Avellino: il presidente provinciale dell’Anpi viene identificato dalla Digos.

Uno strano 25 aprile quello di Avellino. Dove il presidente provinciale dell’Anpi viene identificato dalla Digos.
Curiosità che meriterebbe qualche spiegazione. Anche perchè il racconto di quanto avvenuto è abbastanza inquietante sul tasso democrazia dei dirigenti della polizia locale. Questo è il racconto di Giovanni Sarubbi (http://www.ildialogo.org) sulla giornata del 25 aprile a Avellino:

“Ho partecipato insieme ad una delegazione dell’ANPI Irpina, alla cerimonia ufficiale di commemorazione del 25 aprile. Eravamo in tre, io il presidente dell’ANPI e la figlia di un partigiano che fa parte del direttivo della sezione.
Avevamo una bandiera dell’ANPI ed una bandiera della pace. Io portavo la bandiera della pace, la figlia del partigiano quella dell’ANPI. Qualcuno delle associazioni combattentistiche presenti, che di solito occupano la scena in tali occasioni, ha fatto la faccia storta. C’è stato uno di loro che non voleva che io fossi vicino a lui con la bandiera della pace. Ad un certo punto un ufficiale dell’esercito mi è venuto vicino è mi ha detto: “Non voglio fare polemica ma lei non dovrebbe stare qui”. Gli ho risposto: “Lei sta facendo polemica. Proprio lei, da soldato, dovrebbe dare valore alla bandiera della pace”. Ha girato i tacchi e se ne andato. Abbiamo fatto tutta la manifestazione ma la bandiera della pace proprio non gli è andata giù.
La delegazione dell’ANPI, invitata ufficialmente dalla prefettura di Avellino, era posta proprio all’angolo di via Matteotti ad Avellino, dove si trova il monumento ai caduti e dove si è svolta la cerimonia di deposizione della corona di alloro, con minuto di raccoglimento del prefetto e del commissario del comune di Avellino. Io ero li a pochi passi, con la bandiera della pace in alto e ben visibile vicina a quella dell’ANPI.
Alla fine della manifestazione, a cui abbiamo assistito con il dovuto rispetto, siamo stati avvicinati da due funzionari della DIGOS che hanno chiesto i nostri documenti. E’ stato così identificato il presidente dell’ANPI e la figlia del partigiano membro del direttivo ANPI provinciale. Io non sono stato identificato perché già noto e schedato dalla Digos. A nulla è valso il mostrare al funzionario della Digos che ci identificava, l’invito scritto della Prefettura. “Abbiamo ricevuto un ordine”, ci ha dichiarato. Ci siamo fatti identificare (io ero già noto). Il presidente dell’ANPI ha protestato, sottolineando che era la prima volta che gli capitava una cosa simile in vita sua, e lui di anni ne ha già molti. Io oramai non ci faccio più caso.Da notare, nel discorso celebrativo della commissaria prefettizia di Avellino, la scomparsa di qualsiasi riferimento ai partigiani comunisti, che sono stati invece il nerbo di tutta la Resistenza, e persino di quelli cattolici. Sono stati citati solo gli azionisti, dando così una visione parziale e distorta della storia.
Anche i mezzi di comunicazione di massa dell’Irpinia, per lo meno quelli on-line, hanno accuratamente evitato di parlare dell’ANPI, invitata ufficialmente e presente con la sua bandiera. Anche dalle fotografie della manifestazione siamo stati cancellati, eppure eravamo li a pochi passi dal monumento ai caduti.
Brutto segno quando si censurano l’ANPI, la sua bandiera e la bandiera della pace, in una manifestazione che ricorda la Liberazione dal nazifascismo del nostro paese, quella Liberazione che ha poi dato vita alla nostra Repubblica.
Mi ha fatto impressione, infine, vedere giovanissime ragazze in divisa militare portare pesanti fucili mitragliatori per i saluti militari. Fa impressione vedere le donne, che sono la fonte della vita, imbracciare strumenti di morte e distruzione. E’ questa l’aberrazione, a cui è giunta la violazione costante della nostra Costituzione, da parte dei governi che si sono succeduti negli ultimi 20 anni, a cominciare dall’art. 11 e dall’art. 1, quello che fonda sul lavoro la nostra Repubblica, ma poi non sa offrire altro ai nostri giovani che il vecchissimo e orribile mestiere delle armi. Giovani mandati a morire in guerre che la nostra Costituzione proibisce.
Ed è proprio la Costituzione che poi, per un paio d’ore, abbiamo distribuito per il corso principale di Avellino, ricevendo apprezzamenti ma riscontrando anche sfiducia e critiche sulla sua non applicazione con la condanna netta per quanti, nelle istituzioni ai suoi massimi vertici, non la applicano o la tradiscono apertamente”.

