Egildo Moro “Romo”, nato nel 1922, partigiano combattente della Brigata Gramsci sulle Vette Feltrine, vicecomandante di Paride Brunetti “Bruno”, ci ha lasciato il 28 febbraio.
Romo fu uno dei primi ad aderire al movimento partigiano. Partito da Padova dopo l’8 settembre del 1943, aderì subito al gruppo “Luigi Boscarin” in Val Mesaz. Durante i 20 mesi della guerra di Liberazione partecipò alle azioni con diverse brigate, sempre con ruoli di organizzazione interna e di combattente in prima linea.
Romo è stato sempre coerente con le idee, gli obbiettivi e le speranze della Resistenza e fino all’ultimo ha ribadito che rifarebbe le stesse scelte di vita.
Nel dopoguerra, quando iniziò la persecuzione nei confronti dei compagni partigiani, Romo è stato un punto di riferimento per i fuoriusciti nei paesi dell’est. Ciò è testimoniato dall’attestato rilasciatogli da Arrigo Boldrini “Bulow” nel 1984: “L’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia – ANPI conferisce il diploma di benemerenza a Egildo Moro in riconoscimento della preziosa opera di solidarietà svolta a favore dei partigiani perseguitati negli anni del dopoguerra per fatti connessi con la lotta di Liberazione Nazionale. Il Presidente Arrigo Boldrini”
L’ultimo desiderio di Romo è quello di voler essere ricordato come “Partigiano Combattente”.
Il funerale in rito civile si terrà al cimitero di Mestrino (PD), martedì 3 marzo alle ore 11.30.
Nato a Gubbio il 15 maggio 1916, conseguì a Vicenza la maturità classica al liceo “Antonio Pigafetta” militando in quel periodo nell’Azione Cattolica. Nel 1937 entrò all’Accademia Militare e col grado di sottotenente passò alla Scuola di Applicazione d’Artiglieria di Torino, terminandola nel 1941 con la nomina a tenente. Nel 1942 partì da Padova alla volta dell’Unione Sovietica con la spedizione ARMIR. Ritorna a Padova nell’aprile del ’43, dopo una lunga marcia. Di quel periodo la “conversione” che gli avvenimenti e le esperienze trascorse avevano fatto maturare. A Padova entrò in contatto con Concetto Marchesi, famoso latinista poi rettore dell’Università locale, e con Egidio Meneghetti; insieme formarono già da allora un primo nucleo organizzato di antifascisti. Il 10 settembre del ’43 (due giorni dopo l’armistizio) “Bruno” allestì, in collegamento con il C.L.N., le prime formazioni armate proprio a Padova, poi venne chiamato a organizzare vari nuclei partigiani dal Piave al Grappa, per andare in seguito a costituire nel feltrino la brigata “Gramsci” e diventa comandante del “Boscarin”, il primo reparto armato dei partigiani costituitosi sopra Lentiai e poi nella valle del Mis: ne tenne il comando fino al maggio 1945 quando ritornò nella “Zona Piave” quale vicecomandante per poi infine essere nominato responsabile della Piazza di Belluno.
Assieme a Raffaele Cadorna, comandante del C.V.L, e a Ferruccio Parri, fu insignito a Milano dal generale Clark (5° Armata) della Bronze Medal Star, prestigiosa onorificenza americana.
Nel giugno 1944 porta a termine quello che fu il più importante atto di sabotaggio a livello europeo compiuto dalla Resistenza italiana facendo saltare in aria un tratto della galleria ferroviaria della Valsugana presso il forte Tombion di Cismon del Grappa. Seguì poi la distruzione della cabina elettrica dello stabilimento della “Metallurgica” di Feltre che produceva pezzi per aerei militari. Per quei fatti fu insignito nel 1947 della Medaglia d’argento al Valor Militare dall’allora Presidente del Consiglio dei Ministri on. Alcide Degasperi. In seguito Feltre gli concesse la Cittadinanza Onoraria, come pure Vittorio Veneto.
Finita la guerra, “Bruno” proseguì nella carriera militare fino al 1958 quando l’allora ministro della Difesa gli nega la promozione a tenente colonnello per le sue idee politiche. Tornato alla vita civile terminò gli esami universitari e laureatosi in Ingegneria entrò alla Montedison. In seguito ricoprì la carica di consigliere comunale nelle liste del P.C.I. a Saronno, sua città di adozione dove è morto il 9 gennaio 2011 all’età di 94 anni.
