitta del governo Tambroni, nato con il sostegno determinante dei parlamentari missini, costretto alle dimissioni dalla protesta di piazza, portò all’irreversibile crisi di ogni opzione strategica di inserimento. Da qui anche una svolta con la decisione dell’Msi di costruire strutture parallele armate con la convergenza dell’ala guidata da Giorgio Almirante con tutta la galassia della destra extraparlamentare, da Ordine Nuovo ad Avanguardia Nazionale, nella prospettiva di uno scardinamento violento delle istituzioni repubblicane.
L’idea di un colpo di stato attraverso gli stessi vertici dell’Arma dei carabinieri, si pensi al “Piano Solo” che coinvolse nell’estate del 1964 l’allora Presidente della Repubblica Antonio Segni e il generale Giovanni De Lortenzo, ma anche ampi settori dell’esercito. Gli atti finali del famoso convegno all’Hôtel Parco dei principi di Roma, agli inizi di maggio del 1965, promosso proprio dallo Stato maggiore, sono ancora lì a dimostrarlo.
I rapporti con gli ambienti militari furono strettissimi, collocando l’Msi all’interno di quell’ “atlantismo radicale”, volto al contrasto del Pci nei termini della cosiddetta “controinsorgenza” e della “guerra rivoluzionaria”, con la collaborazione prevista tra militari e civili lungo crinali eversivi. I colonnelli che avevano, nell’aprile del 1967, assunto il potere in Grecia, indicavano la strada. Da qui lo svilupparsi della strategia della tensione come “strategia politico-militare di origine atlantica”.
Giorgio Almirante fu il primo segretario dell’Msi, nell’immediato dopoguerra, ma soprattutto, dopo un lungo intervallo, al suo comando dal 1969 fino quasi alla fine degli anni Ottanta. Rispetto ai suoi predecessori rideclinò la politica di inserimento in modo assai più aggressivo, puntando alla frattura fra i partiti antifascisti con settori della Dc, Pli e Psdi. Una sorta di schieramento nazionale “anticomunista”. Sotto la sua guida cercò di coniugare la carica “antisistema” delle origini con il richiamo alla “piazza di destra”, il ribellismo dei moti di Reggio Calabria (1970), ampiamente sostenuti, con una politica di “legge” e “ordine”. “Doppiopetto e manganello”, come si disse allora. A tale scopo riaggregò anche tutto l’estremismo extraparlamentare. I “bombaroli” di Ordine nuovo furono riaccolti nei ranghi del partito già nel novembre 1969, poche settimane prima della strage di Piazza Fontana.
L’internità dell’Msi alla strategia della tensione, con un carico notevolissimo di episodi violenti e squadristici, fu indiscutibile, come il suo proposito di concretizzare una svolta autoritaria sotto gli auspici delle forze armate. Molte le fonti utilizzate a questo proposito dall’autore, non solo istituzionali, ma anche di provenienza democristiana, tra gli altri l’archivio dell’Istituto Luigi Sturzo. Da questa stessa documentazione una fotografia degli innumerevoli finanziamenti di cui godeva l’Msi: dalla Fiat di Giovanni Agnelli (che incontrò Giorgio Almirante nel settembre 1969) alla Confindustria, all’Assaolombarda, per passare da Eni, Snia e Montecatini. Aziende private e parastatali. Un flusso impressionante di denaro, anche straniero, come i milioni di dollari, registrati nelle informative del Ministero degli interni, affluiti da Washington. La strategia della tensione fu sconfitta, verso la metà degli anni Settanta, dopo una prolungata e imponente mobilitazione antifascista che fece naufragare i disegni eversivi e ricacciò l’Msi nella marginalità. Fino ai primi anni Novanta quando, sotto la direzione di Gianfranco Fini, il partito neofascista fu ripescato e rilegittimato all’interno del nuovo schieramento berlusconiano. Da questa stessa storia alcune delle radici della nuova destra politica italiana, dai tratti eversivi, di certo non conservatrice.

Un’intervista di Radio Radicale a Davide Conti

11 aprile 2014: L’Agnese va a morire

AGNESEVenerdì 11 aprile alle ore 20.45 in sala conferenze di Villa Errera a Mirano, ci sarà la proiezione del film “L’Agnese va a morire” di Giuliano Montaldo, tratto dall’omonimo libro di Renata Viganò. L’autrice con il marito, Antonio Meluschi, e il figlio, partecipò alla lotta partigiana (“la cosa più importante nelle azioni della mia vita”, com’ebbe a dire) nelle valli di Comacchio e in Romagna, facendo, sino alla Liberazione, di volta in volta l’infermiera, la staffetta garibaldina e la collaboratrice della stampa clandestina. Da queste sue esperienze pubblicò nel 1949, da Einaudi, “L’Agnese va a morire” da cui nel 1976 Giuliano Montaldo ne trasse il film che proiettiamo venerdì sera.

