Da “Moschetti di legno, fucili di latta” di Emidio Pichelan:
“…tempi calamitosi, quelli dal 1932 al 1945 a Pontelongo, non c’era spazio per la gentilezza, cantava Brecht:
Oh, noi
che abbiamo voluto preparare il terreno alla gentilezza
non abbiamo potuto essere teneri. Ma voi,
quando sarà venuta l’ora
che gli uomini si aiutino l’un l’altro
pensate a noi con indulgenza…”
Venerdì 19 aprile 2013 a Mirano, villa Errera sala conferenze, ore 20.45, presentazione del libro:
“Moschetti di legno, fucili di latta”
saranno presenti:
-l’autore Emidio PICHELAN
-il presidente Anpi Reg. Veneto Maurizio ANGELINI
-il resp. Centro pace Sonja Slavik Vincenzo GUANCI
La Carta Costituzionale, nata dalla Resistenza, posta a fondamento dei valori dello Stato Repubblicano e della Democrazia Parlamentare, sancisce il diritto al lavoro come principio fondamentale sul quale costruire la libertà, la dignità e l’uguaglianza fra tutti i cittadini.
Diritto al lavoro che in questi anni abbiamo imparato a coniugare con Diritto alla Salute dei lavoratori e dei cittadini e con la Difesa dell’Ambiente. La logica del profitto e dello sfruttamento economico, ad ogni costo, senza regole e tutele, ha causato, negli anni, veri e propri crimini di massa, in Italia come nel resto del mondo, in particolare nei paesi del Terzo Mondo.
Silenzi colposi, mancati controlli, complicità politiche a tutti i livelli, uniti al miraggio di un benessere senza limiti e senza regole, hanno prodotto una cultura dello sviluppo che oggi si presenta come una delle tragedie più immani che l’umanità si trovi ad affrontare per la sua stessa sopravivenza.
Il territorio veneziano, come purtroppo molti altri a livello nazionale, ha subito l’impatto di un grande sito industriale, quello di Porto Marghera, che nel dopoguerra, oltre che aver indubbiamente rappresentato un’importante risposta al bisogno di lavoro e di crescita politica e civile di vaste categorie di lavoratori, ha prodotto e disperso enormi quantità di veleni altamente nocivi sia per la salute di chi operava al suo interno, per la popolazione dei territori circostanti, che per gli assetti legati all’ecosistema lagunare.
Fabbrica della morte il “Petrolchimico”, dove la salute era monetizzata come un bene da comprare e consumare, dove, nel più complice silenzio, si è consumata e spenta una generazione di lavoratori che troppo tardi ha visto riconosciute, in sede giudiziaria e a livello di opinione pubblica, le ragioni per le quali per anni aveva lottato e chiesto giustizia.
Di questi temi parlerà il sen. Felice Casson nell’incontro che si terrà a Mirano presso la sala conferenze di Villa Errera venerdì 12 aprile 2013 alle 20.45
Domenica 7 aprile alle ore 9 a Castello Tesino, inizierà la cerimonia per l’inaugurazione del cippo alla memoria di Clorinda Menguzzato “Veglia”, trucidata dai nazisti l’11 ottobre del 1944 sulla strada per Pieve Tesino. Interverranno Alberto Parcher, Presidente della Giunta Provinciale, Marcello Basso della Presidenza Anpi Nazionale e Sandro Schmid, Presidente Anpi del Trentino. Qui trovate il volantino della manifestazione.
Un ricordo di “Veglia” nelle parole di Sandro Schmid:
“ Una cosa sola non passa mai: la voce della nostra coscienza la quale ci dice che abbiamo fatto il nostro dovere e questa voce che non conosce tramonto è la nostra vera gloria.” Don Francesco Sordo Corvo – cappellano del Gherlenda
Clorinda Menguzzato è una giovane e bella ragazza di Castello Tesino che lavora come tante altre la campagna e il bestiame di famiglia. All’Albergo Italia conosce il proprietario Riccardo Fattore Lina e un altro sottoufficiale degli alpini Leda, entrambi punti di riferimento del CLN. Con l’arrivo dalle vette feltrine del gruppo partigiano Giorgio Gherlenda, Clorinda passa con la Resistenza. Partecipa a numerose azioni fino al clamoroso assalto alla Caserma del CST di Castello Tesino (14 settembre 1944) dove catturano l’intera guarnigione (60 militi) con il loro comandante tedesco. L’impresa sarà trasmessa da Radio Londra.
