24 marzo 2013: Museo della Resistenza “Agostino Piol”

Donna Partigiana dello scultore bellunese Pezzei

Ieri, domenica 24 marzo, con un gruppo di compagni avventurosi, siamo partiti da Valmorel per raggiungere il rifugio – museoAgostino Piol” a Pian de le Femene. Zenone Sovilla, organizzatore della ciaspolada, ci ha illustrato e fatto vedere degli spezzoni di interviste a partigiani e storici, che sono serviti per il suo ultimo progetto “Il sentiero sotto la neve”, un film “per interrogarsi su una memoria ormai troppo spesso calpestata o distorta; per aprire qualche pagina scomoda; per tentare di capire”. In questo sito potete vedere parte delle interviste e dei documentari che hanno ispirato questo progetto: http://www.sovilla.org/

Qui le foto della giornata: http://imgur.com/a/7bGid

Oggi cosa resta del fascismo in Italia? Il convegno delle partigiane

Una sala da duecento posti piena, un altro centinaio di persone in esubero sedute per terra o in piedi: così si è presentata la situazione a Palazzo Marino a Milano sabato 16 marzo, al convegno indetto dall’Anpi nazionale, l’associazione dei e delle partigiane, organizzato proprio dal Coordinamento delle donne. Tra queste anche giovani sotto i trent’anni, perché l’associazione ha aperto da alcuni anni le iscrizioni a chiunque voglia partecipare alle attività.
Un titolo forte e chiaro: ‘La violenza e il coraggio – Donne, Fascismo, Antifascismo, Resistenza, ieri e oggi’, a ribadire un concetto semplice: la storia si insegna e si impara a scuola, ma la memoria la si costruisce nel quotidiano dovunque, ed è fatta di scelte: nelle parole che si pronunciano, nei ricordi da tramandare, nelle narrazioni che diventano fili tesi tra generazioni.
Si può scegliere di rubricare come ‘passato’ quella fase della vicenda politica, sociale e umana che ha visto, nella Resistenza, l’unica palestra di democrazia condivisa da uomini e donne cattoliche, comuniste, anarchiche e socialiste; si può cancellare con una alzata di spalle la tragedia del fascismo e delle leggi razziali, per non parlare della retriva retorica familista che ancora l’Italia si trascina nella cultura diffusa anche dai media.
Ma quando si ascoltano le voci vibranti di donne e uomini che hanno vissuto il (primo) ventennio di buio di questo paese è difficile non emozionarsi.
Lidia Menapace e Marisa Ombra invitano le giovani donne che le guardano sedute a terra con occhi attenti a usare ironia e sberleffo contro il patriarcato e il machismo: ”Vi dicono che le donne non possono accedere al sapere scientifico perché hanno il cervello più piccolo? Perfetto, rispondete che di certo anche il diamante è più piccolo di una zucca, che certo pesa di più della pietra preziosa” – chiosa Menapace, classe 1924, della quale da poco è uscito “A furor di popolo”.
L’invito è a non frasi intimidire dagli stereotipi e dai pregiudizi, e fa pensare che arrivi da donne che, come racconta Marisa Ombra nel suo bellissimo “Libere sempre”, a soli 17 anni erano già in montagna a rischiare la vita solo perché portavano notizie e aiuti ai partigiani.
Poco più che bambine molte di loro hanno iniziato la fase adulta dell’esistenza fronteggiando la violenza, e hanno scelto da sole da che parte stare, spesso optando per la lotta nonviolenta. Le intense letture fatte dall’attrice Aglaia Zanetti hanno alternato brani da libri di donne della resistenza a passi tratti da testi sacri dei teorici del fascismo, perle di raggelante attualità rimbalzate anche dagli schermi in sala: “Non darò il voto alle donne. La donna deve ubbidire. La mia opinione della sua parte nello Stato è opposta ad ogni femminismo. Naturalmente non deve essere schiava, ma se le concedessi il voto mi si deriderebbe. Nel nostro Stato non deve contare”. O anche. “La guerra sta all’uomo come la maternità sta alla donna”.
Così Benito Mussolini, mentre Ferdinando Loffredo, filosofo e teorico del regime, affermava; “Il lavoro femminile crea nel contempo due danni; la ‘mascolinizzazione’ della donna e l’aumento della disoccupazione. La donna che lavora si avvia alla sterilità”.
Vale la pena di rammentare questo recente passato, per evitare a chi è più giovane di sottovalutare la pericolosità del non custodire e attualizzare la memoria: questo appuntamento, del quale presto si avranno gli atti ha sapientemente mescolato storia di ieri e realtà contemporanea, con l’urgenza di riannodare fili che rischiano di essere tagliati.
I partigiani ci vanno nelle scuole – ha detto Marisa Ombra – magari sono stanchi perché hanno molti anni, ma escono dagli incontri con i giovani pieni di energia, basta che vengano chiamati, e arrivano”.