Se andate a Bassano del Grappa e poi proseguite per la statale della Valsugana verso Trento, dopo Cismon del Grappa, dove la valle si fa più stretta, c’è quello che resta del Forte Tombion. Costruito nel 1885, faceva parte del sistema di fortificazioni denominato “Fortezza Brenta – Cismon”. Tagliato fuori dalle operazioni belliche fin dall’inizio del conflitto 1915-18, il forte Tombion divenne un semplice magazzino di transito e venne parzialmente demolito dagli italiani dopo il ripiegamento sul Monte Grappa. Nella primavera del ’44 i tedeschi avevano depositato una grossa quantità di esplosivo che doveva servire per la costruzione di una linea di difesa per contrastare l’avanzata degli alleati. Era verso la fine di maggio del 1944 quando pervenne la richiesta alleata di sabotare la linea ferroviaria che collegava Trento a Bassano percorrendo la Valsugana; una richiesta motivata dal fatto che, a causa dei continui bombardamenti aerei sulla linea del Brennero, una buona parte del traffico militare tedesco transitava proprio su quella linea. Nella ricognizione della zona emerse che, nel punto più stretto della Valsugana, dove la ferrovia e la strada statale si lambiscono, sorgeva il Tombion, di fronte al quale vi era l’omonima galleria ferroviaria: ambedue obiettivi sui quali si sarebbe dovuto intervenire. Così venne deciso di attaccare il deposito ed utilizzare l’esplosivo per sabotare la ferrovia. L’azione ebbe inizio alle ore 22,00 del 6 giugno 1944. “Bruno” Paride Brunetti (comandante della Brigata Garibaldi “Antonio Gramsci” di Feltre), unitamente ad un nucleo appartenente alla resistenza, riuscì ad entrare nel forte dopo aver disarmato il corpo di guardia. Si misero quindi in atto tutti quegli accorgimenti necessari per il trasporto dell’esplosivo in un punto cruciale della galleria e si provvide alla evacuazione degli abitanti della zona. Si diede, infine, fuoco ad una lunga miccia: era l’una del 7 giugno quando una violentissima esplosione distrusse la galleria per una trentina di metri, interrompendo la comunicazione ferroviaria su quella tratta. A dare notizia dell’accaduto fu anche Radio Londra che plaudì all’azione. Sulla via del ritorno, tra i monti, “Bruno” e i suoi compagni si imbatterono in una pattuglia tedesca: esaurite le munizioni egli fece allontanare i compagni e da solo, contro la reazione di fuoco nemica, si portò a distanza ravvicinata e lanciò cariche esplosive determinando la resa dei tedeschi. Nel 1947 egli venne insignito della Medaglia d’Argento al V.M. dall’allora Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi. La città di Feltre e quella di Vittorio Veneto gli conferirono la cittadinanza onoraria. Più tardi, a Milano, Brunetti riceverà dal generale Clark, comandante la Quinta Armata, la “Bronze Medal Star”, assieme a Raffaele Cadorna e a Ferruccio Parri. Terminata la guerra “Bruno” proseguì nella carriera militare ma, nel 1958 al momento dell’avanzamento di carriera dal grado di maggiore a quello di tenente colonnello, nonostante il parere favorevole della commissione a ciò preposta, l’allora Ministro della Difesa, a suo insindacabile giudizio, lo dichiarò inidoneo alla promozione: un partigiano combattente non sarebbe stato affidabile per ricoprire alti incarichi nell’Esercito italiano! Fu una vittima del maccartismo scelbiano. Congedatosi dall’esercito, tornò alla vita civile.
Il 26 maggio 2010 Brunetti partecipò alla cerimonia di inaugurazione della lapide posta dal Comune di Padova sulla facciata di casa Zamboni a ricordo di quel piccolo gruppo di Patrioti che iniziarono la Resistenza militare nel settembre del ’43. I documenti storici tramandano i nomi di nove di quei Patrioti, tre dei quali morirono per l’Italia, chi in combattimento, chi fucilato, chi impiccato sulla forca. Altri tre furono imprigionati e torturati.
In quella occasione Paride Brunetti ricevette dal Sindaco Zanonato il Sigillo della città di Padova e incontrò un folto gruppo di giovani studenti padovani e li invitò ad aspirare ad un mondo migliore, cercando la concordia e ripudiando la guerra che produce solo distruzione, esortando i presenti ad attuare la nostra Costituzione “scritta col sangue e con gli impiccati”.