I partigiani s’impadroniscono delle armi e liberano tutti gli ostaggi. La reazione nazista è immediata. Alcune centinaia di tedeschi e militi del CST rastrellano la montagna verso la base del Gherlenda alla diga di Costabrunella. Come scudo umano si fanno precedere da Pronto e Mosca due partigiani catturati e poi crivellati di colpi.
Lo scontro, favorito da una nebbia fittissima, comporta la morte sul campo del mitico comandante Fumo Isidoro Giacomin. Il battaglione Gherlenda riesce comunque a sfuggire alla morsa. I tedeschi si ritirano. I partigiani recuperano il corpo del loro comandante e in cima a Costabrunella, con il parroco di Pieve Tesino Lino Tamanini celebrano la Messa e danno l’ultimo saluto. Testimoniata dalle foto, con fucile in spalla è presente anche Veglia, non a caso chiamata dai tedeschi la leonessa dei partigiani e la sua giovane compagna “Ora” Ancilla Marighetto con il fratello Celestino Renata, e fra gli altri il nostro Corrado Pontalti Prua .
L’8 ottobre una colonna militare corazzata tedesca circonda e mette in stato d’assedio Castello Tesino. Il parroco don Cristofolini con tutti i paesani fa voto alla Madonna per risparmiare la Comunità dalla rappresaglia. Un gruppetto di partigiani si nasconde verso Celado. Solo Veglia non lascia al suo destino il suo amato Nazzari ancora indebolito dalle ferite. Una scelta fatale a entrambi. S’incamminano sul sentiero che porta verso Zuna, dove Veglia voleva trovare rifugio in una malga. Sull’imbrunire sono sorpresi da due militi del CST di Castello che li avrebbero anche lasciati scappare se non fossero sopraggiunti altri due militi fanatici che, dopo alcune prime sevizie, li consegnano ai tedeschi insediati nel maso più vicino di proprietà della famiglia Buffa, a due chilometri da Castello Tesino verso Grigno. La notte cala presto il suo mantello nero. Nazzari è scaraventato a terra con il calcio del mitra e subito picchiato senza misericordia per farlo parlare. Di lui i tedeschi non sanno il nome e non immaginano che è il nuovo capo di stato maggiore del Gherlenda.
Si svuota sul tavolo lo zaino di Veglia. La ragazza tenta con un gesto disperato di recuperare la pistola lasciata sul fondo. Non ci riesce. La schiaffeggiano con violenza. La legano mani e piedi a una sedia. La riconoscono subito anche i tedeschi per averla vista spesso all’Albergo Italia. Nazzari durante la notte, a forza di percosse viene ridotto ad un grumo di sangue. All’alba i due partigiani sono portati alla sede delle SS a Castello Tesino e non si vedranno più . Un attimo prima Veglia riesce a sussurare alla sua compagna di scuola Ida che abitava in quella casa: “Mi uccideranno. Sarò la morte della mia mamma. Non me ne importa di me.Mi spiace solo per lui che è innocente”. Poi fu interrotta bruscamente .
Ad occuparsi direttamente di Veglia è il comandante Hegenbart. Le torture di ogni genere durano per tre giorni. Il comandante tedesco fa azzannare persino dal suo cane lupo.
A nulla vale il tentativo di don Narciso Sordo di aiutarla e sostenerla spiritualmente. A sua volta don Sordo è arrestato, poi liberato e ancora arrestato un mese dopo, questa volta con destinazione Mauthausen dove morirà tragicamente.
Veglia non parla, dalla sua bocca non esce nemmeno un nome. Ai suoi carnefici dice sprezzante: “È inutile, quando non ne potrò più dal dolore, mi mozzerò la lingua con i denti”.
La sera dell’11 è portata fuori dal paese. Su un tornante della strada, vicino a una scarpata, a non molti metri da Villa Daziaro, Veglia è freddata con un colpo di arma da fuoco a bruciapelo. Lo sparo rimbomba nella notte e si sente chiaramente in Villa Daziaro . Gli ultimi militi che lasciano il luogo sono gli stessi due che l’avevano arrestata. Non contenti la spogliano, la violano per l’ultima volta, la calpestano e la buttano nella scarpata dove rimane intrappolata da alcuni rami degli alberi. Il giorno dopo nessuno osa passare da quelle parti .