Ascoltiamoli di più.

(di Monica Lanfranco, dal blog de “Il Fatto Quotidiano” del 21 marzo 2013)

19 marzo 1921: strage di Strugnano – Strunjan

Il 19 marzo del 1921, nella località istriana di Strugnano, piccolo paese nei pressi di Pirano, gli squadristi fascisti, durante una delle loro scorrerie in terra d’Istria, spararono su un gruppo di bambini intenti a giocare vicino ai binari della linea ferroviaria. Due di questi morirono sul colpo, cinque vennero feriti e tre rimasero per sempre invalidi.

Questa la testimonianza di Piero Valente:
“Faccio un resoconto di quanto mi raccontò mio padre che fu testimone oculare del fatto.
Quel giorno, festa di San Giuseppe, si svolgeva la tradizionale festa da ballo con gente che era arrivata con il trenino della Parenzana anche da Isola e da Pirano. Era pomeriggio inoltrato e nell’area antistante, al centro della quale c’era un grande olmo, giocavano numerosi bambini. Questo albero fu importante nei fatti.
La stazione della ferrovia era adiacente all’edificio della Lega. Il fatto avvenne poco dopo con l’arrivo del treno proveniente da Trieste, che si era fermato regolarmente in stazione per far scendere i passeggeri e farne salire altri. Appena il treno si mise in moto, la gente (tra cui mio padre) udì degli spari e uscì dalla sala interna per vedere cosa fosse successo. Ebbero solo il tempo di vedere gli ultimi vagoni del convoglio che stava entrando nella galleria che portava a Portorose. Sul prato giacevano i corpi di due bambini, Domenico Bartole e Renato Braico. Avevano avuto la sfortuna di giocare davanti al grande olmo, mentre gli altri vennero salvati dai proiettili proprio dal tronco della pianta.
Certe persone testimoniarono che sul treno c’erano numerosi giovani in camicia nera, qualcuno anche ubriaco”.

Felice Porro, uno della Banda Tom

Felice Porro, a destra in basso

Dopo la pubblicazione dell’articolo http://anpimirano.it/2013/i-tredici-della-banda-tom abbiamo ricevuto questa testimonianza dal nipote di uno dei partigiani della Banda Tom scampati al rastrellamento:

Dai pochissimi racconti del nonno (è sempre stato molto difficile farlo parlare della guerra) che ora è un arzillo 88enne ma con qualche problema di memoria, lui si unì alla Banda Tom nel 1944. Qualche mese dopo il papà lo mandò a chiamare perché la mamma stava male e lui lasciò momentaneamente la banda che poi sarebbe stata catturata di lì a qualche mese. Purtroppo non conosco le date con precisione e anche quando la memoria non gli difettava faticava a inquadrare cronologicamente i vari periodi. Ho più volte cercato informazioni perché sono sempre andato orgogliosissimo del nonno e del suo contributo alla guerra partigiana (lui stesso mi ha cresciuto nel sacro rispetto dei principi e dei valori della Resistenza e dell’antifascismo) ma purtroppo si trovano solo sporadici riferimenti negli archivi riguardo alla sua militanza nelle file di Giustizia e Libertà negli ultimi mesi che hanno preceduto la Liberazione.
Le allego una foto in cui è ritratto insieme ad alcuni compagni d’arme (ma non so se si riferisca al periodo della Banda Tom) lui è quello accovacciato a destra nella foto.
Cordiali Saluti.
Alessandro Porro

Belluno 10 marzo 1945: Bosco delle Castagne

“Cari compagni mandatemi del veleno non resisto più. Montagna”

Il 10 marzo 1945, furono dieci i partigiani impiccati al Bosco delle Castagne: Mario Pasi “Montagna”, Giuseppe Santomaso “Franco”, Francesco Bortot “Carnera”, Marcello Boni “Nino”, Pietro Speranza “Portos”, Giuseppe Como “Penna”, Ruggero Fiabane “Rampa”, Giovanni Cibien “Mino”, Giovanni Candeago “Fiore” e Ioseph, un soldato francese. In memoria di quei fatti, domenica alle 10, si svolgerà la cerimonia commemorativa presso la stele al Bosco delle Castagne.