L’arte della guerra

La fiducia arriva dagli Usa
di Manlio Dinucci

Enrico Letta ha ricevuto la fiducia: quella del segretario di stato Usa John Kerry che, ancor prima che la votasse il parlamento italiano, si è congratulato per la nascita del nuovo governo. Fiducia ben meritata. Enrico Letta, garantisce John Kerry, è «un amico buono e fidato degli Stati uniti, che ha dimostrato in tutta la sua carriera un fermo impegno nella nostra partnership transatlantica». Il governo Letta, sottolinea Kerry, assicurerà il proseguimento della «nostra stretta cooperazione su molte pressanti questioni in tutto il mondo».
È quindi il segretario di stato Usa a trattare un tema fondamentale che i partiti italiani hanno cancellato dal dibattito e dai programmi con cui si sono presentati agli elettori: la politica estera e militare dell’Italia.  Il perché è chiaro: Pd, Pdl e Scelta Civica hanno su ciò la stessa posizione.
Possiamo dunque essere sicuri che l’Italia continuerà ad essere base avanzata delle operazioni militari Usa/Nato in Medio Oriente e Africa: dopo la guerra alla Libia, si sta conducendo quella in Siria, mentre si prepara l’attacco all’Iran. E, in barba al Trattato di non-proliferazione,  resteranno sul nostro territorio le bombe nucleari che gli Usa hanno deciso di potenziare. Allo stesso tempo l’Italia continuerà a inviare forze militari all’estero, anche in Afghanistan dove la Nato manterrà propri contingenti dopo il «ritiro» nel 2014. Aumenterà di conseguenza la spesa militare, in cui l’Italia si colloca al decimo posto mondiale con 70 milioni di euro al giorno spesi con denaro pubblico in forze armate, armi e missioni militari all’estero.
A rafforzare la fiducia di John Kerry che l’Italia resterà alleato fidato sotto comando Usa è la nomina di Emma Bonino a ministro degli esteri. La Bonino, sottolineano a Washington, è una ex allieva del Dipartimento di stato, presso cui ha frequentato un corso di formazione (International Visitor Leadership Program).
Brillante allieva. Ha sostenuto i bombardamenti della Nato sull’ex Jugoslavia; ha sostenuto la guerra in Afghanistan, dichiarando che «non si può parlare di occupazione: qui c’è una forza multinazionale» e che «un’occasione militare può condurre alla democrazia»; ha accusato Gino Strada di «atteggiamento ambiguo, tra l’umanitario e il politico». Ha sostenuto la guerra in Iraq, affermando che «non c’era alternativa per sconvolgere la rete terroristica» dopo l’11 settembre e ha definito «irresponsabili» i manifestanti contro la guerra.  E, in veste di vice-presidente del Senato, è stata tra i più accesi sostenitori della guerra alla Libia, chiedendo nel febbraio 2011 la sospensione del trattato bilaterale perché  «lega le mani all’Italia nel prestare soccorso alla popolazione civile», «soccorso» arrivato subito dopo con i cacciabombardieri.
La Bonino potrà contare sui corsi di «peacekeeping» della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa (già diretta da Maria Chiara Carrozza ora ministro dell’istruzione), che vengono tenuti anche in Africa. A quando, dopo quella in Libia, la prossima operazione di «peacekeeping»?

(il manifesto, 30 aprile 2013)

Mirano 3 maggio 2013: Ruolo dei media audio-visivi ieri e oggi

Sofia Gobbo
Venerdì 3 maggio 2013 ore 20.45 a Mirano nella sala conferenze di villa Errera si terrà la conferenzaRuolo dei media audio-visivi ieri e oggi” con documenti video elaborati dall’ ANPI di Mirano e con l’intervento della Partigiana  Sofia Gobbo.
Da una intervista di Laura Fiorillo del 23 aprile 2011 su “La Nuova Venezia”:
Sofia Gobbo la Resistenza l’ha fatta e gira per le scuole medie e superiori affinché la sua esperienza sia un monito alle nuove generazioni. Di scuole se ne intende Sofia Gobbo, 90 anni portati in maniera splendida, insegnante, ex preside. Ancora studentessa, dall’aprile de ’44 all’aprile del ’45 con la sua bicicletta ha girato il Veneto facendo la staffetta per la Resistenza. «Dopo l’armistizio – racconta – moltissimi soldati italiani sono scappati dalle caserme. I tedeschi li inseguivano per catturarli e deportarli in Germania. In quel periodo mi recavo da un professore che mi preparava agli esami da privatista al liceo classico, perché col diploma della scuola magistrale non potevo entrare all’università. Un giorno mi ha chiesto se mi fidavo di lui e gli ho detto di sì. Così mi ha confidato di essere il presidente del Cln, il Comitato di liberazione nazionale, di Vittorio Veneto e mi ha offerto di diventare il collegamento tra Vittorio e Cordignano, il Cansiglio, Treviso e Padova. Ogni tanto dovevo passare per certi posti, chiedere di certe persone, lasciare dei pacchi e prenderne altri. A Sarmede, un paesino vicino al Cansiglio, dovevo entrare in un osteria e chiedere di Pietro. A Padova andavo a prendere i giornali clandestini, quelli dei partiti come il comunista o quello d’azione. Quando entravo in questi posti dovevo inserivo sempre nella frase una parola d’ordine. All’epoca c’era chi ospitava in casa i partigiani o gli alleati, chi cucinava, chi cuciva le divise, ma era bene conoscersi il meno possibile. La cosa fondamentale era non sapere mai nulla delle persone con cui si aveva a che fare. Non chiedere mai, non interessarsi. Si trattava solo di fare quello che ti dicevano di fare. Se i fascisti ti avessero arrestato e torturato, non avresti avuto nomi o informazioni da dare».  È stata mai fermata per un controllo? «Per fortuna no, però una volta ho avuto molta paura. Era il ’44, tornavo dal Cansiglio con la mia bicicletta e mi sono trovata in mezzo a un rastrellamento per l’assassinio di un soldato tedesco. Cercavano un partigiano e quando mi hanno vista mi hanno detto di andarmene e che il ponte era chiuso. Così ho guadato il fiume e sull’altra sponda ho trovato una coppia appena scampata alla fucilazione fingendosi morta con le vittime, tra cui un ragazzo di 15 anni».  Che ne pensa della polemica di questi giorni, che sia leggittimo o meno cantare «Bella Ciao» il giorno della Liberazione? «Davvero hanno il coraggio di fare questo? “Bella ciao” era la canzone delle mondine, la cantavano contro il padrone. Io trovo questa polemica una cosa assurda. Credo che, a meno che non si cantino cose oscene, in democrazia ognuno sia libero di cantare quello che vuole. Se invece non gli va, nessuno gli impedisce di stare zitto. Oggi manca totalmente il senso della storia. Quando correvo lungo il Piave con la mia bicicletta mi imbattevo spesso in scritte sui muri come “Razza piave, purissima razza italiana, razza anche e soprattutto fascista”. Oggi vedo che c’è una lista per la provincia di Treviso che si chiama proprio “Razza Piave”. Mi auguro soltanto che non abbiano mai conosciuto quelle scritte…» (Nuova Venezia 23 aprile 2011 Laura Fiorillo )