Sarà la pietà cristiana di don Narciso Sordo e del parroco Silvio Cristofolini, a recuperarla e rivestirla con il vestito tradizionale del Tesino. La troverà così, sul bordo della strada, il medico condotto di Castello Tommasini autorizzato a riconoscerla. Il corpo sarà poi tumulato nella fossa comune fuori il cimitero.
Quattro giorni dopo Veglia avrebbe festeggiato i suoi 20 anni.
In data 1 marzo 2013 il quotidiano “La Nuova Venezia” riportava la notizia della firma di un protocollo d’intesa tra Comune di Venezia, Isever, rEsistenze, Anpi e ANVGD (Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia). Invitiamo tutti a leggere attentamente il protocollo d’intesa e gli allegati del progetto.
Sabato 23 marzo alle ore 17.30 nella saletta T. Degan presso la Biblioteca civica di Pordenone si terrà la conferenza – dibattito:
IL CONFINE ORIENTALE TRA MITO E REALTÀ: “L’OCCUPAZIONE FASCISTA, LE STRAGI E I CAMPI DI CONCENTRAMENTO PER SLOVENI E CROATI, LE FOIBE E L’ESODO.”
INTERVERRÀ LA STORICA ALESSANDRA KERSEVAN
Negli ultimi anni in Italia si è sollevato un acceso dibattito pubblico attorno alla costruzione di una verità ufficiale che ha dato il via ad un walzer di commemorazioni, monumenti, lapidi, intitolazioni di strade. Grazie al contributo di Alessandra Kersevan, attraverso un esercizio di rigorosa contestualizzazione storica, ci proponiamo di individuare e discutere quelli che appaiono gli elementi di mistificazione, falsificazione e propaganda e quelli che si rifanno ai dati reali emersi dallo studio scientifico dei fatti.
Organizzazione del Coordinamento Antifascista e dell’Anpi di Pordenone
Il 19 marzo del 1921, nella località istriana di Strugnano, piccolo paese nei pressi di Pirano, gli squadristi fascisti, durante una delle loro scorrerie in terra d’Istria, spararono su un gruppo di bambini intenti a giocare vicino ai binari della linea ferroviaria. Due di questi morirono sul colpo, cinque vennero feriti e tre rimasero per sempre invalidi.
Questa la testimonianza di Piero Valente:
“Faccio un resoconto di quanto mi raccontò mio padre che fu testimone oculare del fatto.
Quel giorno, festa di San Giuseppe, si svolgeva la tradizionale festa da ballo con gente che era arrivata con il trenino della Parenzana anche da Isola e da Pirano. Era pomeriggio inoltrato e nell’area antistante, al centro della quale c’era un grande olmo, giocavano numerosi bambini. Questo albero fu importante nei fatti.
La stazione della ferrovia era adiacente all’edificio della Lega. Il fatto avvenne poco dopo con l’arrivo del treno proveniente da Trieste, che si era fermato regolarmente in stazione per far scendere i passeggeri e farne salire altri. Appena il treno si mise in moto, la gente (tra cui mio padre) udì degli spari e uscì dalla sala interna per vedere cosa fosse successo. Ebbero solo il tempo di vedere gli ultimi vagoni del convoglio che stava entrando nella galleria che portava a Portorose. Sul prato giacevano i corpi di due bambini, Domenico Bartole e Renato Braico. Avevano avuto la sfortuna di giocare davanti al grande olmo, mentre gli altri vennero salvati dai proiettili proprio dal tronco della pianta.
Certe persone testimoniarono che sul treno c’erano numerosi giovani in camicia nera, qualcuno anche ubriaco”.
Sabato 16 marzo alle ore 18 a Trieste presso la libreria Knulp, in occasione della pubblicazione del numero 300 de “La Nuova Alabarda e la coda del diavolo” si terrà l’iniziativa pubblica:
“Le più complesse vicende del confine orientale”: come se ne parla dopo otto anni dall’istituzione della legge sul giorno del ricordo del 10 febbraio?