È appena passato l’8 settembre e Agnese, donna grassa e quasi anziana, a seguito di una retata dei tedeschi, si trova senza il marito, portato via dai soldati (che si scoprirà ucciso). Inizia così a maturare nella donna un odio, profondo, viscerale, verso i tedeschi oppressori e i fascisti loro leccapiedi. Ma Agnese è una signora introversa, semplice, una lavandaia che del mondo non sa nulla, attaccata al ricordo del marito che spesso gli appare in sogno. Palita, il marito appunto, è il volto riconoscibile della coscienza di Agnese; rappresenta un desiderio di rassicurazione che contrasta con la glacialità apparente della moglie. Nei sogni, nell’interpretazione ingenua che ne dà Agnese, infatti, ritroviamo la sua semplicità. Eppure la vendetta ha la capacità di smuovere ogni cosa. E Agnese si lascia spingere da un senso muto di rivalsa, senza motivazioni ideologiche, e decide di aiutare i partigiani, compagni di suo marito, cominciando a fare la staffetta tra una campagna e un’altra. Contribuisce, nel suo piccolo, con un’aria asservita che raramente perderà, a vendicare il sopruso subito. Poi, in pagine dense e abbacinanti, la svolta, la rivoluzione interiore. Dopo l’uccisione insensata della sua gatta nera da parte di un tedesco ubriaco, fredda, carica di odio, Agnese, senza pensarci troppo, con rigido e disorientante distacco, uccide il tedesco che le aveva mitragliato la gatta. Scappa dal paese, mentre dietro di lei la casa si infiamma al fuoco appiccato dai tedeschi. La fuga quindi, l’unione con i partigiani, la barca sotto una luna di manzoniana memoria…. Poi la monotonia dell’attesa in un campo nascosto tra le canne; l’estate con i suoi disagi e con le sue contraddittorie seduzioni. Ma la guerra, nonostante brevi parentesi di quiete, non è solo ozio. E presto si ritorna all’azione. Arriva l’inverno, quello freddo del ’45, l’inazione forzata e i tentativi anche tragici di organizzarsi per l’attacco finale. Agnese piano piano lascia spazio al racconto degli uomini, dei partigiani, delle loro difficoltà, del loro modo di resistere, spesso senza riuscirvi, alla morte. Solo verso la fine del romanzo la sua figura ritorna prepotente, drammatica, e si legge, come ci annuncia già il titolo del romanzo, della sua morte.

Venerdì 14 febbraio: Domenico Gallo “Da sudditi a cittadini”

gallo1La Costituzione è – dovrebbe essere – il patto, la regola fondamentale per la convivenza di un popolo. Un insieme di valori, di principi e di norme vincolanti. E invece, sempre più spesso, la si considera una sorta di reliquia. Nella migliore delle ipotesi essa viene considerata un simbolo, come la bandiera o l’inno nazionale, ma non incide sulla vita quotidiana dei cittadini e delle istituzioni. C’è chi la considera un documento storico superato, suscettibile di essere modificato a piacimento. Il libro di Domenico Gallo – magistrato e giurista di grande cultura storica e politica – reagisce a questo atteggiamento e lo fa ricostruendo la storia, i movimenti, gli eventi che hanno portato alla Costituzione; evidenziando chi l’ha voluta e chi l’ha ostacolata; esplicitando la portata dei principi in essa affermati. Tutto questo con l’ausilio di materiali storici, documenti, filmati raccolti in uno specifico CD-Rom allegato. Un libro per tutti, particolarmente prezioso per studenti e insegnanti.