mt

Ho inviato una lettera a “Il Fatto” esprimendo le mie perplessità su quello che aveva scritto Marco Travaglio in un articolo su Giuseppe Saragat, in cui descriveva Francesco Moranino come “un criminale della guerra partigiana”. Questa la sua risposta (non pubblicata sul giornale):

Caro Roberto,
Moranino era un feroce aguzzino, colpevole di fatti che ben travalicavano la guerra. Cordiali saluti
mt

come potete leggere sono parole che non ammettono replica e che, Marco Travaglio (d’ora in poi mt), sicuramente  afferma sapendo di dire una cosa sbagliata, vista la notevole documentazione esistente e il libro di Massimo Recchioni appena uscito. Forse le sue fonti sono i libri di Pansa e allora si capisce la diffamazione di una figura simbolo della Resistenza (da leggere come viene descritto nel sito dell’Anpi nazionale) che mt prende ad esempio per denigrare una lotta di popolo che ha permesso di riscattare tutti gli italiani (compreso mt). Forse imparerebbe qualcosa di diverso e per lui sconosciuto, dalle parole di una ragazza di terza media che ha scritto questo: “Il popolo sotto oppressione di una dittatura terribile e insensata ha combattuto per la libertà, la fine della guerra, i propri diritti che venivano violati. È stato un movimento soprattutto di giovani di diverse età e classe sociale, anche di vari partiti.
E molti di quei giovani sono morti, ma ancora oggi è importante ricordarli poiché nei luoghi dove hanno combattuto e dato la vita si sono scritte le prime pagine della nostra Costituzione, quella della Repubblica Italiana, libera dalla dittatura e che ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli.”

Penso che mt dovrebbe vergognarsi per aver descritto il comandante “Gemisto” con quelle parole. Cordiali saluti (non a mt)

Roberto (Anpi Mirano)

 

Qualcosa tipo una liberazione

Nell’esporre la sua netta contrarietà all’esecuzione di «Fischia il vento e infuria la bufera» durante le celebrazioni del 25 aprile, il commissario prefettizio di Alassio ha spiegato agli ultimi, stupefatti partigiani che la festa della Liberazione è apolitica. Non me ne voglia Sua Eccellenza, ma fatico a trovare una festa più politica dell’abbattimento di una dittatura. Politica in senso nobile e bello, al netto degli orrori reciproci che purtroppo fanno parte di ogni guerra civile.
Oggi il modo più diffuso per commemorare la Liberazione consiste nel rimuoverla, annegandola in un mare di ignoranza. Un signore ha scritto scandalizzato dopo avere udito all’uscita da una scuola la seguente conversazione tra ragazzi: «La prof dice che giovedì non c’è lezione». «Vero, c’è qualcosa tipo… una liberazione». Ma anche i pochi che sanno ancora di che cosa si tratta preferiscono non diffondere troppo la voce «per non offendere i reduci di Salò», come si è premurato di precisare il commissario di Alassio. Una sensibilità meritoria, se non fosse che a furia di attutire il senso del 25 aprile si è finito per ribaltarlo, riducendo la Resistenza alla componente filosovietica e trasformando le ferocie partigiane che pure ci sono state nella prova che fra chi combatteva a fianco degli Alleati e chi stava con i nazisti non esisteva alcuna differenza. La differenza invece c’era, ed era appunto politica. Se avessero vinto i reduci di Salò saremmo diventati una colonia di Hitler. Avendo vinto i partigiani, siamo una democrazia. Nonostante tutto, a 68 anni di distanza, il secondo scenario mi sembra ancora preferibile. Grazie, partigiani.
Massimo Gramellini “La Stampa” 24.4.2013

17 aprile 1944: il rastrellamento del Quadraro

Le 4 del mattino del 17 aprile 1944. Nel giro di pochi minuti, i tedeschi entrano al Quadraro, noto “covo” di ribelli della Resistenza. E rastrellano circa 2.000 uomini tra i 16 e i 55 anni. Alcuni riescono a fuggire, grazie all’aiuto di un prete. 947 vengono deportati nei campi di concentramento. Solo la metà di loro tornerà a casa. Nel 2004 il quartiere è stato insignito della medaglia d’oro al merito civile.