Relatrice Alessandra Kersevan, ricercatrice storica ed editrice.
Il 10 marzo 1945, furono dieci i partigiani impiccati al Bosco delle Castagne: Mario Pasi “Montagna”, Giuseppe Santomaso “Franco”, Francesco Bortot “Carnera”, Marcello Boni “Nino”, Pietro Speranza “Portos”, Giuseppe Como “Penna”, Ruggero Fiabane “Rampa”, Giovanni Cibien “Mino”, Giovanni Candeago “Fiore” e Ioseph, un soldato francese. In memoria di quei fatti, domenica alle 10, si svolgerà la cerimonia commemorativa presso la stele al Bosco delle Castagne.
Questo il ricordo del fatto nelle parole di Giovanna Zangrandi nel libro “I giorni veri. Diario della Resistenza”:
Belluno, marzo 1945
Nella cucina del recapito 67 c’era traffico stamane, anche una certa euforia, c’erano diversi comandanti che parlavano di faccende, Carlo, Gianni e degli altri. C’era Burrasca che raccontava con enfasi il colpo fatto da Radiosa Aurora: l’altra notte andarono nel Bosco delle Castagne a mettere delle mine legate a cartelli con su «abbasso Hitler» e abbasso altre cose del genere là dove i tedeschi fanno i tiri. Eccoli infatti al mattino, arrivarono ben marciando e videro, tentarono di cavare gli indegni cartelli: kaputt un po’ di loro.
Ma adesso qualcuno è salito di corsa al 67, ha fiato in gola; dice che sta arrivando una colonna tedesca e che sta parandosi avanti dieci ostaggi dei nostri prelevati nelle carceri. Uno lo trascinano inerte su di una scala, forse è Montagna. Dieci dei nostri li portano al Bosco delle Castagne e non c’è bisogno di dirsi di più.
Montagna è un medico di Ravenna, arrivò qui con i primi organizzatori, lo presero e l’hanno torturato e torturato perché non parlava. Dopo il colpo grosso alle carceri nella scorsa primavera, dopo l’altra evasione rocambolesca di Attilio Tissi, un terzo colpo a Baldenich era impossibile. Hanno torturato Montagna fin che le piaghe delle botte gli hanno fatto marcio e cancrena; dentro un pezzo di pane è riuscito a mandar fuori un biglietto: «Compagni; mandatemi del veleno, non posso più…»; l’ho visto quel biglietto, scritto storto a matita, se vivrò ricorderò fino all’ultimo barlume quella riga e mezza a matita.
E adesso lui e gli altri nove per rappresaglia. I nostri comandanti e alcuni ragazzi corrono come matti, ma è impossibile far niente: se danno battaglia, se sparano, i tedeschi si mettono davanti i nostri e li sparano.
Questo greto sassoso di fiume bruciato e si corre tra i sassi, si corre come bestie impazzite, si vorrebbe far qualcosa e si corre.
La colonna verdognola avanti, tra gli alberi ancora spogli: si sono sentiti dei comandi rapidi, lontano tra gli alberi.
Si sono visti i nostri alzarsi, tirati su, a due a tre per albero, sulla collina; non sappiamo quale sia Montagna e i nomi esatti degli altri, dieci sono, dai tronchi sbuca un piede, una testa torta, uno con una maglietta a righe; in quell’albero che ne porta tre forse c’è anche il ragazzo dell’Ada, non conta chi sia, sono dieci e adesso sono ormai fermi come i tronchi che li portano.
Uno ha detto: «Far fesserie non serve. Ormai…». Un altro: «Andarsene noi vivi, pochi e quasi disarmati, restar vivi per ucciderli bene, quelli».
Il biglietto menzionato dalla Zangrandi è quello riprodotto in apertura: è di Mario Pasi, antifascista, medico e dirigente partigiano, delle formazioni operanti nel bellunese. Catturato dalle SS alla fine del 1944, fu torturato e seviziato per quattro mesi e ridotto in fin di vita dal famigerato tenente Georg Karl, comandante della Gestapo di Belluno, ma rifiutò sempre di fornire informazioni. Fu fatto trasportare dai suoi stessi compagni perché non camminava nemmeno più, con le gambe fracassate dalla bastonate, una già divorata dalla cancrena. Questa è una poesia di Mario Tobino, anche lui partigiano combattente, dedicata a “Montagna”:
Il Pasi era un giovanotto veniva dalla Romagna, insieme eravamo giovani, si camminava muovendo le spalle, le donne avean per noi debolezza. Lui lo impiccarono i tedeschi dopo sevizie che non ho piacere si sappiano, io ho un cappotto di anni, ma, o Pasi, sei stato il piu bell’italiano di mezzo secolo.
