“I GIORNI VERI”
Le ragazze nella Resistenza
(cortometraggio)
Venerdì, 22 maggio, ore 20.45
Sala Conferenze di Villa Errera, incontro con
Maria Teresa Sega
Aderiscono: la Commissione Pari Opportunità e il Centro Pace “Sonja Slavik”
“I giorni veri”. Le ragazze della resistenza
A sentirsi intorno questa primavera diversa dalle altre,
primavera con dentro ormai la fine certa,
s’ha tanta speranza di bene e tanta fede di meglio che si è come matti,
come in una domenica a vent’anni
I giorni veri, diario partigiano di Giovanna Zangrandi
Avere vent’anni e vivere in guerra: il paese occupato, i militari allo sbando, i fratelli braccati….Non poche furono le donne che nella nostra regione, come in altre, dopo l’8 settembre 1943 scelsero di non stare ad aspettare, ma reagirono, si opposero ai nazisti e ai fascisti loro alleati, parteciparono al movimento di liberazione o lo sostennero. Erano ragazze giovani , alcune giovanissime, di famiglia antifascista oppure no, studentesse, maestre, operaie o contadine, comuniste o cattoliche, o semplicemente avevano maturato avversione alla guerra e nello sfascio dell’Italia vollero fare la loro parte per costruire un futuro diverso. Divennero staffette: tennero collegamenti, trasportarono armi, esplosivo e munizioni, procurarono cibo, vestiti e scarpe per i partigiani, si presero cura dei feriti, vegliarono e seppellirono i morti. Alcune combatterono a fianco dei loro compagni, alcune caddero e fu loro conferita la medaglia al valore militare. La maggior parte fece la guerra senz’armi, usando le armi del coraggio, dell’intelligenza, della fede, della prontezza di spirito. Arrestate, resistettero a carcere e torture senza tradire. Lo fecero con naturalezza e semplicità (“non si poteva dire di no”) e, a guerra finita, non chiesero riconoscimenti, si tennero lontane da celebrazioni, parlarono con discrezione. Ripresero la loro vita, studiarono, si sposarono ed ebbero figli. Alcune scelsero di continuare la resistenza nell’impegno sindacale, politico o sociale. Una divenne la prima donna ministro della Repubblica. Tutte si sentirono cambiate. Oggi, dopo 60 anni, è difficile capire che cosa è stata quell’esperienza, insieme terribile ed esaltante, per una generazione di donne cresciute nel fascismo, educate ad ubbidire, ad assecondare un destino già scritto. La scelta della Resistenza ha avuto anche il valore di rottura di quel destino femminile, di conquista del diritto di cittadinanza, di affermazione di soggettività per sé e per le altre. Noi, oggi, vogliamo ricordare di essere figlie e nipoti di quella scelta, vogliamo accogliere e custodire il patrimonio di valori che ci consegnano affinché non vadano dispersi, o peggio, non siano negati, nel trascorrere dei tempi e nel passare delle generazioni.
Abbiamo pensato che il modo migliore fosse ascoltare le testimoni e lasciarci guidare dai loro racconti: le ottantenni di oggi sono le ragazze di allora. Ragazze con i calzettoni e le trecce che correvano in bicicletta leggere e veloci, piene di paura e di sogni, di rabbia e di speranza: così ce le restituiscono le immagini. Ci hanno aperto i loro cassetti e i loro album, ci hanno spalancato le loro memorie per raccontare di sé e di altre che non ci sono più. Come Carmen, atrocemente torturata, morta suicida dopo la guerra. Come le altre che non possono più o non vogliono raccontare.
Abbiamo scelto di rappresentare le diverse appartenenze, sociali, culturali, politiche, territoriali, senza tuttavia nessuna pretesa di esaustività, piuttosto costruendo un racconto, uno dei tanti possibili, a più voci, per evocare un clima, capire con quale spirito hanno affrontato quei venti lunghi mesi, come vissero quei giorni, “i giorni veri” che aprirono loro gli occhi e le menti. E come li ricordano oggi. Non si sofferma il film a raccontare le singole biografie, a descrivere vicende drammatiche (esilio, carcere, fame, rastrellamenti, rappresaglie, torture, deportazioni). Il film vuole soltanto suscitare l’incontro tra giovani di oggi e di sessant’anni fa. Chi vorrà sapere potrà leggere l’ormai vasta memorialistica e storiografia. E chi vorrà, potrà raccogliere la “staffetta”, come dice Lina in chiusura, che loro ci vogliono consegnare.
Luisa Bellina e Maria Teresa Sega