17 aprile 1944. Le 4 del mattino: il Quadraro è ancora addormentato. Nel giro di pochi minuti, si scatena l’inferno. Gli uomini del comandante nazista Herbert Kappler circondano il quartiere, bloccando ogni via d’accesso. Ha inizio il rastrellamento del Quadraro. Nome in codice: Unternehmen Walfisch, Operazione Balena. 2.000 uomini tra i 16 e i 55 anni vengono trascinati via a forza dalle loro case. E portati al cinema Quadraro per la schedatura. Dopo ore di attesa, ammassati e trattati come bestie, vengono caricati su dei camion e portati a Cinecittà. Alcuni riescono a fuggire, aiutati dal parroco di Santa Maria del Buonconsiglio, don Gioacchino Rey. Molti arrestati. 947 uomini restano nelle mani della Gestapo e delle SS e finiscono deportati nel campo di concentramento di Fossoli (Carpi). Solo l’inizio di una lunga agonia. Il 24 giugno del ’44, i rastrellati del Quadraro vengono arruolati come “operai italiani volontari per la Germania”. E deportati nei campi in Germania e in Polonia. Molti di loro non sopravvissero all’arrivo degli ameticani. Dei 947 deportati solo la metà tornò, viva, al Quadraro.
IL CONTESTO STORICO – Nella primavera del 1944 Roma è una “città aperta”. L’occupazione tedesca è scandita da terrore ed eccidi, come quello delle Fosse Ardeatine (24 marzo). La popolazione civile è inerme, affamata. Gli alleati sono ancora a 80 chilometri dalla capitale. Il Quadraro, per i nazisti, è un “nido di vespe”, l’inizio del “fronte”. Il luogo dove trovano rifugio tutti coloro che, partigiani, comunisti o informatori, non trovano accoglienza nei conventi o presso il Vaticano. Il 31 marzo il comando tedesco decide di intervenire: per indebolire i ribelli, disseminati nella periferia sud-est, stabilisce di anticipare l’ora del coprifuoco alle 16:00. Il provvedimento colpisce gli abitanti dei quartieri Quadraro, Torpignattara, Centocelle e Quarticciolo. La Resistenza continua.
L’ANTEFATTO – La goccia che fa traboccare il vaso si verifica il pomeriggio del 10 aprile, un lunedì di Pasqua. Giuseppe Albani, detto “il gobbo del Quarticciolo”, assale con la sua banda un gruppo di soldati tedeschi alla trattoria “da Gigietto”, in via Calpurnio Fiamma, a Cinecittà. Uccidendone tre. L’affronto è troppo grande. Il comandante Kappler decide di dare un’altra “lezione” al popolo di Roma, dopo quella delle Fosse Ardeatine. “Andiamo a scacciare quel nido di vespe”, dice ai suoi uomini.
MEDAGLIA D’ORO AL MERITO CIVILE – Fu tutto inutile. Come racconta Carla Guidi nel libro “Operazione balena” (Edizioni Associate), dopo il rastrellamento del 17 aprile, la guerriglia contro i nazisti riprese con la stessa forza. In pochi mesi e in uno spazio limitato, qui ci fu la più alta concentrazione di azioni partigiane di tutta la resistenza italiana. Anche grazie all’atroce sacrificio di quel giorno, nell’aprile del 2004 il Quadraro è stato insignito, unico quartiere romano, della medaglia d’oro al merito civile dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.
di Ambra Murè (Da “Paese Sera)

http://www.anpiroma.org/2013/04/17-aprile-quadraro-una-storia-esemplare.html

https://www.youtube.com/watch?v=jJYTWWbb-Kw

Travaglio e i criminali della “guerra partigiana”

In un articolo apparso su “il Fatto Quotidiano” di sabato 13 aprile, dedicato alle figure dei Presidenti della Repubblica Italiana, Marco Travaglio definisce Francesco Moranino “Gemisto” un “criminale della guerra partigiana” graziato dal presidente Saragat. Si dimentica di dire che la grazia non venne da lui accettata e tornò in Italia solo quando fu ufficialmente riconosciuto che i fatti per cui era accusato erano “atti di guerra” connessi con la Guerra di Liberazione (e non “guerra partigiana”) e quindi erano atti giuridicamente leggittimi. L’Anpi non ha mai smesso di indicarlo tra le figure simbolo della guerra di Liberazione e Sandro Pertini lo definì “fiero antifascista e valoroso partigiano”. Il termine “criminale” va forse citato per i tanti criminali di guerra italiani (a iniziare da Graziani) che tanti stati stranieri hanno cercato di estradare dall’Italia e ai tanti fascisti e repubblichini riciclati in apparati vitali dello stato italiano mentre altrettanti ex-partigiani venivano messi al bando costretti ad espatriare per non finire in galera o in miseria.