Ve lo ricordate Mario Merlino?
Il suo nome è sinonimo del tentativo di infiltrazione nei movimenti del 1968 da parte di questo neofascista ,che dopo essersi addestrato in Grecia, presso i colonnelli greci, insieme ad altri suoi camerati , i cui nomi li ritrovammo nella stagione delle stragi fasciste, si infiltrò quel gruppo anarchico 22 marzo che si ritrovò sotto accusa, con Valpreda di essere autore della strage di Piazza Fontana e di tanti altri attentati.
Grazie alla controinformazione in quel meraviglioso libro “La strage di Stato” il suo ruolo al servizio dei servizi segreti italiani e USA fu svelato.
Nonostante diversi iter processuali continua ad essere amico e frequentatore di ex nazisti, neofascisti del vecchio e nuovo millennio, ma…il colmo è che apprendiamo dal Messaggero di oggi 5 marzo 2013, che il “nero” Merlino, è salito in cattedra presso la prestigiosa scuola di fanteria di Cesano di Roma, ricevendo applausi a scena aperta da sottufficiali ed ufficiali con un suo intervento quale “esperto di storia” denigrando i partigiani ed esaltando i combattenti fascisti della Repubblica Sociale Italiana di Mussolini.
Un fatto di una gravità inaudita a cui si aggiunge come scrive il Messaggero:”-… era presente Gina R. con camicia nera e basco del S.A.F. , il servizio femminile della Repubblica Sociale Italiana che presentata dal Merlino come martire e simbolo delle angherie subite dai combattenti fascisti dopo la Liberazione dei partigiani … è stata accolta con lungo e caloroso, sincero applauso ed ha ricevuto un mazzo di fiori gialli direttamente dal Generale comandante”…-
Siamo di fronte non ad un episodio di revisionismo storico marginale ma di fronte ad un vero e proprio attacco all’immagine delle nostre Forze Armate quali garanti e poste a difesa delle nostre istituzioni e della Costituzione repubblicana ed antifascista e di un gravissimo segnale, in momento particolare del nostro paese, in attesa di un governo che lo porti fuori da una crisi che rischia di mettere in pericolo non solo la nostra economia, ma la nostra stessa democrazia.
Guai se l’immagine delle forze armate italiane corra il rischio di essere associata alla negazione della democrazia, come fu il fascismo!
Quegli ufficiali e sottufficiali che hanno applaudito il fascista e provocatore Merlino e una fascista in divisa , e che frequentano quella scuola, come insegnanti e come allievi, sono il futuro del nostro Esercito, che con questo episodio si tinge di un solo colore , il NERO, quello delle camicie nere che uccisero la libertà nel nostro paese e furono causa di lutti e rovine per tutto il popolo italiano.
Fa bene l’ANPI di Roma a chiedere immediatamente la punizione dei responsabili e la rimozione dal loro incarico e che fa appello per una manifestazione di protesta dinanzi alla caserma di Cesano.
Come soci dell’ANPI di Brindisi siamo solidali in questa protesta e ricordiamo la funzione che i neofascisti brindisini ebbero nella logistica di appoggio per i viaggi di istruzione “alla provocazione e alle stragi” di Merlino e camerati, nel 68 e anni successivi, presso i colonnelli della dittatura greca. Quei neofascisti che accolsero in seguito a braccia aperte il neonazista Freda, durante la sua detenzione e poi il suo “esilio dorato” a Brindisi.
Ricordiamo ancora come, qui a Brindisi, nella sicurezza e nella protezione datagli dai “neri” brindisini , Freda abbia continuato a tramare contro la democrazia italiana e sia stato condannato in maniera definitiva per questo. Oggi si cerca di cancellare tutto ciò, anche con vergognosi episodi come quello di Cesano, ma noi, eredi dei Partigiani che sconfissero il Nazifascismo, non dimentichiamo!
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