Venerdì 14 febbraio alle ore 20.45 Domenico Gallo sarà presente nella sala conferenze di Villa Errera a Mirano per presentare il suo libro. Introduzione a cura di Francesco Baicchi, coordinatore nazionale della “Rete per la Costituzione”.

http://www.magistraturademocratica.it/mdem/qg/stampa.php?id=132

17 gennaio 2014: commemorazione dei 7 partigiani uccisi al cimitero di Mirano

17gennaioNell’ottobre del 1944 una pattuglia della Brigata Volga, comandata da Oreste Licori, catturò il tenente delle SS italiane Vasco Mingori e, forse per uno scambio di prigionieri andato male, l’ufficiale venne ucciso nell’accampamento della “Luneo”. Elda Gallo, sorella del segretario del fascio di S. Maria di Sala fu catturata e giustiziata come spia nell’accampamento della “Volga”.
A Mirano il comandante delle Brigate nere Mario Zagari, grazie alla segnalazione di una collaborazionista, poi giustiziata dai partigiani della “Luneo”, arrestò Oreste Licori mentre faceva visita alla madre. Il giovane venne fucilato il 1° novembre 1944. Seguirono numerosi arresti tra i partigiani della “Luneo” grazie alle rivelazioni di una spia che si era introdotta nella formazione. Sei giovani furono torturati a morte nella notte tra il 10 e l’11 dicembre. I cadaveri vennero gettati ed esposti per tutto il giorno nella piazza del paese, i loro nomi sono: Cesare Chinellato, Bruno e Giovanni Garbin, Cesare e Severino Spolaor e Giulio Vescovo; un settimo giovane Mosè Bovo fu trucidato nell’aia di casa davanti ai genitori.
Il 5 gennaio del ’45 fu riesumato il cadavere della SS italiana in zona Luneo. I tedeschi, in relazione alla morte dell’ufficiale e all’esecuzione delle due donne, chiesero dieci condanne a morte tra la trentina di partigiani reclusi nella casa del fascio. Fu istituito un processo farsa che si concluse con la condanna a morte di dieci partigiani, di cui tre ebbero accolta la domanda di grazia. Il 17 gennaio furono fucilati presso il cimitero di Mirano Luigi Bassi (23 anni), Ivone Boschin (21 anni), Dario Camilot (23 anni), Michele Cosmai (53 anni), Primo Garbin (23 anni), Aldo Vescovo (27 anni) e Gianmatteo Zamatteo (20 anni).

Per commemorare i partigiani uccisi, venerdì 17 gennaio alle ore 20.45 nella sala conferenze di Villa Errera a Mirano (VE) verrà presentato il libro di Gianni Giannoccolo “Resistenza: guerra civile o guerra giusta?”. Sarà presente l’autore. Introduzione di Alessandra Kersevan, Elisa Lolli leggerà brani del libro.

GIANNOCCOLO

Venerdì 7 giugno: “Il terrorista” di Gianfranco De Bosio in Villa Errera a Mirano

Venerdì 7 giugno 2013 alle ore 20.45 a Mirano nella Sala conferenze di Villa Errera ci sarà la proiezione del film “Il terrorista” di Gianfranco De Bosio. Realizzato nel 1963 e restaurato di recente dalla Cineteca di Bologna che lo ha  trasferito su supporto digitale. Presenterà il film Marco Borghi, direttore dell’Isever. Il film, ispirato a episodi della Resistenza a Venezia, costituisce un documento importante nel panorama della filmografia resistenziale italiana.
Quindi un’occasione importante per vedere un’opera rara di assoluto valore sia dal punto di vista linguistico che del contributo offerto al dibattito su  temi  riguardanti le scelte di lotta ma anche di costruzione dello Stato Democratico.

Premio speciale della critica a Venezia nel 1963 è una rarità cinematografica che racconta la storia del comandate Renato, nome di battaglia di Otello Pighin, assistente di Ingegneria al Bo e comandante della brigata partigiana «Silvio Trentin», che nel gennaio 1945 fu catturato ed ucciso a Padova dai fascisti della Banda Carità. Un ruolo interpretato in modo incisivo da un allora trentenne Gian Maria Volontè. Il regista De Bosio (classe 1924) militò nella brigata Trentin e scelse di dedicare al suo comandante questa pellicola ambientandola a Venezia. Nel cast compaiono anche Philippe Leroy, Tino Carraro, Giulio Bosetti, Raffaella Carrà, Anouk Aimèe e l’editore Neri Pozza.