Questo il discorso tenuto da Pietro Secchia al Senato della Repubblica  in occasione della grazia concessa il 27 aprile 1965 dal Presidente della Repubblica Saragat ma rifiutata da Moranino, un discorso da leggere e rileggere perchè “sembra quasi che i partigiani non sparassero, non fucilassero, non spargessero sangue né toccasse loro rimestare nelle interiora umane. E invece sparavano, uccidevano e questo lo si comprende solo inserendo i fatti in un contesto di uno scontro violentissimo fatto di torture, di rappresaglie, dove ci si doveva difendere da spie e da infiltrati e c’era poco tempo per il “garantismo”. (da Wu Ming)

Un libro sul comandante “Gemisto”

Aggiornamento: la risposta di mt a una lettera inviata a “Il Fatto”

Aggiornamento: la lettera dei famigliari di Moranino e la replica di mt

Aggiornamento: la lettera di una ex-lettrice de “Il Fatto”

Aggiornamento: la lettera di Alessandra Kersevan a “Il Fatto”

Oggi cosa resta del fascismo in Italia? Il convegno delle partigiane

Una sala da duecento posti piena, un altro centinaio di persone in esubero sedute per terra o in piedi: così si è presentata la situazione a Palazzo Marino a Milano sabato 16 marzo, al convegno indetto dall’Anpi nazionale, l’associazione dei e delle partigiane, organizzato proprio dal Coordinamento delle donne. Tra queste anche giovani sotto i trent’anni, perché l’associazione ha aperto da alcuni anni le iscrizioni a chiunque voglia partecipare alle attività.
Un titolo forte e chiaro: ‘La violenza e il coraggio – Donne, Fascismo, Antifascismo, Resistenza, ieri e oggi’, a ribadire un concetto semplice: la storia si insegna e si impara a scuola, ma la memoria la si costruisce nel quotidiano dovunque, ed è fatta di scelte: nelle parole che si pronunciano, nei ricordi da tramandare, nelle narrazioni che diventano fili tesi tra generazioni.
Si può scegliere di rubricare come ‘passato’ quella fase della vicenda politica, sociale e umana che ha visto, nella Resistenza, l’unica palestra di democrazia condivisa da uomini e donne cattoliche, comuniste, anarchiche e socialiste; si può cancellare con una alzata di spalle la tragedia del fascismo e delle leggi razziali, per non parlare della retriva retorica familista che ancora l’Italia si trascina nella cultura diffusa anche dai media.
Ma quando si ascoltano le voci vibranti di donne e uomini che hanno vissuto il (primo) ventennio di buio di questo paese è difficile non emozionarsi.
Lidia Menapace e Marisa Ombra invitano le giovani donne che le guardano sedute a terra con occhi attenti a usare ironia e sberleffo contro il patriarcato e il machismo: ”Vi dicono che le donne non possono accedere al sapere scientifico perché hanno il cervello più piccolo? Perfetto, rispondete che di certo anche il diamante è più piccolo di una zucca, che certo pesa di più della pietra preziosa” – chiosa Menapace, classe 1924, della quale da poco è uscito “A furor di popolo”.
L’invito è a non frasi intimidire dagli stereotipi e dai pregiudizi, e fa pensare che arrivi da donne che, come racconta Marisa Ombra nel suo bellissimo “Libere sempre”, a soli 17 anni erano già in montagna a rischiare la vita solo perché portavano notizie e aiuti ai partigiani.
Poco più che bambine molte di loro hanno iniziato la fase adulta dell’esistenza fronteggiando la violenza, e hanno scelto da sole da che parte stare, spesso optando per la lotta nonviolenta. Le intense letture fatte dall’attrice Aglaia Zanetti hanno alternato brani da libri di donne della resistenza a passi tratti da testi sacri dei teorici del fascismo, perle di raggelante attualità rimbalzate anche dagli schermi in sala: “Non darò il voto alle donne. La donna deve ubbidire. La mia opinione della sua parte nello Stato è opposta ad ogni femminismo. Naturalmente non deve essere schiava, ma se le concedessi il voto mi si deriderebbe. Nel nostro Stato non deve contare”. O anche. “La guerra sta all’uomo come la maternità sta alla donna”.
Così Benito Mussolini, mentre Ferdinando Loffredo, filosofo e teorico del regime, affermava; “Il lavoro femminile crea nel contempo due danni; la ‘mascolinizzazione’ della donna e l’aumento della disoccupazione. La donna che lavora si avvia alla sterilità”.
Vale la pena di rammentare questo recente passato, per evitare a chi è più giovane di sottovalutare la pericolosità del non custodire e attualizzare la memoria: questo appuntamento, del quale presto si avranno gli atti ha sapientemente mescolato storia di ieri e realtà contemporanea, con l’urgenza di riannodare fili che rischiano di essere tagliati.
I partigiani ci vanno nelle scuole – ha detto Marisa Ombra – magari sono stanchi perché hanno molti anni, ma escono dagli incontri con i giovani pieni di energia, basta che vengano chiamati, e arrivano”.

Ascoltiamoli di più.