Questo il ricordo del fatto nelle parole di Giovanna Zangrandi nel libro “I giorni veri. Diario della Resistenza”:

Belluno, marzo 1945
Nella cucina del recapito 67 c’era traffico stamane, anche una certa euforia, c’erano diversi comandanti che parlavano di faccende, Carlo, Gianni e degli altri. C’era Burrasca che raccontava con enfasi il colpo fatto da Radiosa Aurora: l’altra notte andarono nel Bosco delle Castagne a mettere delle mine legate a cartelli con su «abbasso Hitler» e abbasso altre cose del genere là dove i tedeschi fanno i tiri. Eccoli infatti al mattino, arrivarono ben marciando e videro, tentarono di cavare gli indegni cartelli: kaputt un po’ di loro.
Ma adesso qualcuno è salito di corsa al 67, ha fiato in gola; dice che sta arrivando una colonna tedesca e che sta parandosi avanti dieci ostaggi dei nostri prelevati nelle carceri. Uno lo trascinano inerte su di una scala, forse è Montagna. Dieci dei nostri li portano al Bosco delle Castagne e non c’è bisogno di dirsi di più.
Montagna è un medico di Ravenna, arrivò qui con i primi organizzatori, lo presero e l’hanno torturato e torturato perché non parlava. Dopo il colpo grosso alle carceri nella scorsa primavera, dopo l’altra evasione rocambolesca di Attilio Tissi, un terzo colpo a Baldenich era impossibile. Hanno torturato Montagna fin che le piaghe delle botte gli hanno fatto marcio e cancrena; dentro un pezzo di pane è riuscito a mandar fuori un biglietto: «Compagni; mandatemi del veleno, non posso più…»; l’ho visto quel biglietto, scritto storto a matita, se vivrò ricorderò fino all’ultimo barlume quella riga e mezza a matita.
E adesso lui e gli altri nove per rappresaglia. I nostri comandanti e alcuni ragazzi corrono come matti, ma è impossibile far niente: se danno battaglia, se sparano, i tedeschi si mettono davanti i nostri e li sparano.
Questo greto sassoso di fiume bruciato e si corre tra i sassi, si corre come bestie impazzite, si vorrebbe far qualcosa e si corre.
La colonna verdognola avanti, tra gli alberi ancora spogli: si sono sentiti dei comandi rapidi, lontano tra gli alberi.
Si sono visti i nostri alzarsi, tirati su, a due a tre per albero, sulla collina; non sappiamo quale sia Montagna e i nomi esatti degli altri, dieci sono, dai tronchi sbuca un piede, una testa torta, uno con una maglietta a righe; in quell’albero che ne porta tre forse c’è anche il ragazzo dell’Ada, non conta chi sia, sono dieci e adesso sono ormai fermi come i tronchi che li portano.
Uno ha detto: «Far fesserie non serve. Ormai…». Un altro: «Andarsene noi vivi, pochi e quasi disarmati, restar vivi per ucciderli bene, quelli».

Il biglietto menzionato dalla Zangrandi è quello riprodotto in apertura: è di Mario Pasi, antifascista, medico e dirigente partigiano,  delle formazioni operanti nel bellunese. Catturato dalle SS alla fine del 1944, fu torturato e seviziato per quattro mesi e ridotto in fin di vita dal famigerato tenente Georg Karl, comandante della Gestapo di Belluno, ma rifiutò sempre di fornire informazioni. Fu fatto trasportare dai suoi stessi compagni perché non camminava nemmeno più, con le gambe fracassate dalla bastonate, una già divorata dalla cancrena. Questa è una poesia di Mario Tobino, anche lui partigiano combattente, dedicata a “Montagna”:

Il Pasi era un giovanotto
veniva dalla Romagna,
insieme eravamo giovani,
si camminava muovendo le spalle,
le donne avean per noi debolezza.
Lui lo impiccarono i tedeschi
dopo sevizie che non ho piacere si sappiano,
io ho un cappotto di anni,
ma, o Pasi, sei stato
il piu bell’italiano di mezzo secolo.

Il programma della celebrazione

Le foto della celebrazione del 10 marzo 2013

È morta Olema Righi, la partigiana in bicicletta

Olema Righi

È morta ieri mattina nella sua abitazione di Carpi, in Provincia di Modena, Olema Righi. Staffetta partigiana, per molti emiliani rappresentava il simbolo stesso della Resistenza, insieme a tante altre compagne come Ibes Pioli o Tina Anselmi.
Celebre la foto che la ritrae in sella alla sua bicicletta, nei giorni della Liberazione, con il fucile ancora in spalla e la bandiera dell’Italia libera sullo sfondo. Chi l’ha conosciuta ricorderà per sempre il suo sguardo determinato – lo stesso di quella vecchia fotografia – ed il sorriso inscritto nel viso di una bellezza severa che si era addolcita col passare degli anni.
Riportiamo il racconto del suo arresto e della tragica morte del fratello (partigiano anche lui), tratto dal sito dell’Associazione Nazionale Partigiana – Emilia Romagna:

Era una mattina di novembre quando, senza neanche poter dire a mia madre che andavo via, sono stata presa e caricata su un camion, dove c’erano altri giovani che dicevano di essere stati arrestati.
Da Limidi, i camion dei repubblichini sono passati per Carpi, dove hanno caricato altra gente, poi si sono diretti a Modena. Dai loro discorsi, si capiva che i repubblichini erano orgogliosi delle loro scelleratezze, della loro “azione”.
A causa delle lunghe soste siamo arrivati all’Accademia (ora Accademia Militare) che era già sera. La mattina seguente il capitano mi ha fatto andare nel suo ufficio per interrogarmi. Stava seduta alla sua scrivania e teneva davanti a se un foglio scritto a mano. Ha cominciato a leggerlo: vi era scritto che io ero una staffetta partigiana, che mio fratello, mia sorella e mio padre erano antifascisti. Quest’ultimo poi era anche in prigione per questo.
C’era scritto proprio tutto in quel maledetto foglio. Avevano saputo tutto della nostra famiglia, anche che noi avevamo un terreno nei prati di Cortile sul quale mio fratello Sarno, insieme ai suoi compagni, aveva costruito un rifugio dove andavano a nascondersi e a dormire.
In seguito, sono stata tenuta per lunghe ore in una stanza di isolamento. Isolamento reso ancora più duro e imprevedibile dalla guardia, un omettino basso e dalla voce rauca, che mi sorvegliava e mi prospettava tutte le cose più brutte, compreso che mi avrebbero mandato in Germania e che mi avrebbero ammazzato. Dopo sette giorni di interrogatori e minacce, il 20 novembre ci fu lo scambio: le vite di 60 partigiani furono scambiate con quelle di 6 tedeschi, così anche noi fummo rilasciati.
Mentre uscivo dal portone dell’Accademia, il capitano che mi aveva interrogato mi prese da parte, per un attimo ebbi paura che mi tenesse ancora là, invece mi fece la predica e tra le altre cose mi disse di non prendere più parte alla guerra. Ricordo ancora le sue parole: “la guerra è per gli uomini e dì a tuo padre che non faccia più attività contro di noi perché, se non lo sa, il coltello dalla parte del manico l’abbiamo noi”. Poi aggiunse: “va a divertirti a casa troverai delle novità”.
Salutai e raggiunsi Stefanina e le altre per andare a casa. Avevamo tanta strada da fare a piedi, ma scherzavamo e ridevamo perché eravamo libere. Finalmente libere da un incubo, ancora tremanti per quegli interrogatori in cui avevamo sempre negato tutto, che ci avevano fatto capire che c’era una spia molto vicina a noi. Una spia amica di quegli scellerati che si vantavano di aver portato via i partigiani, saccheggiato il caseificio e bruciate le case…
A Ganaceto ho incontrato una staffetta, Ione, che si è offerta di accompagnarmi a casa sulla bicicletta. Lungo quel breve tragitto non parlammo molto e io pensavo ad alta voce a chi avrei trovato a casa. Quasi certamente mia madre, mia sorella e mio fratello piccolo. Chissà se mio padre era ancora nascosto a Panzano. Chissà dov’era mio fratello Sarno. L’avevo visto per l’ultima volta il giorno prima del rastrellamento. L’avevo chiamato da lontano e lui si era girato a salutarmi. Fu proprio mentre me lo ricordavo così che Ione mi disse “hanno ucciso tuo fratello”.
Non ricordo più niente di preciso di quello che seguì, ricordo solo che ho ricominciato la mia vita di staffetta con un motivo in più: onorare il sacrificio di mio fratello con una fede ancora più forte nell’antifascismo e nella memoria.

Olema Righi.

Altresì…(che vergogna)

Il distintivo della Guerra di Liberazione

Art.5 DPR n.1590 del 17 novembre 1948:

Il distintivo della guerra di liberazione è concesso:
ai militari e militarizzati delle Forze Armate dello Stato,
agli appartenenti alla Guardia di Finanza,
al personale della Croce Rossa Italiana e del Sovrano Militare Ordine di Malta,
agli assimilati ed ai civili,
che durante la guerra di liberazione siano caduti in combattimento ovvero si siano trovati in una delle seguenti condizioni:
a) abbiano prestato servizio dal 9 settembre 1943 in poi, per un periodo di almeno tre mesi, anche non consecutivi, alle dipendenze di enti delle Forze armate dello Stato, mobilitati dai rispettivi Stati Maggiori, o, se civili o assimilati, al seguito delle Forze armate operanti;
b) abbiano riportato ferite o mutilazioni o contratto infermità riconosciute dipendenti da cause specificamente derivanti da azioni di guerra;
c) abbiano onorevolmente partecipato ad un importante fatto d’arme;
d) abbiano ottenuto, in dipendenza dell’attività bellica nella guerra di liberazione o in azioni contro i tedeschi prima della dichiarazione di guerra alla Germania, una ricompensa al valor militare o la croce al merito di guerra.