“È un film sulla Resistenza, non su Al Qaeda”, spiega Gianfranco De Bosio intervenuto in una recente proiezione del film a Roma. “Sono stupefatto di vedere tutta questa gente, forse questi ragazzi si aspettano qualcos’ altro, non sanno che la guerra di liberazione l’ abbiamo combattuta tra il ’43 e il ’45”. E lui infatti glielo ricorda, ai giovani spettatori: non si sa mai. Si dice emozionato di rivedere il film, dopo 44 anni: “è commovente, forse più interessante ora di quando è stato fatto”. Racconta dei tempi, gli anni 70, gli anni di piombo, in cui la Rai lo bandiva dai suoi palinsesti “per colpa del titolo”. A una domanda su che effetto faccia rivedere un film che ha 44 anni e soprattutto riascoltare quei dialoghi tra azionisti, comunisti e moderati (le tre anime della Resistenza), De Bosio sottolinea un aspetto subito evidente a tutti in sala, cioè l’ attualità di quei discorsi: “Si facevano allora ma non sono molto cambiati, anzi forse oggi determinate situazioni nel mondo sono peggiorate. Allora c’erano gli attualisti (liberali e Democrazia Cristiana) e i comunisti che erano più pragmatici”. “Il film ha un valore di testimonianza e anche tutti i dialoghi devono essere ascoltati con il senno di poi. Noi girammo quel film vent’anni dopo quegli avvenimenti. Dopo la guerra non avrei mai potuto raccontare in questo modo quella pagina così drammatica della mia storia personale. È un film che mi commuove sempre perché quello era il mio comandante. Egli lavorava come ingegnere a Padova, non a Venezia come nel film, ma come si vede nel film utopisticamente voleva un attentato al giorno: la tendenza era quella che ‘Non dovevamo dare requie al nemico’. Era un uomo valoroso, un membro del partito d’azione”. De Bosio continua sottolineando: “Noi nel film abbiamo cercato di rappresentare la storia del CLN in tutte le sue sfacettature”. E poi la Chiesa: “C’erano tanti preti comunisti, partigiani attivi anche nelle montagne ma c’erano anche preti fascisti. Nel mio film c’è questo prete che aiuta ‘a modo suo’. A Padova c’era una grande comunità di gesuiti che partecipava alla Resistenza ma come ho raccontato nel film davano la loro disponibilità, ospitalità ma volevano fortissimamente restare un gruppo d’appoggio con nessuna responsabilità diretta”. Per quanto riguarda Gian Maria Volontè “entrò così profondamente nella psicologia del mio comandante, entrò nella sua pelle, a tratti mi sembra proprio di rivedere lui… Purtroppo il mio comandante venne davvero ucciso mentre stava raggiungendo i dirigenti nascosti in ospedale come nel film”. Alla fine c’è un dialogo tra G. M. Volontè e Anouk Aimeè (che interpreta la moglie di Renato) riguardo al timore per quello che succederà dopo: lui si domanda “Io so che tutto questo prima o dopo finirà… ma tra vent’anni ci saremo tutti fatti anestetizzare dalla pace e dall’abbondanza?”. “Perché il timore del dopo c’è sempre stato. Nel caso specifico sentivamo come il discorso della resistenza fosse già storia. Questa frase è un avvertimento molto attuale e costante. Guai a farsi prendere dal quieto vivere, lì nasce il fascismo. È dato proprio dall’acquiscenza”.

Per arrivare alla Sala Conferenze di Villa Errera: mappa

“Il terrorista” di De Bosio, un film nascosto di Luisa Anna Meldolesi

27 aprile 2013: commemorazione di Antonio Gramsci

Nell’anniversario della morte di Antonio Gramsci, avvenuta a Roma il 27 aprile 1937 dopo dieci anni di carcere fascista, il Centro Gramsci, in collaborazione con l’Anpi di Mirano, del Partito Democratico, del Partito della Rifondazione Comunista, il Partito dei Comunisti Italiani, Sinistra Ecologia e Libertà e l’Italia dei Valori organizza il convegno: “Partigiani prima del 1943” nella sala conferenze di Villa Errera alle ore 17.00.

P.P. Pasolini sulla tomba di Gramsci

11 Dicembre 2010: Giornata della Memoria

Sabato 11 dicembre 2010 alle ore 9.30, presso il teatro comunale di Mirano vi sarà la celebrazione della Giornata della Memoria. Dopo l’introduzione del Dirigente scolastico della scuola media statale “Leonardo Da Vinci” e il saluto dell’Amministrazione comunale sarà proiettato, a cura dell’Anpi del Miranese, il dvd “Inverno ’44 – ’45 a Mirano”. Successivamente il Segretario dell’Anpi del Miranese Bruno Tonolo, dopo aver rivolto parole di saluto agli studenti presenti, introdurrà due testimonianze dirette nelle figure di Maria Garbin e di Giuseppe Grossa disponibili a rispondere alle domande degli alunni; la giornata continuerà con l’intervento dello storico Martino Lazzari e con eventuali domande conclusive dei ragazzi.
La manifestazione è aperta alla cittadinanza.

Nella stessa giornata di sabato 11 dicembre alle ore 15.00 presso la sala consiliare di villa Errera si terrà il congresso della sezione Anpi del Miranese