(di Monica Lanfranco, dal blog de “Il Fatto Quotidiano” del 21 marzo 2013)

L’esercito italiano va a scuola dal fascista Merlino

Ve lo ricordate Mario Merlino?
Il suo nome è sinonimo del tentativo di infiltrazione nei movimenti del 1968 da parte di questo neofascista ,che dopo essersi addestrato in Grecia, presso i colonnelli greci,  insieme ad altri suoi camerati , i cui nomi li ritrovammo nella  stagione delle stragi fasciste, si infiltrò quel gruppo anarchico 22 marzo che si ritrovò sotto accusa, con Valpreda di essere autore della strage di Piazza Fontana e di tanti altri attentati.
Grazie alla  controinformazione in quel meraviglioso libro “La strage di Stato” il suo ruolo al servizio dei servizi segreti italiani e USA fu svelato.
Nonostante diversi iter processuali continua ad essere amico e frequentatore di ex nazisti, neofascisti del vecchio e nuovo millennio, ma…il colmo è che apprendiamo dal Messaggero di oggi 5 marzo 2013,  che il “nero” Merlino,  è salito in cattedra presso la prestigiosa scuola di fanteria di Cesano di Roma, ricevendo applausi a scena aperta da sottufficiali ed ufficiali con un suo intervento quale “esperto di storia”  denigrando i partigiani ed esaltando i combattenti fascisti della Repubblica Sociale Italiana di Mussolini.
Un fatto di una gravità inaudita a cui si aggiunge come scrive il Messaggero:”-… era presente Gina R. con camicia nera e basco del S.A.F. , il servizio femminile della Repubblica Sociale Italiana che presentata dal Merlino come  martire  e simbolo delle angherie subite dai combattenti fascisti dopo la Liberazione dei partigiani … è stata  accolta con lungo e caloroso, sincero applauso  ed ha ricevuto un mazzo di fiori gialli direttamente dal Generale comandante”…-
Siamo di fronte non ad un episodio di revisionismo storico  marginale ma di fronte  ad un vero e proprio attacco all’immagine delle nostre Forze Armate quali garanti e poste a difesa delle nostre istituzioni e della Costituzione repubblicana ed antifascista e di un gravissimo segnale, in momento particolare del nostro paese, in attesa di un governo che lo porti fuori da una crisi che rischia di mettere in pericolo non solo la nostra economia, ma la nostra stessa democrazia.
Guai se l’immagine delle forze armate italiane corra il rischio di essere associata alla negazione della democrazia, come fu il fascismo!
Quegli ufficiali e sottufficiali che hanno applaudito il fascista e provocatore Merlino e una fascista in divisa  ,  e che frequentano quella scuola, come insegnanti e come allievi, sono il futuro del nostro Esercito,  che con questo episodio si tinge di un solo colore , il NERO, quello delle camicie nere che uccisero la libertà nel nostro paese e furono causa di lutti e rovine per tutto il popolo italiano.
Fa bene l’ANPI di Roma a chiedere immediatamente la punizione dei  responsabili e la rimozione dal loro incarico e che fa appello per una manifestazione di protesta dinanzi alla caserma di Cesano.
Come soci dell’ANPI di Brindisi  siamo solidali in questa protesta e ricordiamo  la funzione che i neofascisti brindisini ebbero nella logistica di appoggio per i viaggi di istruzione “alla provocazione e alle stragi” di  Merlino e camerati, nel 68 e anni successivi, presso i colonnelli della dittatura greca. Quei neofascisti che accolsero in seguito a braccia aperte il neonazista Freda, durante la sua detenzione e poi il suo “esilio dorato” a Brindisi.
Ricordiamo ancora come, qui  a Brindisi, nella sicurezza  e nella protezione datagli dai “neri” brindisini , Freda abbia continuato a tramare contro la democrazia italiana  e sia stato  condannato in maniera definitiva per questo. Oggi si cerca di cancellare tutto ciò, anche con vergognosi episodi come quello di Cesano,  ma noi, eredi dei Partigiani che sconfissero il Nazifascismo, non dimentichiamo!

Ora e sempre Resistenza!

Il Comitato Provinciale dell’ANPI di Brindisi
[email protected]

Brindisi , 5 marzo 2013

http://www.ilmessaggero.it/primopiano/cronaca/merliono_cattedra_lezione_touad_barnera_reazioni/notizie/256106.shtml

http://www.militariassodipro.org/news.php?item.945.17

A Verona aggressione fascista all’università

Il 12 febbraio doveva tenersi all’Università di Verona un incontro con la storica Alessandra Kersevan, organizzato dai collettivi studenteschi “Studiare Con Lentezza” e “Pagina/13”, sul tema “Foibe: tra mito e realtà”. Questo il resoconto di quello che è successo dal sito http://beforetheyfall.blogspot.it:

 Squadrismo fascista. Non ci sono altri concetti per definire quello che è successo oggi, 12 febbraio 2013, all’università di Verona in presenza di un incontro sulla questione delle “foibe” con la storica Alessandra Kersevan.  Il resoconto sarà un po’ lungo, ma capite che è necessario chiarire tutto.
Partiamo dall’inizio, ma se non avete voglia della suspance andate alla fine.