Il distintivo suddetto è altresì concesso a coloro cui sia stata attribuita la qualifica di partigiano combattente.

Sondaggio sul 25 aprile

Al Comune di Cornate d’Adda si preoccupano delle opinioni dei propri cittadini e così hanno pensato bene di fare un sondaggio sul 25 Aprile, Festa della Liberazione: che questo sondaggio sia stato fatto con intento provocatorio non è dato sapere, vorremmo soltanto ricordare che non ci possiamo dimenticare di chi ha lottato contro il fascismo e il nazismo. La lotta di Liberazione non si sottopone a referendum.

Inviamo le nostre opinioni al sito del comune: https://docs.google.com/forms/d/1qyUF9DHF4dXF_bTFBgxmOmDULHY2GPTHIBtjoh5zI2s/viewform?pli=1

Ancilla Marighetto “Ora”

Ancilla Marighetto "Ora", 18 anni

Partigiana del battaglione “Gherlenda” è la più giovane Medaglia d’Oro al valor militare della Resistenza Italiana; assieme all’amica Clorinda Menguzzato è stata una delle poche donne in Italia a ricevere tale onorificenza. Era trentina. Venne uccisa da un gruppo di volontari italiani del del CST (Corpo di Sicurezza Trentino) composto da personaggi locali che dipendeva direttamente dalle SS tedesche. Per questa ragione, nel primo dopoguerra, si è cercato di farla dimenticare sottacendo, eludendo, glissando, facendo di tutto pur di sbiadire il ricordo di una donna di cui dovremmo andare orgogliosi e uno dei motivi è piccolo piccolo: per coprire i personaggi locali che avevano fatto “il patto col diavolo” e s’erano fatti parte attiva nel lavoro sporco delle SS.
Come il Maresciallo Rocca di Cavalese, uno che a domanda avrebbe probabilmente risposto: “Io non faccio politica”, ma che aveva seguito il consiglio del commissario collaborazionista De Bertolini, l’ispiratore del CST (Corpo di Sicurezza Trentino).

Per ricordarla sabato 2 marzo 2013, con partenza da Passo Brocon (TN) alle 9.30, ci sarà una “Ciaspolata Resistente”, che percorrerà i luoghi che hanno visto il martirio di Ancilla. La manifestazione è organizzata dall’Anpi di Feltre, Belluno, Bolzano e Vittorio Veneto.

La locandina

http://www.anpi.it/donne-e-uomini/ancilla-marighetto

Le foto della Ciaspolada

Claudia Cernigoi: una vita tra minacce e querele

Claudia Cernigoi, ricercatrice storica e antifascista, autrice di “Operazione foibe tra storia e mito”, racconta in questo documento – testimonianza quello che le è successo dopo la pubblicazione dei suoi testi, basati su un serio lavoro di ricerca storica basato sulla consultazione di documenti e nella ricerca dei testimoni diretti dei fatti. È una testimonianza che racconta gli insulti, le minacce, le querele che ha dovuto subire in questi ultimi anni.  È stata anche cancellata da Wikipedia, (“non è che sia un dramma, vista la poca attendibilità dei suoi articoli”: questa è la pagina delle motivazioni), dopo un martellamento informatico da parte degli stessi autori delle minacce da lei subite. La testimonianza termina con queste parole:

Chiudo qui questo dossier che avrei preferito non dovere scrivere ma che ho redatto per un motivo di autodifesa: rendere note le persecuzioni e le minacce a cui si è sottoposti spesso evita che la situazione degeneri. Per questo motivo ho intenzione di diffonderlo il più possibile, e scusate se per una volta ho parlato tanto di me.

Il testo

La recensione di Wu Ming al libro “Operazione foibe”   (“Un libro fon-da-men-ta-le, che deve circolare, che va diffuso con ogni mezzo necessario e letto dal maggior numero di persone possibile. La lettura spalanca il mondo davanti agli occhi. Questo saggio è uno strumento di lotta, è un’ascia di guerra dissepolta, alfine….”)