1. L’università del potere
I collettivi studenteschi Pagina 13 (che è riconosciuto dall’università e quindi riceve fondi di rimborso per organizzare eventi) e Studiare con Lentezza organizzano un incontro con Alessandra Kersevan dal titolo “Foibe : tra mito e realtà”. Un incontro che viene organizzato in università con la procedura di un iter amministrativo per la concessione di un aula che, dopo aver avuto la firma di due professori che approvano l’iniziativa, viene concessa. La notizia dell’incontro subito non desta scandalo. D’altronde, non ci sono ragioni per che lo causi visto che un incontro sulle foibe è stato presentato all’Istituto veronese di storia della resistenza e dell’età contemporanea con Costantino Di Sante, a cui hanno presenziato anche esuli e in cui non ci sono stati particolari disordini. Tuttavia il giorno 11 compaio sull’evento facebook dell’evento le prime polemiche, un commento le apre. Critiche che criticano il fatto che ci siano una storica “revisionista” o, peggio ancora, “negazionista”. Critiche riprese da un comunicato ufficiale di CasaPound Verona . Nei commenti si trovano risposte provocatorie ma anche risposte puntuali che fanno notare che si tratta di  ricerca storica  e quindi di una discussione che è aperta a dibattiti e dubbi e, se si è contrari alle tesi e interpretazioni, aperta a riceve revisioni, sulla base di fonti.
A questo punto, ricevute critiche e quant’altro il magnifico rettore Alessandro Mazzucco invia una mail al professore direttore del dipartimento tesis, che era responsabile per la concessione dell’aula, per invitarlo ad annullare il tutto:

Caro professore Romagnani,
ricevo una serie crescente di messaggi sempre più allarmati per la scelta di dar vita ad un seminario sulle Foibe, delle quali il Presidente della Repubblica ha celebrato proprio in questi giorni il doloroso ricordo. Per quanto le intenzioni possano essere animate da una volontà di perseguire una verità storica, che non sarà facile riconoscere, l’impressione estremamente forte è che non si giustifichi la coincidenza di questa conferenza con il tempo della commemorazione, che tocca da vicino tanti nostri concittadini e le loro memorie.
Di conseguenza, insisto per una azione di doveroso rispetto per queste non poche persone, alcune delle quali operano anche all’interno di questo Ateneo. C’ è un tempo per la pietà e un tempo per la scienza. Non mancheranno le occasioni per affrontare questo comunque doloroso pezzo di storia recente con una molteplicità di testimonianze.
Adesso sarebbe veramente inaccettabile.
Rinnovo pertanto la richiesta di soprassedere a questa iniziativa, dalla quale debbo dissociarmi in piena convinzione, che non potrebbe trovare giustificazione e farebbe ricadere sull’intero Ateneo un’ ombra non cercata e non meritata.
Alessandro Mazzucco.

La risposta del professore è ovviamente negativa, invitando il rettore, se proprio volesse, ad annullarlo lui personalmente. Detto fatto:

Caro Romagnani, cari studenti,
come avevo anticipato nel pomeriggio, la programmazione dell’evento in oggetto ha suscitato, non solo in Verona,  una serie crescente di reazioni  e di tensioni che sollevano forti preoccupazioni sulla sicurezza che potrebbe essere  garantita.
Pertanto, sono costretto a ordinare la sospensione dell’incontro.

C’è un problema però. Oltre ad aver avvisato alle 18.35 della sera precedente ad un incontro organizzato da un mese, in cui una storica di professione aveva preso un impegno eliminandone chissà quanti altri, quella mail ( e quindi non un atto d’ufficio) viene inviata, oltre che al prof. Romagnani, alla mail privata di un cittadino (nemmeno studente).
Ma tralasciando questo aspetto, vogliamo chiarire cosa dice?

C’È UN TEMPO PER LA PIETÀ E UNO PER LA SCIENZA.
Ci rendiamo conto? Questo è esattamente quello che Silvio Lanaro, riprendendo Marc Ferro, definisce tabù (Silvio Lanaro, raccontare la storia, marsillio, 2004) e cioè ciò di cui non si vuol parlare:

nella rinuncia – spontanea, quasi inavvertita – a discorrere di ciò che in un particolare momento non appare in sintonia con la coscienza collettiva, con l’autoimmagine di un sistema politico-sociale, di una confessione religiosa, di una tradizione istituzionalizzata, o anche semplicemente con un interesse ideologico predominante, o con il desiderio di oblio e di soppressione di una memoria dolorosa

Quando sarà mai il tempo per la scienza? Settanta anni non sono bastati? E come mai discorsi simili non si fanno per altri eventi? Come mai nell’incontro all’istituto veronese di storia della resistenza e dell’età contemporanea, a cui hanno partecipato esuli, non si è voluto fare casino? Si ha paura di trattare SCIENTIFICAMENTE di Storia, perchè lo studio della Storia ha anche “funzone militante, ma non al servizio dello Stato, del partito e della Chiesa cattolica, bensì al servizio di una società che si sviluppa indipendentemente dai poteri che la opprimono” (Marc Ferro)
Oltretutto Mazzucco aggiunge che “farebbe ricadere sull’intero Ateneo un’ ombra non cercata e non meritata.” Vedremo tra poco che ombra è invece ricaduta sull’università.
Ma, andando oltre, dopo aver chiesto l’annullamento per motivi antiscientifici e quindi contrari al senso stesso dell’università che è luogo di ricerca, manda una mail (e ripeto, quindi non un atto d’ufficio anche se alcuni professori pretendevano fosse tale) giustificando la sospensione per “motivi di sicurezza”. Ci rendiamo conto a che livelli di ipocrisia siamo?

2. Il giornalismo del potere
Se ciò non bastasse si aggiunge il giornalismo. L’Arena e il Corriere di Verona pubblicano articoli che definirli faziosi è poco. Kersevan “revisionista”, abusando del concetto e facendo una inversione di valori delle più pericolose.  Sinceramente non credo che sia utile soffermarcisi troppo. Vi lascio i link agli articoli e divertitevi voi.

3. Lo squadrismo fascista e l’avallo istituzionale
Oggi, alla fine, è stato deciso di fare nonostante tutto l’incontro. Nessuno degli organizzatori ha ricevuto un documento, un atto d’ufficio, sull’annullamento della concessione dell’aula. Tuttavia, c’era aria di preoccupazione perché in università stavano girando diversi volti noti dell’estrema destra già dalla mattina. Girava anche voce che si stessero preparando nascondendo cose nei calzini, chissà, abbiamo pensato, bisognerà aspettarsi di tutto.
Nel primo pomeriggio, dopo aver sentito i professori che avevano concesso l’aula (e che appoggiavnao la nostra iniziativa perchè si tratta di ricerca storica e non di slogan politici, di uso delle fonti e non di propaganda) viene deciso di fare l’incontro.. La professoressa Kersevan arriva, con la figlia, circa alle 15.45 giusto il tempo che un signore, che pare essere il Responsabile Amministrativo dell’università, arrivasse, insistendo per mezzora, portando le veci del rettore, affermando che la conferenza non veniva concessa e che quindi non si doveva fare. Non si capisce tra l’altro come il rettore possa annullare la conferenza. Il suo potere era di non concedere aule e, infatti lo ha fatto. Sono state prontamente chiuse tutte le aule possibili.
Tuttavia, dopo mezzora di discussione con la professoressa Kersevan che aspettava, oltretutto giustamente offesa da quello scritto dai giornali nonchè dalle dichiarazioni del rettore, si è entrati in un aula, la T.4, appena è stata liberata da chi stava facendo esami.  La prima reazione del responsabile amministrativo è stata quella di far staccare la corrente dell’aula. La Kersevan aveva preparato un incontro con immagini ma, elettricità o meno, aveva iniziato a parlare. Nel frattempo alcuni avevano allungato una prolunga fino a prese esterne. La risposta è stata immediata: la corrente è stata tolta a tutto il piano, anche all’ufficio per il servizio disabili.
Tra l’altro nel frattempo e anche precedentemente, CasaPound aveva allestito una mostra con foto nel chiostro dell’università e distribuiva volantini in cui parlava di 200.000 morti e 350.000 esuli, naturalmente il responsabile amministrativo preferiva discutere con noi, piuttosto che con loro.
L’incontro è andato avanti per circa 45 minuti. Ad un certo punto però, il finimondo. Dall’interno dell’aula si è sentito un ammasso di persone correre sbraitando e urlando frasi come “Merde”, “Tito boia”(naturalmente muniti di caschi, non si sa mai che in università piova! e, naturalmente, credendo che si stesse facendo apologia di Tito. Evidentemente per loro è difficile non ragionare per compartimenti stagni). I primi esterni al corridoio, che stavano controllando l’area per evitare disordini, sono immediatamente corsi dentro e hanno chiuso le porte, bloccandole con le sedie. Nel frattempo, la cinquantina e più di persone che ascoltava, usciva dalle porte che davano sul prato interno. Ovviamente i “fascisti del terzomillennio” hanno fatto il giro e sono arrivati nel prato. Al che tutti sono entrati e, una volta aperte le porte che erano state blindate e quindi usciti nel corridoio, ci siamo trovati una bella “sorpresa” di qualche furbacchione (chissè chi eh!!)che aveva gettato qualcosa tipo spray al peperoncino o  qualcosa di simile. E infatti gola che brucia, occhi che lacrimano e qualcuno con conati di vomito.  Mentre le squadracce nere erano fuori nel parco interno con uno striscione “VERITÀ”. Lascio a voi ogni commento.
Si è poi lentamente usciti con la gente molto scossa (figuratevi poi la Kersevan!!) oltre che int tensione pe ril pericolo di trovarsi altre sorprese. All’esterno c’erano 5-6 macchine della polizia e due camionette di carabinieri e polizia oltre che i militari. Ovviamente prima non sono intervenuti perchè per entrare in università serve la chiamata del rettore che, casualità oggi non c’era.

QUESTA È LA DEMOCRAZIA CHE I FASCISTI DEL TERZO MILLENNIO SONO SOLITI USARE. QUESTA È LA VIOLENZA CHE LE ISTITUZIONI ACCETTANO E CONTRIBUISCONO A CREARE NELLA FERMENTAZIONE DI UN CLIMA DI ODIO E RIPUDIO DELLA RICERCA STORICA. SARÀ CONTENTO ORA MAZZUCCO DELL’OMBRA CHE È RICADUTA SULL’UNIVERSITÀ?

Il commento di Alessandra Kersevan sulla vicenda

Il comunicato del collettivo “Studiare Con Lentezza”

Il sito www.diecifebbraio.info con altri documenti sull’aggressione

La testimonianza di un partecipante all’incontro

Lettera dell’Associazione ex Deportati nei Campi nazisti